Ricorso   per   il   Presidente   del   Consiglio  dei  ministri,
rappresentato  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato, nei confronti
della  Regione  Emilia-Romagna,  in  persona del suo presidente della
giunta,  avverso la legge regionale 16 gennaio 2004, n. 1, intitolata
«Misure  urgenti  per  la salvaguardia del territorio dall'abusivismo
urbanistico  ed  edilizio»,  pubblicata nel Bollettino ufficiale n. 8
del 16 gennaio 2004.

    La  determinazione  di proposizione del presente ricorso e' stata
approvata  dal  Consiglio dei ministri nella riunione del 13 febbraio
2004 (si depositera' estratto del relativo verbale).
    La  regione  Emilia-Romagna  ha  proposto  una prima controversia
(reg.  ric.  n. 83  del  2003)  di  legittimita'  costituzionale  nei
riguardi  di  commi  puntualmente  indicati  dell'art. 32 del d.l. 30
settembre  2003,  n. 269,  ed  una  seconda similare controversia nei
riguardi  dei  medesimi commi, come risultati dalla conversione nella
legge 24 novembre 2003, n. 326.
    Con  l'apparentemente  inutile art. 1 della legge ora in esame il
Consiglio  regionale  ha  indicato  solo  a se stesso un percorso che
potrebbe  poi  non  intraprendere  o  non  portare a compimento (od a
tempestivo   compimento)   ed   alcuni   principi  che  potrebbe  poi
disattendere.   Invero,   l'art. 1  costituisce  solo  una  sorta  di
preambolo politico al successivo art. 2, ove ai comuni e' ordinato di
sospendere  (ossia e' vietato di adottare) «ogni determinazione circa
la  conclusione  dei  procedimenti  relativi  alla  definizione degli
illeciti  edilizi,  cosi' come regolati (i procedimenti) dall'art. 32
del  d.l.  30  settembre  2003 n. 269» (non e' menzionata la legge di
conversione del novembre precedente); cio' non fino al 31 marzo 2004,
ma  «fino  all'entrata  in  vigore  della  legge  regionale, prevista
dall'art. 1»   (evento  tuttora  connotato  da  oggettive  incertezze
persino  sul  «se»  e  sul  «quando»).  Non  e' chiaro se l'anzidetta
«sospensione»    contraddica    la   sospensione   dei   procedimenti
sanzionatori  amministrativi  prevista  dalla legge 28 febbraio 1985,
n. 47,  richiamata dal comma 25 del menzionato art. 32. Negli artt. 1
e 2 della legge in esame, congiuntamente letti, non pare possa essere
ravvisata  una rivendicazione della competenza a produrre una diversa
disciplina  legislativa della sanatoria degli abusi edilizi; anche se
l'art. 1,   comma   3,  preannuncia  l'intendimento  di  statuire  la
«generale  non  sanabilita'  delle  violazioni  in  contrasto  con la
strumentazione  urbanistica  vigente»  (non  solo  in contrasto con i
vincoli  extraurbanistici  e/o  in  contrasto  con quella parte delle
prescrizioni  urbanistiche  che  assume  valenza  anche  paesistica e
comunque  di salvaguardia). Alquanto irrealistico risulta comunque il
secondo  periodo dell'art. 2, ove si ipotizzano «interessati» i quali
autodenuncino  gli  abusi  commessi,  senza  sapere quali conseguenze
seguiranno.
    La   legge   in  esame,  al  netto  dei  propositi,  si  concreta
nell'ordine  dato  ai  comuni,  destinatari - essi pure - della legge
dello Stato, di non dare esecuzione a tale legge, di disapplicarla, e
di  attendere  altri  e futuri precetti legislativi della Regione; un
ordine  neppur circoscritto, e neppure giustificato dalla promessa di
un   prossimo   «adeguamento»   alle  disposizioni  dei  testo  unico
menzionato  nel  comma  2  del  menzionato art. 32. In breve, solo un
contrasto tra fonti del diritto e quindi tra entita' che le producono
(come  accaduto  piu'  volte  nella  Storia,  a  segnare  momenti  di
«rottura» di equilibri istituzionali).
