IL CONSIGLIO DI GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA Ha pronunciato la presente ordinanza sul ricorso in appello n. 715/2002, proposto da Cooperativa Acquario a r.l., Cooperativa House e Cooperativa Likelia, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentate e difese dagli avv.ti Giovanni Pitruzzella e Massimiliano Mangano, con domicilio eletto in Palermo, via Nunzio Morello n. 40, presso lo studio dei medesimi; Contro le signore Giovanna D'Alba in Masara' e Giuseppa D'Alba in Barone, rappresentate e difese dall'avv. Salvatore Raimondi, con domicilio eletto in Palermo, presso lo studio del medesimo, in via Nicolo' Turrisi n. 59; nei confronti: del Comune di Palermo, in persona del Sindaco pro tempore rappresentato e difeso dall'avv. Anna Maria Impinna, con domicilio eletto, in Palermo, via Lungarini n. 2, presso l'Ufficio dell'Avvocatura comunale; dell'Assessorato regionale al territorio e ambiente della Regione Sicilia, in persona dell'assessore pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura distrettuale dello Stato di Palermo, domiciliataria ex lege, in Palermo, via A. De Gasperi n. 81; per la riforma della sentenza n. 940/2002, in data 10 aprile 2002, del Tribunale amministrativo regionale della Sicilia, Palermo, I; Visto il ricorso in appello con i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione delle signore Giovanna D'Alba in Masara' e Giuseppa D'Alba in Barone, del Comune di Palermo e dell'Assessorato regionale al territorio e ambiente della Regione Sicilia; Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese; Visti gli atti tutti della causa; Relatore il Consigliere Pier Giorgio Trovato; uditi, alla pubblica udienza del 10 marzo 2004, l'avv. S. Trimboli, su delega dell'avv. G. Pitruzzella, per le cooperative appellanti, l'avv. S. Raimondi per le signore Giovanna D'Alba in Masara' e Giuseppa D'Alba in Barone e l'avv. dello Stato Rubino per l'Assessorato regionale territorio ed ambiente; Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue: F a t t o 1. - Le signore Giovanna D'Alba in Masara' e Giuseppa D'Alba in Barone, proprietarie di terreni in localita' Cardillo, nel comune di Palermo, impugnarono avanti al Tribunale amministrativo regionale della Sicilia alcuni atti del Comune di Palermo e della Regione Sicilia, concernenti la localizzazione, nelle aree di loro proprieta', di un programma costruttivo predisposto da alcune cooperative edilizie (Cooperativa Acquario a r.l, Cooperativa House e Cooperativa Likelia). Piu' esattamente erano impugnati: la deliberazione del Consiglio comunale di Palermo n. 187 del 26 settembre 1997, avente ad oggetto la individuazione e la localizzazione dei comparti di aree e degli edifici relativi agli interventi di edilizia economica e popolare ai sensi dell'art. 25 della legge regionale 6 aprile 1996, n. 22; la successiva deliberazione consiliare n. 232 del 23 ottobre 1997, recante modifiche e integrazioni alla precedente deliberazione n. 187 del 1997; il decreto n. 1/DRU, in data 7 gennaio 1998, con il quale l'assessore regionale territorio e ambiente aveva nominato un commissario ad acta, presso il Comune di Palermo, al fine di provvedere sulla richiesta di approvazione del programma costruttivo proposto dalle cooperative sopra menzionate; la deliberazione commissariale n. 57 in data 28 marzo 1998 di approvazione del programma costruttivo proposto dalle cooperative; la determinazione dirigenziale comunale n. 217, in data 30 luglio 1999, con la quale si autorizzava il tecnico incaricato delle procedure espropriative ad accedere ai luoghi per la redazione dello stato di consistenza; la deliberazione del Consiglio comunale di Palermo n. 225 del 3 agosto 1999, recante atto di indirizzo sull'applicazione della legge regionale n. 22 del 1999 e della delibera consiliare n. 187 del 1997; il provvedimento assessorile, di estremi sconosciuti, di approvazione della delibera commissariale n. 57 del 28 marzo 1998. Erano dedotte le seguenti dodici censure: 1) violazione e falsa applicazione dell'art. 8 della legge regionale 30 aprile 1991, 10, in relazione all'omesso prescritto avviso dell'avvio del procedimento relativo alle deliberazioni consiliare n. 187 del 1997 e commissariale n. 57 del 1998; 2) violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e seguenti della legge 18 aprile 1962, n. 167, dell'art. 16 della legge regionale 27 dicembre 1978, n. 71, dell'art. 2 della legge regionale 6 maggio 1981, n. 86, come sostituito dall'art. 25 della legge regionale 6 aprile 1996, n. 22, nonche' eccesso di potere per sviamento e contraddittorieta', sul rilievo che con la deliberazione n. 187/1997 l'amministrazione comunale aveva sostanzialmente adottato un atto avente portata ed efficacia analoghe a quelle di un PEEP, senza il rispetto delle prescritte formalita', poste anche a garanzia dei proprietari delle aree interessate; 3) violazione e falsa applicazione dell'art. 5 della legge regionale 28 gennaio 1986, n. 1 e dell'art. 2 della legge regionale n. 86/1981, come sostituito dall'art. 25 della legge regionale n. 22/1996, osservandosi che la deliberazione commissariale n. 57 del 1998 non effettuava alcuna valutazione del fabbisogno abitativo per il successivo biennio; 4) violazione e falsa applicazione, sotto altro profilo, dell'art. 5 della legge regionale n. 1/1986 e dell'art. 2 della legge regionale n. 86/1981, come sostituito dall'art. 25 della legge regionale n. 22/1996, sul rilievo che il fabbisogno abitativo era stato ritenuto negativo, per il successivo decennio, nella relazione alla variante generale del piano regolatore generale del 1994; 5) violazione dell'art. 2 della legge regionale n. 86/1981, come sostituito dall'art. 25 della legge regionale n. 22/1996, eccesso di potere per perplessita' della motivazione e contraddittorieta', affermandosi che la delibera consiliare n. 187 del 1997 sembra fare applicazione del comma 4 dell'art. 25 della legge regionale n. 22/1996, mentre la delibera commissariale sembra fare riferimento ai commi 1 e 3 del medesimo art., senza che sussistano i presupposti per l'applicazione di alcuna delle due norme; 6) eccesso di potere per contraddittorieta', sostenendosi che la localizzazione del programma costruttivo delle cooperative controinteressate su aree libere contrasta con l'indirizzo manifestato dalla Amministrazione comunale di privilegiare il recupero del patrimonio edilizio esistente; 7) violazione e falsa applicazione dell'art. 4, comma sesto, della legge regionale n. 86/1981, in quanto il programma costruttivo avrebbe dovuto prevedere le aree per le opere di urbanizzazione secondaria del tutto assenti nella zona ne' previste in sede propria dal P.R.G.; 8) violazione e falsa applicazione dell'art. 5 della legge regionale n. 1/1986 e dell'art. 4 della legge regionale n. 86/1981, laddove il termine per la conclusione delle procedure espropriative era stato fissato in un quinquennio a fronte di una validita' biennale del programma; 9) violazione e falsa applicazione dell'art. 2 della legge regionale n. 86/1981, come sostituito dall'art. 25 della legge regionale n. 22/1996, eccesso di potere per difetto di istruttoria e difetto di motivazione, rilevandosi che la delibera commissariale n. 57/1998 era stata adottata senza esperimento di alcuna attivita' istruttoria e senza motivazione in ordine al sacrificio imposto ai proprietari delle aree espropriande; 10) violazione e falsa applicazione dell'art. 2 della legge regionale n. 86/1981 come sostituito dall'art. 25 della legge regionale n. 22/1996; violazione dell'art. 1 della legge regionale 24 luglio 1977, n. 25 e dell'art. 2 della legge regionale 21 agosto 1984, n. 66, sull'assunto che la nomina del commissario sarebbe illegittima per inapplicabilita' del termine di cui all'art. 25 comma quinto della legge regionale n. 22/1996; 11) violazione e falsa applicazione dell'art. 11 della legge regionale n. 25/1997 e dell'art. 5 della legge regionale n. 1/1986, in quanto l'area interessata dal programma costruttivo sarebbe soggetta a vincolo da parte della Soprintendenza ai beni culturali e ambientali, della quale non sarebbe stato acquisito il prescritto parere; 12) violazione e falsa applicazione dell'art. 35 della legge 22 ottobre 1971, n. 865 e dell'art. 7 della legge regionale n. 86/1981, sul rilievo che una porzione dell'area ricompresa nel programma doveva essere utilizzata in regime di proprieta'. Con motivi aggiunti, le ricorrenti poi, per i motivi gia' fatti valere con il ricorso introduttivo del giudizio impugnavano in via derivata, anche l'atto dirigenziale n. 156, in data 16 luglio 2001, con il quale l'Amministrazione comunale di Palermo aveva disposto la occupazione d'urgenza dei loro terreni. Con un secondo ricorso per motivi aggiunti, le ricorrenti - premesso di avere ricevuto successivamente alla data di notifica del ricorso introduttivo una nota della Amministrazione comunale nel quale veniva rilevata la illegittimita' della delibera commissariale n. 57 del 1998 e comunicato l'avvio di un nuovo procedimento tendente alla approvazione del programma costruttivo - deducevano le seguenti ulteriori censure: 13) violazione dell'art. 2, primo comma, della legge regionale n. 10/1991, in quanto l'Amministrazione non avrebbe completato il procedimento di riapprovazione del programma costruttivo come invece preannunziato nella relativa comunicazione di avvio del procedimento; 14) eccesso di potere per contraddittorieta' e difetto di motivazione, non comprendendosi le ragioni per le quali l'Amministrazione aveva superato le rilevate illegittimita' della delibera commissariale n. 57 del 1998 e aveva dato corso alla occupazione d'urgenza; 15) violazione e falsa applicazione dell'art. 4 della legge regionale n. 86/1981, sul rilievo che l'Amministrazione intendeva dare esecuzione al programma costruttivo pur successivamente alla scadenza del termine biennale di validita'. Si costituivano in giudizio l'Amministrazione regionale, il Comune di Palermo e la Cooperativa Acquario. Quest'ultima eccepiva, tra l'altro, l'inammissibilita' sia del ricorso principale che di quelli per motivi aggiunti, sul rilievo che il primo non era stato notificato al commissario ad acta (autorita' che aveva approvato il programma costruttivo) e che ne' il ricorso introduttivo ne' i motivi aggiunti erano stati notificati ritualmente alle cooperative controinteressate. Con sentenza interlocutoria n. 940 in data 10 aprile 2002, il Tribunale amministrativo regionale della Sicilia, Palermo, I, ha riconosciuto la sussistenza delle irritualita' dedotte dalla Cooperativa Acquario, ma ha rimesso in termini le ricorrenti per la rituale notifica sia al commissario ad acta sia alle Cooperative. Ha poi disposto incombenti istruttori. 2. - La sentenza e' stata appellata dalle Cooperative Acquario, House e Likelia, che hanno puntualmente contestato la determinazione del Tribunale amministrativo regionale in ordine alla rimessione in termini e hanno chiesto l'annullamento della sentenza, con la declaratoria di inammissibilita' del ricorso introduttivo del primo grado e dei relativi motivi aggiunti. Si sono costituite in giudizio le signore D'Alba, che hanno svolto puntuali controdeduzioni. Si sono costituite in giudizio anche le Amministrazioni, regionale e comunale. Sia le cooperative che le signore D'Alba hanno ulteriormente illustrato le proprie tesi in memoria difensiva. 3. - In particolare le resistenti, con memoria depositata il 19 gennaio 2004, hanno eccepito profili di illegittimita' costituzionale dell'art. 4, commi 1 e 2; dell'art. 6, commi 3, 4 e 5 e dell'art. 7 del decreto legislativo 24 dicembre 2003, n. 373, laddove si prevede la composizione mista della Sezione giurisdizionale del Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Sicilia, con la presenza nel collegio (oltre a magistrati del Consiglio di Stato) anche di componenti di designazione regionale. Piu' esattamente l'eccezione viene sollevata sotto i seguenti profili: 1) in rapporto all'art. 23, comma 1, dello Statuto siciliano ed in rapporto al comma 1 della VI disposizione transitoria della Costituzione che esclude dalla revisione la giurisdizione del Consiglio di Stato; 2) in rapporto all'art. 23, comma 1, dello Statuto siciliano, nonche' in rapporto all'art. 102, comma 2, e 108, commi 1 e 2 della Costituzione, non essendo consentito istituire sezioni specializzate nell'ambito dei giudici speciali; 3) in rapporto all'art. 23, comma 1, dello Statuto siciliano e all'art. 102, comma 1, e 108, comma 1, della Costituzione, in quanto l'art. 23 dello Statuto siciliano non prevede alcuna deroga alla composizione ordinaria delle sezioni del Consiglio di Stato da localizzare in Sicilia, e in rapporto agli artt. 102, comma 1, e 108, comma 2, della Costituzione, in quanto disciplina riservata dalla Costituzione alla legge statale, per cui eventuali deroghe a favore dell'autonomia regionale debbono essere supportate da una espressa previsione di pari rango costituzionale che non e' rinvenibile nell'art. 23, comma 1, dello Statuto siciliano; 4) in rapporto all'art. 23, comma 1, dello Statuto siciliano che non prevede ne' una sezione specializzata del giudice speciale ne' una composizione collegiale diversa da quella ordinaria e cio' anche in relazione, quale tertia comparationis, all'art. 24, comma 1, dello Statuto siciliano concernente la composizione dell'Alta Corte, nonche' all'art. 23, comma 3, del medesimo Statuto, al decreto legislativo 6 maggio 1948, n. 655 concernente la istituzione di sezioni della Corte dei conti per la Regione siciliana, ed agli artt. 90 e 91, comma 2, del Testo unico delle leggi costituzionali di cui al d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 (Trentino Alto Adige). La difesa delle resistenti ha richiamato le precedenti ordinanze (in particolare la ordinanza n. 185 del 13 maggio 2003) con le quali il Consiglio di giustizia amministrativa aveva rimesso alla Corte costituzionale alcune questioni di costituzionalita' del decreto legislativo 6 maggio 1948, n. 654, attuativo dello Statuto siciliano e concernente la istituzione del Consiglio medesimo, ed ha osservato come il sopravvenuto decreto legislativo 24 dicembre 2003, n. 373, che ha abrogato il d.lgs. n. 654/1948, abbia «fatto venire meno soltanto alcune, peraltro le meno rilevanti, questioni di costituzionalita' sollevate da codesto Consiglio con ordinanza n. 185 del 13 maggio 2003 e con ordinanze successive, mentre non ha fatto venire meno quelle piu' importanti». Infatti e' rimasta ferma la composizione mista. Per quanto concerne la Sezione giurisdizionale, il Collegio viene composto, come gia' secondo le disposizioni di cui all'abrogato d.lgs. n. 654 del 1948, come modificato con d.P.R. n. 204 del 1978; della Sezione giurisdizionale del Consiglio di giustizia amministrativa fanno parte oltre che il Presidente dello stesso ed il Presidente assegnato alla Sezione giurisdizionale ed a quattro consiglieri di Stato, quattro componenti designati dal Presidente della Regione e nominati con d.P.R. su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri, sentito il Consiglio di Presidenza della giustizia amministrativa, previa deliberazione del Consiglio del Ministri (art. 4, comma 1, e 6, comma 2 e 3). Il Collegio giudicante e' composto da uno dei due presidenti della Sezione, da due Consiglieri di Stato e da due dei membri designati dal Presidente della Regione. Non appare dubbio che, sotto tale profilo, le nuove disposizioni sono affette dalle medesime ragioni di incostituzionalita' che sono poste a base delle citate ordinanze di codesto Consiglio. Dopo queste premesse, la difesa delle resistenti ha richiamato molte delle tesi sviluppate nella ordinanza n. 185/2003 di questo Consiglio, e ha evidenziato, con annotazioni e considerazioni aggiuntive, come le stesse siano valide anche nel nuovo assetto ordinamentale ex d.lgs. n. 373/2003. Sul punto le altre parti costituite nell'odierno grado di giudizio non hanno svolto considerazioni. 