ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nel  giudizio  di legittimita' costituzionale dell'art. 30-bis, primo
comma,  del  codice  di  procedura civile, promosso con ordinanza del
15 aprile  2003 dal Tribunale di Bari sul ricorso proposto da Stefano
Sernia  ed  altra,  iscritta  al n. 496 del registro ordinanze 2003 e
pubblicata  nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 32, 1ª serie
speciale, dell'anno 2003.
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella camera di consiglio dell'11 febbraio 2004 il giudice
relatore Franco Bile.

                          Ritenuto in fatto

    1.  -  Con  ordinanza  del 15 aprile 2003 il Tribunale di Bari ha
sollevato   d'ufficio,   in  riferimento  agli  artt. 3  e  24  della
Costituzione,     questione     di     legittimita'    costituzionale
dell'art. 30-bis,  primo  comma,  del  codice  di  procedura  civile,
introdotto   dall'art. 9   della   legge   2 dicembre   1998,  n. 420
(Disposizioni  per  i procedimenti riguardanti i magistrati), secondo
cui le cause in cui sono comunque parti magistrati - che in base alle
disposizioni  del  Capo I  del  Titolo  I  del  Libro I del codice di
procedura  civile  sarebbero attribuite alla competenza di un ufficio
giudiziario  compreso  nel  distretto  di  corte  d'appello in cui il
magistrato  esercita  le  proprie  funzioni  - sono di competenza del
giudice, ugualmente competente per materia, avente sede nel capoluogo
del  distretto  determinato  ai  sensi  dell'art. 11  del  codice  di
procedura penale.
    L'ordinanza  e'  stata resa in un procedimento civile concernente
la  cessazione  degli  effetti civili di un matrimonio concordatario,
proposto   congiuntamente   da   coniugi  in  regime  di  separazione
consensuale omologata, ai sensi dell'art. 4, primo comma, della legge
1°  dicembre  1970,  n. 898  (Disciplina dei casi di scioglimento del
matrimonio),  come  sostituito  dall'art. 8 della legge 6 marzo 1987,
n. 74  (Nuove  norme  sulla  disciplina  dei  casi di scioglimento di
matrimonio).  Nel  corso  del  procedimento, il difensore delle parti
aveva dichiarato che entrambi i ricorrenti erano magistrati e che uno
di essi prestava servizio presso il Tribunale di Bari.
    Il   giudice  rimettente  ritiene  anzitutto  che  la  regola  di
competenza  derogatoria,  prevista dalla norma impugnata con generico
riferimento  alle  «cause in cui siano comunque parti magistrati», si
applica  anche  alla  domanda  congiunta  dei coniugi per ottenere lo
scioglimento  del  matrimonio  civile  o  la cessazione degli effetti
civili  del  matrimonio  concordatario,  che  (secondo  gli  ordinari
criteri di competenza) si propone al tribunale del luogo di residenza
o di domicilio dell'uno o dell'altro coniuge.
    Quella  regola  infatti  -  in  ragione  della  sua  finalita' di
salvaguardia dei valori di terzieta' ed imparzialita', immanenti alla
giurisdizione  -  prevale su qualsiasi altra competenza territoriale,
pur  inderogabile,  stabilita  non solo dalle disposizioni del Capo I
del  Titolo  I  del  Libro  I  del  codice  di procedura civile, come
vorrebbe  la  lettera  dell'art. 30-bis,  ma anche da qualunque altra
disposizione  di  legge; e la sua violazione e' rilevabile d'ufficio.
D'altro  canto, il procedimento introdotto dalla domanda congiunta di
divorzio deve essere considerato «causa», pur se comporti «l'adozione
del   piu'  veloce  e  semplificato  rito  camerale»,  in  quanto  le
pattuizioni  intervenute  fra i coniugi sono assunte come presupposto
della  decisione  del  giudice,  previa verifica della ricorrenza dei
requisiti  di  legge; e pertanto esso rivela un pieno esercizio della
giurisdizione.   Del  resto,  l'applicabilita'  dell'art. 30-bis  non
potrebbe  essere  esclusa  neppure  se  il  procedimento  divorzile a
istanza  congiunta  avesse natura di giurisdizione volontaria, tenuto
conto che anch'essa e' soggetta alla regola di competenza in esame.
