IL TRIBUNALE Ha emesso la seguente ordinanza nel giudizio di convalida relativo all'arresto effettuato, ai sensi dell'art. 14, comma 5-quinques della legge 30 luglio 2002, n. 189 (modifiche alla normativa in materia di immigrazione e di asilo), in relazione al reato di cui all'art. 14, comma 5-ter della stessa legge, nei confronti di Huang Xinfeng nato a Zhejiang il 20 novembre 1971, s.f.d. Fatto e diritto Il suddetto e' stato arrestato da personale della Questura di Prato in data 3 maggio 2003, in relazione al reato previsto dall'art. 14, comma 5-ter della legge 30 luglio 2002, n. 189. Il pubblico ministero richiedeva la convalida dell'arresto in data odierna. Come s'e' detto, l'arresto e' stato operato in base all'art. 14, comma 5-quinquies della legge citata, il quale prevede che, per i fatti di cui ai commi 5-ter e 5-quater l'arresto e' obbligatorio in flagranza di reato dell'autore del fatto e si procede con rito direttissimo. Tale disciplina, applicabile al caso di specie e rilevante ai fini della decisione sulla convalida dell'arresto - giacche', difettando la norma di copertura, l'operata restrizione della liberta' personale sarebbe sfornita di titolo giuridico e non potrebbe superare il vaglio di questo giudice - non si sottrae al dubbio di legittimita' costituzionale, in relazione ai parametri costituzionali e per le ragioni che seguono. Violazione dell'art. 13, terzo comma, Costituzione. La possibilita' di derogare alla regola generale dettata dal secondo comma dell'art. 13, che impone il preventivo intervento dell'autorita' giudiziaria in materia di restrizione della liberta' personale, si collega, alla stregua dell'art. 13, terzo comma Cost., alla verifica della sussistenza di «casi eccezionali di necessita' e urgenza» (di recente, si veda Corte cost. 503/1989). Gli estremi della necessita' e dell'urgenza, secondo le indicazioni della Corte costituzionale, possono essere considerati in relazione all'esigenza di acquisizione e di conservazione delle prove (Corte cost. 3/1972; 79/1982) nonche' all'assoggettabilita' dell'arrestato a giudizio direttissimo (Corte cost. 126/1972; 173/1971), finalita' tutte perseguibili attraverso l'immediato intervento dell'autorita' di polizia in temporanea vece dell'autorita' giudiziaria. Tali esigenze sono, per un verso, insussistenti, per altro verso, legate ad un quadro normativo radicalmente mutato. Non sono, in effetti, ragionevolmente configurabili esigenze probatorie in relazione al fatto illecito commesso dallo straniero che, nonostante l'espulsione, sia rientrato nel territorio dello Stato e destinate ad essere soddisfatte nel breve lasso di tempo che deve intercorrere tra l'arresto e l'immediata liberazione imposta dall'art. 121 disp. att. c.p.p. Quanto alla connessione tra arresto e giudizio direttissimo, va rilevato che sino all'entrata in vigore del nuovo c.p.p., l'ipotesi normale era quella del giudizio direttissimo nei confronti di imputato in vinculis: art. 502 c.p.p. Cio' era tanto vero che il primo comma dell'art. 502 disponeva che, quando il tribunale non era in udienza penale, il Procuratore della Repubblica disponeva il mantenimento dell'arresto. Il terzo comma dell'art. 502 c.p.p. introdotto dall'art. 17 della legge 12 agosto 1982, n. 532, previde l'applicabilita' del giudizio direttissimo anche al caso in cui l'arrestato, dopo essere stato presentato all'udienza, fosse stato liberato ai sensi dell'art. 263-ter. Il sistema non venne percio' scardinato, in quanto, come reso palese dalla lettera della norma, era comunque necessario che l'imputato fosse stato presentato all'udienza prima della liberazione ad opera del tribunale della liberta'. Soltanto nei casi atipici, di giudizio direttissimo previsti dalle leggi speciali, l'imputato non doveva essere previamente arrestato. In definitiva, a parte casi eccezionali, esisteva ordinariamente uno stretto collegamento tra