IL GIUDICE DI PACE Ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa civile di primo grado, iscritta al n. 912/03 r.g. aff. generali promossa da Bellomo Domenico, nato ad Agrigento il 4 agosto 1959 e domiciliato in Agrigento, via Mazzini n. 5, presso lo studio dell'avv. Pietro Maragliano, che lo rappresenta e difende per procura a margine del ricorso in opposizione, contro il comune di Joppolo Giancaxio, in persona del sindaco pro tempore, domiciliato per la carica presso la casa comunale, avente per oggetto: ricorso in opposizione avverso verbale di contestazione. F a t t o Con ricorso proposto ai sensi dell'art. 22 della legge n. 689/1981, il sig. Domenico Bellomo impugnava il verbale n. 619, elevato in data 23 luglio 2003 dalla Polizia municipale del comune di Joppolo Giancaxio, per la violazione dell'art. 142, comma 8, del codice della strada. L'opponente chiedeva l'annullamento del verbale impugnato per la omessa contestazione immediata ed altresi' per la violazione dell'art. 4 della legge n. 168/2002. Il ricorso veniva depositato presso la cancelleria di questo ufficio in data 17 ottobre 2003, senza che l'opponente ottemperasse all'obbligo di versare la somma pari alla meta' del massimo edittale della sanzione inflitta, obbligo previsto, a pena d'inammissibilita' del ricorso, dal comma terzo dell'art. 204-bis, d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285, inserito dalla legge del 1° agosto 2003, n. 214, di conversione del decreto-legge 27 giugno 2003, n. 151. Questo giudice, al fine di instaurare il contraddittorio, fissava con decreto l'udienza di comparizione delle parti. All'udienza del 19 gennaio 2004, nonostante la regolarita' della notifica del ricorso e del decreto di comparizione delle parti, il comune opposto non si costituiva, pur facendo pervenire la documentazione richiesta; il giudice, pertanto, ne dichiarava la contumacia. Compariva, invece, l'opponente, il quale preliminarmente chiedeva che il giudice sollevasse la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 204-bis del d.lgs. n. 285/1992, ritenendola rilevante e non manifestamente infondata e di conseguenza concludeva in via preliminare per la remissione della questione davanti alla Corte costituzionale. Il giudice di pace si riservava e a scioglimento della riserva emetteva la seguente ordinanza. L'art. 204-bis del codice della strada stabilisce, al terzo comma, che «all'atto del deposito del ricorso, il ricorrente deve versare presso la cancelleria del giudice di pace, a pena di inammissibilita' del ricorso, una somma pari alla meta' del massimo edittale della sanzione inflitta dall'organo accertatore. Detta somma, in caso di accoglimento del ricorso, e' restituita al ricorrente». Nel caso di specie il ricorrente non ha provveduto al deposito cauzionale, previsto a pena di inammissibilita' dall'art. 204-bis del codice della strada. Nella fattispecie, l'infrazione oggetto del ricorso e' stata accertata in data 12 maggio 2003 ed il verbale del 23 luglio 2003, notificato in data 4 agosto 2003, cioe' prima dell'entrata in vigore della legge del 1° agosto 2003, n. 214, che ha introdotto l'obbligo del versamento della «cauzione». Tale legge non ha previsto alcuna norma transitoria che disciplini in modo diverso (escludendo il deposito cauzionale quale condizione di inammissibilita) i ricorsi introdotti successivamente all'entrata in vigore di tale legge, ma relativi ad infrazioni contestate in un periodo antecedente all'entrata in vigore. Da cio' consegue che l'art. 204-bis del codice della strada trova applicazione per tutti i ricorsi che vengano depositati a far data dall'entrata in vigore della legge 1° agosto 2003, n. 214, anche se concernenti violazioni contestate in precedenza. L'applicazione di tale principio al caso di specie dovrebbe portare questo giudice, preso atto del mancato versamento della somma prevista dall'art. 204-bis del codice