IL TRIBUNALE Decidendo sulla richiesta di locazione di compensi avanzata dal custode del ciclomotore tg. 6R3V2, a lui a suo tempo affidato perche' in sequestro per ragioni di giustizia penale, ha emesso la seguente ordinanza. In data 23 ottobre 2002 l'avente diritto Attena Roberto ricevette notifica del decreto con cui in data 9 ottobre 1962 il p.m. aveva disposto in suo favore la restituzione del ciclomotore in sequestro; il 22 novembre 2002 il p.m. emetteva altro provvedimento di restituzione del medesimo bene, questa volta in favore dell'indagato, ritenuto evidentemente acquirente in buona fede, nei cui confronti richiedeva quindi in data 26 febbraio 2003 archiviazione, concessa da questo g.i.p. con decreto 11 aprile 2003. In data 4 agosto 2003 questo giudice, avendo la cancelleria segnalato che il p.m. mai vi aveva provveduto, emetteva quindi il provvedimento di cui all'art. 151 d.P.R. n. 115/2002, disponendo altresi' la vendita del veicolo o la sua distruzione in caso di diseconomicita' della vendita. Il 14 novembre 2003 la competente cancelleria ricevuta stima negativa dal perito dell'IGV, chiedeva al custode di procedere alla demolizione del veicolo. In data 1° dicemnbre 2003 (con atto pervenuto il 2 dicembre 2003) il custode ha quindi richiesto la liquidazione dei compensi spettantigli, computati a far data dal 21 settembre 2002 al 13 gennaio 2003. Come e' evidente, il custode chiede quindi che gli venga liquidato il compenso anche per i periodi dal 23 novembre 2002 al 13 novembre 2003, quindi posteriori al trentesimo giorno successivo alla notifica del provvedimento di restituzione all'interessato: periodo per il quale, a mente dell'art. 84 disp. att. c.p.p., il compenso al custode sarebbe invece a carico dell'avente diritto alla restituzione del bene, sicche' a carico dello Stato si sarebbe dovuto porre il compenso del custode solo per il periodo dal 21 settembre 2002 al 22 ottobre 2002. Come e' noto, l'art. 84 disp. att. c.p.p. e' stato abrogato dall'art. 299 del d.P.R. n. 115/2002; ma della legittimita' costituzionale di tale norma abrogatrice fortemente si dubita, atteso che la stessa appare essere stata emanata al di fuori della delega concessa al Governo. Con sentenza n. 212/03, la Corte costituzionale ha gia' avuto modo di rilevare la fondatezza di questioni di legittimita' del predetto d.P.R., ed in particolare dell'art. 299, per eccesso di delega; e questo giudice ritiene che analoghe censure possano essere mosse al predetto art. 299 anche nella parte in cui abroga l'art. 84 disp. att. c.p.p. (nonche' alle disposizioni, poi confluite nel citato testo unico, nella parte in cui innovano il procedimento di restituzione delle cose in sequestro ben oltre le necessita' dei principi di semplificazione posti dalla legge delega, ed addirittura in contrasto con detti principi: tale ultima questione, gia' sollevata da altro magistrato di questo ufficio con ordinanza 3 settembre 2003, pur se di non immediata rilevanza ai fini della decisione, lo e' senz'altro in via indiretta ma necessaria, atteso che l'abrogazione dell'art. 84 disp. att. c.p.p. appare porsi quale conseguenza delle scelte normative operate con l'abrogazione dell'art. 264 e sua sostituzione con le norme di cui agli artt. 149, 150, 151 e 154 d.P.R. n. 115/2002). Come osservato gia' dalla Corte costituzionale con la richiamata sentenza, il governo ha emanato il d.P.R. n. 113/2002, confluito poi (unitamente al d.P.R. n. 114/2002, attenente alle norme regolamentari oggetto della delega) nel d.P.R. n. 115/2002 (al cui articolato pertanto per comodita' epositiva si fara' costante riferimento) in forza della legge delega n. 50/99, la quale (art. 1) affidava al Governo il potere di emanare «regolamenti ai sensi dell'art. 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, per la delegificazione e la semplificazione dei procedimenti amministrativi di cui agli allegati 1 e 2 della presente legge»; l'allegato 1 della legge ricomprendeva tra i suddetti procedimenti oggetto di delega di delegificazione e semplificazione, al punto 9), quelli di «gestione e alienazione dei beni sequestrati e confiscati; norme approvate con decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271». L'art. 7 della medesima legge n. 50/1999, prevedeva inoltre che l'esecutivo procedesse ad un programma di riordino delle norme legislative e regolamentari, mediante l'emanazione di testi unici riguardanti materie e settori omogenei, comprendenti, in un unico contesto e con le opportune edvidenziazioni, le disposizioni legislative e regolamentari, attenendosi tra l'altro al principio direttivo (lett. d) «del ccordinamento formale del testo delle disposizioni vigenti, apportando, nei limiti di detto coordinamento, le modifiche necessarie per garantire la coerenza logica e sistematica della normativa anche al fine di adeguare e semplificare il linguaggio normativo». L'art. 7 predetto e' stato successivamente abrogato dall'articolo 23 della legge 29 luglio 2003, n. 229; tale abrogazione, tuttavia, non appare idoneo ad esplicare alcuna efficacia sulla rilevanza della questione, atteso che in forza della norma ora abrogata comunque sono state emanate le norme della cui legittimita' si dubita, ed in ordine alla cui vigenza la su richiamata norma abrogatrice nessuna efficacia esplica. Una piu' puntuale ricognizione del sistema delle fonti non appare affatto superflua ai fini delle valutazioni in ordine alla conformita' della disciplina riversata nel d.P.R. n. 115/02 ai principi della legge delega e, quindi, al disposto degli articoli 76 e 77 Cost.; per la sua chiarezza