IL TRIBUNALE Letti gli atti del procedimento nei confronti di Raouidi Youssef, nato a Casablanca (Marocco) il 19 novembre 1975, arrestato da ufficiali del Comando Tenenza Guardia di Finanza di Sassuolo il 14 maggio 2003 alle 8,20, per il reato di cui all'art. 14 comma 5-ter d.lgs. n. 286/1998, modificato dalla legge n. 189/2002, e sottoposto a rilievi dattiloscopici per la sua identificazione, in base ai quali si e' accertato che lo stesso - con le generalita' con le quali e' stato arrestato o eventualmente con diverse generalita' - non ha precedenti penali, ne' pendenze giudiziarie, ne' segnalazioni di polizia relative a fatti di reato rilevati a suo carico; Rilevato che sussistono dubbi sulla legittimita' costituzionale dell'arresto obbligatorio come previsto dall'art. 14, comma 5-quinquies, d.lgs. n. 286/1998 - come modificato dalla legge n. 189/2002 - e che la questione di legittimita' di tale norma appare non manifestamente infondata e va sollevata d'ufficio per le ragioni che seguono, con essenziale riferimento ai parametri costituzionali di cui agli artt. 3 e 13 della Costituzione; O s s e r v a Quanto al parametro dell'art. 3 della Costituzione esso risulta violato per le ragioni che seguono, gia' evidenziate in numerose ordinanze emesse da questo tribunale in casi analoghi (cfr. per tutte ordinanza in data 31 ottobre 2002 emessa nel procedimento n. 1534/2002 Rg tribunale). Il regime introdotto da d.lgs. n. 286/1998 modificato dalla legge n. 189/2002, prevede l'espulsione dello straniero che sia entrato nel territorio dello Stato sottraendosi ai controlli di frontiera (art. 13, comma 2, lett. a); l'espulsione e' disposta dal prefetto (art. 13, comma 2) ed e' sempre eseguita dal questore con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica (art. 13, comma 4). Fanno eccezione i casi di cui al comma 5 concernenti lo straniero il cui permesso di soggiorno sia scaduto di validita' da piu' di sessanta giorni senza che ne sia stato chiesto il rinnovo. La regola fissata dal comma 4 dell'art. 13 puo' essere derogata «quando non e' possibile eseguire con immediatezza l'espulsione mediante accompagnamento alla frontiera ... perche' occorre procedere al soccorso dello straniero, ad accertamenti supplementari in ordine alla sua identita' o nazionalita', ovvero all'acquisizione di documenti per il viaggio, ovvero per l'indisponibilita' del vettore o altro mezzo di trasporto idoneo» (art. 14, comma 1). In tal caso, il questore dispone che lo straniero sia trattenuto per il tempo strettamente necessario presso il centro di permanenza temporanea e assistenza piu' vicino ... » (art. 14, comma 1). E' contemplato un rimedio estremo per l'eventualita' che non sia possibile eseguire l'espulsione immediata con accompagnamento alla frontiera e non si riesca neanche a trattenere, o a trattenere ulteriormente, lo straniero presso un centro di permanenza temporanea. Qualora questa duplice impossibilita' si verifichi, il questore ordina allo straniero di lasciare il territorio dello Stato entro il termine di cinque giorni (art. 14, comma 5-bis) L'apparato sanzionatorio predisposto dal testo normativo tiene conto delle differenti modalita' esecutive dell'espulsione. La disobbedienza, quando si realizzi la prima volta, integra un illecito contravvenzionale. Le condotte incriminate sono il rientro nel territorio dello Stato dopo l'accompagnamento alla frontiera e senza la speciale autorizzazione del ministro dell'interno (art. 13, comma 13) oppure il trattenimento in Italia senza giustificato motivo in violazione dell'ordine impartito dal questore ai sensi dell'art. 14, comma 5-bis, (art. 14, comma 5-ter). Per entrambe le contravvenzioni e' comminata la pena dell'arresto da sei mesi ad un anno ed e' prevista una nuova espulsione con accompagnamento immediato alla frontiera. La reiterazione della condotta disobbediente da parte dello straniero realizza una fattispecie piu' grave, qualificata