4. - Alla pubblica udienza del 10 marzo 2004, uditi i difensori delle parti, l'appello e' passato in decisione. Il difensore delle resistenti, in particolare, ha insistito nelle eccezioni di incostituzionalita' gia' sollevate nell'ultima memoria difensiva. D i r i t t o 1. - Il Collegio, chiamato a decidere sull'appello in epigrafe, avuto riguardo anche alle eccezioni sollevate dalla difesa delle resistenti signore Giovanna D'Alba in Masara' e Giuseppa D'Alba in Barone, ritiene innanzitutto di dover affrontare taluni dubbi di costituzionalita' relativamente al decreto legislativo 24 dicembre 2003, n. 373, nella parte in cui prevede una composizione mista (per la presenza non solo di magistrati del Consiglio di Stato, ma anche di componenti designati dal Presidente della Regione siciliana) della Sezione giurisdizionale di questo Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana. 2. - In via di premessa va rilevato che il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana e' stato istituito in attuazione dell'art. 23 dello Statuto siciliano (r.d.lgs. 15 maggio 1946, n. 455 convertito in legge costituzionale con l'art. 1, primo comma della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2), a norma del quale: gli organi giurisdizionali centrali avranno in Sicilia le rispettive sezioni per gli affari concernenti la Regione; le Sezioni del Consiglio di Stato e della Corte dei conti svolgeranno altresi' le funzioni, rispettivamente, consultive e di controllo amministrativo e contabile; i magistrati della Corte dei conti sono nominati, di accordo, dai Governi dello Stato e della Regione. i ricorsi amministrativi, avanzati in linea straordinaria contro atti amministrativi regionali, saranno decisi dal Presidente regionale sentite le Sezioni regionali del Consiglio di Stato. Quanto alla sua attuazione, l'art. 43 dello Statuto siciliano stabilisce che una Commissione paritetica (di quattro membri nominati dai Governi regionale e statale), determinera' le norme per l'attuazione del presente Statuto. Si tratta di procedura legislativa rinforzata prevista anche per altre Regioni a statuto speciale. Per consolidato insegnamento della Corte costituzionale la relativa competenza si esercita non solo in occasione del primo passaggio di funzioni, ma anche successivamente (Corte cost. 180/1980; 212/1984). E' stato altresi' sottolineato che in sede di attuazione non puo' prescindersi dallo speciale procedimento posto, con norma di rilievo costituzionale, a garanzia del ruolo e delle funzioni spettanti alla commissione paritetica (Corte cost. 206/1975; 95/1984; 137/1998). 3. - L'art. 23 dello Statuto, come emerge dal testo sopra riportato e per quel che qui rileva, contempla la localizzazione in Sicilia, per gli affari concernenti la Regione, di sezioni degli organi giurisdizionali centrali. In punto di fatto, il decentramento non e' mai stato realizzato per la Corte di cassazione, la quale ha sempre respinto le questioni di costituzionalita' delle disposizioni dell'ordinamento giudiziario, nella parte in cui non prevedono l'istituzione di due sezioni, civile e penale, della Corte di cassazione con sede in Palermo, sul rilievo che la norma statutaria siciliana ha natura programmatica e non assume rilevanza nell'ordinamento in relazione al principio di cui all'art. 25 cost. (v. Cass. 12 settembre 1991, n. 9534; 8 aprile 1992, n. 4270). Non sono state decentrate neppure la Commissione tributaria centrale e il Tribunale superiore delle acque pubbliche. Il decentramento e' stato invece attuato per il Consiglio di Stato e la Corte dei conti con i coevi decreti legislativi del 6 maggio 1948 rispettivamente n. 654 e n. 655. Per quanto riguarda il Consiglio di Stato, le disposizioni attuative, con la istituzione del Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana, sono state a suo tempo oggetto di dubbi di costituzionalita' e di modifiche normative (cfr. d.P.R. 5 aprile 1978, n. 204), che pero' non sono sembrate a questo Consiglio sufficienti ad escludere ogni perplessita' in proposito. 4. - Questo Consiglio, infatti, con ordinanza n. 185/2003, in data 13 maggio 2003, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale - prima serie speciale - n. 28 del 16 luglio 2003 ha sollevato talune questioni di costituzionalita' del d.lgs. n. 654/1948 sotto vari profili in rapporto a numerose disposizioni sia dello Statuto siciliano sia della Costituzione. Tali questioni sono state successivamente sollevate anche con ordinanza n. 303/2003, in data 9 settembre 2003, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale - prima serie speciale - n. 45 del 12 novembre 2003. Nelle more dei giudizi innanzi alla Corte costituzionale e' stato emanato il d.lgs. n. 373/2003 il quale, come recita l'art. 14, sostituisce integralmente il d.lgs. n. 654/1948 ed il decreto di modifica dello stesso, e cioe' il d.P.R. n. 204/1978. Non pochi interrogativi posti nelle anzidette ordinanze di questo Consiglio sono stati superati dalle nuove disposizioni. In particolare, e' venuto meno un gruppo di questioni concernenti la supposta violazione di principi costituzionali sia in tema di delega legislativa sia dell'art. 43 dello Statuto siciliano, e cio' poiche' il d.lgs. n. 654/1948 sarebbe stato emanato in base a norme di delega a contenuto indeterminato e comunque prescindendo dall'intervento della commissione paritetica di cui all'art. 43 dello Statuto siciliano. Un altro gruppo di censure concerneva altri supposti vizi di costituzionalita' dell'art. 2 del d.lgs. n. 654/1948 (come sostituito dal d.P.R. n. 204/1978) in relazione a taluni principi costituzionali per non essere assicurate ai membri laici della sezione giurisdizionale del Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana sufficienti garanzie di indipendenza e di imparzialita' e per non essere previsto un termine per la loro designazione nonche' meccanismi sostitutivi. Anche tali interrogativi sono stati superati dal d.lgs. n. 373/2003 e, in particolare, dalle previsioni degli artt. 6 e 7 che hanno esteso ai membri laici il regime giuridico e disciplinare, nonche' il trattamento economico dei togati e ne hanno previsto la cessazione automatica al termine del sessennio di nomina. Peraltro il d.lgs. n. 373/2003 non ha eliminato un dubbio di costituzionalita', gia' adombrato nelle ordinanze n. 185/2003 e n. 303/2003, e concernente, in particolare, la questione se in sede di norme di attuazione dell'art. 23 dello Statuto siciliano sia possibile prevedere una composizione mista di laici e togati del Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana in sede giurisdizionale. Vengono in rilievo le seguenti disposizioni del d.lgs. n. 373/2003: l'art. 4, comma 1, laddove, nel disciplinare la composizione della Sezione giurisdizionale del Consiglio di giustizia amministrativa, oltre al presidente del consesso, al presidente assegnato alla Sezione giurisdizionale e a quattro consiglieri di Stato, alla lettera d) si prevedono quattro componenti in possesso dei requisiti di cui all'art. 106, terzo comma, della Costituzione per la nomina a consigliere di Cassazione ovvero di cui all'art. 19, primo comma, numero 2) della legge 27 aprile 1982, n. 186; l'art. 4, comma 2, in forza del quale il collegio giudicante e' composto da uno dei due presidenti della Sezione, da due consiglieri di Stato e da due dei membri indicati nella lettera d) del comma 1; l'art. 6, comma 2, laddove si demanda al Presidente della Regione Sicilia la designazione dei componenti di cui all'art. 4, comma 1, lettera d); l'art. 15, commi 1 e 2, laddove in via transitoria si disciplina la permanenza in carica dei membri laici (giuristi) della Sezione giurisdizionale. In via derivata tale dubbio di costituzionalita' si riflette in parte sull'art. 6 del decreto-legge 24 dicembre 2003, n. 354 convertito nella legge 26 febbraio 2004, n. 45, in forza del quale per assicurare il funzionamento del Consiglio di Giustizia amministrativa per la Regione siciliana, anche mediante potenziamento della sua composizione, e' autorizzata la spesa di euro 700.000 a decorrere dall'anno 2004. Le questioni hanno costituito gia' oggetto di rimessione alla Corte costituzionale con decreti presidenziali n. 77 in data 13 febbraio 2004 e n. 81 in data 26 febbraio 2004, pubblicati nella Gazzetta Ufficiale - prima serie speciale - n. 12 del 24 marzo 2004. 5. - Tali questioni sono rilevanti ai fini dell'esercizio della giurisdizione e preliminari ad ogni decisione in rito e in merito, in quanto la legittimita' costituzionale della composizione del Collegio costituisce, di per se', un presupposto per l'adozione di qualsivoglia decisione (v. da ultimo Corte cost. n. 353/2002). Esse, poi, non appaiono manifestamente infondate per quanto di seguito verra' esposto. II 1. - Osserva anzitutto il Collegio che l'art. 23 dello Statuto siciliano, norma di rango costituzionale, non prevede alcuna deroga ne' alla composizione ordinaria degli organi giurisdizionali da localizzare in Sicilia, ne', in via di principio, alla nomina dei rispettivi componenti. Nel primo comma si dispone infatti semplicemente che gli organi giurisdizionali centrali avranno in Sicilia le rispettive sezioni per gli affari concernenti la Regione. In particolare non e' contemplata, come conseguenza del decentramento, alcuna diversa composizione, rispetto a quella ordinaria, della Sezione regionale giurisdizionale del Consiglio di Stato. Nell'art. 23 e' prevista un'unica eccezione alla organizzazione ordinaria, a carattere funzionale e non strutturale, laddove al quarto comma si prevede la partecipazione della Sezione giurisdizionale alla funzione consultiva in materia di ricorsi straordinari (i ricorsi amministrativi, avanzati in linea straordinaria contro atti amministrativi regionali, saranno decisi dal Presidente regionale sentite le Sezioni regionali del Consiglio di Stato; cfr. art. 23, comma quarto dello Statuto). Si tratta di eccezione, che, come appare evidente, e' estranea alla composizione della Sezione giurisdizionale e alle modalita' di nomina dei suoi componenti, e che riguarda esclusivamente la sua partecipazione ad alcune funzioni consultive del consesso: i pareri in sede di decisione dei ricorsi straordinari contro atti amministrativi regionali non sono demandati alla sola Sezione consultiva del Consiglio, come avviene nella organizzazione ordinaria del Consiglio di Stato, ma alle Sezioni regionali riunite, giurisdizionale e consultiva. Il rilievo letterale e' confermato dal dato storico. Dagli atti relativi ai lavori preparatori emerge con chiarezza che mai nessuno, in sede di redazione dello Statuto, penso' ad una organizzazione delle magistrature superiori diversa da quella disciplinata dalla legge statale e che, se vi fu un accenno di specialita', esso riguarda solo il giudice contabile (cfr. per una dettagliata ricostruzione del quadro storico l'ordinanza n. 185/2003 di questo Consiglio). Anche il dato sistematico converge con quello letterale e storico della interpretazione. Elementi di partecipazione regionale nella provvista dell'organo decentrato sono previsti statutariamente solo per la Corte dei conti (art. 23, comma terzo). Il d.lgs. n. 373/2003, nella parte in cui disciplina una composizione mista della Sezione giurisdizionale del Consiglio di giustizia amministrativa, con la nomina di componenti regionali, non puo' dunque considerarsi secundum statutum. 2. - Si tratta quindi di stabilire se, pur non essendo prevista dall'art.23 dello Statuto siciliano, la composizione mista della Sezione giurisdizionale di questo Consiglio possa ritenersi comunque correttamente introdotta con norme contenute in un decreto legislativo attuativo dello Statuto. Come noto i decreti legislativi di attuazione statutaria da un lato hanno il valore di legge statale, rinforzata (per la Sicilia ex art. 43 dello Statuto) quanto alla procedura dall'intervento di una Commissione paritetica Stato-Regioni (cfr. Corte cost. 14 luglio 1956, nn. 14, 15, 16; 16 luglio 1956, n. 20; 19 luglio 1956, n. 22; 26 gennaio 1957, n. 15; 18 maggio 1959, n. 30; 18 maggio 1959, n. 30, Corte cost. n. 13/1974); dall'altro sono espressione di una competenza separata e riservata rispetto alle leggi statali ordinarie (cfr. Corte cost. n. 180/1980, n. 237/1983, n. 212/1984, n. 137/1998), in quanto il loro contenuto e' circoscritto dalla finalita' attuativa dello Statuto. In approfondimento di questi principi va ricordato che, da un lato, con riferimento al d.lgs. n. 654/1948 (corrispondente per natura al d.lgs. n. 373/2003) la Corte costituzionale ha affermato «che il predetto decreto legislativo ha valore di legge ordinaria» (Corte cost. n. 61/1975). Inoltre, piu' in generale, la Corte ha affermato che le norme di attuazione degli Statuti speciali «hanno... valore di legge, e per alcuni Statuti, come per quello sardo, e' prevista la loro compilazione da parte di una commissione paritetica e occorre sentire il parere di alcuni organi regionali. Sia per ragioni formali che per ragioni sostanziali, esse si pongono dunque su un piano diverso e superiore rispetto alle leggi da emanare nelle materie da esse regolate; ma non per questo si puo' ad esse attribuire il carattere di leggi costituzionali» (v. Corte cost. n. 30/1959 cit.). Dall'altro la Corte costituzionale ha sottolineato che, anche laddove gli Statuti prevedano in via generica la emanazione di norme di attuazione, sarebbe illogico ritenere che queste ultime debbano essere emanate per tutte le materie statutarie perche' in tal modo si perverrebbe «all'assurdo di giudicare che esse sono state previste anche in caso in cui il testo statutario avesse avuto in se' piena completezza e non avesse reclamato integrazioni o specificazioni. In tali ipotesi le norme di attuazione non potrebbero mai emanarsi per mancanza di oggetto» (Corte cost. 1° luglio 1969, n. 136). Si pone in tal modo il problema del limite contenutistico delle norme attuative degli Statuti regionali, problema che va risolto in base ad un principio di aderenza. La Corte costituzionale (nella citata decisione n. 20/1956) ha affermato al riguardo che se poi le norme di attuazione siano praeter legem, nel senso che abbiano integrato le disposizioni statutarie od abbiano aggiunto ad esse qualche cosa che le medesime non contenevano, bisogna vedere se queste integrazioni od aggiunte concordino innanzi tutto con le disposizioni statutarie e col fondamentale principio dell'autonomia della Regione, e se inoltre sia giustificata la loro emanazione dalla finalita' dell'attuazione dello Statuto. Questo insegnamento e stato mantenuto fermo fino ad ora e, sullo specifico punto, la decisione n. 20/1956 e' stata costantemente richiamata dalla successiva giurisprudenza costituzionale (v. da ultimo Corte Cost. n. 353/2001). 