LA COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE

    Ha   emesso  la  seguente  ordinanza  di  remissione  alla  Corte
costituzionale.

                   Ritenuto in fatto ed in diritto

    Con  istanza  dell'11 luglio 1997, la societa' Poliresine S.r.l.,
in  persona  del  suo  legale  rappresentante,  sig.ra  Gaballo Luce,
chiedeva alla Direzione regionale delle Entrate - sezione staccata di
Lecce   -,  la  restituzione  dell'importo  di  L. 150.732.000  (Euro
77.846,58)  versato  a  titolo  d'imposta  patrimoniale,  ex  d.l. 30
settembre  1992,  n. 394,  convertito  dalla  legge 26 novembre 1992,
n. 461,  per  gli  anni  d'imposta:  1992-93-94-95-96,  ritenendo  la
suddetta  imposta  in  contrasto  con  la direttiva n. 69/335/CEE. La
stessa  istante,  con ricorso presentato in data 20 maggio 1998, alla
C.T.P. di Lecce faceva presente che l'Ufficio non aveva provveduto al
rimborso,  e si era, quindi formato il silenzio-rifiuto. Pertanto, la
ricorrente,  tramite  il suo procuratore chiedeva, in via principale,
l'accoglimento  del  ricorso  con  condanna  dell'Ufficio al rimborso
delle  somme  indebitamente  versate a titolo di imposta patrimoniale
per gli esercizi sociali sopra menzionati, stante il contrasto con la
direttiva  n. 69/335/CEE,  oltre  gli interessi maturati e maturandi,
come  per  legge.  Inoltre,  in  via subordinata, lo stesso difensore
chiedeva,  in  caso  di  rigetto  delle tesi suesposte, la rimessione
degli  atti  alla  Corte  di  Giustizia  della  Comunita' europea del
Lussemburgo ex art. 177 del Trattato di Roma, al fine di domandare se
sia  compatibile  con l'Ordinamento comunitario, e, segnatamente, con
la  direttiva  suddetta,  la  previsione  legislativa  di cui al d.l.
n. 394/1992  e  succ.  mod. ed int.. Ancora, in via piu' subordinata,
veniva   pure   chiesta   la   rimessione   degli   atti  alla  Corte
costituzionale  in  quanto:  «l'imposta  in esame, oltre ad essere in
contrasto  con  la direttiva comunitaria, viola anche alcuni principi
costituzionali. Segnatamente, l'imposta patrimoniale, applicabile sia
al  capitale  che  agli  aumenti  di  patrimonio  netto costituiti da
riserve,  appare  in  contrasto  con  il  "principio  della capacita'
contributiva" (art. 53 Cost.) poiche' tassa con un'aliquota che va ad
aumentare  di  anno in anno, (tanto da risultare sproporzionata), una
ricchezza   gia'  tassata,  e,  inoltre,  va  a  colpire  le  riserve
societarie   che  non  rappresentano  un  incremento  del  potenziale
economico  della societa'. Infine, quanto alla tassazione degli utili
non  distribuiti,  la  medesima imposta contrasta con il principio di
"uguaglianza" (art. 3 Cost.) e con quello della "tutela al risparmio"
(art. 47  Cost.),  discriminando le societa' che portano a patrimonio
netto   gli  utili  prodotti,  rispetto  a  quelle  societa'  che  li
distribuiscono».
    In  ordine  al  termine  decennale  per  il recupero dell'imposta
indebitamente   versata,   il  medesimo  difensore  della  ricorrente
sottolineava  che  detto  termine: «e' sicuramente quello civilistico
decennale di prescrizione ordinaria (art. 2946 c.c.), come piu' volte
ribadito  dalla  Corte  di  Giustizia CEE, secondo cui il legislatore
nazionale, nel caso in cui una norma interna risulti in contrasto con
una  direttiva  comunitaria,  verso  la quale lo Stato membro risulti
inadempiente  per  non  essersi  adeguato,  non  deve  penalizzare  i
contribuenti  con  un  termine  breve che sostanzialmente ostacoli il
rimborso».
    Con  memorie,  depositate  in  data 11 luglio 1998 e dirette alla
C.T.P.  di Lecce, l'Ufficio si costituiva in giudizio, contestando la
richiesta  della  societa'  ricorrente ed eccependo, tra l'altro, che
nella  specie  non  trattavasi  di  doppia  imposizione, in quanto la
normativa  comunitaria  limita  la tassazione alle imposte indirette,
mentre,   l'imposta   patrimoniale  e'  un'imposta  diretta;  in  via
subordinata,    lo   stesso   Ufficio   eccepiva   l'inammissibilita'
dell'istanza  di rimborso della Poliresine per intervenuta decadenza,
ex  art. 38  del  d.P.R.  n. 602/1973,  limitatamente  ai  versamenti
effettuati  anteriormente  ai  18  mesi dalla produzione dell'istanza
stessa.