come delitto. Lo straniero, gia' denunciato per il reato di cui all'art. 13, comma 13, ed espulso, che abbia fatto reingresso sul territorio nazionale e' punito con la reclusione da uno a quattro anni (art. 13, comma 13-bis). Analogamente, lo straniero espulso ai sensi dell'art. 14, comma 5-ter, che viene trovato nel territorio dello Stato e' punito con la reclusione da uno a quattro anni. Quanto agli aspetti processuali, gli artt. 13 e 14 prevedono, per i reati in ciascuna disposizione contemplati, rispettivamente l'arresto facoltativo in flagranza e l'arresto obbligatorio (per il delitto di cui all'art. 13, comma l3-bis e' inoltre consentito il fermo). In entrambi i casi e' imposta l'adozione dei rito direttissimo. Che la disciplina processuale appena descritta sia in contrasto con l'art. 3 della Costituzione e' di tutta evidenza. I reati contravvenzionali descritti dagli artt. 13 e 14 rivestono quanto meno pari gravita'. Essi sono sanzionati con la medesima pena edittale. Identica e' la previsione delle conseguenze sul piano amministrativo, cioe' una nuova espulsione con accompagnamento immediato alla frontiera. In entrambi i casi, la reiterazione della condotta illecita dopo la denuncia per l'ipotesi contravvenzionale comporta l'integrazione di un delitto. Ma vi e' di piu'. La fattispecie descritta dall'art. 14, comma 5-ter appare ontologicamente meno grave rispetto a quella inserita nell'art. 13, comma 13. Lo straniero che rientra nel territorio dello Stato dopo l'accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica pone in essere una condotta attiva. Piu' esattamente, trasgredisce ad un ordine non solo legalmente impartito dalla pubblica autorita' italiana ma addirittura eseguito in modo coattivo, con impiego da parte dello Stato di risorse umane ed economiche. Una simile condotta e' certamente poco compatibile con un atteggiamento colposo. La contravvenzione di cui al comma 5-ter dell'art. 14 si realizza, invece, con una condotta meramente omissiva. La trasgressione posta in essere dallo straniero non ha alle spalle un accompagnamento coatto alla frontiera ma un ordine scritto del questore di lasciare il territorio dello Stato nel breve termine di cinque giorni. La disobbedienza e' sicuramente compatibile in questo caso con un atteggiamento colposo, negligente. La mancata esecuzione dell'ordine non vanifica uno sforzo compiuto dallo Stato per attuare in maniera forzata i propri provvedimenti. Che la condotta omissiva, vale a dire la mancata esecuzione spontanea di un ordine, sia in generale valutata dal legislatore con minor rigore si ricava, ad esempio, dalla previsione dell'art. 13, comma 5. Per lo straniero che si sia trattenuto nel territorio dello Stato nonostante che il permesso di soggiorno fosse scaduto di validita' e senza aver chiesto il rinnovo, l'espulsione e' eseguita, in deroga all'art. 13, comma 4, mediante intimazione a lasciare il territorio dello Stato entro il termine di quindici giorni. Lo straniero che non esegua spontaneamente l'intimazione in oggetto non e' penalmente perseguibile. Nel d.lgs. n. 286/1998, prima delle modifiche introdotte dalla legge n. 189/2002, era incriminata solo la condotta dello straniero espulso che fosse rientrato in Italia senza la speciale autorizzazione dei Ministero dell'interno (art. 13, comma 13). Se e' vero che la contravvenzione introdotta dall'art. 14, comma 5-ter riveste gravita' pari o minore rispetto a quella descritta dall'art. 13, comma 13, non vi e' alcuna ragione che giustifichi la previsione di un arresto obbligatorio nel primo caso e facoltativo nel secondo. La ingiustificata disparita' di trattamento emerge poi in modo eclatante ove si raffronti la disciplina in tema di arresto tra la contravvenzione di cui all'art. 14, comma 5-ter ed il delitto di cui all'art. 13, comma 13-bis. La previsione dell'arresto obbligatorio per la contravvenzione e dell'arresto facoltativo per il delitto e' del tutto priva