    L'art. 2  in  esame,  nel suo secondo periodo, non ipotizza alcun
raccordo  tra la normativa regionale solo preannunciata dall'art. 1 e
le  disposizioni statali in tema di oblazione penale e di sospensione
dei  processi  pendenti;  disposizioni - queste - la cui applicazione
non  e'  di  competenza  dei  comuni.  E'  incontrovertibile  che  il
legislatore  statale ha prodotto le disposizioni in tema di oblazione
in  forza  della  competenza  legislativa  esclusiva  in  materia  di
«ordinamento  penale»  (art. 117,  comma  secondo,  lettera  L  della
Costituzione),  e che tali disposizioni costituiscono il fulcro delle
norme statali sul condono edilizio.
    Posto  che  la  materia  «ordinamento  penale»  e'  di  esclusiva
competenza  statale,  la  sottrazione  dal  territorio  nazionale del
territorio  di  una  o  piu' Regioni introduce disuguaglianze (art. 3
Cost.)  non  legittimate  dal  riconoscimento  in  Costituzione delle
autonomie   regionali.  Queste  non  possono  condurre  a  discipline
diversificate  nell'ambito  delle  materie  riservate allo Stato. Non
pare  che  fatti  identici  (ad  esempio,  edificazioni in assenza di
permesso  di  costruire)  siano repressi penalmente in una regione, e
non repressi perche' sanati «per condono» in altre regioni.
    In  questo  quadro, la legge regionale in esame appare, oltre che
irriguardosa  dell'art. 117, comma secondo, lettera L, Cost. e lesiva
dell'art. 3  Cost.,  anche  contrastante con l'art. 117, comma terzo,
Cost., con gli artt. 81 e 119 Cost., e persino con gli artt. 51, 127,
comma secondo, e 134 Cost.
    Considerato  che  gli  introiti attesi dalle oblazioni sono stati
inseriti  nella  finanziaria 2004 dello Stato (legge 24 dicembre 2003
n. 350),  impedire  l'applicazione  nel territorio di una regione dei
commi  menzionati  nel  comma  2  dell'art.  1  in esame concreta una
ingerenza  nella formazione del bilancio annuale dello Stato e quindi
una   lesione   di  quella  «autonomia  finanziaria»  che  anche,  ed
anzitutto,  allo  Stato deve essere garantita, una compressione della
competenza legislativa per il «coordinamento della finanza pubblica e
dei  sistemi  tributari»,  una  sottrazione di risorse destinate alla
copertura   (art. 81   Cost.)   di   spese  pubbliche  approvate  dal
Parlamento, e - da ultimo - una rottura del vincolo dato dal patto di
stabilita' concordato a livello da Unione europea.
    L'art. 119  Cost.  e' anche qui evocato perche' essenziale dovere
costituzionale  dello Stato e' assicurare a se stesso ed agli enti «a
finanza  derivata»  le  risorse  occorrenti:  tale dovere e' talmente
prioritario   e  fondamentale  da  aver  reso  superflua  l'esplicita
indicazione in Costituzione dei modi e dei mezzi consentiti per farvi
fronte;   significativa  e'  l'assenza  nell'art. 119  Cost.  di  una
esplicita garanzia di risorse proprie anche per lo Stato.
    La  Regione  la quale ostacoli mediante propria legge una manovra
di  finanza  pubblica  statale  dovrebbe  farsi  carico di assicurare
altrimenti  l'invarianza  del  «livello  massimo  del  saldo netto da
finanziare»  (art. 1,  comma  1,  della legge finanziaria citata), ad
esempio rinunciando ad apporti di finanza derivata dallo Stato.
    D'altro  canto, la legge in esame contrasta con l'art. 117, comma
terzo,   Cost.   che   riconosce   allo   Stato  la  competenza  alla
«determinazione  dei  principi»  (si  noti  «determinazione»,  e  non
ottativa indicazione) in materia di «governo del territorio». Codesta
Corte  ha  insegnato  che  spetta  tuttora  allo Stato - anche per le
evidenti  e  plurime  connessioni con la materia «ordinamento civile»
(art. 117,  comma secondo, lettera L, Cost.) - produrre la disciplina
normativa  in  tema  di  titoli abilitativi edilizi. In questo ambito
deve   collocarsi  pure  la  previsione  di  titoli  abilitativi  non
ordinari,  quali  quelli per sanatoria non «a regime», specie se tale
previsione  si  salda  con  (ed e' integrata da) la prefigurazione di
programmi di riqualificazione urbanistico-edilizia.