arresto e giudizio direttissimo. Il vigente codice di rito ha invece scisso i due momenti, imponendo al p.m., pur in presenza dei presupposti per procedere al giudizio direttissimo, di disporre l'immediata liberazione dell'arrestato o del fermato, quando ritiene di non dovere richiedere l'applicazione di misure coercitive (art. 121 disp. att. c.p.p.). Non casualmente, con previsione innovativa se se ne coglie l'operativita' generale, l'art. 450, comma 2 c.p.p. contempla espressamente la possibilita' di celebrare il giudizio nei confronti dell'imputato libero. In astratto, nulla esclude, s'intende, che il legislatore, in specifici settori, possa reintrodurre un arresto strumentale alla celebrazione di un giudizio, altrimenti difficilmente realizzabile nei confronti di soggetti che, ove non ristretti, potrebbero agevolmente far perdere le proprie tracce. Ma tale obiettivo, ove pure intuibile nelle intenzioni del legislatore che ha emanato le norme che ne occupano, non si e' tradotto in atto, in quanto le innovazioni normative del 2002, non hanno alterato la struttura portante del codice di procedura penale, con la conseguenza che il p.m., al quale l'esecuzione dell'arresto va comunicata immediatamente (art. 386, comma 1 c.p.p.) e a disposizione del quale l'arrestato deve essere posto al piu' presto e comunque non oltre le ventiquattro ore (art. 386, comma 3 c.p.p.), ha l'obbligo di disporre l'immediata liberazione, con la conseguenza che, solo disattendendo il chiaro precetto normativo dell'art. 121 disp. att. c.p.p., e' possibile celebrare un giudizio direttissimo nei confronti di un imputato per il reato di cui all'art. 14, comma 5-ter della legge 30 luglio 2002, n. 189, ristretto nella propria liberta'. Se cosi' e', deve escludersi che la misura dell'arresto sia sorretta dal nesso di strumentalita' rispetto alla celebrazione del giudizio direttissimo. Le considerazioni sovra esposte rivelano, inoltre, che la misura dell'arresto non e' funzionale neppure all'esecuzione di una nuova espulsione prevista dall'art. 14, comma 5-ter legge citata. Tale conclusione poggia sulla mancata previsione di qualunque meccanismo di coordinamento fra le iniziative dell'autorita' amministrativa chiamata a disporre e a dare attuazione all'espulsione e l'autorita' giudiziaria, investita del giudizio sulla convalida dell'arresto e, ancor prima, del dovere di porre immediatamente in liberta' l'arrestato nei confronti del quale non sia, come nella specie, possibile richiedere fondatamente l'applicazione di misure coercitive. Va aggiunto che, assente nella struttura normativa, l'indicato coordinamento non puo' realizzarsi, di fatto, attraverso la mancata adozione del provvedimento imposto dall'art. 121 disp. att. c.p.p. sino al giudizio di convalida, in quanto cio' si tradurrebbe nell'ingiustificata disapplicazione di una norma vigente posta a presidio di un fondamentale diritto di liberta'. Ne' e' ragionevolmente pensabile che, nel brevissimo lasso di tempo imposto al p.m. per porre in liberta' l'arrestato, possano essere adottati i provvedimenti con i quali si dispone che quest'ultimo sia accompagnato immediatamente alla frontiera o sia trattenuto presso un centro di permanenza. Difetta, pertanto, in radice il requisito della necessita' dell'arresto rispetto a qualunque obiettivo di rilevanza pubblicistica tale da giustificare la sia pur temporalmente limitata restrizione della liberta' personale. Proprio il limite di pena previsto, inidoneo a giustificare l'adozione di qualunque misura coercitiva, ai sensi dell'art. 280 c.p.p., dimostra, infatti, il limitato rilievo che, nell'intendimento del legislatore, il fatto, di per se' considerato, riveste in termini di tutela della collettivita' (e, infatti, proprio la reiterazione della condotta, giustifica il ben piu' elevato limite di pena di cui all'art. 14, comma 5-quater legge 30 luglio 2002, n. 189).