IL GIUDICE DI PACE Letti gli atti, per sciogliere la riserva, del giudizio iscritto al N.R.G. 3804/03, proposto da Romano Rosaria in danno del comune di Castellammare di Stabia rileva; Con ricorso depositato il 3 ottobre 2003 la sig.ra Romano Rosaria adiva l'intestato ufficio giudiziario per sentir annullare i verbali di accertamento e contestazione n. 11436A, 11698A e 12465A rispettivamente dell'8 maggio 2003, 10 maggio 2003 e 11 maggio 2003, notificati il 23 agosto 2003, 22 agosto 2003 e 22 agosto 2003 in base ai quali personale degli ausiliari del traffico avevano accertato la violazione dell'art. 157/6 del c.d.s. di Euro 41,35 cadauno a carico dell'auto tg. NAD12083 di sua proprieta', per aver sostato senza esporre il titolo di pagamento. Deduceva che l'auto era munita di permesso per soggetto portatore di handicap, che produceva, quale era il marito Scarselli Alberto e che tale permesso era ben visibile sul cruscotto. Con memoria aggiuntiva eccepiva la illegittimita' dei verbali redatti dai c.d. ausiliari del traffico in quanto non abilitati dalla legge. La ricorrente pero' ometteva di depositare, unitamente al ricorso, ai fini della sua ammissibilita', una somma pari alla meta' del massimo edittale prevista per le violazioni contestatele, ai sensi dell'art. 204-bis del d.lgs. 30 aprile 1992 n. 385 (Codice della strada), come novellato dalla legge 1° agosto 2003 n. 214 di conversione del d.l. 27 giugno 2003 n. 151. Si costituiva il comune di Castellammare di Stabia che eccepiva preliminarmente a inammissibilita' dell'opposizione per l'omesso versamento della cauzione. Nel merito eccepiva che autorizzazione alla sosta per portatore di handicap non puo' estendersi alle aree di sosta a pagamento. Va preliminarmente affrontata la questione della inammissibilita' della opposizione. Il mancato deposito delle somme - che con circolare del 13 agosto 2003 il Ministero della giustizia, nell'interpretare la legge ha indicato effettuarsi nelle forme del deposito giudiziario presso l'Ente Poste S.p.a. richiamando il r.d. 10 marzo 1910 n. 149 - viene sanzionato intatti con il provvedimento di inammissibilita' che il giudice dovrebbe pronunciare ai sensi dell'art. 23 della legge n. 689/1981; Questo giudice, di ufficio, dubita della costituzionalita' dell'art. 204-bis in relazione agli artt. 24, 3, 111 della Costituzione. Ed invero l'art. 204-bis del d.lgs. 30 aprile 1992 n. 385, a seguito delle modifiche apportate in sede di conversione del d.l. 27 giugno 2003 n. 151 con la legge 1° agosto 2003 n. 214 (pubblicata sul supplemento ordinario n. 133/L della Gazzetta Ufficiale del 12 agosto 2003 n. 186), recita al capo 3 che: «all'atto del deposito del ricorso, il ricorrente deve versare presso a cancelleria del giudice di pace, a pena di inammissibilita', una somma pari alla meta' del massimo edittale della sanzione inflitta dall'organo accertatore. Detta somma, in caso di accoglimento del ricorso, e' restituita al ricorrente». L'art. 204-bis recita al capo 5) «in caso di rigetto del ricorso, il giudice di pace, nella determinazione dell'importo della sanzione, assegna, con sentenza immediatamente eseguibile, all'amministrazione cui appartiene l'organo accertatore, la somma determinata, autorizzandone il prelievo dalla cauzione prestata dal ricorrente in caso di sua capienza». Al capo 2, l'art. 204-bis del d.lgs. 30 aprile 1992 n. 385, come novellato, dispone tra l'altro che il ricorso e' proposto secondo il procedimento fissato dall'art. 23 della medesima legge n. 689 del 1981...» Il comma primo dell'art. 23 della legge n. 689/1981 dispone che «il giudice, se il ricorso e' proposto oltre il termine previsto dal primo comma dell'art. 22 (gia' trenta ed ora sessanta giorni della contestazione a seguito della modifica del capo 1 del novellato art. 204-bis