di ragionevolezza. L'obbligo di arrestare l'autore di un reato contravvenzionale e' istituto sconosciuto al nostro attuale ordinamento giuridico. La misura precautelare dell'arresto obbligatorio e' riservata, ai sensi dell'art. 380 c.p.p.., agli autori di delitti e non di tutti i delitti ma di quelli particolarmente gravi, sanzionati con la pena dell'ergastolo o della reclusione non inferiore nel minimo a cinque anni e nel massimo a venti anni, oppure rientranti nelle fattispecie specificamente elencate nel secondo comma della stessa disposizione. Un solo caso di arresto obbligatorio in flagranza e' previsto dalle leggi speciali, ed esattamente dall'art. 12, comma 4, d.lgs. n. 286/1998 (non modificato dalla legge n. 189/2002), in riferimento comunque a delitti, quelli di cui ai commi 1 e 3 della medesima disposizione. Quanto ai reati contravvenzionali, l'arresto in flagranza e' possibile secondo l'attuale ordinamento in una sola ipotesi, l'art. 6, d.l. n. 122/1993, convertito in legge n. 205/1993, ma si tratta di arresto facoltativo e non obbligatorio. La previsione dell'arresto obbligatorio per la contravvenzione di cui all'art. 14, comma 5-ter, d.lgs. n. 286/1998, modificato dalla legge n. 189/2002 contrasta in maniera eclatante con l'art. 3 della Costituzione in quanto concreta una ingiustificata disparita' di trattamento rispetto all'art. 13, comma 13, che, per fattispecie di maggiore gravita' consente ma non impone l'arresto in flagranza. Vi e' un ulteriore profilo di illegittimita' costituzionale che emerge dalla lettura dell'art. 14, comma 5-quinquies, n. 286/1998, modificato dalla legge n. 189/2002. Esso attiene alla introduzione di una identica disciplina processuale (arresto obbligatorio e obbligo di giudizio direttissimo) per due ipotesi di reato (quelle dei commi 5-ter e 5-quater) che lo stesso legislatore ha sensibilmente differenziato quanto a gravita' del fatto e della sanzione. E' pacifico, e costantemente ribadito dalla giurisprudenza, che, ferma la necessita' di ancorare le scelte criminalizzatrici alla tutela di beni costituzionalmente rilevanti, le valutazioni sulla qualita' e quantita' della sanzione, in quanto di natura ideologica e politica, rientrano nell'ambito del potere discrezionale del legislatore. Nella sfera della discrezionalita' legislativa devono pure ricondursi le scelte sui presupposti di applicabilita' delle misure precautelari e cautelari, nei limiti imposti all'art. 13 della Costituzione (cfr. sentenze Corte costituzionale n. 126/1972; n. 305/1996). E' altrettanto pacifico, tuttavia, che l'uso della discrezionalita' legislativa possa essere censurato, sotto il profilo della legittimita' costituzionale, nei casi in cui non sia stato rispettato il limite della ragionevolezza (cfr. sentenze Corte costituzionale nn. 26/1979, 103/1982, 409/1989, 341/1994). Nell'esercizio del suo indiscusso potere discrezionale, il legislatore ha qualificato come contravvenzione la condotta dello straniero che per la prima volta disobbedisce all'ordine di lasciare il territorio nazionale, in linea con fattispecie omologhe contemplate dal codice penale (cfr. artt. 650 c.p., 2, legge n. 1423/1956) Scegliendo il tipo meno grave di reato, il legislatore ha escluso che potesse applicarsi all'imputato qualsiasi misura cautelare. La disobbedienza reiterata nelle forme dell'art. 14, comma 5-quater, e' stata invece elevata al rango di delitto, punito con la reclusione da uno a quattro anni, quindi compatibile, secondo il sistema processuale, con il ricorso a misure precautelari e cautelari. Il legislatore ha mostrato da un lato di voler differenziare sensibilmente le due condotte in esame, la prima disobbedienza e quella reiterata nonostante l'espulsione coattiva, addirittura adottando diverse categorie di reato e comminando sanzioni significativamente differenti, con tutta una serie di implicazioni specifiche quanto ad elemento soggettivo, a termini di prescrizione