IL TRIBUNALE

    Esaminati  gli  atti  del  procedimento nei confronti di Ben Fraj
Mohamed  Ben  Moussa,  nato  a  Sabria  (Tunisia) il 1° ottobre 1976,
arrestato  da  personale  del  Comando Stazione CC di Concordia il 27
aprile  2003  ad  ore  00,05,  per il reato di cui all'art. 14, comma
5-ter, d.lgs. n. 286/1998, modificato dalla legge n. 189/2002;
    Sentite  le  conclusioni del p.m. e della difesa dell'imputato in
ordine alla convalida dell'arresto.

                            O s s e r v a

    Il  regime  introdotto  dal  d.lgs.  n. 286/1998 modificato dalla
legge  n. 189/2002  prevede  l'espulsione  dello  straniero  che  sia
entrato  nel  territorio  dello  Stato  sottraendosi  ai controlli di
frontiera (art. 13, comma 2, lett. a).
    L'espulsione  e'  disposta  dal prefetto (art. 13, comma 2) ed e'
sempre  eseguita  dal  questore  con accompagnamento alla frontiera a
mezzo della forza pubblica (art. 13, comma 4).
    Fanno eccezione i casi di cui al comma 5 concernenti lo straniero
il  cui  permesso  di  soggiorno  sia scaduto di validita' da piu' di
sessanta giorni senza che ne sia stato chiesto il rinnovo.
    La  regola fissata dal comma 4, dell'art. 13 puo' essere derogata
«quando  non  e'  possibile  eseguire  con  immediatezza l'espulsione
mediante accompagnamento alla frontiera ... perche' occorre procedere
al  soccorso dello straniero, ad accertamenti supplementari in ordine
alla   sua  identita'  o  nazionalita',  ovvero  all'acquisizione  di
documenti per il viaggio, ovvero per l'indisponibilita' del vettore o
altro mezzo di trasporto idoneo» (art. 14, comma 1).
    In  tal caso, il questore dispone che lo straniero sia trattenuto
per  il  tempo strettamente necessario presso il centro di permanenza
temporanea e assistenza piu' vicino ...» (art. 14, comma 1).
    E'  contemplato un rimedio estremo per l'eventualita' che non sia
possibile  eseguire  l'espulsione  immediata con accompagnamento alla
frontiera  e  non  si  riesca  neanche  a  trattenere, o a trattenere
ulteriormente,   lo   straniero   presso   un  centro  di  permanenza
temporanea.
    Qualora  questa  duplice impossibilita' si verifichi, il questore
ordina  allo straniero di lasciare il territorio dello Stato entro il
termine di cinque giorni (art. 14, comma 5-bis).
    L'apparato  sanzionatorio  predisposto  dal testo normativo tiene
conto delle differenti modalita' esecutive dell'espulsione.
    La  disobbedienza,  quando si realizzi la prima volta, integra un
illecito contravvenzionale.
    Le  condotte  incriminate  sono  il  rientro nel territorio dello
Stato  dopo  l'accompagnamento  alla  frontiera  e  senza la speciale
autorizzazione  del  Ministro dell'interno (art. 13, comma 13) oppure
il  trattenimento  in  Italia senza giustificato motivo in violazione
dell'ordine impartito dal questore ai sensi dell'art. 14, comma 5-bis
(art. 14, comma 5-ter).
    Per entrambe le contravvenzioni e' comminata la pena dell'arresto
da  sei  mesi  ad  un  anno  ed  e' prevista una nuova espulsione con
accompagnamento immediato alla frontiera.
    La  reiterazione  della  condotta  disobbediente  da  parte dello
straniero  realizza  una  fattispecie  piu'  grave,  qualificata come
delitto.
    Lo  straniero,  gia'  denunciato per il reato di cui all'art. 13,
comma  13  ed  espulso,  che  abbia  fatto  reingresso sul territorio
nazionale e' punito con la reclusione da uno a quattro anni (art. 13,
comma 13-bis).
    Analogamente,  lo  straniero espulso ai sensi dell'art. 14, comma
5-ter,  che viene trovato nel territorio dello Stato e' punito con la
reclusione da uno a quattro anni.