della strada, a dichiarare l'inammissibilita' del ricorso proposto. Sussistono, tuttavia, giustificati motivi per ritenere che l'art. 204-bis, comma terzo, del codice della strada, introdotto con legge 1° agosto 2003, n. 214, che ha convertito con modificazioni il decreto-legge 27 giugno 2003, n. 151, sia viziato da illegittimita' costituzionale sotto i profili che verranno appresso specificati. Va, pertanto, sollevata la questione di legittimita' costituzionale della norma in esame, apparendo essa non manifestamente infondata e rilevante ai fini del decidere. Sulla rilevanza della questione Il collegamento giuridico e non di mero fatto tra la res giudicanda e la norma ritenuta incostituzionale appare del tutto evidente. Infatti, ove si ritenesse l'art. 204-bis della legge 1° agosto 2003, n. 214, conforme ai principi della Costituzione, il ricorso andrebbe dichiarato inammissibile; ove, invece, si ritenesse il predetto disposto in contrasto con la Costituzione, la suddetta opposizione dovrebbe essere esaminata nel merito. Sulla non manifesta infondatezza Violazione degli artt. 2, 3, 24 e 113 della Costituzione. Per ritenere l'art. 204-bis del d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285, introdotto dalla legge 1° agosto 2003, n. 214, che ha convertito in legge, con modificazioni, il d.l. 27 giugno 2003, n. 151, conforme a Costituzione, occorrerebbe affermare che la diversa posizione che il legislatore ha riservato a cittadino e pubblica amministrazione, oltre che a cittadino abbiente e cittadino non abbiente, non violi alcun precetto costituzionale. Tale assunto non viene condiviso da questo giudice, in quanto la normativa in questione lede il diritto fondamentale dell'individuo espressamente tutelato dall'art. 3 della Costituzione della Repubblica italiana, ponendo i soggetti abbienti e non abbienti su un piano di disuguaglianza fra loro, permettendo esclusivamente al soggetto che sia in possesso di una somma di danaro addirittura doppia rispetto a quella che gli consentirebbe di definire la pendenza mediante pagamento in misura ridotta, di poter tutelare i propri diritti proponendo ricorso al giudice di pace. Infatti, come puo' facilmente rilevarsi, considerato il sistema sanzionatorio previsto dal codice della strada nel suo complesso, a fianco di fattispecie di illecito per le quali viene prevista una sanzione pecuniaria relativamente contenuta nell'importo, vi e' tutta una serie di fattispecie di illecito per le quali sono previste sanzioni pecuniarie di rilevante entita'. Non e' sostenibile, peraltro, la tesi che al soggetto non abbiente sarebbe comunque possibile presentare ricorso al Prefetto, in quanto tale procedura non prevede il versamento di alcuna cauzione. Infatti, in questo modo, il ricorso al giudice di pace si trasformerebbe in un mezzo di tutela riservato esclusivamente ai soggetti facoltosi; inoltre la scelta della sede ove tutelare i propri diritti distinguerebbe o meglio discriminerebbe i cittadini sul piano economico e sociale, limitando di fatto la liberta' e l'uguaglianza degli stessi. Si aggiunga che tale esborso non potrebbe essere evitato neppure attraverso il pagamento immediato della sanzione in misura ridotta, nei casi in cui e' consentito (secondo il vecchio principio del solve et repete), in quanto in caso di pagamento immediato della sanzione in misura ridotta non puo' essere presentata opposizione, ne' in sede giurisdizionale, ne' in sede amministrativa. E' del tutto evidente, alla luce di quanto sopra, come il disposto che questo giudice ritiene incostituzionale si presti a tale censura in quanto l'art. 3 della Costituzione prevede che compito della Repubblica e' rimuovere, non gia' creare, ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la liberta' e l'uguaglianza dei cittadini, impediscano il pieno sviluppo della persona umana. Peraltro, il disposto della cui costituzionalita' si dubita, lede