del c.d.s.) ne dichiara l'inammissibilita' con ordinanza ricorribile in Cassazione». «Se il ricorso e' tempestivamente proposto, il giudice fissa l'udienza di comparizione con decreto steso in calce al ricorso...» Avendo l'art. 204-bis come novellato. introdotto un nuovo motivo di inammissibilita' del ricorso, ne conseguirebbe la relativa declaratoria di ufficio. Una tale interpretazione che, ripetesi, imporrebbe al giudice ai sensi dell'art. 204-bis novellato in combinato all'art. 23 primo comma della legge n. 689/1981, di dichiarare sic et simpliciter la inammissibilita' del ricorso in opposizione, appare pero' lesiva del fondamentale principio del contraddittorio, quale insopprimibile strumento di garanzia e di attuazione del diritto costituzionale di difesa, attuato in campo processualistico dell'art. 101 del c.p.c.; di tal che si e' imposto di fissare comunque e previamente, l'udienza di comparizione delle parti in modo da consentire alle stesse di contraddire anche su questioni che il giudice ritiene, ex art. 183, terzo comma c.p.c., richiamato nel rito innanzi al g.d.p. dall'art. 311 c.p.c., «rilevabile di ufficio delle qual ritiene opportuna la trattazione». Questione quale appunto quella di valutare se il diritto del cittadino di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti, sia adeguatamente tutelato dalla vigente disposizione dell'art. 204-bis dovendo l'ordinamento giuridico evitare ostacoli che si frappongono al processo che, in sostanza poi, comportano una lesione del diritto costituzionalmente garantito dall'art. 24 della costituzione. Il ricorrente non ha provveduto al deposito della somma a mo' di cauzione prevista dalla legge per cui ne deriverebbe una pronuncia di inammissibilita' del ricorso. Si pone, pertanto, questo giudice, d'ufficio, la questione di costituzionalita' dell'art. 204-bis, capo 3) e capo 5), come novellato, in relazione all'art. 24 della costituzione nella parte in cui fa obbligo al ricorrente di versare nella cancelleria del giudice di pace, a pena di inammissibilita', una somma pari alla meta' del massimo edittale della sanzione inflitta dall'organo accertatore. Con l'introduzione della norma denunciata che prevede l'onere del versamento della cauzione a pena di inammissibilita' del ricorso, il legislatore ha introdotto uno strumento di compressione del diritto alla tutela giurisdizionale, garantito dalla costituzione. A tale norma puo' riconoscersi il triste primato di rintrodurre atavici oneri o condizionamenti per il ricorso alla tutela giurisdizionale. Sul punto va rilevato che sia un piu' accorto legislatore che la stessa Corte costituzionale a partire da vari decenni or sono e sino ad oggi, hanno eliminato, sia con provvedimenti legislativi e sia con pronunce di illegittimita' costituzionale, ogni onere od ostacolo, sia fiscale che patrimoniale, che potesse condizionare il ricorso alla tutela giurisdizionale. In merito ai primi, e' il caso di ricordare, infatti, che con la legge 18 ottobre 1977 n. 793 furono abrogati l'art. 364 c.p.c. (deposito per il caso di soccombenza previsto a pena di inammissibilita' per il ricorso in Cassazione); l'art. 381 c.p.c.; nonche' l'art. 651 c.p.c. (deposito per il caso di soccombenza previsto a pena di inammissibilita' per proporre opposizione tardiva al decreto ingiuntivo o contro il decreto pronunciato a norma dell'art. 642, primo comma, c.p.c.) ed ancora da ultimo con il d.l. 11 marzo 2002 n. 28 - convertito, con modificazione, dalla legge 10 maggio 2002 n. 91, portante modifica all'art. 9 della legge 23 dicembre 1999 n. 48 - che con l'art. 1-1 ha sostituito il comma 3 dell'art. 2 eliminando la sanzione di irricevibilita' posta a carico della parte che per prima si costituiva in giudizio e non versava il contributo unificato di iscrizione a ruolo della