3. - La necessaria aderenza, allo Statuto, delle norme integrative nella specie non sembra ravvisabile. Come detto, essa puo' ritenersi sussistente ove si configurino i seguenti requisiti: la concordanza delle integrazioni con le disposizioni statutarie e col fondamentale principio dell'autonomia della Regione e la necessita' della loro emanazione ai fini di dare attuazione allo Statuto. Sotto il primo profilo (concordanza con le disposizioni statutarie), va osservato che lo Statuto siciliano, non solo non prevede la istituzione di una Sezione giurisdizionale del Consiglio di Stato a composizione mista, ma neppure delega alle norme di attuazione la disciplina dell'ordinamento di detta Sezione. Ne' potrebbe sostenersi (quanto alla concordanza col principio della autonomia regionale), che la presenza in Collegio di magistrati laici di designazione regionale costituisca la logica e naturale conseguenza, se non della lettera, almeno dello spirito e delle finalita' autonomistiche dello Statuto siciliano. Un conto infatti e' la localizzazione di una funzione, un altro e' la organizzazione della funzione. Sono due aspetti del tutto diversi che il legislatore costituzionale puo' disciplinare diversamente a seconda dei casi cosi' come dimostra lo Statuto del Trentino Alto Adige (istituzione espressa dell'organo speciale, delega espressa alle norme di attuazione, localizzazione e previsione di giudici laici), quello della Valle d'Aosta (limitata competenza per gli uffici di conciliazione), quello della Regione Sardegna e del Friuli-Venezia Giulia (nessuna disposizione sulla giurisdizione). Per la Sicilia, come detto, in via di principio e' prevista solo la localizzazione degli organi ordinari, mentre appare estranea alla previsione statutaria e alle autonomie regionali in essa affermate una diversa composizione degli organi giurisdizionali centrali. Esiste quindi un limite interno all'art. 23 dello Statuto che impedisce all'attuazione di incidere sugli assetti giurisdizionali della Sezione decentrata. In questa prospettiva l'autonomia regionale non trova nell'art. 23, ne' per dato letterale ne' per dato logico e sistematico, sviluppi che consentano e tanto meno rendano necessari assetti normativi quali quelli contenuti nelle richiamate disposizioni del d.lgs. n. 373/2003. Tale decreto legislativo ha quindi ampliato la sfera di autonomia regionale, ma cio' ha fatto vulnerando non solo la lettera, quanto e soprattutto lo spirito della disposizione costituzionale statutaria, che riguardava solo la presenza in Sicilia di sezioni delle magistrature superiori, senza alcuna intenzione di alterarne, in via di principio, la struttura e le funzioni (v. in questo senso l'ordinanza 6 marzo 1975 con cui l'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato rimise alla Corte costituzionale la questione su cui poi intervenne la dec. n. 25/1976). Queste considerazioni escludono anche il terzo requisito legittimante la normazione attuativa praeter legem (la necessita' della sua emanazione in relazione alla finalita' di attuazione dello Statuto). In conclusione dunque il decreto legislativo n. 373/2003 appare «contra statutum» poiche', al pari del d.lgs. n. 654/1948, istituisce in Sicilia «un organo di giustizia amministrativa caratterizzato da una propria fisionomia e struttura» (Corte cost. n. 25/1976), diverso da quello ordinario, in quanto composto anche con giudici laici di designazione regionale. 4. - Merita di essere richiamata, per un approfondimento sul punto, la decisione 12 luglio 1984, n. 212 della Corte costituzionale che, nel dichiarare la illegittimita' costituzionale della istituzione di una sezione giurisdizionale e delle Sezioni unite della Corte dei conti in Sardegna, ha argomentato con il fatto che ne' dalla lettera dello Statuto regionale, ne' dal suo spirito, ne' dalle sue finalita' era in alcun modo ricavabile che si fosse inteso prevedere, neppure per implicito, Sezioni di organi centrali neppure nei limiti degli affari concernenti la Regione e cio' a differenza di quanto stabilito per altre Regioni, richiamando appunto l'art. 23 dello Statuto siciliano e l'art. 90 dello Statuto del Trentino Alto Adige. Al riguardo tuttavia non puo' non sottolinearsi la differenza fondamentale tra lo Statuto siciliano e quello del Trentino Alto Adige i quali, ai fini in esame, non possono porsi sullo stesso piano. Infatti, mentre lo Statuto siciliano si limita alla pura e semplice localizzazione in Sicilia delle sezioni delle giurisdizioni superiori, lo Statuto del Trentino Alto Adige e' di ben diverso contenuto. Innanzitutto, l'art. 90 del Testo Unico delle leggi costituzionali di cui al d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670, nell'istituire il Tribunale regionale di giustizia amministrativa (T.R.G.A.) con una sezione autonoma per la Provincia di Bolzano, espressamente rinvia alle norme di attuazione per il suo ordinamento (secondo l'ordinamento che verra' stabilito al riguardo) sia per la sede di Trento che per quella di Bolzano (cfr. Consiglio di Stato, V, 13 novembre 1995, n. 1546). Inoltre, il successivo art. 91, sempre espressamente, disciplina la composizione della sezione giurisdizionale per la provincia di Bolzano del T.R.G.A. cosi' come prevede che la meta' dei componenti la Sezione e' nominata dal Consiglio provinciale di Bolzano (art. 91, secondo comma). Le norme di attuazione dello Statuto del Trentino Alto Adige (d.P.R. 6 aprile 1984, n. 426) di conseguenza, essendo a cio' espressamente delegate dallo Statuto, disciplinano le modalita' di scelta dei magistrati cosiddetti laici, individuando le categorie tra cui questi debbono essere scelti, il ruolo in cui debbono essere collocati, le garanzie che li assistono, lo stato giuridico e il trattamento economico (artt. 1, 2, 4, 5, d.P.R. 6 aprile 1984, n. 426). In proposito, nella decisione 137/1998 la Corte costituzionale ha espressamente rilevato come la specialita' del T.R.G.A. risieda nella delega contenuta nell'art. 90 dello Statuto speciale da cui legittimamente discendono le norme di attuazione adottate con lo speciale procedimento della commissione paritetica. Il d.lgs. n. 373/2003 di attuazione dello Statuto siciliano contiene, agli artt. 4 e 6, norme di contenuto analogo alle norme di attuazione dello Statuto del Trentino, ma con la fondamentale differenza che l'art. 23 della Statuto siciliano non prevede alcuna delega attuativa, ne' (a parte il decentramento) deroghe all'ordinamento statale della giurisdizione amministrativa. 5. - Per contro, come emerge in particolare dal dato sistematico, tali deroghe dovrebbero essere contemplate nello Statuto siciliano. Al riguardo va osservato che quando si e' voluta una composizione mista, lo Statuto siciliano lo ha espressamente sancito, come risulta dal confronto dell'art. 23 con l'art. 24, primo comma, secondo cui i membri dell'Alta Corte dovevano essere nominati «in pari numero dalle assemblee legislative della Stato e della Regione». Inoltre, come accennato, un ulteriore argomento si ricava dal testuale tenore dello stesso art. 23 della Statuto. Invero, il terzo comma si da' carico di precisare che i magistrati della Corte dei conti sono nominati «d'accordo dai Governi della Stato e della Regione». Il legislatore costituzionale ha talmente avvertito l'effetto derogatorio, al normale e limitato assetto organizzativo, della designazione del giudice contabile togato, da ritenerne necessaria la specificazione nello Statuto. Orbene, di fronte a tale espressa specificazione dello Statuto per una delle magistrature superiori, non si vede come si possa sostenere che invece l'assoluto silenzio dello stesso legislatore circa le altre possa essere interpretato come una implicita delega a disciplinare, in sede di attuazione, la nomina, la composizione, la stessa struttura del giudice amministrativo in una organizzazione giurisdizionale del tutto difforme da quella ordinaria. Inoltre, ai fini del mero trasferimento di una sezione del Consiglio di Stato in Sicilia - poiche' tale e' l'oggetto dell'art. 23 dello Statuto siciliano (Corte cost. n. 189/1992 e n. 61/1975) - non si vede perche' fosse necessario cambiare la composizione ordinaria della Sezione con l'introduzione nel Collegio giudicante di giudici laici di designazione regionale. E' stato infatti affermato che la norma di attuazione, intanto puo' porsi in funzione di integrazione dello Statuto «sempreche' sia giustificata da un rapporto di strumentalita' logica rispetto all'attuazione di disposizioni del medesimo» (Corte Cost. n. 260/1990). Diversamente, ove il testo statutario sia completo, le norme di attuazione sarebbero prive di oggetto (Corte Cost. n. 136/1969 cit.). 6. - Neppure potrebbe sostenersi, sotto altro profilo, che, nella previsione statutaria siciliana, limitata alla localizzazione, sia implicita la disciplina della organizzazione giurisdizionale. Al contrario i principi costituzionali emergenti dagli artt. 102, comma primo, e (in particolare) 108 comma prima, portata ad affermare che, in relazione alla riserva di legge statale sancita in materia di organizzazione giudiziaria, la previsione di decentramento ex art. 23 della Statuto siciliano e' eccezionale e non e' suscettibile di interpretazioni estensive. In particolare la Corte costituzionale ha sempre affermato che in materia di ordinamento giudiziario esiste, ex art. 108 Cost., una riserva di legge statale (Corte Cost. n. 4/1956, n. 76/1995, n. 134/1998, n. 86/1999). Tale riserva concerne «la disciplina di tutto quanto concerne l'Amministrazione della giustizia, sia riguardo alla istituzione del giudici, che alle loro funzioni ed alle modalita' del correlativo esercizio» (v. Corte Cost. n. 4/1956). La riserva in questione esclude in via di principio che le Regioni, al di fuori di speciali disposizioni derogatorie, di rango costituzionale, possano incidere sulla legislazione statale di settore, sia attraverso la propria legislazione, sia attraverso determinazioni paritetiche in sede di attuazione degli statuti speciali. Il rigoroso limite all'intervento regionale in materia di giurisdizione e' sottolineato in varie decisioni della Corte costituzionale. E' stato cosi' affermato che il disegno del costituente e' stato «di procedere bensi' per determinate materie ad un decentramento istituzionale nel campo legislativo ed amministrativo a favore dell'Ente Regione, ma di escludere dal decentramento tutto il settore giudiziario e di sottrarlo, quindi, a qualsiasi competenza delle Regioni, anche di quelle a Statuto speciale dettando cosi' uno di quei principi dell'ordinamento giuridico dello Stato che costituiscano limite insuperabile all'attivita' legislativa delle Regioni» (Corte cost. n. 4/1956, v. anche Corte cost. n. 43/1982). Quanto alla legislazione regionale, tale principio e' stato sempre tenuto fermo dalla giurisprudenza della Corte che ne ha fatto rigorosa applicazione numerose volte anche in Sicilia sino al punto di affermare la incostituzionalita' anche di norme soltanto meramente riproduttive della disciplina nazionale (v. Corte cost. nn. 154/1995, 115/1972), nonche' di norme che anche soltanto in via indiretta interferivano con l'esercizio della funzione giurisdizionale (Corte Cost. n. 94/1995). In proposito va altresi' ricordato che alle censure di costituzionalita' riguardo alla giurisdizione non si e' sottratto neppure lo stesso Statuto siciliano di cui sono stati dichiarati incostituzionali gli artt. 26 e 27 sulla giurisdizione penale dell'Alta Corte (Corte Cost. n. 6/1970). Neppure potrebbe sostenersi che lo Stato e la Regione, in sede di commissione paritetica, possano d' accordo attribuire alla norma statutaria una portata maggiore di quella risultante dal tenore letterale della stessa. In altri termini, non e' possibile che in sede di commissione paritetica lo Stato autorizzi una limitazione dei suoi poteri, in assenza di qualsiasi previsione statutaria, ed al di la' delle finalita' tipiche delle norme di attuazione (decentramento), specie poi se rapportate alla chiara previsione statutaria nel medesimo senso. Va infatti considerato che a tale abdicazione corrisponderebbe un parallelo ampliamento dei poteri regionali e, quindi, in sostanza, una surrettizia modifica dello Statuto speciale. Gli Statuti speciali sono norme costituzionali e non e' ammissibile che una fonte di rango subordinato, quale le norme di attuazione, possa modificare una normativa di rango costituzionale. Neppure sembrerebbe possibile sostenere che nel nuovo assetto costituzionale equiordinato (art. 114, prima comma) i vari enti possano esercitare qualsiasi potere loro attribuito purche' in forma di collaborazione e cioe' anche prescindendo dalla ripartizione di competenze normative di cui all'art. 117. In effetti una simile possibilita' non e' prevista neppure negli ordinamenti propriamente federali ed a Costituzione flessibile. Il nuovo Titolo V prevede in molti casi l'intesa tra Stato e Regioni, ma, nessuno di essi, neppure in forza della clausola di maggior favore, di cui all'art. 10 della legge cost. 3/2001, potrebbe sovrapporsi o comunque modificare il regime e le caratteristiche del sistema di cooperazione tipico del procedimento delle norme di attuazione dello Statuto speciale siciliano in subiecta materia. L'art. 116, ultimo comma, l'art. 117, quinto comma e l'art. 118, terzo comma, della Costituzione riguardano infatti materie diverse e presuppongono comunque la preesistenza di una legge ad hoc. Neppure sarebbe ipotizzabile una intesa Stato-Regione ex art. 118, primo comma. Invero, ai sensi di tale disposizione l'intesa tra Stato e Regioni puo' solo concorrere a spostare verso l'alto, e cio' in vista di esigenze unitarie, funzioni amministrative tipicamente locali. Tale principio e' stato esteso dalla giurisprudenza costituzionale anche alla funzione piu' propriamente legislativa, ma solo a condizione che quest'ultima avesse ad oggetto esclusivamente la organizzazione e regolazione di quelle stesse funzioni amministrative assunte dallo Stato in forza del principio di sussidiarieta'. La deroga al riparto delle competenze legislative sarebbe quindi piu' apparente che reale presentandosi invece come una logica conseguenza del nuovo principio costituzionale di sussidiarieta'. Peraltro, ove non ricorrano i presupposti della sussidiarieta' e non venga previsto un procedimento di coordinamento orizzontale, riprenderebbe vigore quanto alla distribuzione di competenze legislative il principio di «rigidita' della Costituzione» (Corte Cost. n. 303/2003, v. anche Corte Cost. n. 376/2003). Nulla di tutto cio' e' ravvisabile nella fattispecie in esame. Innanzitutto non sembra previsto dall'art. 118, primo comma, che l'attrazione di competenza venga spostata a favore del livello inferiore. In secondo luogo difetta il presupposto fondamentale del principio di sussidiarieta' e cioe' l'esigenza di assicurare un esercizio unitario della funzione giurisdizionale amministrativa, esercizio la cui unitarieta' verrebbe anzi pregiudicata. In terzo luogo la materia de qua (composizione dei Collegi e stato giuridico dei giudici) sotto nessun profilo puo' essere fatta rientrare nella categoria delle funzioni amministrative, ma rientra invece nella funzione giurisdizionale (Corte Cost. n. 25/1976 e n. 224/1999 cit.). In conclusione, quindi, il procedimento (e i limiti intrinseci) afferenti la adozione delle norme di attuazione tramite le commissioni paritetiche, continuano ad applicarsi anche nelle ipotesi in cui fosse invocabile (ma non e' questo il caso) la cosiddetta clausola di maggior favore (v. in questo senso testualmente l'art. 11, secondo e terzo comma della legge 5 giugno 2003, n. 131). 