IL TRIBUNALE Sciogliendo la riserva nella causa Pardossi contro I.N.A.I.L. (RGC. n. 696/02), cosi' provvede. Ritenuto in fatto Con ricorso depositato il 26 settembre 2002, Pardossi Ottavio Daniele, premesso che in data 31 maggio 2001 aveva patito un infortunio sul lavoro, «in quanto i rulli di una macchina scarnificatrice delle pelli, alla quale era addetto, gli causavano l'amputazione totale delle falangi distali del III e IV dito della mano sinistra» e premesso che l'INAIL aveva chiuso la pratica infortunistica riconoscendo l'inabilita' temporanea ed accertando, in ordine a quella permanente, la sussistenza di un'inabilita' pari al 4%, pertanto inferiore al minimo indennizzabile (ex d.lgs. n. 38/2000), sia in capitale che sotto forma di rendita, reclamava innanzi a questo Tribunale l'accertamento dei postumi, che riteneva sussistenti in misura superiore al 6%. In ipotesi subordinata chiedeva che la percentuale eventualmente stabilita in misura inferiore fosse unificata a quella gia' riconosciuta - a cagione di precedente infortunio - dall'Istituto previdenziale nella misura del 14%, cosi' provvedendo alla costituzione di un'unica rendita. Costituitosi in giudizio, l'INAIL si opponeva al ricorso, sia ribadendo che dall'infortunio de quo non fossero reliquari postumi in misura indennizzabile, sia affermando la non operabilita' della richiesta unificazione, stante il divieto di cui all'art. 13, comma 6, d.lgs. n. 38/2000. Essendo pacifico il fatto storico da cui originava il ricorso, questo giudice ha proceduto all'affidamento di CTU per accertare l'effettivo grado di inabilita'. Il CTU, con indagine scrupolosa, logica ed immune da vizi logico/giuridici accertava l'esistenza di una percentuale del 4,5% come danno permanente. Parte ricorrente, stante questi risultati, e preso atto della difesa dell'INAIL, richiedeva questo giudice di sollevare eccezione di illegittimita' costituzionale della norma invocata dall'Istituto come ostativa alla costituzione di una rendita unificata. Ritenuta la rilevanza La rilevanza dell'eccezione prospettata e' immediatamente percepibile. In effetti, la declaratoria della illegittimita' costituzionale della norma invocata dall'INAIL consentirebbe a parte ricorrente di veder accolto il ricorso e, quindi, il cumulo della percentuale di inabilita' accertata dal CTU (pressoche' identica a quella determinata in via amministrativa) a quella gia' riconosciuta per precedente infortunio, con la conseguenza pratica diretta di veder aumentata la misura economica della rendita in godimento. Ritenuta la non manifesta infondatezza 3.a) fino all'attuazione della delega di cui alla legge n. 144/1999, il sistema delineato dal testo unico puo' cosi' sintetizzarsi, per quanto qui interessi in punto di rendita per inabilita' permanente: 3.a.1) il diritto alla rendita sorge solo quando in conseguenza di un evento dannoso l'attitudine al lavoro si riduca in misura superiore al 10% (art. 74, comma 2 testo unico); 3.a.2) il sistema e' coniato intorno ad una valutazione globale (Cass. n. 2559/1998; conf.: n. 9066/1990) della validita' del lavoratore e per converso della sua inabilita', tant'e' che vi e' una valutazione unitaria delle concause di incapacita', le quali sono composte sia dai concorsi di incapacita' che dalle coesistenze di incapacita' e distinte le prime perche' incidenti sullo stesso sistema organo-funzionale (es.: occhio-occhio; piede-piede), mentre le seconde su sistemi diversi (es.: mano-piede). Di tal che' si avra': 3.a.3) il titolare di una rendita che rimane vittima di un nuovo infortunio che dia luogo ad altra rendita, vedra' la costituzione di un'unica rendita in base al grado di riduzione dell'attitudine complessiva (art. 80, comma 1, testo unico); 3.a.4) il titolare di una rendita che sia successivamente colpito da altro evento inabilitante che, di per se' non darebbe luogo