Ricorso  del  Presidente  del  Consiglio  dei ministri in carica,
rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, presso i
cui  uffici  e'  legalmente  domiciliato  in Roma, via dei Portoghesi
n. 12;

    Contro  Regione  Piemonte, in persona del presidente della giunta
regionale   protempore   avverso  la  legge  regionale  del  Piemonte
8 gennaio  2004  n. 1  pubblicata in BUR 15 gennaio 2004 n. 2 recante
«Norme  per  la  realizzazione  del  sistema  regionale  integrato di
interventi  e  servizi  sociali  e  riordino  della  legislazione  di
riferimento»,  con  specifico  riguardo  all'art. 32, commi 1 e 2, di
tale  legge,  a  seguito e in forza della deliberazione del Consiglio
dei  ministri  del 12 marzo 2004 (all.1), che ha deciso l'impugnativa
della legge regionale di cui sopra.
    Con  il  presente  atto  il Presidente del Consiglio dei ministri
come  sopra  rappresentato  e  difeso, ricorre a codesta ecc.ma Corte
costituzionale  per  chiedere, ai sensi dell'art. 127, comma 1, Cost.
(nuovo   testo)  e  dell'art. 31  legge  11 marzo  1953  n. 87  (come
sostituito dall'art. 9, comma 1, della legge 5 giugno 2003 n. 131, la
declaratoria  di  illegittimita' dell'epigrafata legge regionale, con
specifico riferimento all'art. 32, commi 1 e 2, della legge stessa; e
cio' sulla base delle seguenti motivazioni e considerazioni.
    L'art. 117, terzo comma, della Costituzione, cosi' come novellato
dalla  legge costituzionale n. 3 del 2001, individua le «professioni»
tra  le  materie  oggetto  di  potesta' legislativa concorrente Stato
Regioni.  Nella  predetta  materia  spetta  pertanto  allo  Stato  la
determinazione,  per  via  legislativa,  dei  principi  fondamentali,
mentre  spetta  alle  Regioni  la  determinazione della disciplina di
dettaglio.
    In   tal   senso   il  Consiglio  di  Stato  (parere  n. 1,  reso
nell'Adunanza  generale  dell'11  aprile  2002)  con riferimento allo
schema    di   d.m.   concernente   l'individuazione   della   figura
professionale e relativo profilo professionale dell'odontotecnico, ha
affermato:
    ...  omissis  ...  Nel  nuovo sistema di legislazione concorrente
spetta,  invero,  allo  Stato  solo il potere di determinare i tratti
della  disciplina  che  richiedono, per gli interessi indivisibili da
realizzare, un assetto unitario (i cosiddetti principi fondamentali).
    Va  riconosciuto,  invece, alla legge regionale (legittimata, nel
nuovo  sistema,  ad  avvalersi,  per i tratti della disciplina di sua
spettanza,  anche  di regolamenti regionali di attuazione) il compito
di  dare  vita a discipline diversificate che si innestino nel tronco
dell'assetto unitario espresso a livello di principi fondamentali.
    Alla  luce  delle  nuove  disposizioni  costituzionali rientrano,
pertanto,  nell'ambito  statale i tratti concernenti l'individuazione
delle  varie  professioni,  dei  loro  contenuti (rilevanti anche per
definire  la fattispecie dell'esercizio abusivo della professione), i
titoli    richiesti   per   l'accesso   all'attivita'   professionale
(significativi  anche  sotto  il  profilo  della  tutela  dei livelli
essenziali delle prestazioni sanitarie).
    Coerentemente   con   tale   assunto   la  legge  statale  dovra'
individuare,  quali  principi fondamentali, per ciascuna professione,
quanto meno il contenuto ed il corrispondente titolo professionale.
    Occorre,  altresi',  considerare  che  in virtu' dell'articolo 33
della   Costituzione   la   materia  degli  esami  di  Stato  rientra
nell'ambito  della  potesta'  legislativa  esclusiva  dello Stato; di
conseguenza,  per  le professioni regolamentate, alle quali si accede
con  un  esame  di  Stato, la disciplina dei titoli che danno accesso
alla  professione, nonche' quella dei relativi percorsi formativi, e'
di esclusiva competenza statale.