    Quanto  agli aspetti processuali, gli articoli 13 e 14 prevedono,
per  i  reati  in  ciascuna disposizione contemplati, rispettivamente
l'arresto  facoltativo  in flagranza e l'arresto obbligatorio (per il
delitto  di  cui  all'art. 13,  comma 13-bis e' inoltre consentito il
fermo).
    In entrambi i casi e' imposta l'adozione del rito direttissimo.
    Che  la  disciplina processuale appena descritta sia in contrasto
con l'art. 3 della Costituzione e' di tutta evidenza.
    I  reati  contravvenzionali  descritti  dagli  articoli 13  e  14
rivestono quanto meno pari gravita'.
    Essi sono sanzionati con la medesima pena edittale.
    Identica   e'   la   previsione   delle   conseguenze  sul  piano
amministrativo,   cioe'  una  nuova  espulsione  con  accampagnamento
immediato alla frontiera.
    In  entrambi i casi, la reiterazione della condotta illecita dopo
la  denuncia  per l'ipotesi contravvenzionale comporta l'integrazione
di un delitto.
    Inoltre,  la  fattispecie  descritta  dall'art. 14,  comma  5-ter
appare   ontologicamente   meno  grave  rispetto  a  quella  inserita
nell'art. 13, comma 13.
    Lo   straniero  che  rientra  nel  territorio  dello  Stato  dopo
l'accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica pone in
essere una condotta attiva.
    Piu'  esattamente,  trasgredisce ad un ordine non solo legalmente
impartito  dalla  pubblica autorita' italiana ma addirittura eseguito
in  modo  coattivo, con impiego da parte dello Stato di risorse umane
ed economiche.
    Una  simile  condotta  e'  certamente  poco  compatibile  con  un
atteggiamento colposo.
    La   contravvenzione  di  cui  al  comma  5-ter  dell'art. 14  si
realizza, invece, con una condotta meramente omissiva.
    La  trasgressione  posta  in  essere  dallo straniero non ha alle
spalle  un accompagnamento coatto alla frontiera ma un ordine scritto
del  questore di lasciare il territorio dello Stato nel breve termine
di cinque giorni.
    La disobbedienza e' sicuramente compatibile in questo caso con un
atteggiamento colposo, negligente.
    La   mancata  esecuzione  dell'ordine  non  vanifica  uno  sforzo
compiuto  dallo  Stato  per  attuare  in  maniera  forzata  i  propri
provvedimenti.  Che  la  condotta  omissiva,  vale  a dire la mancata
esecuzione  spontanea  di  un  ordine,  sia  in generale valutata dal
legislatore  con minor rigore si ricava, ad esempio, dalla previsione
dell'art. 13,  comma 5.  Per  lo  straniero che si sia trattenuto nel
territorio  dello Stato nonostante che il permesso di soggiorno fosse
scaduto di validita' e senza aver chiesto il rinnovo, l'espulsione e'
eseguita,  in  deroga  all'art. 13,  comma  4, mediante intimazione a
lasciare  il  territorio  dello  Stato  entro  il termine di quindici
giorni.  Lo  straniero che non esegua spontaneamente l'intimazione in
oggetto non e' penalmente perseguibile.
    Nel  d.lgs.  n. 286/1998,  prima delle modifiche introdotte dalla
legge  n. 189/2002,  era incriminata solo la condotta dello straniero
espulso   che   fosse   rientrato   in   Italia   senza  la  speciale
autorizzazione del Ministero dell'interno (art. 13, comma 13).
    Se  e' vero che la contravvenzione introdotta dall'art. 14, comma
5-ter  riveste  gravita'  pari  o  minore rispetto a quella descritta
dall'art. 13,  comma  13, non vi e' alcuna ragione che giustifichi la
previsione  di  un  arresto obbligatoria nel primo caso e facoltativo
nel secondo.
    La  ingiustificata  disparita'  di trattamento emerge poi in modo
eclatante  ove  si  raffronti la disciplina in tema di arresto tra la
contravvenzione  di cui all'art. 14, comma 5-ter ed il delitto di cui
all'art. 13, comma 13-bis.
