ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale dell'art. 1193, primo
comma,   del   codice   della   navigazione,   nel  testo  modificato
dall'art. 14,    comma 2,   lettera a),   del   decreto   legislativo
30 dicembre 1999, n. 507 (Depenalizzazione dei reati minori e riforma
del  sistema  sanzionatorio,  ai sensi dell'articolo 1 della legge 25
giugno 1999,  n. 205), promosso con ordinanza del 23 ottobre 2002 dal
giudice  di  pace  di  Taranto sul ricorso proposto da Emilio Palumbo
contro  la  Capitaneria  di  porto di Taranto, iscritta al n. 515 del
registro  ordinanze  2003 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 33, 1ª serie speciale, dell'anno 2003.
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  camera di consiglio del 25 febbraio 2004 il giudice
relatore Franco Bile.
    Ritenuto che - in sede di decisione su un'opposizione proposta da
un  pescatore,  proprietario  di  imbarcazione,  avverso  la sanzione
irrogatagli,  ai  sensi  dell'art. 1193 del codice della navigazione,
per  avere  navigato  sprovvisto dei documenti di bordo in violazione
dell'art. 299  dello  stesso  codice - il giudice di pace di Taranto,
con ordinanza emessa il 23 ottobre 2002, ha sollevato, in riferimento
all'art. 3    della    Costituzione,    questione   di   legittimita'
costituzionale  del menzionato art. 1193, primo comma, cod. nav. (nel
testo  modificato  dall'art. 14,  comma 2,  lettera  a,  del  decreto
legislativo   30 dicembre  1999,  n. 507),  «perche'  implicante  una
disciplina   ingiustificatamente   discriminatoria   tra   situazioni
omogenee  e  comparabili  quali  quelle  tra  navi  da  diporto  e da
traffico»;
        che il rimettente osserva come tale disparita' di trattamento
risulti  ingiustificata  in  quanto  -  avendo il legislatore accolto
nell'art. 136  cod.  nav. una nozione unitaria di nave (definita come
«qualsiasi  costruzione  destinata  al  trasporto  per acqua, anche a
scopo  di  rimorchio,  di  pesca,  di  diporto,  o ad altro scopo») -
l'unica  distinzione  di  disciplina  e'  stata  attuata con la legge
11 febbraio 1971, n. 50, che contiene una normativa speciale relativa
esclusivamente  al  diporto  (ovvero  alle  navi utilizzate per scopi
sportivi  o  ricreativi),  in  virtu'  della  quale  il  codice della
navigazione non e' applicabile a tale tipo di navigazione;
        che di conseguenza, per la medesima violazione, quale appunto
la  navigazione  in assenza dei documenti di bordo, per il diportista
e'  prevista una sanzione da lire centomila a un milione (ex art. 39,
terzo  comma,  della legge n. 50 del 1971), mentre per tutte le altre
imbarcazioni,  ai  sensi  della  norma  impugnata,  e'  stabilita una
sanzione  da  tre  a  diciotto  milioni  di  lire  (per la quale, pur
essendone  prevista la gradazione, neppure e' ammesso il pagamento in
misura  ridotta  ai  sensi dell'art. 16 della legge 24 novembre 1981,
n. 689),  oltre  che  l'applicazione  della  sanzione  amministrativa
accessoria  della  sospensione  dai  titoli  o  dalla professione (ex
art. 1214 cod. nav.);
        che, secondo il rimettente, cio' determina un contrasto della
norma   con   l'art. 3  Cost.,  sotto  il  profilo  della  necessaria
ragionevolezza   e   proporzionalita'  della  sanzione  da  irrogare,
poiche',  anche  applicando il minimo edittale della sanzione, questo
sarebbe  comunque  eccessivamente  oneroso  e sproporzionato rispetto
alla medesima violazione commessa da una imbarcazione da diporto;
        che  e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato   e   difeso   dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,
concludendo per la manifesta infondatezza della sollevata questione.
