IL TRIBUNALE DI SORVEGLIANZA

    Riunito  in  camera  di consiglio per deliberare sulla domanda ex
art. 69  l.p.  avanzata  da Barreca Santo nato a Reggio Calabria il 4
febbraio  1959  letti  gli atti relativi a Barreca Santo, attualmente
detenuto  nella casa circondariale di Palmi, in espiazione della pena
dell'ergastolo  inflitta  con  sentenza 26 giugno 2000 dalla Corte di
appello  di Reggio Calabria nonche' appellante avverso la sentenza 26
aprile 2000 della Corte di assise di Reggio Calabria con la quale era
condannato all'ergastolo;
    Rilevato   che   in  data  9  settembre  2003  il  magistrato  di
sorveglianza  di  S.M.C.V.,  a  seguito di nota sulla richiesta della
Casa  di  reclusione  di  Carinola del 2 settembre 2003, disponeva la
sottoposizione  della  corrispondenza  epistolare  e  telegrafica  in
arrivo  e  in partenza del detenuto Barreca a visto di censura per un
periodo di mesi sei;
    Rilevato  che  in  data  13 settembre 2003, il detenuto proponeva
reclamo  avverso  il  suddetto  provvedimento  e  tale reclamo veniva
registrato   in   tribunale  ai  sensi  dell'art. 69  l.p.  anche  se
impropriamente;