    A  sostegno  della non manifesta infondatezza della questione, il
Tribunale  rileva  che  la  Corte costituzionale - cui, anteriormente
all'entrata  in vigore della norma impugnata, era stata sottoposta la
questione  di  costituzionalita' della mancata estensione al processo
civile del foro derogatorio previsto dall'art. 11 cod. proc. pen. per
i  procedimenti riguardanti magistrati - aveva riconosciuto (sentenza
n. 51   del   1998)   che   tale   estensione   non  poteva  avvenire
indiscriminatamente  per  tutti  i  processi  civili  -  per la netta
distinzione  esistente  tra  il  processo civile e quello penale - ma
doveva  disporsi dal legislatore, previa valutazione della diversita'
dei possibili oggetti del primo.
    Tuttavia,  osserva  il rimettente che il legislatore, senza tener
conto di siffatta indicazione, ha - con l'art. 30-bis cod. proc. civ.
-  esteso la competenza territoriale prevista dall'art. 11 cod. proc.
pen.  a tutte le cause civili e che proprio questa soluzione e' stata
censurata  dalla  Corte  con  la  sentenza  n. 444  del  2002, che ha
dichiarato   l'illegittimita'  costituzionale  dell'art. 30-bis  cod.
proc.  civ.,  nella parte in cui si applica ai processi di esecuzione
forzata promossi da o contro magistrati.
    Ad analogo apprezzamento, secondo il giudice rimettente, dovrebbe
pervenirsi  per  la  domanda  congiunta di declaratoria di cessazione
degli   effetti   civili   del   matrimonio   concordatario.  Infatti
l'applicazione   dell'art. 30-bis   a  questo  tipo  di  controversie
determina  l'allontanamento  del  processo  dal  foro  opportunamente
individuato  dal citato art. 4, primo comma, nel luogo costituente il
centro  di  vita  di almeno uno dei coniugi. Ne consegue per essi non
solo  un  aggravio  delle condizioni della tutela giudiziale sotto il
profilo materiale, in termini di tempi e costi, ma anche una maggiore
difficolta'  di  perseguire l'attuazione dei loro diritti e di quelli
della  prole,  ogni  volta  che  il  giudice  ritenga  necessario,  o
semplicemente    opportuno,   assumere   informazioni   dalle   parti
personalmente   o   ascoltare   figli  minori  su  quelle  condizioni
regolatrici della cessazione degli effetti civili del matrimonio, che
direttamente li riguardino.
    Percio'  lo  spostamento  della  competenza  ai sensi della norma
censurata    sarebbe   intrinsecamente   irragionevole   ed   inoltre
discriminerebbe - ai fini della realizzazione del diritto di azione -
la situazione soggettiva del magistrato in servizio nel distretto del
giudice ordinariamente competente rispetto a quella del magistrato in
servizio altrove o del non-magistrato.
    Conclusivamente,  la scelta legislativa di sottoporre alla regola
di  competenza  di  cui all'art. 30-bis le controversie di cessazione
degli  effetti  civili  del  matrimonio  concordatario  proposte  con
domanda  congiunta  dei  coniugi  violerebbe  gli  artt. 3 e 24 della
Costituzione.
    Il  rimettente  auspica  infine che, accolta la questione, questa
Corte,  ai  sensi  dell'art. 27  della  legge  11 marzo  1953, n. 87,
dichiari  l'illegittimita'  consequenziale  dello  stesso art. 30-bis
anche  per  la  parte  relativa all'applicazione del foro derogatorio
alle domande congiunte di scioglimento del matrimonio, previste dallo
stesso  art. 4,  primo  comma, della legge n. 898 del 1970, nonche' a
quelle   di  omologazione  della  separazione  consensuale  ai  sensi
dell'art. 711  cod.  proc.  civ. o di modifica delle condizioni della
separazione  o  del divorzio, ai sensi degli artt. 710-711 cod. proc.
civ. e 9 della legge n. 898 del 1970.