    In  data 19 ottobre 1998, con sentenza n. 432/06/98, la C.T.P. di
Lecce,  sez. 6ª,  accoglieva  totalmente  il  ricorso,  disponendo il
rimborso  dell'imposta  indebitamente versata, oltre gli interessi, e
compensava  tra  le  parti le spese del giudizio. Il giudice di primo
grado  riteneva  conclusivamente che «l'imposta sul patrimonio netto,
quindi,  determina  un'illegittima  duplicazione  dell'imposizione in
discorso  -  rinnovata,  oltretutto,  per  diverse  annualita'  -  in
conflitto  con  la  sopraccennata direttiva comunitaria n. 69/335 CEE
ed,  in  particolare,  con  l'art. 10  che  vieta  la introduzione di
imposte  ad  effetto  equivalente all'imposta sui conferimenti; e va,
pertanto,  disapplicata perche' illegittima, con conseguente condanna
dell'Ufficio al rimborso in favore della ricorrente di tutte le somme
versate a tale titolo.....
    In  relazione,  infine,  alla  eccezione  di  decadenza, avanzata
dall'Ufficio,  del  diritto  al  rimborso  delle  somme  richieste in
restituzione  oltre  il  termine  di  18  mesi dall'effettuazione dei
relativi  versamenti  ex  art. 38  d.P.R. n. 602/1973, s ritiene che,
secondo  costante giurisprudenza della Corte di Giustizia europea (ad
es.  C-208/90  del  25  luglio  1991)  i termini per la presentazione
dell'istanza   di  rimborso  decorrono  dal  momento  della  corretta
trasposizione della direttiva nella normativa nazionale».
    Avverso  tale sentenza (pronunciata, peraltro, in data 19 ottobre
1998  e,  cioe', anteriormente alla sentenza della Corte di Giustizia
del 27 ottobre 1998, di cui si dira' in seguito) l'Ufficio, in data 6
ottobre 1999, proponeva appello alla Commissione Tributaria Regionale
di  Bari  e,  con  tale gravame, contestava la tesi accolta dai primi
giudici   per   quanto  riguarda  l'affermazione  che  l'imposta  sul
patrimonio   netto   delle   imprese  e  l'imposta  di  registro  sui
trasferimenti di capitale possano essere considerate tasse di effetto
equivalente; rifacendosi alla sentenza della Corte di Giustizia della
CEE del 27 ottobre 1998 e alla circolare del Ministero delle finanze,
n. 125/E del maggio 1999, che nega qualsiasi assimilazione tra le due
forme  di  tributo,  e ne ammette, di conseguenza, la compatibilita'.
Concludeva,  lo stesso Ufficio, chiedendo l'accoglimento dell'appello
e,  in  riforma  dell'impugnata  sentenza n. 432/1998, il rigetto del
ricorso proposto dalla Poliresine S.r.l., con condanna della societa'
ricorrente  al  pagamento  delle  spese  di  primo e secondo grado di
giudizio.
    La  Poliresine S.r.l. si costituiva dinanzi a questa Commissione,
presentando,  in  data 12 febbraio 2000, controdeduzioni con le quali
chiedeva   il  rigetto  dell'appello  proposto  dall'Ufficio  con  la
conferma  della  sentenza  di  primo grado e ribadiva quanto gia' ivi
esposto,   riproponendo,   infine,   la   questione  di  legittimita'
costituzionale  dell'imposta in oggetto per contrasto con gli artt. 3
e  47  Cost.,  in  quanto,  la  stessa applicabile ai soli aumenti di
patrimonio  netto, costituiti da utili di esercizio, discriminerebbe,
inammissibilmente, le societa' che inseriscono a patrimonio netto gli
utili prodotti, rispetto a quelle che li distribuiscono.
    Con provvedimento fuori udienza del 19 giugno 2002, questa stessa
Commissione  riteneva  indispensabile  la  nomina  di  un  consulente
tecnico  di  Ufficio,  il  quale,  all'udienza del 10 luglio 2002, si
presentava ed allo stesso venivano posti i quesiti del caso.
    In  data  20  novembre  2002,  il dott. Marcello Marchetti, (CTU)
depositava relazione tecnica di cui in atti.
    All'udienza  del 16 settembre 2003, la causa veniva riservata per
la  decisione,  in  seguito  alla  presenza  del  CTU  d'ufficio, che
confermava  la  sua  relazione  con  gli  allegati  richiesti, e alle
conclusioni  delle parti, le quali si riportavano a tutti gli scritti
difensivi;  insistendo, in particolare, l'Ufficio, per l'accoglimento
dell'appello,  ed,  il difensore della appellata, ribadendo tutti gli
argomenti  svolti,  con  riferimento piu' specifico alla questione di
costituzionalita'  della  normativa  di  cui  al d.l. n. 394/1992 per
violazione   dell'art. 53   Cost.,  «sotto  il  profilo  di  una  non
considerazione  adeguata della capacita' contributiva, prevista dalla
stessa  norma  costituzionale  quale presupposto di ogni imposizione,
anche  per  il protrarsi della straordinarieta' della stessa imposta,
istituita nel 1992 e prorogata sino al 1997».