7. - In un approfondimento del tema (rapporto tra autonomia regionale e riserva di legge statale in materia di giurisdizione) appare oltremodo significativa la sentenza n. 150/1993 in cui si trattava di stabilire la legittimita' costituzionale della legge statale n. 374/1991 istitutiva del giudice di pace asseritamente lesiva delle competenze statutarie della Regione Valle d'Aosta disciplinanti la istituzione degli uffici di conciliazione (art. 41, legge cost. 4/1948). In quella occasione la Corte ha affermato che: La norma statutaria, per il suo contenuto precettivo, incide sull'ordinamento giudiziario e sullo «status» di un giudice dell'ordine giudiziario. Sotto il primo profilo (incidenza sull'ordinamento giudiziario), va innanzitutto ribadito che in tale materia c'e' riserva di legge (art. 108 Cost.) e questa Corte ha gia' piu' volte puntualizzato trattarsi di riserva di legge statale, con conseguente esclusione di qualsivoglia interferenza della normativa regionale (sent. n. 767 del 1988, sent. n. 43 del 1982, sent. n. 81 del 1976, sent. n. 4 del 1956). Deve quindi ripetersi che alla legge statale «compete in via esclusiva disciplinare in modo uniforme per l'intero territorio nazionale e nei confronti di tutti (art. 3 Cost.) i mezzi e le forme di tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi (artt. 24, primo comma, e 113 Cost.)» (sent. n. 81 del 1976, citata). Tale riserva abbraccia sia la disciplina degli organi giurisdizionali, sia la normativa processuale, anch'essa riservata esclusivamente alla legge statale (sent. n. 505 del 1991, sent. n. 489 del 1991). Come la legge processuale (secondo il disegno costituzionale del nostro ordinamento), cosi' anche la normativa degli organi giurisdizionali non puo' che essere uniforme su tutto il territorio nazionale, dovendo a tutti essere garantiti pari condizioni e strumenti nel momento di accesso alla fruizione della funzione giurisdizionale, il cui esercizio e' imprescindibilmente neutro, perche' insensibile alla localizzazione in questa a quella Regione, oltre che neutrale, perche' svolto in posizione di terzieta' rispetto ai poteri della Stato, non escluso il potere esecutivo delle Regioni. Pertanto le attribuzioni regionali in materia di giudice conciliatore, in quanto incidenti in materia soggetta a riserva di legge statale, hanno carattere di specialita' sicche' l'art. 41 della legge cost. n. 4 del 1948 (Statuto) si pone come deroga a tali principi, consentita soltanto dal rango costituzionale della norma stessa; deroga doppiamente eccezionale perche' contempla un'interferenza regionale in materia di esclusiva competenza statale e perche' tale interferenza nell'ordinamento giudiziario si realizza a livella non gia' di legge regionale, bensi' esclusivamente di atti dell'esecutivo. Tale connotazione di eccezionalita' non puo' che confinare la norma statutaria nel ristretto ambito del suo tenore letterale sicche' in Valle d'Aosta e' solo il «giudice conciliatore», e non anche il «giudice onorario» ex art. 106, secondo comma, Cost., ad essere in qualche misura diverso dal giudice conciliatore sul restante territorio del Paese. Il rilevato carattere derogatorio si appalesa poi ancora piu' marcato se si considera il contenuto della norma statutaria, che - seppur su delegazione del Presidente della Repubblica - prevede una serie di provvedimenti di competenza dell'esecutivo della Regione che incidono in radice sullo «status» di giudice conciliatore, condizionandone la nomina, la decadenza, la revoca e la dispensa. Anche sotto questo secondo profilo giova richiamare la giurisprudenza di questa Corte che ha evidenziato come la riserva di legge in materia di ordinamento giudiziario e' posta «a garanzia dell'indipendenza della magistratura» (sent. n. 72 del 1991); indipendenza che costituisce valore centrale per uno stato di diritto, sicche' l'eventuale difetto di presidi a sua difesa puo' ridondare in vizio di incostituzionalita' (sent. n. 6 del 1970); indipendenza che e' assicurata in generale, ma anche con specifico riferimento al giudice onorario, dalle competenze del Consiglio superiore della Magistratura, sicche' anche per la nomina dei giudici di pace e' in generale prevista la previa deliberazione dello stesso (art. 4 della legge n. 374 del 1991). Quindi, anche sotto questo profilo dell'esigenza di garanzia dell'indipendenza del giudice, la previsione, contenuta nell'art. 41 della legge cost. 26 febbraio 1948, n. 4 (Statuto Valle d'Aosta), del potere (seppur delegato) del Presidente della giunta di dichiarare la decadenza e la dispensa del giudice conciliatore, e soprattutto il potere di revocarne la nomina, denuncia il suo carattere singolare e del tutto eccezionale, nella specie consentito dal rango costituzionale della norma stessa». Il primo principio ricavabile dalla anzidetta decisione sembra molto chiaro innanzitutto nel senso che la deroga alla riserva costituzionale di legge statale in materia di giurisdizione e' consentita solo se espressamente prevista da una norma speciale di pari rango costituzionale e, in secondo luogo, nel senso che le disposizioni degli Statuti speciali in materia di giurisdizione hanno carattere eccezionale e che quindi, come si esprime la Corte «tale connotazione di eccezionalita' non puo' che confinare la norma statutaria nel suo ristretto ambito del tenore letterale». Nella specie, per contro, l'art. 23 dello Statuto siciliano, a differenza della Statuto del Trentino Alto Adige non contiene, in materia di composizione dei Collegi e di status dei magistrati, ne' una delega alle norme di attuazione, ne' alcun accenno alla possibilita' di nomina regionale di giudici laici «poiche' esso stabilisce soltanto che gli organi giurisdizionali centrali debbano avere in Sicilia le Sezioni per gli affari concernenti la Regione» (Corte Cost. n. 189/1992) ed inoltre «l'art. 23 del R.D.L. 15 maggio 1946, n. 455, attiene soltanto al decentramento degli organi giurisdizionali centrali per gli affari concernenti la Regione» (Corte Cost. n. 61/1975). Non meno importante, ai fini che qui interessano, e' la ulteriore affermazione contenuta nella sentenza n. 150/1993 circa la necessaria uniformita' su tutto il territorio nazionale della «normativa degli organi giudiziari» che viene ricondotta alla necessita' di garantire a tutti i cittadini pari condizioni e strumenti di accesso alla funzione giurisdizionale di cui viene affermato il carattere neutro ed insensibile alle localizzazioni in una piuttosto che in altra Regione. Il tema verra' ripreso piu' avanti (paragrafo 9), ma sin d'ora non puo' non rilevarsi, in proposito, la stringente analogia di tali affermazioni con quelle concernenti la attuale tematica dei limiti alle potesta' normative regionali derivanti dalle cosiddette materie trasversali (Corte Cost. nn. 282/2002, 407/2002, 536/2002, 88/2003, 303/2003) e cio' per la tutela di esigenze unitarie ed infrazionabili. 8. - A dimostrazione poi che la materia disciplinata dagli artt. 4 e 6 del d.lgs. 373/2003 rientra nella riserva di legge statale in materia di giurisdizione e' utile rammentare anche l'insegnamento della Corte costituzionale nelle decisioni 585/1989, 224/1999 e 25/1976. Nella prima, che si riferiva alla Regione Trentino-Alto Adige, si e' affermato che, salvo il principio della proporzionale etnica, che non veniva peraltro messo in discussione, spettava allo Stato stabilire le variazioni qualitative e quantitative della pianta organica dei magistrati addetti agli uffici giudiziari della Provincia di Bolzano. Nella seconda, con riferimento alla Regione Sicilia, si e affermato che anche la disciplina degli incarichi extraistituzionali a magistrati del Consiglio di Stato e della Corte dei conti operanti in Sicilia rientra nella competenza esclusiva statale in quanto attinente al loro stato giuridico. Ancora piu' significativa la affermazione contenuta nella decisione 25/1976 in cui, con espresso riferimento alla nomina dei componenti laici del Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana la Corte costituzionale ha rilevato che trattasi di «questione che incide in modo diretto sulla giurisdizione dell'organo o, quanto meno, sull'esercizio della medesima». 9. - D'altra parte neppure potrebbe ritenersi che la riserva di legge statale possa essere intesa in senso solamente formale e non anche sostanziale. In altri termini non e' possibile sostenere che, ai fini in esame, sia sufficiente la adozione di una legge da parte dello Stato il quale, assolto cosi' l'onere della riserva di legge, potrebbe ad libitum dettare composizioni degli organi giurisdizionali differenti da Regione a Regione. Una simile esegesi sarebbe insostenibile poiche' contraria a specifici principi costituzionali ed alla costante interpretazione fornitane dalla Corte costituzionale. Invero, se si affermasse il principio, dianzi soltanto ipotizzato, che nella materia de qua sia ammissibile una riserva di legge in senso soltanto formale, quale ulteriore corollario dovrebbe anche ammettersi che il legislatore statale potrebbe incidere non solo sulla struttura dei Collegi, disciplinandoli diversamente da Regione a Regione, ma potrebbe differenziare a livello regionale anche la struttura dei processi (civile, penale, amministrativo) e cio', non solo in relazione alle Regioni a Statuto speciale, ma anche con riferimento alle Regioni a Statuto ordinario. Verrebbero pregiudicati cosi' i canoni costituzionali di cui agli artt. 3, 24 primo comma, 113 primo comma, 102 primo e secondo comma, 108 primo comma della Costituzione differenziando irragionevolmente l'esercizio della giurisdizione in funzione della residenza e violando cosi' i principi di uguaglianza (art. 3) e della parita' di tutela dei diritti ed interessi legittimi (art. 24, primo comma, art. 113 primo comma). Piu' in generale, verrebbe anche vulnerato il principio dell'unita' dell'ordinamento giuridico il cui valore, gia' riconosciuto in passato in forza dell'art. 5 della Costituzione, e' attualmente ribadito, a livello costituzionale, anche dall'art. 120 secondo comma nel testo introdotto dalla legge costituzionale n. 3/2001. La Corte costituzionale ha infatti sempre affermato che «le modalita' di esercizio del fondamentale principio della tutela giurisdizionale non possono essere diverse in una Regione rispetto al restante territorio nazionale» (Corte Cost. n. 113/1993) e che esiste una «esigenza di uniformita' di tutela in ordine a situazioni soggettive di identica natura» (Corte Cost. n. 42/1991). In altri termini va riconosciuto che la unitarieta' della materia giurisdizionale non puo' non ricomprendere tutti i suoi aspetti, ivi compresi quelli concernenti il reclutamento la nomina e lo stato giuridico dei giudici (Corte Cost. nn. 224/1999, 25/1976 cit.), che, ovviamente, devono restare identici su tutto il territorio nazionale. Sotto questo profilo, pertanto, la normativa statale non potrebbe introdurre differenziazioni a livello regionale senza incorrere in censure e vizi di costituzionalita'. L'unica deroga, come piu' volte sottolineato, e' ammessa solo in base ad una disposizione di pari rango costituzionale, da interpretare inoltre, in quanto deroga, in senso strettamente letterale. Pertanto, e in conclusione su questo punto, l'art. 23 dello Statuto siciliano nella sua chiara previsione, limitata alla sola localizzazione della funzione giurisdizionale, rappresenta un punto fermo e insuperabile di modo che ne' la commissione paritetica ne' lo Stato (autonomamente a in sede di commissione paritetica) potrebbero adottare una disciplina derogatoria rispetto a quella ordinaria che incida su aspetti della funzione giurisdizionale diversi dalla pura e semplice localizzazione. 