    2.  -  E' intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri,  tramite l'Avvocatura generale dello Stato, con una memoria
in cui sostiene l'infondatezza della questione, in quanto la garanzia
costituzionale   della   terzieta'  ed  imparzialita',  espressamente
prevista dal nuovo art. 111 della Costituzione, impone al legislatore
ordinario  di  assicurare  che  il  giudice  non  sia condizionato da
fattori  pregiudicanti  la  sua  estraneita'  rispetto  alle  parti o
incidenti sulla sua liberta' di giudizio.
    Pertanto  l'applicazione  del  foro derogatorio alla tipologia di
controversie  in  esame sarebbe ragionevole, e dunque non sindacabile
nel merito, e comunque non lederebbe il diritto di difesa.

                       Considerato in diritto

    1. - Il Tribunale di Bari dubita della conformita' agli artt. 3 e
24  della  Costituzione  dell'art. 30-bis, primo comma, del codice di
procedura civile, introdotto dall'art. 9 della legge 2 dicembre 1998,
n. 420  (Disposizioni  per  i procedimenti riguardanti i magistrati),
secondo  il  quale  le  cause in cui sono comunque parti magistrati -
che,  in  base  alle disposizioni del Capo I del Titolo I del Libro I
del  codice di procedura civile, sarebbero attribuite alla competenza
di  un  ufficio giudiziario compreso nel distretto di corte d'appello
in  cui  il  magistrato  esercita  le  proprie  funzioni  -  sono  di
competenza  del  giudice,  ugualmente  competente per materia, avente
sede  nel  capoluogo  del  diverso  distretto  determinato  ai  sensi
dell'art. 11 del codice di procedura penale.
    Il  Tribunale  e' chiamato a decidere una controversia introdotta
dal  ricorso  congiunto  proposto  da  due  magistrati, di cui uno in
servizio  presso  l'ufficio rimettente, per ottenere la dichiarazione
di  cessazione  degli effetti civili del matrimonio da essi celebrato
con  rito  religioso  e regolarmente trascritto, ai sensi dell'art. 4
della  legge  1°  dicembre  1970,  n. 898  (Disciplina  dei  casi  di
scioglimento del matrimonio), come sostituito dall'art. 8 della legge
6 marzo  1987,  n. 74  (Nuove  norme  sulla  disciplina  dei  casi di
scioglimento  di  matrimonio).  Il giudice ritiene la norma impugnata
sicuramente applicabile al procedimento in corso, quale che ne sia la
natura,  di  giurisdizione  contenziosa  o  volontaria, poiche' anche
quest'ultima  rientra,  in  base alla giurisprudenza di legittimita',
nell'ambito di operativita' della norma censurata.
    2. - In tema di competenza territoriale per i giudizi riguardanti
magistrati, l'art. 11 cod. proc. pen. prevedeva, nel testo originario
del  comma 1,  che i procedimenti nei quali un magistrato assumeva la
qualita' di imputato o di persona offesa o danneggiata dal reato, che
secondo  le  regole  ordinarie  sarebbero  stati  di competenza di un
ufficio  giudiziario  del  distretto  di corte di appello in cui egli
esercitava  le  sue  funzioni,  o  le aveva esercitate al momento del
fatto,  erano  di  competenza  del giudice, ugualmente competente per
materia, con sede nel capoluogo del distretto piu' vicino.
    Questa  Corte  - investita di varie questioni sulla conformita' a
Costituzione della mancanza nel processo civile di una regola analoga
-   ha   affermato  (sentenza  n. 51  del  1998)  che  l'esigenza  di
intervenire  con  strumenti  legislativi a garanzia della terzieta' e
imparzialita' del giudice ha pieno valore costituzionale in qualsiasi
tipo  di  processo, ma nel contempo ha posto in risalto le differenze
fra  processo  penale e processo civile, specie per la disomogeneita'
degli  interessi  in questo coinvolti, onde la molteplicita' dei fori
civili  rispetto  all'unico  foro del commesso reato. E ne ha dedotto
che  l'estensione  dell'art. 11  cod. proc. pen. ad ogni procedimento
civile  non  solo  non  era  costituzionalmente obbligata, ma avrebbe
comportato  una  deroga  generalizzata a plurime specifiche regole di
competenza,  ciascuna  adeguata  a  garantire  il pieno esercizio del
diritto  delle  parti  di agire e di difendersi in un singolo tipo di
controversia, con il rischio di gravi compressioni di tale diritto.