    La  previsione dell'arresto obbligatorio per la contravvenzione e
dell'arresto  facoltativo  per  il  delitto  e'  del  tutto  priva di
ragionevolezza.
    L'obbligo  di arrestare l'autore di un reato contravvenzionale e'
istituto  sconosciuto  al  nostro  attuale  ordinamento giuridico. La
misura  precautelare dell'arresto obbligatorio e' riservata, ai sensi
dell'art. 380 c.p.p., agli autori di delitti e non di tutti i delitti
ma   di   quelli   particolarmente  gravi,  sanzionati  con  la  pena
dell'ergastolo  o  della reclusione non inferiore nel minimo a cinque
anni  e nel massimo a venti anni, oppure rientranti nelle fattispecie
specificamente elencate nel secondo comma della stessa disposizione.
    Un  solo  caso  di  arresto obbligatorio in flagranza e' previsto
dalle  leggi  speciali,  ed esattamente dall'art. 12, comma 4, d.lgs.
n. 286/1998  (non modificato dalla legge n. 189/2002), in riferimento
comunque  a  delitti,  quelli  di  cui  ai commi 1 e 3 della medesima
disposizione.
    Quanto  ai  reati  contravvenzionali,  l'arresto  in flagranza e'
possibile secondo l'attuale ordinamento in una sola ipotesi, l'art. 6
d.l.  n. 122/1993,  convertito  in legge n. 205/1993, ma si tratta di
arresto facoltativo e non obbligatorio.
    La previsione dell'arresto obbligatorio per la contravvenzione di
cui  all'art. 14,  comma  5-ter  d.lgs. n. 286/1998, modificato dalla
legge  n. 189/2002, contrasta in maniera eclatante con l'art. 3 della
Costituzione  in  quanto  concreta  una  ingiustificata disparita' di
trattamento  rispetto  all'art. 13,  comma 13 che, per fattispecie di
maggiore gravita' consente ma non impone l'arresto in flagranza.
    Vi  e'  un ulteriore profilo di illegittimita' costituzionale che
emerge   dalla   lettura   dell'art. 14,   comma  5-quinquies  d.lgs.
n. 286/1998, modificato dalla legge n. 189/2002.
    Esso   attiene  alla  introduzione  di  una  identica  disciplina
processuale (arresto obbligatorio e obbliga di giudizio direttissimo)
per  due  ipotesi di reato (quelle dei commi 5-ter e 5-quater) che lo
stesso  legislatore  ha sensibilmente differenziato quanto a gravita'
del fatto e della sanzione.
    E'  pacifica, e costantemente ribadito dalla giurisprudenza, che,
ferma  la  necessita'  di  ancorare  le scelte criminalizzatrici alla
tutela  di  beni  costituzionalmente  rilevanti, le valutazioni sulla
qualita' e quantita' della sanzione, in quanto di natura ideologica e
politica,   rientrano   nell'ambito   del  potere  discrezionale  del
legislatore.
    Nella   sfera  della  discrezionalita'  legislativa  devono  pure
ricondursi  le  scelte sui presupposti di applicabilita' delle misure
precautelari  e  cautelari,  nei  limiti  imposti  dall'art. 13 della
Costituzione (cfr. sentenze Corte cost. n. 126/1972; n. 305/1996).
    E'    altrettanto    pacifico,    tuttavia,   che   l'uso   della
discrezionalita' legislativa possa essere censurato, sotto il profilo
della  legittimita'  costituzionale,  nei  casi  in cui non sia stato
rispettato  il limite della ragionevolezza (cfr. sentenze Corte cost.
nn. 26/1979, 103/1982, 409/1989, 341/1994).
    Nell'esercizio   del  suo  indiscusso  potere  discrezionale,  il
legislatore  ha  qualificato  come  contravvenzione la condotta dello
straniero  che per la prima volta disobbedisce all'ordine di lasciare
il   territorio   nazionale,   in   linea  con  fattispecie  omologhe
contemplate   dal   codice   penale  (cfr.  art. 650  c.p.,  2  legge
n. 1423/1956).