altresi' l'art. 2 Cost. che riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, tra cui il diritto di difesa. L'art. 24 della Costituzione, infatti, prevede espressamente che tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi e che la difesa e' un diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento. Anche l'art. 113 della Costituzione statuisce che «contro gli atti della pubblica amministrazione e' sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi dinanzi agli organi di giurisdizione ordinaria o amministrativa» ribadendo cosi' l'uguaglianza di diritto e di fatto di tutti i cittadini per quanto concerne la possibilita' di richiedere e di ottenere la tutela giurisdizionale sia nei confronti di altri privati sia in quelli dello Stato e di enti pubblici minori. Non bisogna dimenticare innanzitutto che la legge n. 689/1981 consente al ricorrente di stare in giudizio personalmente, senza l'assistenza di un difensore e cio' anche al fine di garantire una giustizia meno onerosa. Invece, l'imposizione del versamento della cauzione previsto per la tutela dei diritti del ricorrente nella sola sede giurisdizionale oltre a rappresentare un ingiustificato quanto ingiusto vantaggio per l'Autorita' opposta che, a differenza dell'opponente in caso di vittoria ha immediatamente a propria disposizione quanto eventualmente dovuto, non assicura la possibilita' di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi a coloro i quali non dispongono di una sufficiente agiatezza economica, in tal modo ledendo gravemente il diritto di difesa. L'art. 204-bis induce il ricorrente, di fatto, a desistere dal tutelare i propri diritti in sede giurisdizionale; scoraggia l'unico mezzo di tutela che quest'ultimo ha a propria disposizione costringendo o comunque inducendo i meno facoltosi a presentare il ricorso per la tutela dei propri diritti al Prefetto, sede in cui, in caso di accoglimento, dell'opposizione, il ricorrente non viene affatto rifuso non solo delle eventuali spese sostenute per l'assistenza di un professionista, ma neppure delle spese vive sostenute. Ma vi e' di piu. Il ricorso amministrativo e' caratterizzato da un automatismo previsto dalla legge, per il quale, in caso di rigetto del ricorso, la sanzione viene automaticamente comminata nel doppio del minimo edittale, mentre davanti al giudice vige il principio del libero convincimento anche per quanto concerne la quantificazione della sanzione, con cio' offrendo una maggior tutela al cittadino. A mitigare tale limitazione del diritto di agire non e' sufficiente neppure la previsione della possibilita' di ricorrere in sede giurisdizionale avverso l'ordinanza-ingiunzione del Prefetto, in questo caso senza necessita' del deposito della cauzione. Il cittadino si troverebbe, infatti, costretto a promuovere due ricorsi, un primo ricorso amministrativo ed un successivo ricorso giurisdizionale, trovandosi cosi' in una situazione alquanto gravosa, in modo particolare per il meno abbiente, anche in considerazione del fatto, che al di la' della possibilita' di stare in giudizio personalmente, le questioni giuridiche che spesso sorgono nell'ambito di tali procedimenti, sono di una complessita' tale, da rendere quasi inevitabile per il cittadino che non abbia conoscenze giuridiche specifiche, rivolgersi all'opera di un professionista. Peraltro, anche sotto il profilo della ragionevolezza, va rilevata un'ipotesi di incostituzionalita' dell'art. 204-bis codice della strada in relazione agli artt. 3 e 24 Cost. per quanto concerne la violazione del principio di uguaglianza. La Corte costituzionale ha da tempo riconosciuto la propria competenza a sindacare la «ragionevolezza» di disposizioni normative che ledono il principio di uguaglianza, anche quando la legge, senza un ragionevole motivo, faccia un trattamento diverso ai cittadini che si trovano in situazione uguale (Corte cost. 29 dicembre 1972, n. 