    A questo punto, il Collegio, anzitutto, rileva che, come e' stato
-  anche  piu' volte - osservato sul punto specifico dalla prevalente
dottrina,  l'imposta  sul  patrimonio  netto delle imprese, istituita
come   sopra,  e'  stata  oggetto  di  notevoli  controversie  tra  i
contribuenti e l'amministrazione fmanziaria; e si e' constatato anche
un persistente contrasto tra la giurisprudenza tributaria nazionale e
la  Corte  di Giustizia CEE, in merito alla ritenuta incompatibilita'
dell'imposta italiana in esame con la direttiva CEE n. 69/335.
    Invero,  i giudici comunitari, come e' noto, si sono pronunciati,
gia'  due  volte, sulla questione (cfr. Corte di Giustizia CEE, sent.
27  ottobre  1998,  causa  n. C-  4/97  ed  Ord. 15 marzo 2001, cause
riunite),  affermando  la  compatibilita'  della stessa imposta delle
imprese con l'ordinamento comunitario.
    Il Collegio, non puo' non prendere atto di quanto sin qui esposto
in   relazione   ai  vari  problemi  -  evidenziati  da  parte  della
giurisprudenza  dei  giudici  tributari  nazionali  e  della Corte di
Giustizia  CEE,  nonche'  della  dottrina specifica -, in ordine alla
compatibilita'   o   meno   della   legge   istitutiva   dell'imposta
patrimoniale di cui al d.l. 30 settembre 1992, n. 394, convertito con
modificazioni  dalla legge 26 novembre 1992, n. 461, in rapporto alla
direttiva CEE n. 335/69.
    Pero'  non puo' trascurarsi che, sia nel giudizio di primo grado,
sia  in  quello  di  appello,  la  Societa' appellata, tramite il suo
difensore, ha richiesto, anche se subordinatamente, di dichiarare non
manifestamente    infondata    la    questione    di   illegittimita'
costituzionale  delle  norme  previste  dal  d.l.  30 settembre 1992,
n. 394.
    All'uopo,  si  richiamano  i  motivi  gia' indicati dal difensore
della    societa'   appellata   a   supporto   delle   questioni   di
costituzionalita' dallo stesso proposte: contrasto della normativa di
cui  al d.l. n. 394/1992, convertito in legge 26 novembre 1992 n. 461
con  gli  artt. 3  e  47  Cost.: principio di uguaglianza; tutela del
risparmio  in  tutte  le  sue  forme, discriminandosi le societa' che
portano  a  patrimonio netto gli utili prodotti rispetto a quelle che
li  distribuiscono;  e con l'art. 53 Cost.: principio della capacita'
contributiva,   poiche'   viene   stabilita   dal   d.l.  n. 394/1992
un'imposta,  con  un'aliquota che aumenta di anno in anno, - tanto da
risultare  sproporzionata -, una ricchezza gia' tassata; ed, inoltre,
va   a  colpire  le  riserve  societarie  che  non  rappresentano  un
incremento  del potenziale economico della societa'; considerando che
la capacita' contributiva e' il presupposto di ogni imposizione, e la
medesima  imposta  sul patrimonio netto, istituita nel 1992, e' stata
prorogata irragionevolmente sino al 1997.
    Orbene,  su  tali  questioni  di  costituzionalita',  il Collegio
ritiene  di  doversi  pronunciare,  anche  di ufficio, perche', a suo
parere,   le   stesse   possono   considerarsi   di  pregiudizialita'
alternativa  in  rapporto  a  quella affrontata dinanzi alla Corte di
Giustizia; e cio', per i motivi che di seguito si evidenziano.
    All'uopo,  e'  indispensabile  premettere  che,  ai  fini  di una
corretta impostazione delle questioni, non puo' farsi a meno di tener
presente l'intento del legislatore comunitario che aveva disciplinato
compiutamente l'imposizione fiscale sulla raccolta dei capitali.