    Nel  dichiarare  percio' inammissibili le questioni, questa Corte
ha  precisato  che  sarebbe  spettato  al  legislatore bilanciare, in
relazione  ai  vari tipi di cause civili, le contrapposte esigenze di
assicurare  l'imparzialita' del giudice e di garantire l'effettivita'
del  diritto  alla  tutela  giurisdizionale,  valutando in quali casi
ricorresse  la  medesima ratio dell'art. 11 cod. proc. pen. (come del
resto  aveva  gia'  fatto  con  gli artt. 4 e 8 della legge 13 aprile
1988,    n. 117,    recante   «Risarcimento   dei   danni   cagionati
nell'esercizio  delle  funzioni  giudiziarie e responsabilita' civile
dei  magistrati»),  in quali invece non ricorresse, e in quali infine
fosse  realizzabile  in  modo  diverso,  con la previsione di un foro
derogatorio  appropriato  alla  specifica materia o con uno strumento
processuale diverso dalla competenza.
    A  tale  decisione ha fatto seguito la legge n. 420 del 1998, che
ha   disciplinato  la  competenza  territoriale  per  i  procedimenti
riguardanti   i   magistrati  sia  in  materia  penale  (tra  l'altro
modificando  il  criterio  fissato  dall'art. 11  cod. proc. pen. per
individuare   il   giudice   competente),   sia  in  materia  civile,
introducendo  l'art. 30-bis  cod. proc. civ. Il primo comma di questa
norma - in una prospettiva opposta a quella delineata da questa Corte
-  ha  attribuito tutte indistintamente le cause civili, in cui siano
comunque  parti  magistrati  del  distretto  dell'ufficio giudiziario
ordinariamente  competente,  al  giudice  del  capoluogo  del diverso
distretto  determinato  secondo l'art. 11 cod. proc. pen., coevamente
modificato. Il secondo comma ha previsto poi che il giudice di cui al
primo  comma  diviene a sua volta incompetente se, in corso di causa,
una parte assuma nel distretto le funzioni di magistrato.
    Di tale disciplina e' stata posta in dubbio la costituzionalita',
in   particolare   sotto  il  profilo  della  sua  applicabilita'  ai
procedimenti esecutivi.
    Questa  Corte  (sentenza  n. 444  del  2002)  -  dato atto che il
processo  esecutivo  e'  totalmente funzionale all'attuazione forzata
del  diritto  consacrato  nel titolo, onde il creditore procedente si
trova  in  una  situazione di vantaggio sul debitore - ha rilevato la
correlazione  fra  tali caratteristiche e la scelta dell'art. 26 cod.
proc.  civ. di radicare la relativa competenza territoriale nel luogo
ove  la pretesa del creditore deve essere attuata. Ed ha rilevato che
l'art. 30-bis  -  senza  tener  conto, per il suo carattere generale,
delle  caratteristiche  del processo esecutivo - aveva sovrapposto ad
una  regola  di per se' funzionale alla migliore garanzia del diritto
di  azione  e  difesa in tale processo una generale e indifferenziata
regola  derogatoria,  cosi'  rendendo  l'esercizio  di  quel  diritto
irragionevolmente  piu'  difficile,  in violazione degli artt. 3 e 24
della Costituzione.
    A  seguito  di  tale  sentenza,  il processo esecutivo gia' esula
dall'ambito di operativita' dell'art. 30-bis cod. proc. civ.
    In  seguito,  la  norma  e'  stata ancora impugnata ed il giudice
rimettente  -  seppure  all'esito  di  una  motivazione  non priva di
incertezze  sull'esatta  portata  della  questione  -  ha chiesto una
sentenza additiva che limitasse l'ambito di operativita' della regola
di  competenza  derogatoria  alle  sole  cause  civili  conseguenti a
procedimenti  penali  in cui un magistrato avesse assunto la qualita'
di  persona sottoposta ad indagini, di imputato o di persona offesa o
danneggiata dal reato.