a rendita per mancato superamento della soglia di indennizzabilita', vedra' la costituzione di un'unica rendita se l'inabilita' complessiva si mantenga sopra la franchigia (art. 80, comma 2 testo unico); 3.a.5) il lavoratore, vittima di un evento inabilitante che ha provocato una riduzione della validita' in misura inferiore alla soglia che da' diritto alla rendita, il quale resti colpito da altro evento, anch'esso di portata inferiore al limite di franchigia, vedra' costituire un'unica rendita se la valutazione complessiva delle due inabilita' consente il superamento del 10% (art. 80, comma 3 testo unico); 3.a.6) infortuni da cui sia derivata un'inabilita' permanente, la quale risulti aggravata da inabilita' preesistente derivante da fatti estranei al lavoro, ovvero da infortuni sul lavoro agricolo o, ancora, liquidati in conto capitale: il grado di riduzione sara' rapportato non all'attitudine al lavoro normale ma a quella ridotta per effetto delle preesistenti inabilita'. «Il rapporto e' espresso da una frazione in cui il denominatore indica il grado di attitudine al lavoro preesistente e il numeratore la differenza fra questa ed il grado di attitudine residuato dopo l'infortunio» (art. 79 testo unico); 3.b) A latere di questo sistema, si e' assistito, nel corso degli anni, allo sviluppo di una ricca polemica culturale intorno ai limiti di compatibilita' e coesistenza fra il sistema risarcitorio-indennitario previsto per gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali ed il ristoro dei danni cagionati alla persona nella sua accezione complessiva, meglio noto come risarcimento del c.d. danno biologico. Di questa esigenza si e' fatto carico il legislatore che con la legge n. 144/1999 ha delegato il Governo, all'art. 55, lett. «s», ad «emanare, entro nove mesi dall'entrata in vigore della presente legge, uno o piu' decreti legislativi al fine di ridefinire taluni aspetti dell'assetto normativo in materia di assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, nel rispetto dei seguenti principi e criteri direttivi: (...); s) previsione, nell'oggetto dell'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali e nell'ambito del relativo sistema di indennizzo e di sostegno sociale, di un «idonea copertura e valutazione indennitaria del danno biologico, con conseguente adeguamento della tariffa dei premi». La prima cosa che balza alla vista e' che volonta' del legislatore delegante non e' stata quella di procedere ad una riscrittura radicale di tutta la disciplina della tutela dei lavoratori dagli infortuni e dalle malattie professionali dettata nel testo unico n. 1124/65, bensi', piu' limitatamente, quella di ridefinire taluni aspetti dell'assetto normativo, prevedendo un'idonea copertura e valutazione indennitaria del danno biologico, ma sempre nell'ambito del relativo sistema di indennizzo e di sostegno sociale. Insomma, l'operazione aveva il limitato, sebbene arduo, fine di adeguare la disciplina esistente per estendere alla copertura del danno biologico, la tutela che l'ordinamento gia' predisponeva per gli infortuni e le malattie professionali. E' questa la volonta' espressa dal legislatore delegante, tant'e' che il comma 11 dell'art. 13, della legge delegata n. 38/2000 stabilisce che: «per quanto non previsto dalle presenti disposizioni, si applica la normativa del testo unico, in quanto compatibile». Il controllo della realizzazione dei fini previsti dalla legge delega dev'essere quindi, oggetto della verifica di costituzionalita'. 