    Si  e'  opportunamente rammentato sul punto, che: «la ratio della
direttiva  comunitaria  - peraltro, gia' espressa nel Preambolo della
stessa  -  e'  quella  di  evitare che le imposte sui conferimenti in
vigore  negli  Stati  membri,  diano  luogo  a  «doppia imposizione»,
nonche'   a  disparita'  che  ostacolano  sostanzialmente  la  libera
circolazione dei capitali. La direttiva, pertanto consente agli Stati
membri  di  applicare una sola volta un'imposta sui conferimenti e li
invita  a  sopprimere tutte le altre diverse imposizioni contrastanti
con  la  ratio  della  direttiva  medesima;  determinando il campo di
applicazione  e indicando, compiutamente, le operazioni da sottoporre
all'imposta  sui  conferimenti i soggetti passivi la base imponibile,
nonche'  l'aliquota massima da applicare (fissata nell'1% a decorrere
dal  1°  gennaio  1976).  Essa,  inoltre,  al  fine di facilitare gli
investimenti  di  capitali, evitando, peraltro, discriminazioni tra i
diversi  Stati  membri,  impone  agli  stessi  il  preciso divieto di
adottare,  oltre  all'imposta  sui  conferimenti,  altra imposizione,
«sotto  qualsiasi  forma»  (art. 10); nel contempo consente eccezioni
tassativamente  previste  (art. 12),  nonche'  l'adozione  di  alcune
misure  in  deroga,  per  motivi di equita' fiscale, ordine sociale e
situazioni particolari (art. 9). Tuttavia, al fine di evitare effetti
distorsivi  impone,  a  ciascuno  Stato  membro  che intende adottare
misure  in  deroga,  di  rivolgersi  preventivamente alla Commissione
della  Comunita'  europea, in tempo utile, secondo il procedimento di
cui  all'art. 102  del  Trattato  di  Roma»  (e si e' gia' detto, per
compiutezza   d'indagine,   circa   le   problematiche   sviluppatesi
nell'applicazione  della  direttiva  stessa,  nonche'  dei  risultati
decisionali  in  sede  giurisdizionale,  da  parte  delle Commissioni
Tributarie Italiane, ed anche dalla Corte di Giustizia U.E.).
    L'imposta sul patrimonio netto delle imprese - su cui deve essere
piu'   mirata   la   valutazione   in   ordine   alle   questioni  di
costituzionalita'  di cui si e' detto - com'e' noto, fu istituita dal
legislatore  italiano con d.l. n. 394, 30 settembre 1992, convertito,
con   modificazioni,   dalla   legge   n. 461/1992.   La   stessa  fu
successivamente  prorogata  con d.l. n. 564/1994, convertito in legge
30  novembre  1994,  n. 656,  ed,  ancora, con legge 28 dicembre 1995
n. 549.
    Orbene,  dovendo valutare specificamente i problemi relativi alle
eccezioni di illegittimita' costituzionale, cosi' come proposti dalla
difesa  privata, e le questioni di costituzionalita' rilevabili anche
d'ufficio  con  riferimento  alle  disposizioni  di cui alle leggi di
conversione:  26  novembre  1992, n. 461 (Istitutiva dell'imposta sul
patrimonio  netto  delle  imprese); 30 novembre 1994, n. 656 (Proroga
della   stessa   legge);   28   dicembre  1995,  n. 549,  (contenente
un'ulteriore  proroga della medesima imposta), il Collegio ritiene di
notevole  importanza  tener presente l'orientamento di codesta ecc.ma
Corte   per   quanto   concerne,  in  generale,  il  controllo  della
discrezionalita'  riservato  al  legislatore  in relazione alle varie
finalita', cui di volta in volta, si ispira l'attivita' d'imposizione
fiscale.
    Sul  punto,  la  Corte ha affermato, con l'ordinanza piu' recente
n. 124/2003, - sia pure con riferimento ad altra imposta (IRAP) - che
«...  omissis....  alla  luce della costante giurisprudenza di questa
Corte  "rientra  nella  discrezionalita' del legislatore, con il solo
limite  della  non arbitrarieta', la determinazione dei singoli fatti
espressivi  della capacita' contributiva ex art. 53 Cost., che, quale
idoneita'   del  soggetto  all'obbligazione  d'imposta,  puo'  essere
desunta  da  qualsiasi  indice  che sia rivelatore di ricchezza e non
solamente  dal  reddito  individuale (sentenze nn. 111/1997; 21/1996;
142/1995,  159/1985"».  Inoltre,  con  la  sentenza  n. 111/1997,  ha
ribadito che la discrezionalita' del legislatore, «omissis... come la
Corte ha costantemente affermato, consente al legislatore stesso, sia
pure  con il limite della non arbitrarieta', di determinare i singoli
fatti  espressivi  della capacita' contributiva, che, quale idoneita'
del  soggetto  all'obbligazione  d'imposta,  puo'  essere  desunta da
qualsiasi   indice   rivelatore   di   ricchezza  (reddito,  consumo,
patrimonio  nella sua oggettivita' ovvero, nel momento specco del suo
incremento,  ecc.  ...) ... allo stesso modo non e' di per se' lesivo
del principio di uguaglianza e di capacita' contributiva il fatto che
il  legislatore individui, di volta in volta, quali indici rivelatori
di  capacita' contributiva, le varie specie di beni patrimoniali, sia
di  natura mobiliare che immobiliare, come risulta dalla legislazione
vigente,  in  ordine  alla quale si possono esemplificarne: l'imposta
sul  patrimonio  netto delle imprese (legge 26 novembre 1992, n. 464)
.........  omissis» (quest'ultima legge e' quella relativa al caso in
esame). Infine, questa stessa on.le Corte, con sentenza del 28 giugno
1995,  n. 313,  ha  affermato,  (sia  pure  con  riferimento ad altra
questione  di  costituzionalita' riferentesi a norme del cod. penale)
«...Perche'   sia   dunque   possibile   operare  uno  scrutinio  che
direttamente  investa  il  merito  delle  scelte  (.....) operate dal
legislatore,   e',   pertanto,  necessario  che  l'opzione  normativa
contrasti in modo manifesto con il canone della ragionevolezza».
