IL TRIBUNALE Ha pronunziato la seguente ordinanza nella causa civile iscritta al n. 6224 del ruolo generale degli affari contenziosi dell'anno 2003, avente ad oggetto risarcimento danni tra Casillo Vincenza, elettivamente domiciliata in Napoli, alla via Tropeano n. 48, presso lo studio dell'avv. Sergio Mottola che la rappresenta e difende in virtu' di procura a margine dell'atto di citazione, attrice e Fondiaria Sai S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Napoli alla piazza Milano n. 19, presso lo studio dell'avv. Roberto Raio, che la rappresenta e difende in virtu' di procura a margine della comparsa di risposta, convenuta e Pappa Diego, residente in Quarto alla via S. D'Acquisto n. 1, e Di Natale Patrizia, residente in Napoli alla via Monte Rosa n. 155, is. 5, convenuti. Motivi della decisione Il Tribunale, letti gli atti ed i documenti di causa. Considerato in fatto che l'attrice ha dedotto in citazione che, mentre viaggiava a bordo del ciclomotore Honda tg. 7SYHV di proprieta' di Di Natale Patrizia, era stata coinvolta in un incidente con l'auto Renault Clio tg. AA853AV di proprieta' di Pappa Diego, e che in conseguenza del sinistro aveva subito delle lesioni personali con postumi a carattere permanente. Rilevato che sulla scorta di tali fatti ha evocato in giudizio per ottenere il risarcimento dei danni i proprietari dei due veicoli coinvolti nel sinistro, nonche' la compagnia assicuratrice di entrambi, ai fini dell'art. 18 della legge n. 990 del 1969. Considerato che all'esito della prima udienza di comparizione, tenutasi il 20 maggio 2003, veniva rilevata la nullita' della notifica dell'atto introduttivo nei confronti della Di Natale e ne veniva disposta la rinnovazione ai sensi dell'art. 291 c.p.c., entro la data del 30 giugno 2003. Rilevato che alla successiva udienza del 6 novembre 2003, l'attrice evidenziava che l'atto, ancorche' consegnato all'ufficiale giudiziario prima della scadenza del suddetto termine (24 maggio 2003, una prima volta, e poi, al fine di eseguire la notifica ex art. 143 c.p.c., in data 26 giugno 2003), risultavano invece eseguite le formalita' di cui all'art. 143 c.p.c., solo il successivo 1° luglio. Considerato che sulla questione relativa alle conseguenze derivanti dal mancato rispetto del termine fissato per la rinnovazione della notifica, questo giudice riteneva di doversi riservare. Cio' premesso, ritiene questo Tribunale di dover sollevare la questione di costituzionalita' degli artt. 291 comma 3, e 307 comma 3 c.p.c., nella parte in cui, prevedono, al fine di impedire la cancellazione della causa dal ruolo e la conseguente estinzione, che laddove la parte si sia avvalsa della notifica a mezzo ufficiale giudiziario, e' necessario che nel termine prescritto si sia perfezionata la rinotifica e non anche che sia sufficiente la consegna dell'atto da rinotificare all'ufficiale giudiziario. Quanto alla rilevanza della questione osserva il Tribunale che dalla costituzionalita' o meno della norma dipende la doverosita' o meno per il Tribunale di dover disporre la cancellazione della causa dal ruolo con la successiva estinzione del giudizio, atteso che, secondo la costante giurisprudenza di legittimita', alla mancata rinnovazione della notifica deve equipararsi la notifica effettuata oltre il termine previsto dal giudice (cfr. Cassazione civile sez. lavoro 28 maggio 1990 n. 4926). Va altresi' considerato che non essendosi il destinatario della notifica costituito alcun effetto sanante puo' farsi discendere dalla circostanza dell'avvenuta notifica ancorche' oltre il termine, e che stante la mancata costituzione, il provvedimento di cancellazione non puo' essere subordinato alla mancata eccezione circa l'intempestivita' della rinotifica da parte del destinatario. Inoltre poiche' la formulazione letterale dell'art. 291 comma 3 c.p.c. fa chiaro riferimento all'esecuzione dell'ordine di rinnovazione, deve ritenersi che la norma presupponga, al fine di impedire le conseguenze pregiudizievoli per la parte, che la notifica sia stata perfezionata nel termine previsto. Sempre in vista della rilevanza della questione, ed al fine di evidenziare la necessita' di fare applicazione delle norme indicate nella fattispecie, occorre in primo luogo evidenziare che l'atto da notificare e' stato tempestivamente consegnato dall'attrice all'ufficiale giudiziario, una prima volta in data 24 maggio 2003 (e cioe' oltre un mese prima della scadenza del termine) ma che stante l'irreperibilita' del destinatario, come risulta dalla relata della notifica recante la data del 26 maggio 2003, l'atto e' stato nuovamente riconsegnato all'ufficiale giudiziario il 26 giugno 2003, con l'espressa indicazione che trattavasi di notifica urgente, avendo il pubblico ufficiale provveduto all'esecuzione delle formalita' di cui all'art. 143 c.p.c. solo il successivo 1° luglio 