10. - Il Collegio e' consapevole della circostanza che la questione della composizione del Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana e' stata ripetutamente affrontata anche dalla Corte costituzionale, ma sempre sotto angoli di valutazione diversi. Nella decisione n. 25/1976 la Corte costituzionale si e' occupata del problema, con riferimento tuttavia soltanto all'art. 5, terzo comma del d.lgs. n. 654/1948 e cioe' all'istituto dell'appello all'Adunanza Plenaria delle decisioni emesse (prima della istituzione dei Tribunale amministrativo regionale) in unico grado del Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana. In quell'occasione la Corte ha fatto altresi' riferimento alla nota decisione delle Sezioni Unite della Cassazione 11 ottobre 1955, n. 2994 dichiarando di condividerla. Nella anzidetta decisione la Cassazione, non essendo ancora in funzione la Corte costituzionale, si pose il problema della costituzionalita' in generale della istituzione del Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana sotto un duplice aspetto: estrinseco ed intrinseco. Sotto il profilo estrinseco si trattava di accertare l'osservanza o meno del principio di cui all'art. 76 della Costituzione e quindi l'esistenza di una norma di delega, nonche' la attribuzione o meno di una competenza legislativa alla commissione paritetica di cui all'art. 43 dello Statuto siciliano anziche' al Governo. Tale profilo, di cui si e' trattato nelle ordinanze n. 185/2003 e n. 303/2003 di questo Consiglio, non viene in discussione in relazione al d.lgs. n. 373/2003. Sotto il profilo intrinseco, invece, la costituzionalita' si pose con preciso riferimento alla questione se il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana dovesse considerarsi a meno un giudice speciale (la cui istituzione era ed e' vietata ex art. 102, secondo comma della Costituzione) che i ricorrenti ritenevano offrisse minori garanzie rispetto ad una ordinaria sezione del Consiglio di Stato. A riprova della specialita' venivano addotte la diversita' del numero dei votanti (5 anziche' 7) e la differenza di talune prerogative: inamovibilita' dei componenti le sezioni del Consiglio di Stato; temporaneita' dei due membri designati dalla Giunta regionale; partecipazione al Collegio esclusa per gli allora referendari del Consiglio di Stato. La Cassazione, com'e' noto, affermo' che il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana non poteva considerarsi quale giudice speciale, ma soltanto una sezione specializzata del Consiglio di Stato superando in questo modo la eccezione di incostituzionalita'. Ne' nella decisione n. 25/1976 ne' successivamente e' stato posto ex professo alla Corte costituzionale il profilo del rapporto tra la lettera e lo spirito dell'art. 23 della Statuto e le norme di attuazione che prevedono la designazione regionale di magistrati laici. Tuttavia, pur non essendo stata sollevata una specifica questione in tal senso, se si esaminano i precedenti, emerge chiaramente, nel pensiero e nelle parole della Corte costituzionale, la consapevolezza che il d.lgs. n. 654/1948 era andato ben al di la' della lettera e dello spirito dell'art. 23 dello Statuto. Invero, nella decisione n. 61/1975 la Corte - come gia' rilevato - afferma che «l'art. 23 del r.d.lgs. 15 maggio 1946, n. 455 attiene soltanto al decentramento degli organi giurisdizionali centrali per gli affari concernenti la Regione». Nella stessa decisione 25/1976 occupandosi della indipendenza dei membri laici del Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana, per quanto qui interessa, la Corte ha affermato testualmente che «certamente l'art. 23 dello Statuto della Regione siciliana prevedeva semplicemente l'istituzione in Sicilia di una sezione giurisdizionale del Consiglio di Stato ed e' innegabile che con il d.lgs. n. 654/1948 e' stato invece istituito un organo di giustizia amministrativa caratterizzato da una propria particolare fisionomia e struttura». Nella decisione dianzi citata la Corte, come detto, ha confermato l'orientamento della Cassazione circa la natura del Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana (sezione specializzata del Consiglio di Stato e non giudice speciale, anche se la anzidetta definizione fa pensare piu' ad un giudice speciale che ad una sezione specializzata) ma, com'e' noto, cio' non le ha impedito di dichiarare incostituzionale il d.lgs. n. 654/1948 nella parte in cui (art. 3, terzo comma) prevedeva la possibilita' di rinnovo dei giudici laici. 11. - D'altra parte, in relazione agli artt. 102, primo e secondo comma e 108, primo e secondo comma della Costituzione, occorre sottolineare che anche qualificando il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana come sezione specializzata, la istituzione di sezioni specializzate innanzitutto deve essere prevista da una legge statale, come si evince dall'art. 102, primo comma per il giudice ordinario e dall'art. 108, primo comma per i giudici speciali. Esiste, quindi, a livello costituzionale, una ancora piu' speciale riserva esclusiva di legge statale circa la istituzione di sezioni specializzate, derogabile solo in presenza di norma espressa di pari rilevanza costituzionale (Corte Cost. n. 150/1993 cit.). Nella specie - ripetesi - in nessun comma dell'art. 23 dello Statuto siciliano e' contenuto il minimo accenno, ne' implicito ne' esplicito alla possibilita' che in Sicilia vengano istituite sezioni specializzate ne' del Consiglio di Stato ne' delle altre magistrature superiori. Il decentramento puro e semplice (Corte Cost. n. 61/1975 e n. 25/1976) non implica affatto di per se' la creazione ex nova di sezioni specializzate tanto piu' che l'unico accenno di specialita' contenuto nell'art. 23 riguarda, come gia' osservato, il concerto tra Stato e Regione, sulla nomina soltanto dei magistrati della Corte dei conti. Va poi rammentato che la Carta costituzionale prevede la istituzione di sezioni specializzate soltanto nell'ambito della magistratura ordinaria (art. 102, secondo comma) per cui la sezione specializzata viene considerata «non gia' un tertium genus fra la giurisdizione speciale e quella ordinaria, bensi' una species di quest'ultima» (Corte Cost. nn. 76/1961, 394/1998 e ordinanza n. 424/1989). E' stato infatti rilevato che, a fronte del divieto di istituire giudici speciali, la deroga costituzionale a favore delle sole Sezioni specializzate, dipende proprio dalla loro compenetrazione istituzionale con il giudice ordinario (Corte Cost. nn. 4/1984, 424/1989). Pertanto, se la istituzione di sezioni specializzate e' consentita dalla Costituzione (ex art. 102, secondo comma) solo nell'ambito della magistratura ordinaria e cio' in ragione del nesso organico con quest'ultima, se ne dovrebbe anche inferire che, cosi' come non e' possibile istituire nuovi giudici speciali, alla stessa stregua non sarebbe possibile istituire sezioni specializzate all'interno dei giudici speciali attualmente esistenti. In ogni caso, quando anche si pervenisse alla conclusione che l'art. 102, secondo comma e l'art. 108, primo comma Cost. non implicano di per se' il divieto di istituire sezioni specializzate nell'ambito del giudice speciale gia' esistente, non sembra possa dubitarsi che tale possibilita' sia coperta da riserva di legge statale ex art. 102, prima comma e 108, prima comma Cost. e che comunque la riserva di legge statale non potrebbe dettare, in subiecta materia, e in assenza di specifiche disposizioni di deroga di rango costituzionale, un regime differenziato da Regione a Regione. 12. - Un ulteriore approfondimento merita l'affermazione, contenuta nella gia' citata decisione delle Sezioni Unite della Cassazione n. 2994/1955, circa la aderenza del d.lgs. n. 654/1948 allo spirito dell'art. 23 dello Statuto siciliano. In particolare nella circostanza la Cassazione si e' preoccupata di chiarire che il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana, per la sua composizione, non e' un giudice capite deminutus quanto a quantita', qualita' e garanzia dei suoi membri. La Cassazione non si e' invece data carico della questione di costituzionalita' a monte e cioe' se lo Statuto e la Costituzione legittimavano la istituzione (gia' fortemente criticata dalla dottrina costituzionalistica dell'epoca) di una sezione, sotto molteplici profili, diversa rispetto a una sezione ordinaria del Consiglio di Stato, ma si e' limitata ad affermare che «le variazioni morfologiche del Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana sono in funzione di quella stessa esigenza di decentramento che ha giustificato l'istituzione dell'Ente Regione». Tale indirizzo e' stato successivamente ripreso in altre decisioni delle Sezioni unite, che con riguardo alle disposizioni del d.l. 6 maggio 1948, n. 654, sull'istituzione ed il funzionamento del consiglio di giustizia amministrativa della regione siciliana, hanno ritenuto manifestamente infondate la questione di illegittimita' costituzionale in relazione agli art. 102, 103, 108 e 125 cost., nonche' in relazione all'art. 23 dello statuto della regione siciliana (l. cost. 26 febbraio 1948, n. 2), nella parte in cui le medesime introdurrebbero un nuovo organo di giustizia amministrativa, distinta dal Consiglio di Stato, con l'assegnazione di funzioni giurisdizionali a persone estranee all'amministrazione della giustizia, atteso che il suddetto consiglio di giustizia della regione siciliana non e' giudice speciale autonomo, bensi', pur con alcune peculiarita' attinenti al suo funzionamento ed alla sua composizione, una sezione giurisdizionale del Consiglio di Stato, considerato come giurisdizione speciale unitaria, e che inoltre la partecipazione di estranei a collegi giudicanti non trova nella Costituzione alcuna limitazione agli organi giurisdizionali ordinari, con esclusione di quelli speciali, sempreche' venga rispettato il requisito dell'indipendenza dei magistrati (cfr. in particolare Cassazione civile, sez. un., 19 ottobre 1983, n. 6127; cfr. anche Cassazione civile, sez. un., 19 aprile 1984, n. 2565, ove si sottolinea che la peculiare composizione del Consiglio trova giustificazione nelle esigenze connesse all'autonomia della Sicilia). Le ragioni che portano il Collegio a non condividere i suesposti indirizzi sono state gia' esposte nei paragrafi precedenti: le anomalie e disarmonie nella composizione del Consiglio di giustizia amministrativa, alle quali fanno riferimento i cennati indirizzi giurisprudenziali (cfr. ad esempio Cass. sez.un. n. 6127/1983), non sono in aderenza con l'art. 23 dello Statuto siciliano. In particolare, come gia' detto, dagli atti relativi ai lavori preparatori emerge con chiarezza che mai nessuno, in sede di redazione dello Statuto, penso' di collegare il decentramento giurisdizionale ad una organizzazione delle magistrature superiori diversa da quella disciplinata dalla legge statale e che, se vi fu un accenno di specialita', esso riguardo' solo il giudice contabile. Coerentemente con il dato storico, quello letterale e logico della interpretazione portano ad ammettere ex art. 23 delle Statuto una specialita' nelle modalita' di provvista unicamente per la Corte dei conti. Quanto a quest'ultima, ad ulteriore integrazione di quanto gia' esposto, e' opportuno sottolineare, anche a chiarimento del richiamo che e' stato operato quale tertium comparationis, al d.lgs. n. 655/1948, che, nella stessa data del 6 maggio 1948, venne adottato, oltre al decreto legislativo n. 654/1948, anche il d.lgs. n. 655/1948 relativo alla istituzione in Sicilia di una sezione giurisdizionale e di controllo della Corte dei conti. Com'e' noto, il predetto d.lgs. n. 655/1948 non dispone una composizione delle Sezioni diversa da quella ordinaria, ma si limita a ribadire (art. 10, primo comma) la previsione statutaria (art. 23, terzo comma) della intesa tra Stato e Regione sulla nomina dei magistrati. Va ulteriormente rimarcato che in sede di modifica delle norme di attuazione del predetto d.lgs. n. 655/1948, il d.lgs. 18 giugno 1999, n. 200, adottato questa volta su determinazione della commissione paritetica ex art. 43 dello Statuto siciliano, ha introdotto all'art. 1 del d.lgs. n. 655/1948 un secondo comma che testualmente dispone che «la composizione e la competenza delle sezioni sono determinate dalle disposizioni della legge statale». Orbene, nell'unico caso in cui l'art. 23 dello Statuto siciliano prevedeva, al terza comma, un accenno di specialita', ne' le prime norme di attuazione (adottate senza la procedura dell'art. 43 dello Statuto), ne' le successive (adottate stavolta con il procedimento speciale) hanno ritenuto possibile e legittimo alterare la composizione ordinaria delle sezioni della Corte dei conti. Sulla base delle argomentazioni addotte dalle Sezioni Unite della Cassazione nella decisione 2994/1955 in merito alle «esigenze del decentramento» non e' agevole giustificare come mai, in sede di attuazione della stessa norma statutaria, nei confronti della clausola di una qualche maggiore specialita' si sia mantenuta la composizione ordinaria della Corte dei conti, mentre, di fronte alla clausola dell'art. 23, prima comma, del tutto anodina sotto questo profilo, si sia ritenuto di poter istituire una sezione specializzata del Consiglio di Stato. Comunque, le vicende del coevo d.lgs. n. 655/1948 e come pure le successive determinazioni della commissione paritetica del 1999 allorche' e' stato introdotto il secondo comma all'art. 1 del predetto d.lgs. n. 655/1948 concernente la Corte dei conti, costituiscono ulteriore riprova del fatto che le norme di attuazione di cui al d.lgs. n. 373/2003, che riproducono, in parte qua, quelle di cui al d.lgs. n. 654/1948, appaiono in palese contrasto con la lettera e lo spirito dello Statuto siciliano. Ne' potrebbe addursi, a giustificare il differente regime tra i due decreti legislativi del 6 maggio 1948, e, conseguentemente, del d.lgs. n. 373/2003, l'argomento secondo cui non sarebbe ammissibile che nell'organo controllante (Corte dei conti) siano presenti magistrati designati dal soggetto controllato (Regione). Va infatti sottolineato che l'art. 23 della Statuto siciliano e il d.lgs. n. 655/1948 prevedono anche la localizzazione in Sicilia della sezione giurisdizionale per i giudizi di conto, responsabilita' e pensionistici e che la composizione di tale sezione non e' stata mai modificata, neppure dalla recente legge 5 giugno 2003, n. 131. Questa infatti, all'art. 7, ha previsto la mera possibilita' che le sole sezioni regionali di controllo della Corte dei conti siano integrate con due componenti di nomina regionale. Non va poi dimenticato che la norma in esame e' contenuta in una legge statale di portata generale ed uniforme su tutto il territorio nazionale. Pertanto, qualora si volesse riconoscere identico carattere giurisdizionale anche alla funzione di controllo della Corte dei conti, la norma sarebbe ugualmente in linea con i principi costituzionali della riserva di legge statale e della uniformita' della giurisdizione su ogni parte del territorio nazionale. In altri termini se per effetto dell'art. 7 della legge n. 131/2003 (ove applicabile alle regioni a statuto speciale) la sezione di controllo della Corte dei conti in Sicilia dovesse essere integrata con consiglieri di designazione regionale, cio' sarebbe dovuto all'efficacia di una legge statale uniforme su tutto il territorio nazionale, e non gia' in forza di una norma di attuazione dello Statuto siciliano che avesse introdotto un regime derogatorio rispetto a quello ordinario. 