    Pertanto,   tenendo   in  adeguata  considerazione  cio'  che  ha
stabilito  questa  ecc.ma  Corte  con  le  sentenze  sopra  indicate,
tornando   al   caso  di  specie,  in  relazione  alle  eccezione  di
illegittimita'    costituzionale   proposta   dal   difensore   della
Poliresine,  di  cui sopra si e' fatto cenno, ritiene il Collegio che
la  stessa  non  possa  considerarsi  manifestamente  infondata,  con
riferimento  a  quanto  disposto  dall'art. 1 della legge 26 novembre
1992  n. 461  e  dal decreto ministeriale 7 gennaio 1993 del Ministro
delle finanze, delegato ex art. 3, comma 7 della stessa legge, per il
contrasto,  sia con il principio di «uguaglianza» (art. 3 Cost.), sia
con  quello  della «tutela al risparmio» (art. 47 Cost.) ed anche con
quello   della   «capacita'  contributiva»  (art. 53  Cost.),  avendo
discriminato  le  societa'  che  accantonano gli utili prodotti nelle
riserve  societarie,  con consequenziale assoggettamento all'imposta,
rispetto  a  quelle  che,  distribuendoli,  non  sono  soggette  alla
medesima  imposizione;  nulla  avendo precisato in merito, sul punto,
sia  il  legislatore  che  il Ministro delle finanze, col decreto del
1993. All'uopo, devesi anche ricordare che l'oggetto impositivo della
nuova imposta, e' desumibile dall'art. 1 della stessa legge del 1992,
n. 461  che precisa: «l'imposta si applica ..... sul patrimonio netto
cosi' come risulta dal bilancio o, in mancanza, dai relativi elementi
desumibili    dalle    scritture   contabili   diminuito   dell'utile
dell'esercizio».    Cio'    appare    in    netta   e   irragionevole
contrapposizione   con  la  possibilita'  che  detto  utile  sia  poi
considerato imponibile, per l'imposta in esame allorquando confluisca
nelle riserve della societa', senza che venga distribuito; e, quindi,
anche  con  violazione  del  principio di ragionevolezza, ben noto ed
espresso molto autorevolmente da quest'Eccellentissima Corte.
    A  questo punto, il Collegio ritiene necessario richiamare quanto
gia'  precisato con riferimento sia alla stessa legge del 26 novembre
1992,  n. 461,  sia alle successive del 30 novembre 1994, n. 656 e 28
dicembre 1995, n. 549.
    Per  quanto  concerne  la  prima  di  dette  leggi: «Disposizioni
urgenti  in materia fiscale» il legislatore stabiliva, espressamente,
nell'art. 1, che «Fino alla revisione della disciplina tributaria del
reddito d'impresa e comunque non oltre l'esercizio in corso alla data
del  30  settembre  1994  ..... e' istituita l'imposta sul patrimonio
netto».
    Con  il d.l. n. 564 del 30 settembre 1994, convertito in legge 30
novembre  1994,  n. 656  «Disposizioni  urgenti  in materia fiscale»,
testualmente  si dichiarava «Disposizioni urgenti in materia fiscale;
il  Presidente  della  Repubblica;  visti  gli  artt. 77  e 87 Cost.;
ritenuta   la   straordinaria   necessita'   ed  urgenza  di  emanare
disposizioni in materia fiscale; vista la deliberazione del Consiglio
dei  Ministri  adottata  nella  riunione del 27 settembre 1994; sulla
proposta  del  Presidente  del  Consiglio dei Ministri e del Ministro
delle finanze, di concerto con i Ministri del tesoro e del bilancio e
della programmazione economica, emana il seguente decreto-legge: Art.