    Alla  luce  di  quanto  sin  qui  detto le disposizioni contenute
all'articolo  32, commi 1 e 2 della legge regionale del Piemonte n. 1
del 2004 appaiono incostituzionali. In particolare:
        l'articolo  32, comma 1, prevede che «la Regione individua le
figure professionali dei servizi sociali» indicate alle lettere a) b)
c)  d);  l'ambigua  espressione  «individua»  sembra  riservare  alla
Regione  la determinazione dei titoli professionali e dei correlativi
contenuti  della professione, in contrasto con il predetto riparto di
competenze   previsto   dall'articolo   117,   terzo   comma,   della
Costituzione  in  materia  di professioni, come chiarito dalla citata
pronuncia  del Consiglio di Stato. Le professioni di cui all'articolo
32,  comma  1,  lett.  a)  e  b)  -  assistenti  sociali ed educatori
professionali  - sono, peraltro, gia' regolamentate nell'ambito della
disciplina  statale,  rispettivamente con legge 23 marzo 1993 n. 84 e
con  d.m. 8 ottobre 1998, n. 520, emanato in attuazione dell'articolo
6, comma 3 del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502;
        l'articolo  32,  comma  2,  disciplina  i  titoli  di  studio
necessari    per   l'esercizio   della   professione   di   educatore
professionale,  ponendosi  in  contrasto  con la legislazione statale
vigente  in  materia.  Infatti l'articolo 5 della legge n. 251 del 10
agosto  2000  prevede  una  specifica  formazione universitaria ed un
esame   conclusivo   abilitante  per  le  professioni  sanitarie  ivi
previste;  tra tali professioni rientra anche, ai sensi dell'articolo
3,  lett. h), del d.m. 29 marzo 2001 l'educatore professionale. Con i
decreti  ministeriali  2  aprile 2001, poi, sono stati disciplinati i
percorsi  formativi  previsti  dalla legge 251/2000; in particolare i
predetti   decreti   determinano   le   classi  di  laurea  e  laurea
specialistica   i  cui  corsi  si  concludono  con  un  esame  finale
abilitante.  Tale esame conclusivo dei percorsi formativi rappresenta
a  tutti  gli  effetti  un  esame  di  Stato, di esclusiva competenza
statale.  La  norma in questione pertanto, nel prevedere quali titoli
idonei  per  l'accesso alla professione titoli diversi da quelli gia'
disciplinati  nei  decreti  ministeriali  2  aprile  2001 - titoli di
formazione  regionale  e titoli universitari senza alcun esame finale
abilitante   -   si   pone  in  contrasto  con  l'articolo  33  della
Costituzione.
    Va  inoltre  considerato  che  -  anche  qualora si ammettesse la
possibilita',   per   le   Regioni,   di   individuare  nuove  figure
professionali  dei  servizi  sociali, cio' che va comunque contestato
per  contrasto con le norme costituzionali in materia di competenza -
non  potrebbe comunque essere consentito alle Regioni di disciplinare
ex  novo  figure gia' esistenti, per le quali le disposizioni vigenti
hanno previsto la formazione universitaria e l'abilitazione a seguito
di   esame   di  Stato,  in  termini  tali  da  svalutare  la  figura
professionale e il relativo titolo, in quanto per essi venga previsto
un percorso formativo di livello inferiore, e venga soppresso l'esame
di  Stato.  Con  cio' si determinerebbe una disparita' ingiustificata
tra  i  possessori  del medesimo titolo professionale: coloro infatti
che  avessero  legittimamente  conseguito tale titolo previo percorso
formativo  superiore  ed  esame  di Stato si troverebbero a subire la
concorrenza di soggetti in possesso del medesimo titolo con contenuto
formativo di livello inferiore.
    Tale  situazione determinerebbe inoltre un potenziale inganno nei
confronti   dell'utenza,   indotta   a   ritenere   come  di  livello
universitario  un  professionista  munito  invece del solo diploma di
scuola  superiore, con conseguente violazione del principio di tutela
dell'utenza,  che  rappresenta  il principio fondamentale posto dalle
leggi  statali  in  materia di attivita' professionali, e quindi, con
conseguente violazione dell'articolo 117, terzo comma, ultimo periodo
della  Costituzione  che,  nelle materie di legislazione concorrente,
attribuisce  alle  Regioni  la potesta' legislativa, salvo che per la
determinazione    dei    principi    fondamentali,   riservata   alla
determinazione dello Stato.
    Quanto sin qui detto appare coerente con quanto gia' affermato da
codesta  ecc.ma Corte sul riparto di competenze operato dall'articolo
117  terzo comma della Costituzione in materia di professioni; con la
sentenza   n. 353   del   2003   la   Corte   ha  infatti  dichiarato
costituzionalmente  illegittima  la  legge  della Regione Piemonte 24
ottobre  2003, n. 25, che istituiva e disciplinava nuove professioni,
aventi ad oggetto pratiche terapeutiche non convenzionali.