13. - Un ulteriore dubbio di costituzionalita' circa le richiamate disposizioni del d.lgs. n. 373/2003 emerge ove si consideri la VI disposizione transitoria della Costituzione. La stessa prevedeva di procedere, entro 5 anni, alla revisione delle giurisdizioni speciali eccettuando espressamente il Consiglio di Stato, la Corte dei conti e i Tribunali militari. In questa espressa eccezione trova concordanza la formulazione dell'art. 23 dello Statuto siciliano che si limitava al mero decentramento. Il d.lgs. n. 654/1948 prima, e il d.lgs. n. 373/2003 poi, istituendo una sezione specializzata (ove tale venga considerato questo Consiglio) hanno invece apportato sicuramente una modificazione all'organo giurisdizionale, ponendosi in contrasto oltre che con lo Statuto siciliano anche con il primo comma della VI disposizione transitoria. A questa proposito l'assenza del coordinamento, previsto dal r.d.lgs. 15 maggio 1946, n. 455, e mai avvenuto, tra lo Statuto siciliano e la Costituzione si avverte in modo ancora piu' evidente se si considera che lo Statuto (art. 23, primo comma) contemplava un decentramento negli organi giurisdizionali centrali, decentramento peraltro neppure generalizzato, ma limitato ai soli «affari concernenti la Regione». Innanzitutto non era e non e' agevole stabilire, in sede di giurisdizione (civile, penale amministrativa e contabile) quali siano gli «affari concernenti la Regione» dal momento che la giurisdizione e' un valore e una funzione neutra «insensibile alla localizzazione in questa o quella Regione» (Corte Cost. n. 150/1993 cit.). La riprova di tale difficolta' e' dimostrata dal fatto che per le giurisdizioni civili, penali, tributarie e delle acque pubbliche non e' mai stata data attuazione alla previsione statutaria e che in quella amministrativa si e' reso necessario estendere la competenza del Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana anche ad atti emessi da autorita' statali (art. 5, primo comma, d.lgs. n. 654/1948; art. 4, terzo comma, d.lgs. n. 373/2003) di modo che attualmente, atteso che la competenza territoriale del giudice amministrativa e' derogabile, e' possibile conoscere in Sicilia anche di ogni sorta di atti da chiunque emanati. Inoltre, per evitare di compromettere l'unita' del sistema giuridico della giustizia amministrativa, il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana venne configurato, relativamente agli atti statali, come organo sottordinato rispetto al Consiglio di Stato al quale era previsto la possibilita' di appellarsi (art. 5, terzo comma, d.lgs. n. 654/1948). Vale la pena di ricordare, in proposito, la decisione della Corte costituzionale n. 25/1976. In quella occasione l'appello all'Adunanza Plenaria avverso pronunce del Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana su atti statali veniva giustificato con il venir meno, in quel caso, delle «ragioni per cui gli era stata conferita quella particolare composizione caratterizzata dalla presenza di due giuristi designati dalla giunta regionale e poteva a cio' costituire opportuno rimedio la previsione dell'impugnabilita' delle sue decisioni». L'appello veniva inoltre giustificato non tanto per «attribuire ai ricorrenti davanti al Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana una tutela giurisdizionale maggiore di quella riconosciuta alla generalita' dei cittadini davanti al Consiglio di Stato quanto piuttosto per assicurare una definitiva uniformita' di controllo sugli atti delle amministrazioni dello Stato». Tale competenza di primo grado e' venuta meno dapprima in forza di una esegesi pretoria (Adunanza Plenaria n. 21/1978 e n. 18/1979) ed ora risulta espressamente sancita dal citato art. 4, terzo comma, del d.lgs. n. 373/2003, ma rimane innegabile il superamento della lettera e dello spirito della norma statutaria che limitava e limita la competenza ai soli «affari concernenti la Regione». Le anzidette considerazioni dimostrano le difficolta' di adattamento della previsione statutaria anche con riferimento al solo e limitato aspetto della localizzazione. Pertanto, estendere la portata dell'art. 23 sino a modificare la struttura dell'organo giudicante legittima il sospetto di una incostituzionale revisione (sia pure parziale) della giurisdizione del Consiglio di Stato. 14. - A giustificazione della composizione mista del Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana confermata dal decreto legislativo n. 373/2003 neppure potrebbe invocarsi una sorta di tacita consuetudine ovvero di convalescenza per decorso del tempo. Si tratterebbe infatti, in ambedue i casi, di istituti a fonti di integrazioni sconosciute al livello di norme costituzionali e comunque inammissibili in un sistema a costituzione rigida. In altri termini non sembrerebbe passibile sostenere (come talvolta adombrato) che la sussistenza della composizione mista del C.G.A. per oltre mezzo secolo costituirebbe di per se' una riprova della sua costituzionalita'. Innanzitutto, va rammentato che il periodo suindicato non e' decorso senza interrogativi. Invero, taluni aspetti di tale composizione mista non hanno superato il vaglia del giudice delle leggi (Corte Cost. 25/1976) ovvero hanno subito modificazioni, piu' o meno radicali, a seguito o in prospettiva del giudizio della Corte (v. il d.P.R. n. 204/1978 e lo stesso decreto legislativo n. 373/2003). In secondo luogo non puo' ritenersi che la permanenza di una norma nell'ordinamento, per un periodo piu' o meno lungo, costituisca garanzia di costituzionalita', come dimostrano gli esempi delle giunte provinciali amministrative (Corte Cost. n. 30/1967) del Tribunale superiore delle acque (Corte Cost. n. 305/2002) dei Tribunali regionali delle acque (Corte Cost. n. 353/2002), della Giunta speciale presso la Corte di appello di Napoli (Corte Cost. n. 393/2002). Infine, mentre e' possibile adattare una esegesi costituzionalmente corretta sulla base del tenore letterale dell'art. 23, primo comma dello Statuto siciliano, la tassativita' delle disposizioni di cui sopra non consente di adattare, in subiecta materia, una esegesi contraria ne' sussiste un diritto giurisprudenziale vivente che la supporti (v. da ultimo Corte Cost. ord. 30 gennaio 2003, n. 19). 15. - Neppure sembrerebbe ostativo a questi fini, il richiamo al mutato quadro istituzionale introdotto dal decreto legislativo n. 373/2003 ed alla intervenuta assimilazione del regime giuridico ed economico dei membri laici del C.G.A. a quello dei laici nominati in Consiglio di Stato. In altri termini, non sembrerebbe possibile sostenere che il superamento delle questioni concernenti sia i profili formali (delega in bianco e mancato intervento della Commissione paritetica) sia taluni di quelli sostanziali (indipendenza, imparzialita', regime giuridico ed economico nonche' meccanismi di rinnovo dei laici del C.G.A.) valga di per se' a dimostrare la sopravvenuta manifesta infondatezza della questione concernente il contrasto tra la pura localizzazione prevista dall'art. 23, primo comma, dello Statuto siciliano e la composizione mista di cui all'art. 4 del decreto legislativo n. 373/2003. In sostanza, non potrebbe sostenersi che la anzidetta questione risultava non manifestamente infondata in un quadro normativo in cui ai laici non erano assicurate imparzialita' ed indipendenza, mentre non apparirebbe piu' tale nell'ambito del decreto legislativo n. 373/2003 in cui tali garanzie sono state assicurate. Tale argomentazione non sembrerebbe convincente per un duplice ordine di considerazioni. Innanzitutto le questioni dianzi esaminate ed elencate non hanno alcun riferimento alla maggiore o minore indipendenza a imparzialita' dei laici. Invero, la questione che ne occupa, similmente a quanto ritenuto nelle ordinanze n. 185/2003 e n. 303/2003 di questo Consiglio, consiste nell'interrogativo se, in assenza di copertura costituzionale, sia possibile introdurre una forma di giurisdizione differenziata solo su una parte del territorio nazionale. Su un piano poi piu' propriamente sostanziale, la circostanza che ai componenti laici sia assicurato, ex decreto legislativo n. 373/2003, lo stesso trattamento giuridico ed economico dei laici nominati in Consiglio di Stato, non elimina il dato di fatto della esistenza di una giurisdizione differenziata. Al riguardo e' sufficiente rilevare innanzitutto che il regime giuridico non e' identico poiche', trattandosi di nomine temporanee per un sessennio, difetta, ad esempio, quel definitivo allontanamento dalla professione (art. 3, legge n. 303/1998), ovvero dalla amministrazione di provenienza che caratterizza i Consiglieri di Stato e della Corte dei conti di nomina politica. In secondo luogo, ma non meno decisivo a dimostrazione della esistenza di una differenziata singolarita', si puo' richiamare il disposto dell'art. 4, secondo comma del decreto legislativo n. 373/2003 secondo cui il collegio giudicante e' necessariamente composto con due membri laici di nomina politica regionale, il che comporta una differenziazione, non solo formale, ma anche sostanziale dell'esercizio della giurisdizione (Corte cost. n. 25/1976 cit.). Nei collegi amministrativi tale tipo di composizione sottintende la necessita' che vengano rappresentate esigenze, prospettive, e interessi di natura locale, il che, ovviamente, non ha ragione di essere in un collegio giurisdizionale tenuto soltanto ad applicare le norme dell'ordinamento quale che ne sia la fonte (internazionale, comunitaria, nazionale, regionale etc.). L'unico esempio di collegio giurisdizionale amministrativo in cui e' stata prevista la composizione mista e' rappresentata dal T.R.G.A., ma con norma di rango costituzionale e in base alla dichiarata e specifica finalita' di tutela delle minoranze etniche e linguistiche presenti nella regione (v. artt. 90, 91, 92 d.P.R. n. 670/1972). Neppure sembrerebbe possibile, a questi fini, richiamarsi all'incisa di cui all'art. 23, primo comma, dello Statuto siciliano che fa riferimento agli «affari concernenti la Regione» interpretando cioe' la formula come se questa implicitamente sottintenda che il contenzioso amministrativo tra un qualsiasi privato e le autorita' amministrative locali siciliane debba essere risolto da un giudice in composizione speciale. Infatti, non sarebbe spiegabile come tale esigenza avesse ragion d'essere solo in Sicilia e, quando anche cosi' fosse, come non sia emersa al livello statutario, ed anzi risulti ignorata nei lavori preparatori dello Statuto. In proposito neppure sembra probante la argomentazione secondo cui la composizione mista di cui al decreto legislativo n. 654/1948 prima, ed al decreto legislativo n. 373/2003 poi, potrebbe giustificarsi in funzione della autonomia regionale e della intima connessione della giustizia amministrativa con l'amministrazione attiva. Invero, per quanto concerne la autonomia regionale possono richiamarsi le considerazioni dianzi esposte in merito alla necessita' di una esegesi letterale delle norme statutarie concernenti la funzione giurisdizionale (Corte Cost. nn. 124/1957, 66/1964, 115/1972, 150/1993 cit.), e quelle circa la funzione delle norme di attuazione degli statuti speciali (Corte Cost. nn. 14/1956, 20/1956, 212/1984, 353/2001 cit.). Quanta alla supposta connessione della giustizia amministrativa con la amministrazione attiva non e' dato ravvisare, almeno allo stato attuale della legislazione, una connessione tra il ruolo e la funzione del giudice amministrativo e quello del pubblico amministratore. Se invece la affermazione sottintende che la giustizia amministrativa tocca prevalentemente interessi circoscritti e territorialmente localizzati, sembra evidente che cio' si verifica con la stessa frequenza nei giudizi ordinari civili e penali che traggono causa o presupposto dagli stessi atti amministrativi direttamente impugnabili davanti al giudice amministrativo, ma per questi giudizi civili e penali, come e' noto, l'art. 23 della Statuto siciliano non e' mai stata attuata neppure nella forma di semplice delocalizzazione. Del pari ininfluente appare la argomentazione, spesso da piu' parti prospettata, secondo cui l'attuale generale tendenza al federalismo potrebbe supportare, sul piano costituzionale, la disciplina di cui al decreto legislativo n. 373/2003. Al riguardo va innanzitutto sottolineata la inattualita', al livello costituzionale, di una scelta propriamente federalistica e, in secondo luogo, come la disciplina del decreto legislativo n. 373/2003 non sarebbe del tutto coerente neppure con tale futura impostazione. Potrebbe infatti predicarsi, anche in questo caso, quanto gia' dianzi osservato in relazione alla portata generale ed uniforme dell'art. 7 della legge n. 131/2003. Invero, anche ammettendo, in ipotesi, una scelta federalistica gia' in atto, non si comprenderebbe perche' questa scelta debba giustificare un esercizio differenziato della giurisdizione che debba valere solo per la giustizia amministrativa, solo per la Regione siciliana, e solo per l'ultimo grado di giudizio. In altri termini, anche volendo ipotizzare, de jure condendo ed in una visione federalistica, una giurisdizione amministrativa diversa da quella attuale, e cio', in una ottica di collegamento con le autonomie locali, sembrerebbe evidente che tale riforma dovrebbe trovare specifica disciplina in una legge statale ex art. 117, secondo comma, lettera l) della Costituzione (Corte Cost. n. 29/2003 cit.). Inoltre, in base ai principi costituzionali sulla uniformita' della giurisdizione su tutto il territorio nazionale, siffatta riforma dovrebbe avere portata generale senza differenziazioni di regime da Regione a Regione (Corte Cost. nn. 42/1991, 113/1993, 150/1993 cit.). Non meno irrilevante e' la argomentazione, peraltro meta giuridica, secondo cui sul decreto legislativo n. 373/2003 si sarebbe espresso favorevolmente, nel senso della sua costituzionalita', il Consiglio di Stato nella Adunanza Generale del 2 ottobre 2003. In proposito va evidenziato che in quella occasione il Consiglio di Stato, preso atto della pendenza della questione di costituzionalita' sollevata dall'ordinanza di questo Consiglio n. 185/2003, ha espressamente rilevato «come l'Adunanza Generale non abbia titolo ad interloquire in ordine all'ampia serie di censure sollevate dal C.G.A., anche per un doveroso rispetto istituzionale nei confronti della Corte costituzionale» (Allegato A). Una assicurazione in questo senso venne invece fornita, come da procedura, dall'Ufficio legislativo del Ministero di grazia e giustizia con nota 11 luglio 2003, prot. n. 1499/-30/21-113. Il Ministero infatti ha testualmente affermato che lo schema trasmessogli «appare complessivamente idoneo a superare le censure di costituzionalita' che il C.G.A. ha mosso alla vigente normativa, sia per cio' che attiene ad eventuali eccessi di delega, sia per cio' che attiene alla composizione dell'organo giurisdizionale» (Allegato B). Trattasi di formula apodittica alla quale, comunque, non potrebbe essere riconosciuta alcuna efficacia preclusiva dell'attuale giudizio di costituzionalita'. Per le suesposte argomentazioni si ritiene che il quadro normativo offerto dal decreto legislativo n. 373/2003, ancorche' sostanzialmente migliorativo rispetto al precedente, quanto a talune garanzie di imparzialita' ed indipendenza dei membri laici del C.G.A., non abbia risolto la questione di fondo concernente la legittimita' della istituzione di una forma di esercizio della giurisdizione amministrativa in Sicilia diversa dal resto del territorio nazionale in assenza - ripetesi - di una specifica copertura costituzionale. Pertanto si ritiene che il nuovo quadro normativo non valga, per cio' solo a rendere manifestamente infondate le anzidette questioni di costituzionalita' che meritano quindi di essere riproposte al vaglio del giudice delle leggi. 