1 «Proroga dell'imposta sul patrimonio netto delle imprese: l'imposta
sul  patrimonio netto delle imprese di cui al d.l. n. 394/1992, conv.
succ.  con  la  legge  n. 461/1992,  si applica fino alla riforma del
sistema  fiscale  e,  comunque, non oltre all'esercizio in corso alla
data  del  30 settembre 1995». Infine, con la legge 28 dicembre 1995,
n. 549  (Misure  di  razionalizzazione  della  finanza  pubblica), si
prorogava   l'applicazione   dell'imposta   di   cui  in  esame  sino
all'esercizio in corso al 30 settembre 1997.
    Occorre,  inoltre, precisare che, dai lavori preparatori relativi
al  disegno di legge sulla conv. in legge del d.l. 30 settembre 1994,
n. 564,   (Atti   Parlamentari;  Camera  dei  Deputati  n. 1371;  22ª
Legislatura;  Disegni  di  legge  e  relazioni;  Documenti) si faceva
presente, in ordine alla proroga stabilita dal decreto, quanto segue:
«L'ambito  di  applicazione  temporale  era originariamente stabilito
fino  al periodo di imposta in corso alla data del 30 settembre 1994;
con  l'art. 1 del decreto in esame si e' provveduto a prorogarlo sino
alla  riforma generale del sistema e, comunque, non oltre l'esercizio
in  corso  alla  data  del 30 settembre 1995». Cio', senza null'altro
aggiungere  con  nferimento  al  termine di applicazione della stessa
imposta,  allorquando fu istituita (legge n. 461/1992), con il limite
temporale, gia' evidenziato: «comunque non oltre l'esercizio in corso
alla data del 30 settembre 1994».
    Ne' e' dato rinvenire altre considerazioni in merito alla proroga
nel  corso  dei  suddetti  lavori  preparatori  svoltisi,  con  molti
contrasti,  dalla maggioranza e dalla opposizione, ma con riferimento
ad altre norme della nuova legge.
    Soltanto  con  un  «comunicato stampa» del Ministro delle finanze
del  29  settembre  1994  (alla  vigilia dell'entrata in vigore della
nuova  legge)  si evidenziava quanto segue: «l'imposta sul patrimonio
netto  delle  imprese,  istituita  nel  1992,  produce attualmente un
gettito pari a circa 6000 mld. L'imposta scade nel corrente esercizio
e  la  proroga si rende necessaria per evitare l'emersione di un buco
futuro.  Il  relativo  gettito  non  concorre,  comunque, a formare i
21.000 mld della manovra, rilevando nel 1996».
    Il  Collegio  rileva,  inoltre,  che  il  legislatore del 1992, a
differenza  di  altre  imposizioni  una  tantum,  -  e cioe' limitate
temporalmente  (es.  nello  stesso  anno: d.l. 11 luglio 1992 n. 233,
conv.  con  mod. nella legge 8 agosto 1992, n. 359; d.l. 19 settembre
1992  n. 384,  conv. con mod. nella legge 14 novembre 1992, n. 438; e
negli  anni  successivi d.l. 30 dicembre 1993, n. 557, conv. con mod.
26  febbraio  1994,  n. 133; d.l. 19 dicembre 1994. n. 691, conv. con
mod.  legge 16 febbraio 1995, n. 35), - per le quali aveva dichiarato
espressamente la tipologia di tributi straordinari, cio' non ha fatto
per  quanto  concerne  la  stessa  legge del 1992, n. 461 (istitutiva
dell'imposta  de qua) pur stabilendone l'applicazione nei limiti gia'
indicati  nell'art. 1  della stessa legge. Questo e' accaduto, anche,
con  la  successiva  legge  30  novembre  1994, n. 656, relativa alla
medesima  imposta,  con  il  termine  finale:  «sino alla riforma del
sistema fiscale e, comunque, non oltre l'esercizio in corso alla data
del 30 settembre 1995. Infine, con la legge 28 dicembre 1995, n. 549,
con  termine  «fino all'esercizio in corso alla data del 30 settembre
1997,  neppure  ha  dichiarato  la  straordinarieta'  della  medesima
imposta».
    Orbene,  rileva,  ancora  il  Collegio, considerando oltre che la
lettera  legis,  anche  l'intenzione del legislatore ex art. 12 delle
disposizioni  sulla  legge  in  generale,  che e' desumibile, in modo
espresso,   da   tutti   i  lavori  preparatori  della  stessa  legge
n. 461/1992,  teste' richiamata, che il relatore di maggioranza e gli
esponenti   dell'opposizione   erano  stati  concordi  nell'affermare
trattarsi di imposta temporanea e straordinaria 1)
    Quindi,  questo  stesso  Collegio  e'  dell'avviso, anche secondo
l'orientamento   in  tal  senso  di  parte  della  dottrina  e  della
giurisprudenza  specifica  (tra  le altre: Com. Trib. Prov. Lecce, 13
aprile  2001;  30 luglio  2001), che tale imposta fosse straordinaria
con  tutti  i  relativi  effetti,  non  solo  formali, ma soprattutto
sostanziali,  anche  in  ordine  alla  possibilita' o meno di ben due
«proroghe»  per un'imposizione fiscale di tale natura; e nonostante i
termini di applicazione di cui si e' gia' fatto cenno.