causa, cosi' come con il medesimo art. 1-3 ha soppresso il comma quinto dell'art. 9 della legge n. 48/1999 che pure prevedeva la dichiarazione, da parte del giudice, della improcedibilita' della domanda nel caso in cui a parte, in caso di modifica della domanda che ne ammontava il valore, avesse omesso di farne espressa dichiarazione e di integrare il pagamento del contributo unificato. In merito alle seconde, e' opportuno richiamare a sentenza della Corte costituzionale del 29 novembre 1960 n. 67 che dichiaro' costituzionalmente illegittimo l'art. 98 c.p.c.. in forza del quale il giudice poteva disporre con ordinanza che l'attore, non ammesso al gratuito patrocino, prestasse cauzione per il rimborso delle spese, quando vi era timore che l'eventuale condanna potesse restare inseguita, sanzionando l'inadempimento con la estinzione del processo. Nella vigenza dell'(abrogato) art. 98 c.p.c. intervenne anche la Suprema Corte di cassazione che con la sentenza del 4 luglio 1952 n. 1999 ebbe modo di porre in rilievo che giammai la cauzione prevista dall'art. 98 c.p.c. potesse essere disposta «a garanzia di eventuali ragioni creditorie per il quale scopo puo' essere richiesto ed autorizzato sequestro conservativo ove ricorrano i presupposti di fatto e di diritto indispensabili per la concessione di tale misura cautelare». E' opportuno, altresi', richiamare la sentenza n. 21/1961 con cui la Corte costituzionale aboli' la c.d. clausola del solve et repete, vale a dire l'obbligo di pagare, comunque, i tributi richiesti dall'amministrazione finanziaria per poter agire in giudizio, proprio perche' andava a comprimere la tutela giurisdizionale. In tali sensi la Consulta, nella continua affermazione del principio costituzionale garantito dall'art. 24 della costituzione, e' continuamente intervenuta ed all'uopo si richiamano ancora, e tra le altre, sentenza del 7 dicembre 1964 n. 100 con cui dichiaro' illegittimita' costituzionale degli artt. 77, 78, 79 e 80 del regio decreto 30 dicembre 1923 n. 3270, contenente la legge tributaria sulle successioni, nella parte in cui dispongono che le persone ivi indicate, quando fosse scaduto il termine per il pagamento della tassa o quel termine scadesse nel corso del procedimento, non possono agire in giudizio o proseguirlo senza aver dato la prova dell'avvenuto pagamento, della ottenuta dilazione o della esenzione e nella parte in cui sanzionano, con l'obbligo di corrispondere l'importo delle tasse e delle soprattasse, la inosservanza di richiedere la prova suddetta; ed ancora le sentenze n. 45/1960; n. 113/1963; n. 91/1964; n. 157/1969; n. 61/1970 e da ultimo la n. 333/2001 con cui la Consulta ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 7 della legge 9 dicembre 1998 n. 431 (Discipline delle locazioni e del rilascio degli immobili adibiti ad uso abitativo). Il versamento della somma pari alla meta' del massimo edittale, richiesta dall'art. 204-bis, costituisce un onere che tende al soddisfacimento di interessi del tutto estranei alle finalita' processuali e non certamente un onere imposto allo scopo di assicurare al processo uno svolgimento meglio conforme alla sua funzione ed alle sue esigenze, che va individuata in quella di consentire una pronuncia in merito sui motivi di doglianza che il cittadino muove ad un verbale redatto dagli agenti accertatori. In forza, invece, della denunziata norma, al cittadino, a cui il legislatore, con l'introduzione dell'art. 22-bis della legge n. 689/1981 aveva consentito di ricorrere ad un giudice (appunto il giudice di pace) che sentisse piu' vicino alle proprie istanze superando il formalismo processuale che caratterizza invece il procedimento innanzi al tribunale, viene frapposto un grosso impedimento costituito dal versamento della somma corrispondente alla meta' del