    Considerato  che  le  censure  mosse  dal  rimettente  alla norma
impugnata   attengono   al   duplice,   ma  connesso,  profilo  della
irragionevolezza,  per  mancata  proporzione  della  sanzione  minima
rispetto  alla  effettiva  gravita' della violazione commessa da navi
soggette  alla  generale  disciplina  del codice della navigazione, e
della  disparita'  di trattamento con quanto previsto, in misura meno
grave,  per  la  medesima  violazione  allorquando  sia  commessa con
imbarcazioni da diporto;
        che   l'art. 1193   cod.   nav.  (nel  testo  anteriore  alla
depenalizzazione  operata  dal  d.lgs.  n. 507  del  1999),  ha  gia'
positivamente  superato  il  vaglio  di  costituzionalita'  di questa
Corte,  la  quale, nella sentenza n. 36 del 1973 - con riferimento ad
analogo   vulnus   riferito   all'eccessiva   entita'   dell'impianto
sanzionatorio   penale  allora  stabilito  anche  per  le  infrazioni
compiute da piccole imbarcazioni -, ha sottolineato che la violazione
delle  prescrizioni  sulla  tenuta  dei libri di bordo, a seconda che
trattasi  di  navi maggiori o minori, «si risolve[va] sostanzialmente
nella  gravita'  del reato», punibile entro i limiti di pena minimi e
massimi  fissati  dalla legge; e che la sanzione prevista dalla norma
impugnata  era  di  tale  latitudine,  nella  stessa  alternativa tra
ammenda  e  arresto,  da  consentire al giudice l'applicazione di una
pena  congrua,  a seconda che l'imputato comandasse una nave maggiore
oppure una nave minore;
        che   siffatta  latitudine  risulta  conservata  (nell'ambito
dell'esteso  contesto  di  sostituzione  dell'intervento  penale  con
sanzioni amministrative) anche a seguito della depenalizzazione della
norma de qua; sicche' l'ampiezza della «forbice» tra minimo e massimo
esclude   ancora  un'irrazionalita'  della  previsione,  e  viceversa
consente  l'applicazione di una sanzione amministrativa concretamente
determinabile   in   rapporto   alla   gravita'   della   violazione,
differenziandola  a  seconda  che sia commessa dai comandanti di navi
minori o di navi maggiori;
        che si deve percio' ribadire la consolidata giurisprudenza di
questa  Corte,  secondo  cui  la  valutazione  della congruita' della
sanzione  appartiene  alla  discrezionalita'  del  legislatore  ed e'
quindi  sottratta  al sindacato di costituzionalita', ove (come nella
specie)  non  trasmodi in manifesta irragionevolezza (oltre alla gia'
citata  sentenza  n. 36  del  1973,  v.  da ultimo ordinanze n. 110 e
n. 323 del 2002, n. 18 e n. 172 del 2003);
        che,  quanto  all'ulteriore  profilo  di  incostituzionalita'
della   norma,   evocato   dal  rimettente  in  ragione  del  diverso
trattamento  previsto,  per  la  medesima violazione, rispetto ad una
imbarcazione   da   diporto,   e'  agevole  rilevare  la  sostanziale
eterogeneita'   delle   situazioni   poste  a  confronto  e,  dunque,
l'inidoneita'  del  tertium  comparationis  a  fungere  da termine di
riferimento  onde  verificare  la  pretesa  lesione  del principio di
uguaglianza  (v.  da ultimo ordinanze n. 10 del 2002, n. 206 e n. 245
del 2003);
        che,  infatti  -  oltre  ad  essersi  piu' volte espressa sul
carattere  di  sistema  a  se'  stante  delle  norme del codice della
navigazione  e sulla natura speciale delle norme sulla navigazione da
diporto  (sentenze  n. 29  del  1976  e  n. 71 del 2003, ed ordinanza
n. 383 del 1987) - questa Corte ha in particolare affermato che i due
tipi  di  navigazione  non  sono  tra  loro omogenei, essendo affatto
diversi:  a)  lo  scopo  dell'attivita',  nell'un caso diportistico e
nell'altro  lucrativo;  b)  la tipologia della navigazione - che puo'
riflettersi  su  quella  dell'imbarcazione -, non professionale da un
lato,  professionale  dall'altro;  c)  il  titolo  della  conduzione,
nell'un  caso  abilitativo  alla  guida,  nell'altro caso costituente
requisito professionale (ordinanza n. 297 del 1998);
        che,  pertanto,  la  sollevata  questione  e'  manifestamente
infondata.
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  secondo  comma,  delle norme integrative per i giudizi
davanti alla Corte costituzionale.