2003. Sul punto, e cioe' sulla questione relativa alle conseguenze della notifica fuori termine, deve innanzi tutto ricordarsi che secondo la costante giurisprudenza di legittimita' il mancato rispetto del termine perentorio comporta la decadenza della parte, senza che rilevi se l'inattivita' dipenda da una scelta volontaria, da negligenza o da un fatto non imputabile, ed in particolare si e' esclusa la possibilita' di una rimessione in termini, anche quando la decadenza si verifica per negligenza dell'ufficiale giudiziario (Cassazione civile 10 gennaio 1983 n. 177; Cassazione civile 29 ottobre 1992 n. 11763; Cassazione civile 5 luglio 2001 n. 9090), o addirittura per impedimento incolpevole dello stesso ufficiale giudiziario (Cassazione civile 14 dicembre 1988 n. 6811). Ne consegue che la parte non potrebbe quindi invocare una situazione legittimante la remissione in termini avendo la Corte costituzionale costantemente affermato l'infondatezza della questione di legittimita' costituzionale relativa alla mancata previsione di una norma generale che consenta la remissione in termini in caso di forza maggiore e caso fortuito (Corte cost. 26 luglio 1988 n. 900; Corte cost. 12 giugno 1991 n. 270). Inoltre, sebbene la riforma del processo civile - a seguito degli interventi del legislatore del 1995 - abbia introdotto con l'art. 184-bis c.p.c., una piu' generale fattispecie di rimessione in termini, e' costante l'interpretazione dei giudici di legittimita', sicche' puo' ritenersi che corrisponda al cd. diritto vivente, quella secondo la quale la norma in oggetto si applichi alle sole ipotesi di decadenza e preclusioni riferite ad attivita' che si situano all'interno del processo. Ed infatti l'interpretazione che si e' consolidata e' stata nel senso di escludere che la rimessione in termini possa venire invocata per l'esercizio del potere di impugnazione, in quanto potere che si esercita al di fuori del processo (Cass., 27 luglio 2002, n. 11136; Cass., 30 luglio 2002, n. 11218; Cass., 26 febbraio 2002, n. 2875; Cass., 6 dicembre 2000, n. 15491; Cass., 8 maggio 2000, n. 5778; Cass., 23 ottobre 1998, n. 10537; Cass., 25 maggio 1998, n. 5197; Cass., 17 settembre 1997, n. 9257). Ed invero, cosi' come rilevato dal Tribunale di Milano nella recente ordinanza del 19 maggio 2003, con la quale e' stata appunto sollevata la questione di costituzionalita' dell'art. 184-bis c.p.c., tale norma per la sua collocazione nel libro II, titolo I, capo II, sezione II sotto la rubrica «della trattazione della causa», riguarda le sole ipotesi in cui le parti costituite siano decadute dal potere di compiere determinate attivita' difensive nel corso della trattazione della causa ed in questo solo ambito rende operante la rimessione in termini e la sua disciplina; questa, pertanto, non e' invocabile per le «situazioni esterne» allo svolgimento del giudizio, rispetto alle quali vige tuttora la regola della improrogabilita' dei termini perentori disposta dall'art. 153 c.p.c. (Cass., 27 agosto 1999, n. 8999; Cass., 15 ottobre 1997, n. 10094). Quindi dall'ambito di applicazione dell'art. 184-bis c.p.c. sarebbero esclusi i poteri processuali esterni allo svolgimento del giudizio, come il potere di instaurare il processo di cognizione, il potere di impugnare la sentenza, il potere di proseguire o di riassumere il processo interrotto o sospeso. Posta tale doverosa premessa, tenuto conto che nella fattispecie l'atto da rinotificare era appunto l'atto di citazione, introduttivo del processo, il termine assegnato era un termine di natura esoprocessuale e non endoprocessuale, con la conseguenza che non vi e' spazio alcuno per la rimessione in termini della parte, e con la necessita' di dovere fare applicazione delle menzionate norme, di cui si dubita circa la conformita' ai principi costituzionali. Sempre quanto alla rilevanza, non puo' invero tenersi conto del fatto che la notifica andava effettuata ai sensi dell'art. 143 c.p.c. e che al momento della seconda consegna dell'atto all'ufficiale giudiziario, non vi erano i tempi sufficienti per il perfezionamento della notifica ai sensi di tale norma, ancorche' l'ufficiale si fosse tempestivamente attivato, atteso che opinando in tal senso, e quindi senza ritenere sufficiente per il rispetto del termine perentorio la mera consegna dell'atto, si dovrebbe concludere nel senso che il termine perentorio assegnato dal giudice verrebbe ad essere ridotto del tempo necessario al perfezionamento della notifica, senza che cio' emerga sia dalla lettera della norma che dal provvedimento del giudice. Inoltre ben potendo la situazione di irreperibilita' del destinatario della notifica emergere solo dopo un primo tentativo di notifica, si imporrebbe alla parte un onere, anche questo privo di fondamento normativo, di attivarsi sempre e comunque molto prima della scadenza del termine assegnatogli