    Cio'  precisato,  il Collegio e' dell'avviso che tali «proroghe»,
nei  modi  e  con le finalita' espresse dal legislatore, (senza altri
eventuali  interventi  per  soddisfare interessi pubblici rilevanti),
possono  considerarsi  in  contrasto con alcuni principi generali del
nostro   ordinamento,   ritenuti,   dalla  dottrina  ed  anche  dalla
giurisprudenza  di  legittimita',  immanenti  nel sistema, gia' prima
dell'entrata  in  vigore  dello  Statuto  del  contribuente (Cass. 10
dicembre 2002 n. 17576).
    Particolarmente,  quello  dell'affidamento  del  cittadino  nella
sicurezza   giuridica  che,  secondo  questa  Ecc.ma  Corte,  con  la
pronuncia  n. 525  del  22  novembre  2000, e' stato qualificato come
elemento   essenziale  dello  Stato  di  diritto.  Inoltre,  si  deve
rammentare, che la Corte di Giustizia comunitaria, con sentenze del 3
maggio  1978,  in causa 112/1977 e quella 21 settembre 1983, in cause
205-215/1982,  ha stabilito che la tutela del legittimo affidamento e
della  certezza  del  diritto  costituiscono  principi  generali  del
diritto e dell'ordinamento comunitario.
    Orbene,  il  Collegio  rileva  che,  con  le suddette «proroghe»,
l'imposta patrimoniale si e' protratta dal 1992 al 1997, nonostante i
destinatari  avessero  avuto  ben chiara la determinazione dei limiti
temporali  palesemente  perentori; (comunque non oltre l'esercizio in
corso  alla  data  del...),  di  cui  si e' gia' sopra specificamente
detto,  stabiliti  dallo  stesso  legislatore,  con affidamento sugli
stessi,  e con conseguente incidenza negativa sulla normale attivita'
delle    imprese,    stante    anche   l'irrazionevolezza   derivante
dall'evidente   contraddittorieta'   legislativa  tra  l'enunciazione
rigorosa di detti termini e una pura e semplice proroga degli stessi,
per   ben  due  volte  sino  all'abrogazione  dell'imposta,  avvenuta
nell'anno 1997.
    Deve,  pertanto,  ritenersi,  da  parte  di  questo Collegio, non
manifestamente   infondata  la  questione  di  costituzionalita'  con
riferimento  all'art. 1  della  legge  30  novembre 1994, n. 656 (che
stabiliva  la  proroga  della  precedente legge del 26 novembre 1992,
n. 461,  con  ulteriore  limite  «comunque,  non oltre l'esercizio in
corso alla data del 30 settembre 1995»), dell'art. 110 della legge 28
dicembre   1995,   n. 549   con   cui   si   prorogava  ulteriormente
l'applicazione  dell'imposta  «sino  all'esercizio  in  corso  al  30
settembre  1997» (anno in cui, come si e' ripetutamente precisato, la
stessa imposta veniva abrogata dalla legge istitutiva ddll'IRAP), per
violazione:
        degli   artt. 47  Cost.  (Tutela  del  risparmio),  53  Cost.
(mancata    valutazione    della    capacita'   contributiva   intesa
oggettivamente  Corte cost. n. 315/1994», in relazione al presupposto
economico   cui   l'obbligazione  tributaria  si  riferisce),  e  del
principio   di   ragionevolezza   per   la  contraddittorieta'  sopra
evidenziata,  in  antitesi  dei  principi  generali dell'ordinamento,
relativi all'affidamento e alla certezza del diritto.
    A  questo punto il Collegio, ritiene opportuno comunque precisare
che,   con   le   considerazioni   a  supporto  della  non  manifesta
infondatezza  delle questioni di costituzionalita' sopra evidenziate,
si e' ritenuto di seguire i principi della Ecc.ma Corte, espressi con
le   sentenze   su   citate   e,   non  si  e'  posta  in  dubbio  la
discrezionalita'  del  legislatore  del  1992, di istituire una nuova
imposta  «straordinaria»  sul  patrimonio  netto delle imprese, cosi'
come    risultante    dal   bilancio   .....   diminuito   dell'utile
dell'esercizio;  (anche  se  con una definizione del patrimonio netto
enunciata  nel decreto del Ministro delle finanze del 7 gennaio 1993,
gia' richiamato, secondo cui, ex art. 2, tale patrimonio e' rilevante
ai  fini  dell'applicazione  dell'imposta, se corrispondente a quello
indicato  dall'art 2424 del codice civile; con indicazione, pero', di
altre voci oltre le varie riserve, non previste nella stessa norma, e
senza  una  delega  specifica da parte del legislatore, il quale, con
l'art. 3,  comma 7 della legge istitutiva, aveva delegato il Ministro
a  stabilire, soltanto, le modalita' di attuazione delle disposizioni
di  cui  al  decreto-legge  stesso).  Si  sono  rilevate,  pero',  le
discutibili  modalita'  con  cui  lo  stesso legislatore, nella prima
legge  istitutiva  ed in quelle successive di «proroga», ha esplicato
tale potere discrezionale per le ragioni gia' espresse.