ecc.. Tradendo questa impostazione e senza alcuna plausibile ragione ha poi dettato, nel comma 5-quinquies, una disciplina identica quanto all'adozione di misure precautelari e al rito da seguire. Ha in tal modo introdotto una deroga enorme rispetto al sistema del codice di procedura penale, prevedendo per la contravvenzione l'arresto obbligatorio dell'autore, caso unico nel nostro ordinamento. La disarmonia che tale disciplina esprime rileva ai fini dell'art. 3 della Costituzione sotto l'aspetto della assoluta irragionevolezza. Il principio di ragionevolezza impone, per le fattispecie che costituiscono diversi gradi di aggressione del medesimo bene giuridico, discipline proporzionalmente differenziate (cfr. sentenza Corte costituzionale n. 26/1979, secondo cui: «E' giurisprudenza costante di questa Corte che la configurazione delle fattispecie criminose e le valutazioni sulla congruenza fra i reati e le pene appartengono alla politica legislativa; salvo pero' il sindacato giurisdizionale sugli arbitri del legislatore, cioe' sulle sperequazioni che assumano una tale gravita' da risultare radicalmente ingiustificate ... questo e' appunto il caso della norma impugnata ... l'art. 186 c.p.m.p., nel primo e, in parte, nel secondo comma, ricomprende ed appiattisce in un'unica ipotesi delittuosa - quella della insubordinazione con violenza - distinte condotte tipiche, nettamente differenziate nei loro elementi oggettivi e soggettivi»). Coerentemente a tali criteri, l'art. 9, legge n. 1423/1956 qualifica come contravvenzione la violazione degli obblighi inerenti alla sorveglianza speciale e come delitto l'analoga violazione quando la sorveglianza speciale includa anche l'obbligo o il divieto di soggiorno. Solo per la fattispecie delittuosa e' previsto, in base all'art. 381 c.p.p., l'arresto facoltativo in flagranza e, ai sensi dell'art. 9, legge n. 1423/1956, comma 3, anche fuori dei casi di flagranza. In materia di stupefacenti, l'art. 380 c.p.p. prevede l'arresto obbligatorio per i delitti di cui all'art. 73, d.P.R. n. 309/1990, in deroga ai limiti di pena di cui al comma 1. La piu' grave misura precautelare non e' estesa alle ipotesi attenuate di cui al quinto comma del citato art. 73. Nell'art. 14, comma 5-quinquies, il legislatore ha in sostanza trattato allo stesso modo, imponendo l'arresto in flagranza ed il rito direttissimo, fattispecie che egli stesso ha, nella medesima disposizione, differenziato notevolmente quanto a gravita'. La disarmonia che tale disciplina esprime rileva ai fini dell'art. 3 della Costituzione sotto l'aspetto della assoluta irragionevolezza («Non si compiono valutazioni di natura politica e nemmeno si controlla l'uso del potere discrezionale del legislatore se si dichiara che il principio dell'uguaglianza e' violato quando il legislatore assoggetta ad una indiscriminata disciplina situazioni che esso stesso considera e dichiara diverse», Corte costituzionale n. 53/1958). Non vi e' dubbio che il principio di uguaglianza, nonostante il riferimento letterale dell'art. 3 della Costituzione ai cittadini, debba ritenersi esteso agli stranieri, allorche' si tratti della tutela dei diritti inviolabili dell'uomo (Corte costituzionale n. l04/1969). Quando al parametro dell'art. 13, III Costituzione, che consente provvedimenti limitativi della liberta' personale da parte della p.s. solo «in casi eccezionali di necessita' ed urgenza indicati tassativamente dalla legge», la previsione dell'arresto obbligatorio contenuta nell'art. 14, comma 5-quinquies, appare contrastarvi per le seguenti ragioni (gia' esposte in Ordinanza emessa il tribunale di Bologna il 30 novembre 2002 nel procedimento n. 2351/2002 Tribunale Bologna). La tutela costituzionale della liberta' personale e' assoluta: essa viene definita come inviolabile al primo comma, ne e' consentita la limitazione solo con provvedimento dell'autorita' giudiziaria e nei casi previsti dalla legge al secondo comma; al