    Da  ultimo, occorre rilevare - e trattasi di argomento assorbente
- che ai legislatori regionali non puo' essere consentito di produrre
norme  meramente demolitorie e «di reazione», le quali statuiscano la
non  applicazione  nel  territorio regionale di disposizioni poc'anzi
prodotte   dallo  Stato.  Iniziative  siffatte  possono  pregiudicare
l'unita'  della  Repubblica  (art. 5 Cost.) e comunque concretano una
sorta  di  anomala  «autodichia».  L'ordinamento  costituzionale (ora
art. 127, comma secondo, Cost.) riconosce ad ogni Regione la facolta'
di  sottoporre  a  codesta  Corte  le disposizioni statali che reputa
affette  da  illegittimita'  costituzionale,  e  cosi' esclude che il
potere   legislativo   regionale  possa  -  grazie  alla  agevolmente
realizzabile  rapidita'  della  produzione  legislativa  ad opera dei
consigli  regionali  ed  alla  soppressione  dell'istituto del rinvio
governativo, e facendo leva sulla successione della leggi nel tempo -
essere   utilizzato   per   contrastare   l'applicazione   di   dette
disposizioni  statali  (non  rileva  se  in assenza o in pendenza del
ricorso della Regione).
    Quest'ultima  considerazione appare di particolare importanza per
il  sereno  ed  equilibrato  esplicarsi  dei poteri legislativi dello
Stato  e  delle  autonomie.  Si confida in un insegnamento di codesta
Corte,  il  quale  tenga  conto  anche dell'esigenza di salvaguardare
appieno l'autorita' del Parlamento nazionale.
    La legge regionale in esame, impedendo ai proprietari di immobili
siti nella Regione Emilia-Romagna (proprietari non necessariamente in
essa  residenti)  l'accesso  alla sanatoria straordinaria degli abusi
edilizi  durante  la  pendenza  del  processo  costituzionale, arreca
pregiudizio  all'interesse  dello  Stato  e  degli  enti  «a  finanza
derivata»  al  conseguimento degli introiti «da condono» previsti dal
bilancio  e  dalla  legge  finanziaria dello Stato. Lo Stato potrebbe
trovarsi  costretto  a  sostituire i mancati o ritardati introiti con
manovre  di finanza straordinaria (per le quali del resto i parametri
di  Maastricht  lasciano  margini  strettissimi)  e  con inasprimenti
ulteriori  della  gia'  pesante  fiscalita',  cosi'  soffocando  ogni
speranza  di  «agganciare»  la auspicata ripresa economica e rendendo
problematica   persino   il   rimanere  all'interno  di  un  contesto
concorrenziale;  oppure  -  in  alternativa - ad operare «tagli» alla
spesa   pubblica   sia  corrente  (compreso  il  «welfare»)  sia  per
investimenti.  La scelta di ricorrere ad introiti «da condono» non e'
stata  voluttuaria o di tolleranza degli abusi; essa e' stata imposta
dalla  bassa  congiuntura e dalla distanza che, malgrado semisecolari
progressi,   ancora  separa  il  nostro  Paese  dalle  economie  piu'
solidamente strutturate.
    Inoltre,  la  legge  in  esame arreca pregiudizio all'ordinamento
giuridico  della  Repubblica per le considerazioni esposte dianzi nel
prospettare i motivi di ricorso.
    Questa difesa si rende conto dell'esigenza (non solo processuale)
di  non  impegnare  codesta  Corte nell'esame di istanze cautelari; e
pero'  istanze  siffatte,  formulate  da  Regioni  ricorrenti avverso
l'art. 32  citato, potrebbero essere esaminate in camera di consiglio
l'oramai prossimo 24 marzo 2004.