    Questa  Corte  (sentenza  n. 332 del 2003) - dopo aver confermato
che  l'estensione  indiscriminata  dell'art. 11  cod.  proc.  pen. al
processo   civile  puo'  sacrificare,  per  singoli  tipi  di  cause,
interessi  e  valori  costituzionalmente  rilevanti  -  ha dichiarato
inammissibile  la  questione, non essendo suo compito decidere che la
ratio  dell'art. 11  cod.  proc. pen. ricorre unicamente per le cause
indicate dal rimettente.
    3.   -   L'ordinanza   in  epigrafe  ripropone  la  questione  di
costituzionalita'  dell'art. 30-bis  cod.  proc. civ., in riferimento
agli  artt. 3  e  24  della  Costituzione, con argomenti centrati sul
carattere  generale  della  prevista  competenza derogatoria, che non
terrebbe conto dei principi affermati dalle sentenze prima ricordate.
Lo  scrutinio  di costituzionalita' puo' quindi sviluppare pienamente
la prospettiva da esse delineata.
    4. - La questione e' fondata, nei limiti di seguito precisati.
    L'art. 30-bis  cod.  proc.  civ.,  come  gia'  rilevato da questa
Corte, si riferisce a tutte le categorie di cause civili e non solo a
quelle   per   le   quali  possa  riscontrarsi  la  medesima  ragione
giustificativa   della   regola   di   competenza  derogatoria  posta
dall'art. 11 cod. proc. pen. E - sol perche' in concreto ne sia parte
un  magistrato  in  servizio nel distretto del giudice ordinariamente
competente   -   sottrae  le  controversie  alla  normale  competenza
territoriale e le assoggetta ad un diverso criterio di competenza, di
portata generale, modulato sul medesimo art. 11.
    La  norma  pertanto,  nell'assumere come preminente l'esigenza di
tutelare  l'imparzialita-terzieta'  del  giudice,  la  concepisce  in
termini  del tutto astratti e generali. E quindi omette completamente
la  valutazione  selettiva  da  questa  Corte reputata necessaria per
garantire  alle  pretese dedotte nei vari tipi di processo civile una
tutela   giurisdizionale   pienamente   correlata   alle   rispettive
peculiarita',  irragionevolmente  confondendole in un'indifferenziata
disciplina  uniforme.  Risulta cosi' intaccato in misura rilevante il
contenuto  specifico che, in ciascun tipo, assume il diritto di agire
e  di  difendersi  in  giudizio, sia della parte magistrato che delle
altre parti.
    Tanto  basta a determinare la violazione degli artt. 3 e 24 della
Costituzione.
    5.   -   Peraltro   la   dichiarazione   di   incostituzionalita'
dell'art. 30-bis  cod.  proc. civ. non coinvolge le altre norme che -
in  via  autonoma e indipendente da esso - sottraggono alle ordinarie
regole  di  competenza  territoriale  alcuni  tipi  di  cause  civili
riguardanti magistrati e concernenti l'esercizio delle loro funzioni.
    Nella  categoria  si collocano gli artt. 4 e 8 della legge n. 117
del  1988  -  come  modificati  dalla legge n. 420 del 1998 - i quali
rispettivamente   prevedono   che,   per   i   danni   cagionati   da
comportamenti,  atti o provvedimenti emessi con dolo o colpa grave da
un magistrato nell'esercizio delle sue funzioni ovvero per diniego di
giustizia,  il  giudizio risarcitorio promosso dal danneggiato contro
lo Stato (in cui il magistrato puo' intervenire) e quello per rivalsa
promosso  dallo  Stato  contro  il  magistrato sono di competenza del
tribunale del capoluogo del distretto determinato in base all'art. 11
cod.   proc.  pen;  e  l'art. 3  della  legge  24 marzo  2001,  n. 89
(Previsione  di  equa  riparazione  in caso di violazione del termine
ragionevole  del  processo e modifica dell'articolo 375 del codice di
procedura  civile),  che  a  sua volta rinvia allo stesso art. 11 per
individuare  il  giudice  competente a decidere sulla domanda di equa
riparazione.