3.c) il legislatore delegato ha, dunque, dato esecuzione alla delega, con il d.lgs. n. 38/2000 dettando l'art. 13, in cui viene prevista la soglia di inabilita' indennizzabile superiore al 16%, mentre per le inabilita' comprese fra il 6% ed il 16% e' stato coniato ex novo l'indennizzo per il danno biologico, come definito al comma 1 stesso articolo. A tale scopo vengono dettate nuove tabelle per il danno biologico, per le menomazioni e per i coefficienti (comma 2, lett. «a» e «b»). Per gli infortuni verificatisi nel vigore del d.lgs. n. 38/2000, e' mantenuto ed anzi e' rafforzato il principio della rendita unica, sia per le ipotesi di concorso che di coesistenza di inabilita' ed anche superando la non cumulabilita' degli infortuni industriali con quelli agricoli, ritenuta costituzionalmente legittima da Corte cost. n. 71/1990, vero com'e' che, non potendosi certo distinguere un danno biologico derivante da infortuni agricoli da quello derivante da infortuni agricoli, la valutazione dei postumi dev'essere complessiva (comma 5). Il comma 4 disciplina, dunque, gli aggravamenti (attinenti, cioe' al medesimo complesso organo/funzionale) valutati sia per conseguire l'indennizzo in conto capitale (per inabilita' comprese fra il 6% ed il 16%), sia per conseguire la rendita (inabilita' superiori al 16%). Il gia' citato comma 5, invece, attiene, ovviamente, al diverso caso della coesistenza (e non del concorso a cui e' dedicato, come detto, il comma 4) fra inabilita' prevedendo un unica rendita od un unica liquidazione in conto capitale, a seconda dei casi. Al comma 6, e' stata dettata la seguente disciplina: «Il grado di menomazione dell'integrita' psicofisica causato da infortuni sul lavoro o malattia professionale, quando risulti aggravato da menomazioni preesistenti concorrenti derivanti da fatti estranei al lavoro o da infortuni o malattie professionali verificatisi o denunciate prima della data di entrata in vigore del decreto ministeriale di cui al comma 3 e non indennizzati in rendita, deve essere rapportato non all'integrita' psicofisica completa, ma a quella ridotta per effetto delle preesistenti menomazioni, il rapporto e' espresso da una frazione in cui il denominatore indica il grado di integrita' psicofisica preesistente ed il numeratore la differenza fra questa ed il grado di integrita' psicofisica residuato dopo l'infortunio e la malattia professionale. Quando per le conseguenze degli infortuni o delle malattie professionali verificatisi o denunciate prima della data di entrata in vigore del decreto ministeriale di cui al comma 3 l'assicurato percepisca una rendita o sia stato liquidato in capitale ai sensi del testo unico, il grado di menomazione conseguente al nuovo infortunio o alla nuova malattia professionale viene valutato senza tener conto delle preesistenze. In tal caso, l'assicurato continuera' a percepire l'eventuale rendita corrisposta in conseguenza di infortuni o malattie professionali verificatisi o denunciate prima della data sopra indicata». Sebbene la legge in rassegna non contempli un'abrogazione esplicita di norme del testo unico ed anzi il comma 11 ne effettui un esplicito rinvio, fin dai primi commenti sono state riscontrate delle incompatibilita' fra i due complessi normativi, la cui individuazione non e' agevole, posto che questa e' l'unica norma di raccordo sul punto, fra il vecchio ed il nuovo regime. Nelle fattispecie previste dalla disciplina vengono distinte, nel c.d. «vecchio regime», le ipotesi in cui vi siano stati eventi dannosi che abbiano dato luogo a gradi di inabilita' ma non sufficienti da far sorgere il diritto alla rendita, da quelle in cui questo diritto sia sorto ed il lavoratore si trovi in suo godimento al momento di entrata in vigore della nuova disciplina. Orbene, nella prima ipotesi (parte prima del comma 6, dell'art. 13) viene fatto sopravvivere il meccanismo gia' esistente nell'art. 79 testo unico, sebbene adattato al concetto di integrita' psico-fisica in luogo della superata attitudine al lavoro. Sicche' solo per l'aggravamento della patologia, in caso, quindi, di concorso e non di mera coesistenza, la valutazione complessiva del «grado di menomazione» la si ottiene calcolando l'inabilita', non