                            O s s e r v a

    La  Corte  di cassazione con giurisprudenza costante ha affermato
che  «il  provvedimento con il quale il magistrato di sorveglianza ai
sensi  dell'art. 18,  comma 7, dell'ordinamento penitenziario dispone
la  sottoposizione  a  visto  di controllo della corrispondenza di un
condannato  o internato non e' annoverabile tra quelli sulla liberta'
personale  e,  pertanto,  non  e' ricorribile per cassazione ai sensi
dell'art. 111, comma 2, della Costituzione; inoltre non prevedendo la
legge alcuno specifico mezzo di impugnazione, deve essere considerato
inoppugnabile  in  ossequio  al  principio  di tassativita' enunciato
nell'art. 568,  comma 1, c.p.p. (tra le altre Cass. sez. I 9 febbraio
1989, 30 novembre 1989, 5 dicembre 1991, 27 febbraio 1993, 8 febbraio
1994,  14  luglio  1994,  20  dicembre  1994).  Alla  stregua di tale
giurisprudenza,  nell'assenza  della  previsione nell'art. 18 l.p. di
una forma di controllo sul provvedimento del magistrato che sottopone
la  corrispondenza  del  detenuto  a  visto di controllo, il collegio
dovrebbe dichiarare il reclamo proposto dal Barreca inammisibile.
    E'  di  tutta  evidenza che la decisione riguarda una fattispecie
incidente su un bene oggetto di tutela costituzionale; occorre allora
verificare,  se  la  legge  ordinaria  sia  rispettosa  del  precetto
costituzionale.
    L'art. 15  della Costituzione recita: la liberta' e la segretezza
della  corrispondenza  e  di  ogni  altra forma di comunicazione sono
inviolabili.  La  loro  limitazione  puo'  avvenire soltanto per atto
motivato  dell'autorita'  giudiziaria con le garanzie stabilite dalla
legge.
    L'art. 18,  comma  7,  della  legge  n. 354/1975  stabilisce: «la
corrispondenza   dei  singoli  condannati  o  internati  puo'  essere
sottoposta,  con provvedimento del magistrato di sorveglianza a visto
di  controllo  del direttore o di un appartenente all'amministrazione
penitenziaria designata dallo stesso direttore.
    L'art. 15  della  Costituzione,  quindi, subordina la limitazione
della  liberta'  e  segretezza della corrispondenza a tre condizioni:
l'autorita'  che  puo'  limitare  il  diritto  costituzionale e' solo
l'autorita'  giudiziaria;  il  provvedimento  limitativo  deve essere
motivato;  le  limitazioni possono avvenire con le garanzie stabilite
dalla legge.
    Ictu  oculi  l'art. 18 l.p. soddisfa solo le prime due condizioni
perche'  prescrive  che  la  corrispondenza  puo' essere sottoposta a
visto  di  controllo  con  provvedimento  motivato  del magistrato di
sorveglianza.  L'art. 18 non prevede ulteriori forme di garanzia: non
e'  infatti  specificato  in  presenza  di quali presupposti possa il
magistrato  limitare  il  bene  costituzionalmente  protetto;  non e'
prevista  alcuna forma di controllo da parte del condannato ne' prima
dell'adozione  del  provvedimento ne' nella fase successiva. Sotto il
primo  profilo, puo' evidenziarsi la diversa disciplina dell'art. 266
c.p.p.  che  prevede  la possibilita' di intercettare conversazioni o
comunicazioni  solo quando si procede per specifici reati e allorche'
l'intercettazione sia indispensabile ai fini della prosecuzione della
indagini.  Sotto  l'altro  profilo, si richiamano gli artt. 254 e 257
c.p.p.  che  disciplinano il sequestro di corrispondenza negli uffici
postali  o  telegrafici  cui e' statuito che il sequestro e' disposto
dall'autorita'  giudiziaria  quando vi sia fondato motivo di ritenere
che  tale  corrispondenza  possa  avere  relazioni  con il reato e il
provvedimento  e'  adottato  con  decreto motivato contro il quale la
parte puo' proporre richiesta di riesame.
    La   mancata   previsione  nell'art. 18  l.p.  di  presupposti  o
condizioni  in  presenza  delle  quali  il  magistrato  puo' emettere
provvedimenti  limitativi  di  un  bene  di  rilevanza costituzionale
appare  certamente non conforme al precetto costituzionale. L'obbligo
della  motivazione si rileva una vuota e mera formalita': non essendo
indicati  i parametri di legge a cui il magistrato deve attenersi, la
motivazione  serve  ad  esplicitare il perche' e' stato esercitato il
potere  discrezionale  attribuito  dalla norma, ma non puo' servire a
verificare  che  il  potere  sia  stato esercitato nel rispetto della
norma.  La  motivazione  puo'  divenire allora una mera esercitazione
retorica   anche   perche'   non  essendo  previsto  alcun  mezzo  di
impugnazione  non  c'e'  alcuna  concreta  possibilita' di denunciare
un'illogica o apparente motivazione.
    La  mancata  previsione  del diritto del detenuto a far valere le
proprie  ragioni  si  pone  in contrasto altresi' con l'art. 24 della
Costituzione  che al primo e secondo comma sancisce che tutti possono
agire  in  giudizio  per  la  tutela  dei  propri diritti e interessi
legittimi  e  la  difesa e' diritto inviolabile in ogni stato e grado
del procedimento.
    L'assenza   di   vocatio   in   ius,   l'omessa   previsione   di
un'impugnazione,  la  non  ricorribilita'  in  Cassazione del decreto
applicativo  della  censura rappresentano una palese violazione della
norma  costituzionale;  non  appaiono  compatibili con lo spirito del
codice  di  procedura  penale  che  all'art. 666 c.p.p. disciplina il
procedimento giurisdizionale unitario nelle materie di competenza del
tribunale  o del magistrato di sorveglianza in cui emerge la volonta'
di   giurisdizionalizzare  tutta  la  fase  esecutiva;  ne'  appaiono
compatibili    con    altri   procedimenti   previsti   dalla   legge
penitenziaria,  si  pensi  in  particolare  all'art. 30-bis,  14-ter,
53-bis  e  69  l.p.  che  assicurano  la  giurisdizionalizzazione del
reclamo   in  materie  non  sempre  incidenti  su  beni  o  interessi
costituzionalmente protetti.
    E'  d'altra parte nota la crescente tendenza della giurisprudenza
costituzionale  e  di  legittimita'  a  configurare l'attivita' della
magistratura   di  sorveglianza  come  rientrante  nella  nozione  di
giurisdizione  vera  e  propria,  sottraendola dall'ambito della c.d.
amministrazione in cui e' stata a lungo relegata.
    Valuti  infine  il  giudice delle leggi se e' conforme all'art. 3
della  Costituzione un sistema che prevede la giurisdizionalizzazione
del  reclamo  in  materie non sempre incidenti su beni o interessi di
rilevanza   costituzionali   (ad   esempio   l'esercizio  del  potere
disciplinare)  e  non prevede alcuna forma di controllo nell'ipotesi,
ben  piu'  importante e di maggiore spessore, in cui il magistrato di
sorveglianza   intervenga  su  questioni  che  incidono  su  beni  di
rilevanza costituzionale.
    Per  tutte  le considerazioni fin qui svolte, il collegio ritiene
rilevante   e   non   manifestamente   infondata   la   questione  di
costituzionalita' dell'art. 18 della legge n. 354/1975 per violazione
degli  artt. 3,  15  e  24  della Costituzione nella parte in cui non
prevede   limiti   all'esercizio   del   potere   del  magistrato  di
sorveglianza  di sottoporre la corrispondenza dei detenuti a visto di
controllo e non prevede la possibilita' per il detenuto di esercitare
il  diritto  di difesa in relazione ad un provvedimento che limita un
suo diritto garantito dalla Costituzione