    Sottraendo  alle  ordinarie  regole  di competenza territoriale e
devolvendo  al  foro derogatorio identificato dall'art. 11 cod. proc.
pen.   siffatte   controversie   civili   riguardanti   magistrati  e
concernenti  l'esercizio  delle loro funzioni, queste norme intendono
evitare  ogni  rischio  di  incidenza  sulla  serenita'  del giudice,
conseguente alla preesistenza di rapporti personali con il magistrato
interessato alla causa. E quindi si fondano palesemente proprio sulla
valutazione  di  bilanciamento  -  alla quale questa Corte si e' piu'
volte  riferita  -  fra  i due interessi, entrambi costituzionalmente
garantiti, all'imparzialita-terzieta' del giudice ed all'effettivita'
della   tutela   giurisdizionale   nella   specifica   categoria   di
controversie.
    6.   -  Allo  stesso  bilanciamento  deve  essere  ricondotta  la
disciplina delle cause civili riguardanti magistrati e concernenti le
restituzioni e il risarcimento dei danni da reato.
    Ove  sia  esercitata nel processo penale mediante la costituzione
di  parte  civile, l'azione e' regolata dall'art. 11 cod. proc. pen.,
che  sottrae  all'ordinaria  competenza territoriale ed assoggetta ad
una  regola di competenza derogatoria i procedimenti penali in cui un
magistrato  assuma la qualita' di persona sottoposta ad indagine o di
imputato,  ovvero  di  persona  offesa o danneggiata dal reato, e che
sarebbero  di  competenza  di un ufficio giudiziario del distretto in
cui  egli  esercita  le  sue  funzioni o le esercitava al momento del
fatto.
    L'azione  puo'  peraltro  essere  esercitata direttamente in sede
civile.  Ma  cio' non toglie che - dovendo il giudice civile valutare
il  fatto  di  reato  in  via incidentale, cosi' giudicando la stessa
vicenda per la quale il legislatore, nel processo penale, ha previsto
lo spostamento di competenza - anche in tal caso ricorrano le ragioni
del  bilanciamento di interessi cui si ispira la regola di competenza
derogatoria posta dall'art. 11 cod. proc. pen.
    Altrettanto  deve  dirsi  per  le  cause  civili  concernenti  il
risarcimento  del  danno  derivante  da  fatti  di reato commessi dal
magistrato  nell'esercizio  delle sue funzioni, che costituiscono una
specie  rispetto  al genere piu' ampio disciplinato dall'art. 11 cod.
proc.  pen.  Anche  per  tali  cause - che, in base all'art. 13 della
legge  n. 117  del  1988,  ed  al  rinvio  alle «norme ordinarie» ivi
contenuto,  si  propongono  nei  diretti  confronti del magistrato, a
differenza  di  quelle  di  cui  all'art. 4  della  medesima  legge -
sussistono   le  medesime  ragioni  del  bilanciamento  di  interessi
espresso dall'art. 11 cod. proc. pen.
    Il   perseguimento   di   questo   risultato   -  gia'  garantito
dall'art. 30-bis  cod.  proc.  civ.,  sia  pure  nel  quadro  di  una
disciplina  generale  di  tutte  le  cause civili di cui sia parte un
magistrato  -  sarebbe  frustrato  ove  le fattispecie esaminate, per
effetto  di un'incondizionata dichiarazione di incostituzionalita' di
tale   norma,  rimanessero  assoggettate  alle  ordinarie  regole  di
competenza previste dal codice di procedura civile.
    Pertanto     dalla     dichiarazione    di    incostituzionalita'
dell'art. 30-bis deve essere eccettuata la parte della norma relativa
alle  azioni civili concernenti le restituzioni e il risarcimento del
danno  da  reato,  di cui sia parte un magistrato, nei termini di cui
all'art. 11 del codice di procedura penale.
    7. - Rimane naturalmente riservata alla discrezionale valutazione
del   legislatore   l'individuazione   di   ulteriori   tipologie  di
controversie  civili  idonee, in base alle esposte considerazioni, ad
essere assoggettate al foro derogatorio di cui all'art. 11 cod. proc.
pen.,  nonche' l'eventuale integrazione della disciplina del processo
civile relativa all'incompetenza territoriale in esame.