200), posto che un trattamento differenziato puo' trovare legittima applicazione solo ove vi siano «ragionevoli» motivi che giustifichino tale trattamento differenziato. Nel caso di specie, l'art. 204-bis del codice della strada non ha introdotto una innovazione circa la possibilita' di proporre ricorso immediato davanti al giudice di pace nei confronti del verbale di contestazione di violazione alle norme del codice della strada, rispetto al precedente quadro normativo. Infatti, se e' vero che con l'art. 204-bis viene espressamente previsto dal legislatore il ricorso diretto in via giurisdizionale, deve essere rilevato come la possibilita' di proporre ricorso davanti all'autorita' giudiziaria avverso il verbale di contestazione di violazione alle norme del codice della strada fosse gia' presente nell'ordinamento proprio in virtu' dell'intervento della Corte costituzionale, la quale (v. sent. 23 giugno 1994, n. 255 e 15 luglio 1994, n. 311, ord. 12 luglio 1995, n. 315; sent. 21 settembre 1995, n. 437) aveva ritenuto che il mancato esperimento del ricorso al Prefetto non precludeva la tutela giudiziaria ne' determinava alcuna decadenza, affermando, cosi', l'impugnabilita' in sede giurisdizionale, del verbale di accertamento. La Cassazione, sulla base di tale interpretazione, aveva ribadito che la tutela giurisdizionale doveva essere riconosciuta indipendentemente dal previo esperimento del ricorso amministrativo e che, dovendo essere assicurata all'interessato la medesima tutela della quale egli avrebbe potuto avvalersi se avesse proposto tempestivo ricorso al Prefetto, il procedimento di opposizione dinanzi all'autorita' giudiziaria, ai sensi dell'art. 205 c.d.s., si sarebbe potuto applicare anche nei casi in cui il titolo della pretesa creditoria dell'amministrazione fosse rappresentato dal verbale di accertamento. L'art. 204-bis, anziche' garantire la medesima tutela sia in sede giurisdizionale che in sede amministrativa, ha soltanto sancito espressamente a livello legislativo un «diritto di azione» gia' presente nell'ordinamento, introducendo, pero', attraverso il deposito di una cauzione quale condizione di ammissibilita' del ricorso giurisdizionale, un'ingiustificata ed irragionevole disparita' di trattamento rispetto alla situazione precedente, in quanto la prevista cauzione finisce per costituire una diminuzione, una compressione di un diritto di azione gia' esistente nell'ordinamento. Tale compressione non risulta in alcun modo giustificata. Infatti, qualora l'introduzione della cauzione fosse stata dettata da un'esigenza di decongestionare gli uffici giudiziari, la conseguenza sarebbe, pero', quella di ostacolare la proposizione dei ricorsi immediati. Tale ratio verrebbe a confliggere in modo evidente con il principio di cui all'art. 24 della Costituzione. Qualora, invece, lo scopo fosse quello di garantire la riscossione da parte dell'autorita' che ha emanato la sanzione amministrativa, il deposito di tale somma, sia pure a titolo cauzionale presso la cancelleria del giudice, finirebbe di fatto con il riproporre, sotto una forma mascherata, il vecchio principio del solve et repete, gia' ripetutamente dichiarato incostituzionale. Infatti, la stessa Corte costituzionale, con la sentenza n. 8/1993, ha ritenuto che il mancato od omesso versamento di un'imposta di bollo non puo' essere ostativo alla produzione in giudizio di documenti o di difese scritte; a cio' si aggiunga che l'art. 16 del d.P.R. n. 115/2002 ha eliminato l'irricevibilita' degli atti giudiziari in caso di omesso o insufficiente pagamento del contributo unificato anche per somme ingenti; che sempre la Corte costituzionale, con sentenza del 29 novembre 1960, n. 67, ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l'art. 98 c.p.c. che prevedeva il potere del giudice di imporre una cauzione alla parte, con conseguente estinzione del giudizio in caso di mancato versamento;