dal giudice o dalla legge. Passando alla questione della non manifesta infondatezza, ritiene chi scrive che le norme in oggetto cosi' come interpretate appaiono in contrasto con le previsioni di cui agli artt. 3, e 24 della Costituzione. Ed invero nella parte in cui la norma pretende, per il rispetto del termine assegnato per la rinnovazione della notifica, che questa debba perfezionarsi, non ritenendo sufficiente a tal fine che l'atto sia stato consegnato all'ufficiale giudiziario, la stessa vanifica sostanzialmente le facolta' processuali dell'attore, esponendolo alle conseguenze assolutamente pregiudizievoli derivanti dalla disorganizzazione degli uffici pubblici addetti a curare l'attivita' di notificazione, conseguenze che invece non si verificherebbero, ove ad impedire tali effetti si ritenesse sufficiente il mero inoltro dell'atto per la notifica all'ufficiale giudiziario. Tale sollecitato intervento della Corte, in termini di parziale declaratoria di illegittimita' costituzionale, appare altresi' in linea con la stessa giurisprudenza della Corte che ha avuto modo di affermare, in tema di notificazioni all'estero, che gli artt. 3 e 24 della Costituzione impongono che «le garanzie di conoscibilita' dell'atto, da parte del destinatario, si coordinino con l'interesse del notificante a non vedersi addebitato l'esito intempestivo di un procedimento notificatorio parzialmente sottratto ai suoi poteri di impulso» ed ha, altresi', individuato come soluzione costituzionalmente obbligata della questione sottoposta al suo esame quella desumibile dal «principio della sufficienza [...] del compimento delle sole formalita' che non sfuggono alla disponibilita' del notificante» (sentenza n. 69 del 1994). Tale principio e' stato poi ritenuto estensibile ad ogni tipo di notificazione e dunque anche alle notificazioni a mezzo posta, essendo palesemente irragionevole, oltre che lesivo del diritto di difesa del notificante, che un effetto di decadenza possa discendere - come nel caso di specie - dal ritardo nel compimento di un'attivita' riferibile non al medesimo notificante, ma a soggetti diversi (l'ufficiale giudiziario e l'agente postale) e che, percio', resta del tutto estranea alla sfera di disponibilita' del primo. Ne discende che, in considerazione dei ricordati principi costituzionali, gli effetti della rinnovazione della notificazione a mezzo ufficiale giudiziario, ancorche' cio' avvenga a mente dell'art. 143 c.p.c., devono, dunque, essere ricollegati - per quanto riguarda il notificante - al solo compimento delle formalita' a lui direttamente imposte dalla legge, ossia alla consegna dell'atto da notificare all'ufficiale giudiziario, essendo la successiva attivita' di quest'ultimo sottratta in toto al controllo ed alla sfera di disponibilita' del notificante medesimo. Ne' tale configurazione del sistema normativo, a seguito dell'auspicato intervento della Corte, appare idoneo a menomare i diritti di difesa del destinatario, in quanto, cosi' come precisato nella sentenza della Consulta n. 477 del 2002, relativa appunto al sistema delle notifiche a mezzo posta, resta naturalmente fermo, per il destinatario, il principio del perfezionamento della notificazione solo alla data di ricezione dell'atto, attestata dall'avviso di ricevimento, con la conseguente decorrenza da quella stessa data di qualsiasi termine imposto al destinatario medesimo, nonche', ad esempio, del rispetto dei termini a comparire imposti dall'art. 163-bis c.p.c. In sostanza a seguito della declaratoria di illegittimita' costituzionale, si estenderebbe anche alla previsione in oggetto la scissione soggettiva del momento perfezionativo del procedimento notificatorio, che risulta affermata dalla stessa legge n. 890 del 1982, laddove all'art. 8 prevede, secondo l'interpretazione vigente, che, nel caso di assenza del destinatario e di mancanza, inidoneita' o assenza delle persone abilitate a ricevere il piego, la notificazione si perfezioni per il notificante alla data di deposito del piego presso l'ufficio postale e, per il destinatario, al momento del ritiro del piego stesso ovvero alla scadenza del termine di compiuta giacenza, e che a seguito di vari interventi della Corte (e non gia' in via interpretativa) e' stato esteso a varie fattispecie di notifiche. Il contrasto poi con l'art. 3 della Carta costituzionale, si ravvisa oltre che per le ragioni sopra esposte, altresi' per la circostanza che, dovendosi ritenere a seguito dell'intervento della sentenza della Corte costituzionale n. 477 del 2002, che per le notifiche a mezzo posta per il notificante sia sufficiente la consegna dell'atto all'ufficiale giudiziario, vi sarebbe una ingiustificata discriminazione per la diversa ipotesi in cui la rinnovazione della notifica non avvenga a mezzo posta, bensi', come nel caso che ci occupa, a mezzo ufficiale giudiziario.