massimo della somma inflittagli, tale da apparire essere, ed e, una deflazione, alla tutela giurisdizionale, confermandogli, peraltro, l'odioso convincimento (che invece va recisamente rifiutato) che la giurisdizione appartiene allo Stato - apparato e, quindi, a porre i giudici tra «i governanti» in contrapposto al cittadino «governato» sicche' possa avere ulteriore, ed anch'esso odioso, convincimento che non vi sia differenza funzionale ovvero distinzione effettiva della giurisdizione dalle altre potesta' sovrane dell'ordinamento e, in particolare, dell'amministrazione. La questione quindi che, di ufficio si solleva, non appare manifestamente infondata. La norma denunciata si pone infatti in contrasto con il primo comma dell'art. 24 della costituzione che riconosce a tutti il potere di agire in giudizio a tutela dei diritti e degli interessi legittimi, nonche' al capoverso seguente che afferma essere la difesa un diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento. Si pone in contrasto, altresi', con l'art. 3 della costituzione in quanto di fatto limita il diritto di azione in giudizio del meno abbiente, generando quindi un discrimine tra il ricco e il povero con la conseguenza che a quest'ultimo non sarebbe consentito ottenere una (presumibilmente, per esso ricorrente, positiva) pronuncia sul merito delle proposte doglianze, atteso la inammissibilita' del ricorso per il non eseguito versamento. Si pone, infine, in contrasto con l'art. 3 della costituzione che al comma secondo dispone che ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parita', davanti al giudice terzo ed imparziale. Il contrasto con tale ultima disposizione, evidenziato gia' innanzi laddove si rilevava essere opportuno recidere il convincimento che la giurisdizione appartiene allo Stato-apparato, emerge altresi' dalla considerazione che al ricorrente e' fatto obbligo di effettuare il versamento a titolo di cauzione, la cui somma il giudice ai sensi del capo 5) dell'art. 204-bis c.d.s. assegna immediatamente all'amministrazione in caso di rigetto del ricorso, senza prevedere un egual deposito a carico dell'amministrazione per l'eventuale rimborso di spese a favore del ricorrente in caso di accoglimento del ricorso. Anzi in tale evenienza il ricorrente - creditore subira' anche gli effetti dell'art. 14 del 31 dicembre 1996 n. 669 convertito nella legge 28 febbraio 1997 n. 30 come modificato dall'art. 146 della legge n. 388/2000, dettato in tema di esecuzione forzata nei confronti delle pubbliche amministrazioni, in forza del quale il creditore non ha diritto di procedere ad esecuzione forzata nei confronti delle pubbliche amministrazioni prima del decorso di giorni centoventi dalla notificazione del titolo esecutivo. E non potra' non rilevarsi altresi' a irragionevolezza della norma denunciata laddove determina l'importo della cauzione nella meta' del massimo edittale in rapporto a quanto previsto dal capo 7) dello stesso art. 204-bis ove e' disposto che nella determinazione della sanzione il giudice di pace puo' applicare una sanzione non inferiore al minimo edittale stabilito dalla legge per la violazione accertata e, quindi, una somma ben minore rispetto a quella pretesa per la cauzione, pari alla meta' del massimo edittale. Da quanto sopra detto poiche' appare evidente un contrasto fra a norma dell'art. 204-bis del c.d.s., come novellato e agli art. 24, 3 e 111 della costituzione e, poiche' la decisione di tale eccezione di illegittimita' costituzionale appare rilevante per la definizione del presente giudizio e non appare manifestamente infondata, devesi sospendere il presente giudizio ed ordinare la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale perche' venga sottoposta al suo esame tale questione, nonche' provvedere agli altri incombenti di legge.