terzo comma ne e' consentita una eccezionale limitazione temporanea ad opera della p.s. solo se successivamente convalidata dall'autorita' giudiziaria e nei casi «eccezionali di necessita' ed urgenza» previsti dalla legge. Al terzo comma - diversamente dal secondo - e' prevista quindi una riserva di legge qualificata poiche' al legislatore ordinario non spetta di determinare liberamente i casi in cui la liberta' personale puo' venire provvisoriamente limitata dalla p.s., ma puo' farlo solo nei casi eccezionali di necessita' ed urgenza. La giurisprudenza costituzionale ha chiarito le nozioni di eccezionalita', necessita' ed urgenza che giustificano l'arresto obbligatorio. Proprio perche' l'art. 14, comma 5-quinquies prevede l'obbligatorieta' dell'arresto ogni volta che si accerti la fragranza della contravvenzione dell'art. 14, comma 5-ter, le condizioni di eccezionale necessita' ed urgenza della misura precautelare debbono essere valutate in astratto in relazione al reato a cui e' collegata la previsione dell'arresto obbligatorio e non ne e' consentita una modulazione in relazione al caso concreto. La condotta contravvenzionale a cui e' collegato l'arresto obbligatorio e' quella dello straniero gia' espulso dal territorio nazionale in quanto clandestino ed inottemperante al successivo ordine di allontanamento del questore: si tratta cioe' di un reato di mera condotta, di doppia disobbedienza ad un ordine dell'autorita', dato prima nella forma del decreto di espulsione e dopo con l'ordine di allontanamento. La struttura del reato non prevede quindi ne' la lesione o la messa in pericolo di un bene costituzionalmente protetto, ne' una condizione soggettiva di pericolosita' specifica dell'autore, che non e' gia' imputato o condannato per altri reati, non e' socialmente pericoloso (vedi Corte costituzionale n. 64/1977 in cui la legittimita' dell'arresto era collegata al preesistente accertamento giudiziale delle condizioni di pericolosita' sociale), ne' versa in una condizione di pericolosita' specifica per le sue condizioni personali (vedi Corte costituzionale n. 126/1972 in cui la legittimita' dell'arresto era collegata all'ubriachezza in atto): va infatti considerato che la clandestinita' sul territorio dello stato, cioe' la permanenza dello straniero in Italia senza i documenti che la legittimano formalmente, e' condizione che legittima l'espulsione ma che non integra alcun reato e che, proprio perche' e' collegata alla formale assenza di documenti, non puo' essere indice di per se' di una specifica pericolosita' del soggetto. Per quanto descritto nella fattispecie tipica del reato, ne' la condotta punita ne' le condizioni dell'agente appaiono quindi assumere quei connotati di eccezionale necessita' ed urgenza che giustificano il potere limitativo della liberta' personale da parte della p.s. ai sensi del terzo comma dell'art. 13 della Costituzione. L'arresto e' in questo caso obbligatoriamente previsto per una contravvenzione punita con l'arresto da 6 mesi ad un anno. Si e' gia' detto che il sistema processuale vigente non consente l'applicazione di misure cautelari personali per contravvenzioni artt. 280 e 287 c.p.p.), il che rende evidente come in questo caso l'arresto non sia in alcun modo collegato alla successiva applicazione di una misura cautelare. Esso si affianca ad altri eccezionali casi in cui e' consentito l'arresto a prescindere dalla successiva applicazione di misura cautelare, ma si discosta da tali ipotesi per aspetti molto rilevanti. Significativo e' il raffronto con le ipotesi di arresto in flagranza previsto per il delitto p.p. dall'art. 189 c.d.s, ( la cui pena edittale e' inferiore ai limiti che consentono l'applicazione di misure cautelari) e per le contravvenzioni p.p. dai commi 1 e 2, art. 4, legge n. 110/1975 o dai commi 4 e 5 dello stesso articolo, in questo caso se aggravate dalla finalita' di discriminazione o odio etnico, razziale ecc. Nella prima