sulla base della validita' totale del soggetto, bensi' su quella che residua dopo il calcolo dei vecchi infortuni (es.: nel caso di inabilita' del 10% a cui vanno ad aggiungersi altri 5 punti di inabilita', il risultato sara' di 90-(90-5)/90=5/90). «Tale disciplina persegue non gia' la finalita' di imporre una valutazione complessiva delle inabilita' e conseguentemente la liquidazione di un `unica rendita, bensi' soltanto quella di adeguare realisticamente la valutazione (a se' stante) dell'inabilita' derivante dall'ultimo infortunio (... in senso relativamente piu' favorevole all'assicurato), nella prevalente considerazione dell'unitarieta' dell'insieme organico-funzionale interessato» (Corte cost. n. 71/1990). Nella seconda ipotesi - che e' quella che qui interessa - di fatto e' prevista l'abrogazione (sempre come regime transitorio) dei diversi meccanismi di cui all'art. 80 testo unico, escludendo una valutazione unitaria degli infortuni verificatisi prima e di quelli verificatisi dopo l'entrata in vigore della modifica. Ne consegue che le inabilita' «maturate» sotto il «vecchio regime» non vengono prese in considerazione alcuna nel nuovo. O, meglio, viene elevata una sorta di cortina, cosi' frantumando quell'esigenza di unitarieta' perseguita dai disegni organici tracciati nel corso di un ottantennio e sottolineati adeguatamente allorquando nel passaggio fra la disciplina del 1935 e quella del 1965, cosi' come fra il testo unico del 1904 e quello del 1935, fu sempre esplicitamente previsto il cumulo fra le inabilita' e la costituzione di un'unica rendita. In via di fatto e sempre per le ipotesi di coesistenza, possono, dunque accadere le seguenti ipotesi: a) che la pregressa inabilita', magari anche di grado rilevante (es.: 10%), non abbia dato luogo rendita e che neppure la nuova inabilita' sia in grado di procurarla (15%) e, magari neanche di raggiungere il minimo per la liquidazione del danno biologico (5%). Si avra', dunque un lavoratore con un grado certo non trascurabile di limitazione della sua integrita' psicofisica (del 15% o addirittura del 25%) senza che gli derivi alcun indennizzo (se non al danno biologico, nel secondo caso); b) puo' darsi - come nell'ipotesi in esame - che il lavoratore sia gia' titolare di una rendita e sopraggiunga un nuovo infortunio ma di grado inferiore al 6% (ovvero al 16%), con la conseguenza che la rendita gia' percepita non viene ad essere incrementata e, quindi, di fatto non ottiene il ristoro del danno biologico ma neanche l'incremento di rendita commisurato alla percentuale complessiva. Ovvero, addirittura abbia un'inabilita' vicina alla soglia del 16% ma vede liquidato il solo danno biologico. Ora, se si tien conto della «natura» prevalentemente, se non esclusivamente, «risarcitoria delle prestazioni erogate dall'Istituto» (Cass. n. 7174/1990; conf.: n. 13044/1999, n. 1449/1986, n. 5945/1980), e' agevole concludere che nell'un caso come nell'altro, e' possibile che si verifichino, come nell'ipotesi sub iudice, delle omissioni risarcitorie anche permanenti, se si esclude l'ipotesi dell'aggravamento. 4). A parere di questo Tribunale i parametri costituzionali violati dell'art. 13, comma 6 legge n. 38/2000 sono molteplici: 4.a) violazione dell'art. 76 cost. Appare del tutto evidente che il legislatore delegato e' incorso in eccesso di delega, cosi' violando l'art. 76 cost., poiche' ha oltrepassato il fisiologico confine del «riempimento» delineato dalla norma delegante, divergendo dalle finalita' della delega desumibili dai principi e criteri direttivi nella stessa tracciati (ex plurimis: Corte cost. n. 198/1998). In effetti il Parlamento aveva rimesso al Governo il ben preciso compito di ridisegnare il sistema limitatamente alla tutela del diritto alla salute dei lavoratori, sub specie di integrita' biopsicologica. Ed infatti l'indicazione era stata