    Per quanto concerne la necessaria rilevanza di tutte le questioni
suddette,  il  Collegio ritiene che la stessa possa desumersi, anche,
da  cio'  che emerge dalla relazione del CTU, nella quale e' indicata
l'entita' dell'imposta patrimoniale versata dalla societa' Poliresine
-  che,  con questo procedimento, ne ha richiesto il rimborso - negli
anni  compresi tra il 1992 ed il 1996; sovrapponendosi, in parte, con
le  due  proroghe,  nei  vari  bilanci  della stessa societa', con un
mcidenza  negativa  sulla  fisiologia  degli stessi; - in particolare
negli anni 1993 e 1994 - essendosi verificata una perdita d'esercizio
di  notevole entita' a carico di un'impresa che e' risultata non aver
proceduto   alla  distribuzione  degli  utili,  accantonandoli  nelle
riserve  e,  in tal modo, ugualmente assoggettati all'imposta de qua,
nonostante  la  previsione  che  il  patrimonio  netto risultante dal
bilancio  per  ogni  anno,  ex  art. 1,  comma  2, legge n. 461/1992,
andasse «... diminuito dell'utile dell'esercizio».
          1)  Atti  Senato  della Repubblica 60° Seduta - Assemblea -
          Resoconto stenografico del 28 ottobre 1992, Discussione del
          disegno  di  legge:  Conversione in legge d.l. 30 settembre
          1992  n. 394,  recante  disposizioni concernenti un'imposta
          sul  patrimonio netto delle imprese - 667. Votazione finale
          qualificata   ai   sensi   dell'art. 120,   comma   3   del
          regolamento;   relazione   orale   SCHEDA   relatore:  «...
          D'altronde,  il  carattere  straordinario  dell'imposizione
          contemplata  da  questo  provvedimento  spiega di per se la
          necessita'    di    raggiungere   gli   obiettivi   imposti
          dall'attuale  deficit  fiscale, facendo appello al senso di
          responsabilita'  dei  contribuenti e all'inevitabilita' dei
          sacrifici  da  compiere...  omissis  ...  E'  della massima
          importanza  rilevare  che l'imposta introdotta avra' vigore
          solo fino all'esercizio in corso alla data del 30 settembre
          1994  (cioe'  solamente  tre  anni  di operativita), salva,
          ovviamente  una  revisione  entro  quel termine dell'intera
          disciplina tributaria del reddito di impresa, mentre, nelle
          intenzioni    originarie,    doveva    assumere   carattere
          strutturale e permanente. E' sembrato tuttavia estremamente
          inopportuno  introdurre nel nostro ordinamento fiscale, con
          carattere di permanenza un'imposta che ha, per i primi suoi
          presupposti,   la   necessita'  del  raggiungimento  di  un
          determinato    gettito,    e   quindi,   per   definizione,
          contingente»;   Aperta   la   discussione   generale,   Sen
          Visentini:  «Il  relatore  - che ringrazio - ha gia' svolto
          alcuni  importanti rilievi sul carattere del tributo che si
          afferma - ed e' scritto - ha carattere triennale, sebbene -
          mi  sia  consentito  dirlo,  -  il Ministro delle Finanze -
          singolarmente,  per  giustificarlo,  sembra  attribuirvi un
          carattere  permanente.  Ora  noi dobbiamo prendere il testo
          cosi'  com'e',  con  la  sua affermazione che il tributo ha
          carattere  temporale,  e'  di  natura  straordinaria  ed ha
          durata   triennale.  Le  possibili  riforme,  che  poi  non
          sarebbero   cosi'   sostanziali,   perche'   la   struttura
          resterebbe  sempre  quella del 1971 - come modificata negli
          anni  successivi  -  le  vedremo  in  avvenire. Presidente:
          «Dichiaro  chiusa  la  discussione generale. Ha facolta' di
          parlare  il  relatore  Sen.  Scheda. ...;» SCHEDA relatore:
          «Devo   continuare  a  ripetere  che  ci  troviamo  in  una
          situazione  di  emergenza e, a tale proposito, abbiamo gia'
          sottolineato   il   carattere   e  la  natura  strettamente
          straordinaria di questa provvedimento».