ipotesi l'arresto e' consentito per consentire «la possibilita' di un intervento immediato di chi si sia dato alla fuga, abbia abbandonato le vittime di incidenti stradali a lui riconducibili ed abbia messo in pericolo la sicurezza individuale e collettiva» (Corte costituzionale n. 305/1996). Nel secondo caso l'arresto consente che le forze di p.s. limitino la liberta' personale di soggetti in possesso di armi o oggetti atti ad offendere nel corso di riunioni pubbliche (comma quarto e quinto) o con armi od oggetti atti ad offendere fuori dalla proprie abitazione il cui possesso sia destinato specificamente a finalita' di discriminazione o odio razziale (comma primo e secondo, aggravati dall'art. 3, com-ma 1, d.l. n. 122/1993), condotte entrambe evidentemente riconducibili ad un pericolo per la sicurezza individuale e collettiva evitabile soltanto con la materiale apprensione del soggetto armato ed il suo allontanamento dal luogo pericolso. In entrambi i casi, l'arresto e' previsto come facoltativo e non come obbligatorio (art. 189, comma sesto c.s.d. e art. 6, comma secondo, legge n. 654/175). In entrambe le ipotesi citate di arresto consentito a prescindere dalla conseguente applicabilita' di misura cautelare si tratta di condotte attive (lesioni personali con conseguente fuga e porto di armi in occasioni o con finalita' non consentite), che concretamente pongono in pericolo la sicurezza individuale e collettiva e necesariamente dolose, mentre l'arresto previsto dall'art. 14, comma 5-quinquies riguarda un reato di mera condotta omissiva, che non pone in concreto pericolo la sicurezza altrui, punibile anche a titolo di colpa per la negligente non ottemperanza all'ordine. Mentre nelle prime due ipotesi l'arresto e' quindi previsto per casi in cui appare necessario ed urgente bloccare l'autore di condotte pericolose da parte della p.s. che lo sorprende in flagranza, nel caso di cui all'art. 14, comma 5-quinquies non emerge alcuna necessita' ed urgenza di procedere all'arresto dell'autore di una condotta colposa e priva di concreta pericolosita'. Sul punto va aggiunto che il giudice delle leggi nella sentenza n. 305/1996 ha confermato la legittimita' dell'arresto previsto dall'art. 189 c.d.s. ancorandola alla sua facoltativita', in quanto tale arresto» richiede pur sempre la sussistenza, dei singoli casi concreti, dei presupposti ai quali l'art. 381, comma quarto, subordina in via generale l'adozione di tale misura». Nel caso qui in esame invece l'obbligatorieta' dell'arresto prescinde da ogni valutazione sulla concreta pericolosita' della condotta, con la conseguenza che la misura potrebbe essere costituzionalmente rientrante nella previsione dell'art. 13, III Costituzione solo se si ritenesse eccezionalmente necessario ed urgente limitare la liberta' di uno straniero tutte le volte in cui egli abbia violato l'ordine di allontanamento del questore, il che non appare conforme alla inviolabilita' della liberta' personale imposta da una complessiva e ragionata lettura dell'art. 13 della Costituzione. L'arresto obbligatorio non potrebbe neppure trovare ragione nell'eccezionale necessita' ed urgenza di poter procedere al rito direttissimo imposto dallo stesso art. 14, comma 5-quinquies per l'accertamento della contravvenzione dell'art. 14, comma 5-ter. Il rito direttissimo nel nostro ordinamento non e' infatti vincolato alla necessaria presenza dell'imputato in udienza, come appare dall'art. 449 che lo prevede in tutti i casi in cui l'imputato - non arrestato ne' detenuto - abbia reso confessione, nei casi previsti dall'art. 450, c.p.p., comma secondo che espressamente dispone le regole processuali per l'ipotesi di citazione a giudizio dell'imputato a piede libero, oltre che nei casi previsti dallo stesso d.lgs. n. 286/1998, come modificato dalla legge n. 189/2002, che all'art. 13, comma 13-ter prevede ipotesi di arresto facoltativo disponendo che in ogni caso - e quindi anche quando