    Scegliendo il tipo meno grave di reato, il legislatore ha escluso
che  potesse  applicarsi  all'imputato qualsiasi misura cautelare. La
disobbedienza  reiterata  nelle forme dell'art. 14, comma 5-quater e'
stata invece elevata al rango di delitto, punito con la reclusione da
uno   a   quattro   anni,  quindi  compatibile,  secondo  il  sistema
processuale, con il ricorso a misure precautelari e cautelari.
    Il  legislatore  ha  mostrato  da  un lato di voler differenziare
sensibilmente  le  due  condotte  in  esame, la prima disobbedienza e
quella   reiterata   nonostante  l'espulsione  coattiva,  addirittura
adottando   diverse   categorie   di   reato  e  comminando  sanzioni
significativamente  differenti,  con  tutta una serie di implicazioni
specifiche  quanto  ad elemento soggettivo, a termini di prescrizione
ecc.
    Tradendo questa impostazione e senza alcuna plausibile ragione ha
poi  dettato,  nel  comma 5-quinquies, una disciplina identica quanto
all'adozione di misure precautelari e al rito da seguire.
    Ha  in  tal modo introdotto una deroga enorme rispetto al sistema
del  codice  di  procedura  penale, prevedendo per la contravvenzione
l'arresto   obbligatorio   dell'autore,   caso   unico   nel   nostro
ordinamento.
    La   disarmonia  che  tale  disciplina  esprime  rileva  ai  fini
dell'art. 3   della   Costituzione  sotto  l'aspetto  della  assoluta
irragianevolezza.
    Il  principio  di  ragionevolezza  impone, per le fattispecie che
costituiscono   diversi   gradi  di  aggressione  del  medesimo  bene
giuridico, discipline proporzionatamente differenziate (cfr. sentenza
Corte  cost.  n. 26/1979, secondo cui: «E' giurisprudenza costante di
questa  Corte  che la configurazione delle fattispecie criminose e le
valutazioni  sulla congruenza fra i reati e le pene appartengono alla
politica  legislativa; salvo pero' il sindacato giurisdizionale sugli
arbitri  del  legislatore, cioe' sulle sperequazioni che assumano una
tale  gravita' da risultare radicalmente ingiustificate ... questo e'
appunto  il  caso  della norma impugnata ... l'art. 186 c.p.m.p., nel
primo  e,  in parte, nel secondo comma, ricomprende ed appiattisce in
un'unica  ipotesi  delittuosa  -  quella  della  insubordinazione con
violenza  -  distinte  condotte tipiche, nettamente differenziate nei
loro elementi oggettivi e soggettivi»).
    Coerentemente   a  tali  criteri,  l'art. 9,  legge  n. 1423/1956
qualifica  come contravvenzione la violazione degli obblighi inerenti
alla sorveglianza speciale e come delitto l'analoga violazione quando
la  sorveglianza  speciale  includa  anche  l'obbligo o il divieto di
soggiorno.  Solo  per  la fattispecie delittuosa e' previsto, in base
all'art. 381  c.p.p.,  l'arresto facoltativo in flagranza e, ai sensi
dell'art. 9  legge  n. 1423/1956  comma  3,  anche  fuori dei casi di
flagranza.
    In  materia  di stupefacenti, l'art. 380 c.p.p. prevede l'arresto
obbligatorio  per i delitti di cui all'art. 73 d.P.R. n. 309/1990, in
deroga  ai  limiti  di  pena  di cui al comma 1. La piu' grave misura
precautelare  non  e'  estesa alle ipotesi attenuate di cui al quinto
comma del citato art. 73.
    Nell'art. 14,  comma  5-quinquies,  il legislatore ha in sostanza
trattato  allo  stesso  modo,  imponendo l'arresto in flagranza ed il
rito  direttissimo,  fattispecie  che  egli stesso ha, nella medesima
disposizione, differenziato notevolmente quanto a gravita'.
    La   disarmonia  che  tale  disciplina  esprime  rileva  ai  fini
dell'art. 3   della   Costituzione  sotto  l'aspetto  della  assoluta
irragianevolezza  («Non  si compiono valutazioni di natura politica e
nemmeno  si  controlla l'uso del potere discrezionale del legislatore
se si dichiara che il principio dell'uguaglianza e' violato quando il
legislatore  assoggetta  ad  una indiscriminata disciplina situazioni
che   esso   stesso   considera  e  dichiara  diverse»,  Corte  cost.
n. 53/1958).