16. - Il Collegio, a questo punto, non puo' non rilevare anche la singolarita' della circostanza occorsa in sede di emanazione del decreto legislativo n. 373/2003 in esame, la cui norma di copertura finanziaria e' contenuta in un separato decreto-legge e precisamente nell'art. 6 del d.l. 24 dicembre 2003, n. 354, la cui entrata in vigore, ai sensi del successivo art. 9, e' stata fissata per il 1° gennaio 2004 ed e' stato successivamente convertita nella legge 26 febbraio 2004, n. 45. Dalla relazione tecnica allegata, ex art. 11-ter legge n. 468/1978, al d.l. n. 354/2003 (v. allegato C), risulta che il maggior onere complessivo a carico dello Stato, pari ad Euro 697.500,00, veniva ripartito in Euro 279.000 per compensi e indennita' per un presidente di sezione e due consiglieri di Stato fuori ruolo ed in Euro 418.500 per la meta' a carico dello Stato del compenso iniziale di consigliere di Stato spettante ai nove componenti laici. In proposito, il Collegio osserva che la norma di cui sopra non incide sulla rilevabilita' e rilevanza delle questioni di costituzionalita' dianzi adombrate, in quanto ne rappresenta semplicemente i conseguenziali sviluppi sul piano della finanza statale, ma condiziona tuttavia la operativita' delle disposizioni della cui costituzionalita' si dubita. Di qui la necessita' di denunciarne la incostituzionalita' sia pure in via derivata e in parte qua. Va infine ricordato che, ex art. 27 della legge n. 87/1953, e' possibile una declaratoria di incostituzionalita' derivata. Pertanto dalle censure rubricate di costituzionalita' come sopra ritenute non manifestamente infondate dovrebbe derivatamente discendere la incostituzionalita' anche dell'art. 6 del d.l. n. 354/2003, convertito nella legge 26 febbraio 2004, n. 45, peraltro limitatamente alla parte in cui assicura la copertura finanziaria dello Stato in misura pari alla meta' dello stipendio iniziale di consigliere di Stato per quattro componenti non togati e quindi per Euro 186.000. 17. - Ritiene ancora il Collegio che il vigente regime transitorio ed anche la futura possibilita' di diversa composizione del Collegio per effetto di eventuali nuove nomine di laici regionali ex artt. 4, 6, 7 e 15 del d.lgs. n. 373/2003 non influisca sulla rilevabilita' e rilevanza delle questioni sin qui prospettate. Innanzitutto va osservato che il decreto legislativo n. 373/2003 e' entrato in vigore il 29 gennaio 2004 e che, ai sensi dell'art. 14 dello stesso decreto da tale data sono abrogati il d.lgs. n. 654/1948 e il d.P.R. n. 204/1948 per cui, nessuna efficacia puo' piu' essere riconosciuta alla anzidetta normativa. Per quanto invece concerne le nomine effettuate sotto il suo vigore va tuttavia considerato che, con espresso riferimento alle nomine precedenti, la norma transitoria di cui all'art. 15, prima comma del d.lgs. n. 373/2003 consente ai laici componenti della Sezione giurisdizionale di rimanere in carica sino al compimento del sessennio a decorrere dal rispettivo giuramento, (sia pure subordinatamente ad una dichiarazione di insussistenza ovvero di intervenuta cessazione delle cause di incompatibilita), mentre il successivo secondo comma consente ai medesimi la permanenza in servizio per sessanta giorni dall'entrata in vigore del decreto legislativo, ancorche' versino in situazioni di incompatibilita' o comunque gia' scaduti. Pertanto, il regime transitorio di cui al primo e secondo comma dell'art. 15 del d.lgs. n. 373/2003 consente l'esercizio della giurisdizione di questo C.G.A. nella composizione mista, atteso che per i membri laici presenti in questo Collegio il sessennio non e' ancora scaduto (v. allegato D, D1, E, E1) e neppure e' scaduto il termine di sessanta giorni dalla entrata in vigore del predetto decreto legislativo (29 gennaio 2004). Conseguentemente, le anzidette questioni di costituzionalita' possono essere sollevate anche nei confronti del primo, cosi' come del secondo comma del citato art. 15 ovviamente, in parte qua, e cioe' con esclusivo riferimento ai membri laici della Sezione giurisdizionale (giuristi secondo la definizione del d.lgs. n. 654/1948). Peraltro va anche sottolineato che si tratta di questioni che riguardano direttamente, e a regime, il modo di essere e di funzionare di questo Consiglio. Esse invero prescindono nel modo piu' completo dalla varia posizione che possano rivestire gli attuali membri laici di questo Consiglio in relazione al regime transitorio e cioe' se proseguano nell'incarico ovvero se vengano sostituiti da altri. Invero, le questioni prospettate in precedenza riguardano la legittimita' costituzionale in apicibus di una composizione mista di questo Consiglio, questioni nei confronti della quale e' irrilevante e ininfluente la eventualita' di nuove nomine di membri laici in sostituzione a in aggiunta agli attuali. Inoltre, e' opportuno richiamare il pacifico e costante insegnamento della Corte costituzionale in tema di autonomia del processo costituzionale secondo cui «il requisito della rilevanza riguarda solo il momento genetico in cui il dubbio di costituzionalita' viene sollevato e non anche il periodo successivo alla remissione della questione alla Corte Costituzionale» (v. da ultima Corte Cost. ord. n. 110/2000). Nella medesima ottica e stato chiarito che «la vicenda del processo incidentale di legittimita' costituzionale non puo' essere influenzata da circostanze di fatto sopravvenute nel procedimento principale: e cio' in quanto, svolgendosi il processo incidentale nell'interesse pubblico, e non in quello privato, una volta che esso si sia validamente instaurato a norma dell'art. 23 legge 11 marzo 1953, n. 87, acquisisce una autonomia che la pone al riparo dall'ulteriore atteggiarsi della fattispecie, financo nel caso in cui, per qualsiasi causa, fosse venuto a cessare il giudizio rimasto sospeso (art. 22 delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale)» (Corte Cost. ord. nn. 300/1984, 383/2002, e v. anche dec. nn. 135/1963, 701/1988, 52/1986). Quanto poi alla ammissibilita' delle questioni anzidette il Collegio si richiama parimenti all'insegnamento della Corte costituzionale (Corte Cost. nn. 177/1973, 25/1976 e 266/1988). La Corte ha infatti affermato che la possibilita' di una declaratoria di incostituzionalita' della composizione del Collegio non puo' far venir meno, ex ante, la ammissibilita' e rilevanza della questione (Corte Cost. n. 177/1973) poiche', in tal caso, siffatte questioni non potrebbero mai venire sollevate (Corte Cost. n. 266/1988). 18. - In conclusione, avuto riguardo anche alla domanda di rimessione formulata dalle resistenti e alla stregua delle considerazioni esposte nei precedenti paragrafi, possono essere avanzate nell'ordine e in subordine le seguenti questioni di costituzionalita': a) dell'art. 4, comma 1, lettera d) e del successivo comma 2, nonche' dell'art. 6, comma 2, del d.lgs. 24 dicembre 2003, n. 373 limitatamente alle parole «e all'art. 4, comma 1, lettera d)» nonche', in parte qua, dell'art. 15, commi 1 e 2 del decreto legislativo medesimo, limitatamente alla possibile permanenza dei membri laici della Sezione giurisdizionale e, derivatamente, in parte qua, dell'art. 6 del decreto-legge 24 dicembre 2003, n. 354, convertito nella legge 26 febbraio 2004, n. 45, in rapporto all'art. 23 dello Statuto siciliano ed all'art. 102, primo comma e 108, primo comma Cost. in quanto l'art. 23 dello Statuto non prevede alcuna deroga alla composizione ordinaria delle sezioni del Consiglio di Stato da localizzare in Sicilia, e in rapporto agli artt. 102, primo comma e 108, primo comma Cost. in quanto il d.lgs. n. 373/2003 citato disciplina una materia riservata dalla Costituzione alla legge statale, per cui eventuali deroghe a favore dell'autonomia regionale debbono essere supportate da una espressa previsione di pari rango costituzionale; nonche', in rapporto agli artt. 3, 24 primo comma, 113 primo comma Cost., in quanto introduce una ingiustificata differenziazione dell'organo giudicante e quindi anche dell'esercizio della giurisdizione su una parte del territorio nazionale; a1) in subordine dell'art. 4, comma 1, lettera d) e del successivo comma 2, nonche' dell'art. 6 comma 2 del d.lgs. n. 373/2003 limitatamente alle parole «e all'art. 4, comma 1, lettera d)» nonche', in parte qua, dell'art. 15, commi 1 e 2 limitatamente alla possibile permanenza dei membri laici della Sezione giurisdizionale e, derivatamente, in parte qua, dell'art. 6 del d.l. n. 354/2003 convertito in legge n. 45/2004 in rapporto all'art. 23, primo comma dello Statuto siciliano che non prevede ne' una sezione specializzata del giudice speciale ne' una composizione collegiale diversa da quella ordinaria e cio' anche in relazione, quale tertia comparationis, (e con riferimento all'art. 3 della Costituzione) all'art. 24, primo comma dello Statuto siciliano concernente la composizione dell'Alta Corte, nonche' all'art. 23, terzo comma del medesimo Statuto, all'art. 10 del d.lgs. 6 maggio 1948, n. 655 concernente la istituzione di sezioni della Corte dei conti per la Regione siciliana, all'art. 1 del d.lgs. 18 giugno 1999, n. 200 e agli articoli 90 e 91 secondo comma del T.U. delle leggi costituzionali di cui al d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670; A2) in subordine dell'art. 4 comma 1 lettera d) e del successivo comma 2, nonche' dell'art. 6, comma 2 del d.lgs. n. 373/2003 limitatamente alle parole «e all'art. 4, comma 1, lettera d)» nonche', in parte qua, dell'art. 15 commi 1 e 2 del decreto legislativo medesimo, limitatamente alla possibile permanenza dei membri laici della Sezione giurisdizionale e, derivatamente, in parte qua, dell'art. 6 del d.l. n. 354/2003 convertito in legge n. 45/2004 in rapporto allo stesso art. 23, primo comma dello Statuto siciliano, nonche' in rapporto all'art. 102, secondo comma e, 108 primo e secondo comma della Costituzione, non essendo consentito istituire Sezioni specializzate nell'ambito dei giudici speciali; A3) in subordine dell'art. 4, comma 1, lettera d) e del successivo comma 2, nonche' dell'art. 6, comma 2 del d.lgs. n. 373/2003 limitatamente alle parole «e all'art. 4, comma 1, lettera d)» nonche', in parte qua, dell'art. 15 commi 1 e 2 del decreto legislativo medesimo, limitatamente alla possibile permanenza dei membri laici della Sezione giurisdizionale e, derivatamente, in parte qua, dell'art. 6 del d.l. n. 354/2003 convertito in legge n. 45/2004 in rapporto all'art. 23, primo comma dello Statuto siciliano ed in rapporto al primo comma della VI disposizione transitoria della Costituzione che esclude dalla revisione la giurisdizione del Consiglio di Stato; III 1. - Quanto alla non manifesta infondatezza, il Collegio ritiene che tale requisito sussista sia con riferimento all'assetto costituzionale precedente, sia anche con riferimento all'assetto costituzionale quale risulta dopo la modifica del Titolo V della Costituzione per effetto della legge Cost. n. 3/2001. 2. - Va innanzitutto ricordato, alla stregua del pacifico insegnamento della Corte costituzionale, inaugurato con la sua stessa prima decisione (n. 1/1956), che le norme ordinarie, ancorche' nate costituzionalmente legittime, possono essere affette da iliegittimita' costituzionale sopravvenuta per contrasto con nuove norme costituzionali (Corte Cost. n. 13/1974). Cio' vale anche per lo Statuto siciliano, approvato con r.d.lgs. 15 maggio 1946, n. 455 prima della Costituzione repubblicana, i cui artt. 26 e 27 - come gia' accennato - sono stati dichiarati incostituzionali malgrado la costituzionalizzazione dello Statuto fosse intervenuta successivamente (Corte Cost. n. 6/1970 cit.). In altri termini, non sarebbe possibile una lettura delle norme statutarie in senso non conforme alla Costituzione e ai suoi principi fondamentali poiche', in tal caso, le stesse norme statutarie potrebbero risultare affette da incostituzionalita' (Corte Cost. nn. 30/1971, 31/1971, 32/1971, 12/1972, 175/1973, 1/1977, 18/1982, 183/1983, 170/1984, 1146/1988). Nella specie, peraltro, la norma statutaria in esame, e cioe' l'art. 23, primo comma, nel suo tenore letterale e nella sua ratio, appare perfettamente coerente con i principi costituzionali in tema di uguaglianza dei cittadini nella tutela dei propri diritti ed interessi, nonche' di uniformita' dell'esercizio della giurisdizione limitandosi - come piu' volte osservato - al puro e semplice decentramento degli organi giurisdizionali superiori nella loro composizione ordinaria. Gli interrogativi non riguardano quindi il disposto statutario, ma soltanto la sua attuazione, attuazione che, travalicando tale disposto, ne e' stata fornita, dapprima con il decreto legislativo 654/1948, ed attualmente, sotto il vigore del nuovo Titolo V della Costituzione, con il decreto legislativo 373/2003; Cio' premesso, il nuovo Titolo V della Costituzione, ad avviso del Collegio, non solo non fa venir meno le questioni di costituzionalita' dinanzi prospettate, ma rafforza, se mai, il peso delle argomentazioni di cui sopra. Mantiene, infatti, identica rilevanza e non manifesta infondatezza la questione rubricata sub A3 concernente la violazione del primo comma della VI disposizione transitoria della Costituzione. Quanto agli altri profili, puo' ritenersi anche per essi ha perdurante rilevanza ed anzi ha maggiore fondatezza per effetto delle disposizioni del nuovo Titolo V. Com'e' noto, l'art. 10 della legge Cost. n. 3/2001 dispone che sino all'adeguamento dei rispettivi Statuti, le disposizioni del nuovo Titolo V si applicano anche alle Regioni a Statuto speciale per le parti in cui prevedono forme di autonomia piu' ampie rispetto a quelle gia' attribuite (cosiddetta clausola di maggior favore). Peraltro, in precedenza si e' denunciata la incostituzionalita' di talune disposizioni del d.lgs. 373/2003 in quanto norme di attuazione statutaria contra legem, o comunque, praeter legem in quanto in contrasto con la lettera e lo spirito dello Statuto sicilano oltreche' con principi e precise disposizioni costituzionali. Tuttavia, tali principi e tall disposizioni sono contenuti nel Titolo IV della Costituzione e non gia' nel Titolo V le cui modifiche, pertanto, dovrebbero risultare ininfluenti ai fini qui in esame. Peraltro, per indispensabile completezza, dovrebbero esaminarsi taluni aspetti della riforma, aspetti che comunque non incidono sulle conclusioni dianzi esposte ma, se mai, le rafforzano. Innanzitutto va premesso che nella specie si tratta di valutare la costituzionalita' di una normativa emanata successivamente alla entrata in vigore della legge costituzionale n. 3/2001. Quindi i canoni circa: il riparto di competenze legislative tra Stato e Regioni dovrebbero essere valutati alla stregua del nuovo assetto costituzionale non essendo applicabile il principio di continuita' dell'ordinamento (Corte Cost. n. 422/2002). Cio' premesso va osservato che nel vigore della distribuzione delle competenze legislative anteriore alla riforma del Titolo V la giurisprudenza costituzionale ha costantemente affermato, sin dalla decisione 124/1957, la necessita' di distinguere lo Stato quale unico ente a fini generali dalle Regioni (ordinarie o a Statuto speciale) «enti con fini predeterminati e inderogabilmente fissati» (Corte Cost. n. 66/1964). Da tale esigenza e' stato ricavato il corollario della impossibilita' di estendere in senso finalistico l'ambito delle materie elencate negli Statuti. Pertanto, anche se uno Statuto speciale avesse attribuito alla competenza esclusiva regionale il conseguimento di un certo fine, questo avrebbe potuto essere conseguito soltanto nell'ambito delle materie attribuite alla competenza regionale. E cosi', esemplificando con