la facoltativita' dell'arresto non sia stata esercitata e quindi l'imputato resti libero - contro l'autore del fatto si proceda con rito direttissimo. Non puo' infine ritenersi che l'eccezionale necessita' ed urgenza dell'arresto sia collegata alla necessita' di eseguire l'espulsione dell'arrestato, che di per se' puo' essere eseguita con accompagnamento alla frontiera in via generale, ed in modo del tutto autonomo ed indipendente dall'arresto, ai sensi dell'art. 13, comma 4 n. 286/1998, come modificato dalla legge n. 189/2002. La rilevanza della questione e' evidente: l'imputato e' stato arrestato ai sensi della disposizione impugnata e l'eventuale declaratoria di illegittimita' costituzionale della stessa farebbe venir meno il fondamento normativo della richiesta di convalida proposta dal p.m. Infatti, nella fattispecie, Raouidi Youssef e' stato tratto in arresto perche' tale misura e' prevista come obbligatoria dall'art. 14, comma 5-quinquies, d.lgs. n. 286/1998, mentre egli non sarebbe stato passibile di arresto se tale misura fosse stata prevista come facoltativa in quanto non sussistono, nella fattispecie le condizioni richieste dall'art. 381 comma quinto, della gravita' del fatto (il reato contestato e' una contravvenzione punita da 6 mesi a 1 anno), ne' della pericolosita' del soggetto desunta dalla sua pericolosita' (l'arrestato e' privo di pregiudizi penali ed e' qui per la prima volta accusato di una contravvenzione; il fatto che egli sia clandestino sul territorio nazionale non e' previsto come reato dal nostro ordinamento) o dalle circostanze del fatto (la condotta contestata e' meramente passiva, di disobbedienza ad un ordine dell'autorita). Si aggiunga che sulla rilevanza della questione non puo' avere effetto l'avvenuta liberazione della persona arrestata, imposta dall'art. 391 u.c., richiamato dall'art. 558 c.p. Il giudizio di convalida dell'arresto non e' stato esaurito ma e' stato sospeso al fine di trasmettere gli atti alla Corte costituzionale; la decisione sulla questione di legittimita' costituzionale ha incidenza diretta sulla pronuncia di legittimita' dell'arresto eseguito dalla polizia giudiziaria ai sensi della disposizione impugnata (cfr al riguardo sentenza Corte costituzionale n. 54/1993 «... il provvedimento di liberazione dell'arrestata era imposto ... dalla disposizione di cui all'art. 391, settimo comma, ultima parte, del codice di rito ... Poiche' tale disposizione ricollega la perdita di efficacia dell'arresto alla carenza, per qualsiasi ragione, di un provvedimento positivo di convalida nello stesso termine, e' ovvio che l'impossibilita' di rispettarlo conseguente all'elevazione della questione comportava (o avrebbe di li' a poco ineludibilmente comportato) l'intervento di tale autonoma causa di carenza di valido titolo di detenzione, a prescindere dall'esaurimento del procedimento di convalida, che ... era stato contestualmente sospeso. Tale procedimento non puo' percio' ritenersi esaurito, ne' di esso i giudici si sono spogliati: e la sua persistenza nonostante la liberazione trova ragione nell'interesse generale ad una pronuncia sulla legittimita' dell'arresto, che ha pur sempre determinato una privazione della liberta'. La rilevanza della questione, dunque, permane, trattandosi di stabilire se la liberazione dell'arrestata debba considerarsi conseguente all'applicazione dell'art. 391, settimo comma, ovvero, piu' radicalmente, alla caducazione con effetto retroattivo della disposizione in base alla quale gli arresti furono eseguiti»). Ritenuto quindi che la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 14, comma 5-quinquies, d.lgs. n. 286/1998 (come modificato dalla legge n. 189/2002, nella parte in cui prevede come obbligatorio l'arresto per il reato previsto dall'art. 14, comma 5-ter, sia non manifestamente infondata e rilevante nel giudizio di convalida in corso, essa deve essere sollevata d'ufficio per le ragioni sopra esposte.