    Non  vi  e' dubbio che il principio di uguaglianza, nonostante il
riferimento letterale dell'art. 3 Cost. ai cittadini, debba ritenersi
esteso  agli  stranieri, allorche' si tratti della tutela dei diritti
inviolabili dell'uomo (Corte cost. n. 104/1969).
    Pacifica e' la rilevanza della questione.
    L'imputato   e'  stato  arrestato  ai  sensi  della  disposizione
impugnata.
    Sulla rilevanza della questione non puo' avere effetto l'avvenuta
liberazione  della  persona  arrestata,  imposta  dall'art. 391 u.c.,
richiamata dall'art. 558 c.p.p.
    Il giudizio di convalida dell'arresto non e' stato esaurito ma e'
stato   sospeso   al   fine   di  trasmettere  gli  atti  alla  Corte
costituzionale.
    La  decisione  sulla  questione di legittimita' costituzionale ha
incidenza   diretta  sulla  pronuncia  di  legittimita'  dell'arresto
eseguita  dalla  polizia  giudiziaria  ai  sensi  della  disposizione
impugnata  (cfr. al riguardo sentenza Corte cost. n. 54/1993 « ... il
provvedimento  di  liberazione  dell'arrestata  era imposto ... dalla
disposizione  di  cui  all'art. 391  settimo comma, ultima parte, del
codice  di rito ... Poiche' tale disposizione ricollega la perdita di
efficacia  dell'arresto  alla  carenza,  per qualsiasi ragione, di un
provvedimento  positivo  di  convalida nello stesso termine, e' ovvio
che  l'impossibilita' di rispettarlo conseguente all'elevazione della
questione  comportava  (o  avrebbe  di  li'  a  poco  ineludibilmente
comportato)  l'intervento di tale autonoma causa di carenza di valido
titolo di detenzione, a prescindere dall'esaurimento del procedimento
di convalida, che ... era stato contestualmente sospeso.
    Tale  procedimento  non  puo'  percio' ritenersi esaurito, ne' di
esso  i giudici si sono spogliati: e la sua persistenza nonostante la
liberazione  trova  ragione  nell'interesse generale ad una pronuncia
sulla  legittimita'  dell'arresto,  che ha pur sempre determinato una
privazione  della  liberta'.  La  rilevanza  della questione, dunque,
permane,  trattandosi  di  stabilire se la liberazione dell'arrestata
debba considerarsi conseguente all'applicazione dell'art. 391 settimo
comma,  ovvero,  piu'  radicalmente,  alla  caducazione  con  effetto
retroattivo  della disposizione in base alla quale gli arresti furono
eseguiti»).
    La  rilevanza  della  questione  esiste, nel caso concreto, anche
qualora   si   ritenesse   conforme   a  Costituzione  la  previsione
dell'arresto  facoltativo anziche' obbligatorio, poiche' l'assenza di
specifici  indici  di  gravita'  della  condotta  e  di pericolosita'
dell'imputato    renderebbe   comunque   ingiustificata,   ai   sensi
dell'art. 381 comma 4 c.p.p., la misura precautelare in oggetto.
    Sulla  base  delle considerazioni fin qui svolte, la questione di
legittimita'  costituzionale  dell'art. 14  comma  5-quinquies d.lgs.
n. 286/1998,   modificata   dalla  legge  n. 189/2002,  in  relazione
all'art. 3 Cost., appare non manifestamente infondata e rilevante.
    La   decisione  sulla  convalida  dell'arresto  non  puo'  essere
adottata  senza  attendere  l'esito  del  giudizio sulla questione di
legittimita'    costituzionale.   Una   pronuncia   sulla   convalida
dell'arresto  non puo' infatti intervenire nel termine di quarantotto
ore  fissato  dall'art.  558  c.p.p. Va pertanto disposta l'immediata
liberazione dell'imputato, se non detenuto per altra causa.