nel senso di adeguare la tariffa dei premi, al fine di garantire idonee copertura e valutazione del danno biologico, restando nell'ambito del sistema di indennizzo e di sostegno sociale gia' sedimentato. Insomma, il Governo era stato chiamato ad estendere l'oggetto dell'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, altresi' alla copertura del rischio «danno biologico», fermo restando i livelli di sicurezza sociale fino ad allora garantiti. Di fatto, e' stato operato un massiccio intervento demolitore sul meccanismo di cui all'art. 80 testo unico, nient'affatto funzionale al raggiungimento della delega ricevuta ed anzi limitando quel «sistema di indennizzo e sostegno sociale», che era tenuto a mantenere, secondo le direttive della delega, le volte in cui, come nel caso in esame, la percentuale di inabilita' riportata dall'infortunio successivo non sia idonea ne' a garantire un ristoro capitalizzato, perche' inferiore al 6%, e neppure un incremento della rendita ma che lo sarebbe per effetto del cumulo. Per questa via si impone, dunque, la declaratoria di illegittimita' costituzionale del divieto di cumulo, ripristinando integralmente il meccanismo di cui all'art. 80 testo unico; 4.b) violazione dell'art. 38, comma 2, cost. Come gia' accennato, la giurisprudenza della Suprema Corte si e' sostanzialmente assestata, definendo di natura tendenzialmente risarcitoria le prestazioni fornite dall'INAIL (ex plurimis Cass. n. 7174/1990). Cio' non esclude che il legislatore, nella sua autonomia, possa stabilire delle franchigie di indennizzo. Tale scelta sara' conforme a costituzione le volte in cui la soglia di non indennizzabilita' non si traduca in una sostanziale ablazione del diritto ad ottenere i «mezzi adeguati alle esigenze di vita in caso di infortunio, malattia (...)» (art. 38, comma 2, cost.). Posta, dunque, la legittimita' della soglia, ed ammesso per ipotesi che lo sia anche nella misura attualmente prevista dalla legislazione, ne discende che in essa - almeno fino a declaratoria di illegittimita' - e' da individuare quel parametro di ragionevole scelta atta garantire le esigenze tutelate dalla Carta fondamentale. Da tanto deriva, da un lato, che il suo rispetto si impone per tutta la fase storica di sua vigenza e, per converso, dall'altro, che la sua violazione si traduce in lesione del parametro costituzionale, di tal che' sono da considerare illegittime tutte quelle norme che, coniando particolari meccanismi di calcolo, come il comma 6, parte II, art. 13 d.lgs. n. 38/2000, finiscono con l'escludere, in via di fatto, l'indennizzo (in conto capitale o rendita), anche quando la soglia (di legge) di inabilita' complessiva sarebbe superata; 4.c) violazione dell'art. 3, comma 2, cost. Anche il parametro dell'uguaglianza di fatto dei cittadini, stabilito dall'art. 3 cost. ne risulta violato, ben potendo accadere che per medesime patologie si abbiano trattamenti diversi a seconda che la loro coesistenza si ponga a cavallo fra il vecchio ed il nuovo regime, ovvero solo ed esclusivamente nel nuovo. In via di fatto ad essere penalizzati sono tutti quei lavoratori le cui inabilita' ricevono trattamento (discriminatorio) dalle due discipline, poiche' per gli altri, sia quelli governati dal testo unico 1965 sia per quelli ricadenti completamente nel d.lgs. 38/2000, il meccanismo di calcolo e' sempre quello dell'art. 80 testo unico, riformulato nel comma, art. 13 d.lgs. n. 38/2000. Sfugge, quindi, la ragionevolezza di una simile scelta. Ne' puo' dirsi che insormontabili ostacoli per il ricorso al cumulo derivino dalla riformulazione delle tabelle, operata nella nuova legge n. 38/2000, in quanto, avendo lo stesso legislatore previsto il mantenimento del procedimento di cumulo per l'ipotesi di aggravamento delle «vecchie» inabilita', vuol dire che esso tuttora e' in essenziale armonia con il nuovo sistema.