riferimento alla Regione siciliana, il fine statutario di cui all'art. 14 lettera e) «incremento della produzione agricola e industriale» pur attribuendo alla Regione competenza legislativa esclusiva in materia, non le consentiva tuttavia di conseguirlo disciplinando il regime delle accise e dell'I.G.E. poiche' ha materia dei tributi erariali non risultava attribuita alla Regione (Corte Cost. n. 124/1957 cit.). Identiche conclusioni, sempre con riferimento alla Regione siciliana, sono state ribadite con riguardo alla giurisdizione, rilevandosi come la competenza esclusiva «e' strettamente limitata alle materie quali sono elencate negli Statuti speciali restando escluso che, rispetto a queste, possano valere criteri finalistici che non risultino da valutazioni del tutto obiettive del loro contenuto» (Corte Cost. n. 66/1964). Ed inoltre che non sarebbe possibile una esegesi dell' ambito delle varie materie «non suffragata dalla formulazione letterale della disposizione statutaria» (Corte Cost. n. 115/1972). La necessita' di tracciare la linea di demarcazione tra le competenze statali e quelle regionali «che e' necessario tener ferma onde salvaguardare l'interesse all'unita' dell'ordinamento» (Corte Cost. n. 46/1962) ha portato ad escludere sia una competenza normativa regionale in ambiti connessi alle materie attribuite (Corte Cost. n. 46/1962 cit.), sia una esegesi finalistica delle materie attribuite poiche' «se cosi' non fosse la competenza legislativa delle Regioni si estenderebbe, potenzialmente, a tutto l'ordinamento giuridico e, per converso, tutta la potesta' legislativa dello Stato sarebbe limitata dalla potesta' della Regione di regolare qualunque rapporto giuridico nel campo delle attivita' attribuite alla competenza regionale, in modo diverso dalla legislazione statale» (Corte Cost. n. 66/1961). Il quadro e' mutato con il nuovo Titolo V, ma ha giurisprudenza costituzionale sembra orientata su una linea di continuita'. Nelle sue prime pronunce sull'argomento la Corte costituzionale infatti, da un lato ha sottolineato le novita' del quadro complessivo dei rapporti tra Stato e Regioni nel quale «sono apparsi particolarmente rilevanti l'art. 114, che pone sullo stesso piano lo Stato e le Regioni, come entita' costitutive della Repubblica, accanto ai comuni, alle citta' metropolitane e alle Province; l'art. 117, che ribalta il criterio prima accolto, elencando specificatamente le competenze legislative dello Stato e fissando una clausola residuale in favore delle Regioni; e infine l'art. 127, che configura il ricorso del Governo contro le leggi regionali come successivo, e non piu' preventivo». Peraltro, pur nel mutato assetto la Corte non ha mancato di sottolineare come, «nel nuovo assetto costituzionale scaturito dalla riforma, allo Stato sia pur sempre riservata, nell'ordinamento generale della Repubblica, una posizione peculiare desumibile non solo dalla proclamazione di principio di cui all'art. 5 della Costituzione, ma anche dalla ripetuta evocazione di un'istanza unitaria, manfestata dal richiamo al rispetto della Costituzione, nonche' dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali, come limiti di tutte le potesta' legislative (art. 117, primo comma) e dal riconoscimento dell'esigenza di tutelare l'unita' giuridica ed economica dell'ordinamento stesso (art. 120, secondo comma). E tale istanza postula necessariamente che nel sistema esista un soggetto - lo Stato, avente il compito di assicurarne il pieno soddisfacimento» (Corte cost. n. 274/2003). Come si e' visto, nella ripartizione di competenze stabilita dal nuovo art. 117 della Costituzione le Regioni (anche quelle a Statuto speciale) hanno goduto di un significativo ampliamento della loro sfera di competenza legislativa che, ai sensi del quarto comma dell' attuale art. 117, e' divenuta generale in via residuale invertendosi l'originario criterio. Si discute quindi sul carattere esclusivo generale di tale competenza, e cioe' ci si chiede se una materia non riconducibile al secondo e terzo comma dell'art. 117 rientri, percio' solo, nella competenza generale residuale (v. Corte cost. 370/2003). Ci si chiede poi se i limiti a tale competenza siano soltanto quelli generali di cui all' art. 117, primo comma o se ve ne siano anche degli altri. Inoltre, con riferimento alle Regioni a Statuto speciale, ci si interroga se la precedente competenza legislativa primaria sia transitata o meno nella residuale generale dell'art. 117, quarto comma e se ad essa debbano applicarsi i vecchi limiti presenti negli Statuti speciali ovvero i nuovi ricavabili dall'art. 117, primo comma, e non solo da questo. In riferimento alle problematiche dianzi rilevate e di non agevole soluzione, che emergono dal nuovo Titolo V, e con riferimento alla questione in esame, sembra opportuno chiedersi, in primo luogo, se, a fronte, dell'ampliamento delle competenze legislative regionali derivante dalla attribuzione di competenza generale residuale, non debba contrapporsi, anche per le Regioni a Statuto speciale, la riserva di legislazione esclusiva a favore dello Stato cosi' come elencata all'art. 117, secondo comma. Al riguardo, la Corte ha pronunciato alcune decisioni in cui si afferma che il nuovo Titolo V non si applica alle Regioni a Statuto speciale, se non nelle parti che prevedono forme di autonomie piu' ampie rispetto a quelle gia' attribuite (v. Corte cost. ord. n. 377/2002 decisioni nn. 408/2002, 533/2002, 48/2003, 103/2003). Tuttavia, in un'altra decisione, concernente ha regione Sardegna, e in materia di caccia in cui tale Regione gode di potesta normativa primaria, le argomentazioni della Corte appaiono molto piu' articolate in quanto si e' affermato (con riferimento espresso al nuovo Titolo V) che «la disciplina statale rivolta alla tutela dell'ambiente e dell'ecosistema puo' incidere anche sulla materia caccia pur riservata alla potesta' legislativa regionale, ove l'intervento statale sia rivolto a garantire standard minimi e unformi di tutela della fauna trattandosi di limiti unificanti che rispondono ad esigenze riconducibili ad ambiti riservati alla competenza esclusiva dello Stato» (Corte cost. n. 536/2002). Sembrerebbe quindi che ha Corte Costituzionale abbia riconosciuto che nel nuovo assetto delle competenze legislative, delineato dal nuovo Titolo V, le materie riservate in via esclusiva allo Stato si impongono anche alle competenze legislative primarie delle Regioni a Statuto speciale, ma non in toto, bensi' nel senso piu' ristretto di poter fissare a quelle autonomie regionali nuovi limiti prima inesistenti. Tale orientamento e' stato poi ribadito dalla Corte sia nei confronti (come era ovvio) delle Regioni a Statuto ordinario (decisione 227/2003) sia nei confronti della provincia autonoma di Trento dotata di competenza esclusiva in materia e cio' con riferimento ai preesistenti limiti statutari all'esercizio della competenza anzidetta (decisione 226/2003). In altri termini, nella esegesi della Corte sembra affermarsi il concerto che le esigenze di unitarieta' ed uniformita' dell'ordinamento (v. anche dec. 274/2003 cit.) insite nella elencazione delle competenze esclusive statali e specie in quelle trasversali (e cioe' definibili finalisticamente piu' che per l'oggetto, quali la tutela dell'ambiente, della concorrenza, del risparmio, la determinazione dei livelli essenziali v. Corte Cost. nn. 282/2002, 407/2002, 88/2003, 303/2003, 376/2003, 14/2004) sono talmente rilevanti da condizionare ex novo anche la operativita' della clausola di maggior favore. Se cio' e' esatto, anche qualora ho Statuto sicilano avesse attribuito espressamente alla competenza primaria della Regione ha organizzazione, in ambito regionale, della giustizia civile, penale ed amministrativa di ultima istanza (il che non risulta ne' implicitamente ne' esplicitamente), ebbene, anche in questo ipotetico caso, la maggiore autonomia statutaria spettante in base alla clausola di maggior favore ne uscirebbe ridimensionata nel senso che non potrebbe piu' disciplinare, in una forma derogatoria per la sola Regione siciliana, aspetti della organizzazione giudiziaria che, ex art. 117 secondo comma lettera l), debbono restare necessariamente unitari per l'ordinamento generale della giustizia (composizione dei Collegi, stato giuridico dei magistrati laici e togati etc.). Quanto poi al carattere finalistico della materia «giurisdizione» e' sufficiente osservare come questa attenga direttamente, ex art. 24 Cost., «alla tutela dei propri diritti ed interessi legittimi» e quindi non sembrerebbe dubitabile che anche essa appartenga alla stessa categoria trasversale e finalistica al parti della tutela del risparmio, della concorrenza, dell'ambiente ed altresi' (forse anche nel suo contenuto) a quella dei livelli essenziali di prestazioni, come sembrerebbe gia' adombrato nella citata decisione Corte cost. 150/1993. Potrebbe invece consolidarsi una diversa esegesi nella applicazione dell'art. 10 della legge cost. 3/2001, nel senso cioe' che le materie riservate in via esclusiva allo Stato dal nuovo art. 117, secondo comma non possono costituire od introdurre nuovi limiti ai piu' ampi poteri normativi primari che, nelle stesse materie, sono previsti negli Statuti speciali, e, che debbono, semmai, soltanto applicarsi i vecchi limiti statutari alla normativa primaria. Tuttavia, anche in questo caso, permarrebbe ha rilevanza dei dubbi di costituzionalita', dianzi enunciati e la loro non manifesta infondatezza. Invero, ha Corte costituzionale, nella decisione 48/2003 da un lato ha affermato che l'applicazione della clausola di maggior favore (condotta sulla base di una valutazione comparativa) esclude ovviamente le competenze normative statali, ma ha riconfermato nella specie, per quanto qui interessa, il limite statutario della armonia con la Costituzione e con i principi dell'ordinamento giuridico della Repubblica. Lo Statuto siciliano, pur anteriore alla Costituzione, prevede similmente (art. 14, primo comma) che la competenza legislativa primaria si esercita nei limiti delle leggi costituzionali dello Stato. Non si e mai dubitato quindi che la competenza primaria della Regione siciliana dovesse osservare i principi della Costituzione (Corte cost. n. 66/1964, 115/1972) cosi' come anche i principi fondamentali delle leggi di riforma economicosociale (Corte cost. nn. 545/1989, 4/2000, 314/2003). In questo caso i limiti alla possibilita' di legiferare in tema di giurisdizione sarebbero rappresentati, oltre che dall'art. 14 primo comma dello Statuto da quelli ricavabili, come sottolinea la Corte costituzionale (dec. 274/2003 cit.) dall'art. 5, dall'art. 117, primo comma, dall'art. 120, secondo comma della Costituzione. In conclusione, quindi, i principi unitari, unificanti ed infrazionabili ricavabili dalla Costituzione, tra i quali va annoverata la uniformita'. della disciplina della giurisdizione in ogni suo aspetto su tutto il territorio nazionale, si impongono comunque alle Regioni a Statuto speciale in assenza di una espressa deroga statutaria e, dopo la riforma del Titolo V, potrebbero anche limitare la portata di una eventuale espressa deroga statutaria. Tale prevalenza, che prescinde anche dalla clausola di maggior favore, si applica sia con riferimento ai limiti alla normativa primaria gia' presenti negli Statuti, sia ai nuovi, e cio' sia con riferimento all'assetto antecedente la riforma del Titolo V, sia a quello successivo. In proposito la Corte costituzionale ha affermato che il potere di disciplinare l'esercizio della giurisdizione «alla Regione Sardegna come alle altre Regioni a Statuto speciale od ordinario non spetta, restando invece riservato alla competenza del legislatore statale (cfr. sentenza 115 del 1972; e v. oggi l'art. 117, secondo comma, lettera l) della Costituzione come sostituito dalla legge costituzionale n. 3 del 2001)» (Corte cost. n. 29/2003). Pertanto, sia la riserva di legge statale di cui all'art. 117, secondo comma lettera l) della Costituzione, sia il disposto dell'art. 14, primo comma dello Statuto siciliano nonche' degli artt. 5, 117 primo comma e 120, secondo comma della Costituzione, inducono tutti a ritenere che i vizi di costituzionalita' in precedenza denunciati si dovrebbero ritenere ulteriormente confermati. Al limite, qualora i dubbi di costituzionalita' dianzi esposti avessero potuto essere superati con riferimento al precedente assetto costituzionale, gli stessi dovrebbero essere inevitabilmente riconosciuti con riferimento al nuovo. Pertanto, il combinato disposto degli artt. 5, 102 primo comma, 108 primo comma, 117 primo e secondo comma, lettera l) e 120, secondo comma della Costituzione dovrebbe ormai dimostrare in modo inconfutabile che le norme di attuazione di cui al D.Lgs. 373/2003 sembrano affette da incostituzionalita' alla luce della riforma del Titolo V. In altri termini, l'art. 117 secondo comma rafforza, se ce ne fosse bisogno, la necessita' di attenersi ad una esegesi strettamente letterale dell'art. 23 dello Statuto siciliano. Invero, nel silenzio totale dello Statuto in materia di organizzazione giudiziaria (oltre all'art. 23 v. anche gli artt. 14 e 17) si osserva, innanzitutto, che non puo' scattare la clausola di maggior favore non essendo tale materia attribuita alla competenza regionale, e, in secondo luogo, che comunque, qualsiasi iniziativa normativa che dovesse essere assunta in proposito, vuoi in sede di commissione paritetica vuoi autonomamente dallo Stato o dalla Regione, dovrebbe in ogni caso tener conto dell'art. 117, primo comma secondo cui la Costituzione (e quindi la competenza esclusiva statale da esercitare nella materia de qua con caratteri di uniformita) costituisce un limite insuperabile a qualsiasi categoria di normazione regionale sia essa primaria che concorrente e sia anche in sede si norme di attuazione che restano pur sempre subordinate alla Costituzione e quindi anche alle esigenze unitarie canonizzate negli artt. 5 e 120, secondo comma. 3. - Pertanto in relazione alle questioni elencate sub A, A1, A2, puo' essere posta anche la seguente: A 4 in subordine qualora si potesse ritenere ha costituzionalita' dell'art. 4, comma 1, lettera d) e del successivo comma 2, nonche' dell'art. 6, comma 2 del d.lgs. 373/2003 limitatamente alle parole «e all'art. 4, comma 1, lettera d)» nonche', in parte qua, dell'art. 15, commi 1 e 2, limitatamente alla possibile permanenza dei membri laici della Sezione giurisdizionale e, derivatamente, in parte qua, dell'art. 6 del d.l. n. 354/2003 convertito in legge n. 45/2004, in relazione alle questioni sollevate ai precedenti punti sub A, A1, A2, si ripropongono le stesse questioni in rapporto anche al disposto dell'art. 117, secondo comma, lettera l) della Costituzione, dell'art. 14, primo comma dello Statuto siciliano, dell'art. 5, dell'art. 117, primo comma e dell'art. 120, secondo comma della Costituzione. Ritenuto pertanto che l'appello non possa essere definito prescindendo dalla risoluzione sulle anzidette questioni di costituzionalita'.