ed esaustivita', si riporta qui quanto gia' rilevato, con la citata ordinanza 3 settembre 2003, da altro magistrato di questo stesso ufficio, qui omettendosi tutte quelle argomentazioni che, pur condivisibili, non sono di immediata rilevanza ai fini della questione che con la presente ordinanza intende sollevare: «L'art. 7 della legge 8 marzo 1999, n. 50, nella sua stesura originaria, prevedeva che in alcune materie determinate il Governo dovesse procedere ad un riordino "mediante l'emanazione di resti unici riguardanti niarerie e settori omogenei, comprendenti, in un unico contesto e con le opportune evidenziazioni, le disposizioni legislative e regolamentari" e allo scopo dettava uno serie di criteri e principi direttivi per guidare questa attivita' di semplificazione normativa. Con l'art. 1 della legge 24 novembre 2000, n. 340, l'art. 7 in questione e' stato mutato, per la parte che ora qui interessa, attraverso la previsione che ciascun testo unico dovesse comprendere le disposizioni contenute in un decreto legislativo e in un regolamento che il Governo avrebbe dovuto emanare ai sensi dell'art. 14 e dell'art. 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, attenendosi ai criteri e principi direttivi dettati dallo stesso art. 7, legge n. 50/1999. In forza di questa modifica il legislatore ha dunque inteso rendere maggiormente evidente che l'intervento di riordino normativo rimesso all'esecutivo non implicava una mera attivita' ricognitiva, secondo lo schema dei T. U. cd compilativi, ma di una attivita' innovativa del tessuto normativo preesistente: a questo scopo, infatti, risponde la previsione che prima siano emanati un decreto legislativo ai sensi dell'art. 14 della legge n. 400 del 1980 e un regolamento dell'art. 17, comma 2, della stessa legge e solo dopo che i due testi siano raccolti in un ulteriore T.U. emanato, in forza del comma 4 dell'art. 7 della legge 50 del 1999, con decreto del Presidente della Repubblica. Il decreto legislativo e', infatti, espressione dell'esercizio di una potesta' legislativa delegata. Esattamente, quindi, il fondamento del potere legislativo esercitato deve essere rinvenuto in una delega, come indicato nelle stesse premesse al d.lgs. 30 maggio 2002, n. 113 (riportate per vero integralmente anche nel d.P.R. n. 115/2002), che indica la fonte del potere normativo esercitato dal Governo nell'art. 76 della Costituzione, ed esattamente nella delega costituita dall'art. 7 della legge 8 marzo 1999, n. 50, come modificato dall'art. 1, comma 6, lettere d) ed e), come pure indicato nelle stesse premesse al d.lgs. 30 maggio 2002, n. 113. Per vero, pero', parrebbe doversi concludere che tale capacita' di innovazione del sistema normativo competa unicamente al testo approvato con decreto legislativo e non al testo unico che ne e' seguito, di raccolta delle disposizioni del predetto decreto legislativo e del regolamento contestualmente adottato. Questa notazione e' indispensabile per porre un primo dato di una qualche affidabilita', nel senso che il d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 e' un mero testo unico di natura c.d. "compilativa", che cioe' raccoglie le varie disposizioni che regolano la materia delle spese di giustizia e piu' precisamente raccoglie le norme del d.lgs. 30 maggio 2002, n. 113, testo unico delle disposizioni legislative in materia di spese di giustizia e le norme di altro provvedimento, il n. 114, adottato con d.P.R. emanato ai sensi dell'art. 17, comma 2, della legge n. 400 del 1988, che contiene le norme regolamentari relative alla medesima materia. Quel che ne consegue e' che il d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nella parte in cui contenesse disposizioni di rango legislativo contrastanti o diverse dalle disposizioni di rango legislativo preesistenti alla propria adozione andrebbe semplicemente disapplicato, nel senso che la collocazione subordinata di quel testo nel sistema delle fonti imporrebbe in ogni caso di applicare la disposizione di legge preesistenti ad esso, perche' non avrebbe la forza necessaria ad abrogarle. Con l'ovvia accortezza di rilevare che per disposizioni preesistenti si deve intendere quelle del d.lgs. 30 maggio 2002 n. 113, il quale, al contrario, non puo' essere considerato un testo unico di natura meramente compilativa, essendo stato emanato in forza di una legge delega, qual'e', per quel che si e' detto, la legge n. 50 del 1999. Stando cosi' le cose e', dunque, rispetto a quest'ultimo testo che dovra' essere valutata la sua conformita' alla legge delega. ..... Omissis ..... La ricostruzione della disciplina non e' del tutto semplice. Di nuovo, il punto di riferimento e' il citato art. 7 della legge n. 50/1999, come modificato dall'art. 1, legge n. 340/2000, che prevede la possibilita' per il Governo di effettuare interventi di riordino tramite la procedura che si e' sopra descritta e culminanti con l'adozione di Testi unici in relazione "alle materie elencate: a) nell'articolo 4, comma 4, e nell'articolo 20 della legge 15 marzo 1997, n. 59, e successive modificazioni e nelle norme che dispongono la delegificazione della materia ai sensi dell'art. 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400; b) nelle leggi annuali di semplificazione; c) omissis; d) omissis; e) omissis; f) omissis; f-bis) da ogni altra disposizione che preveda la redazione dei testi unici". Questa modalita' di indicazione delle materie oggetto di delega, con rinvio ad una pluralita' di fonti esterne alla legge delega medesima, lascia ampiamente dubbiosi di una conformita' al requisito posto dall'art. 76 Cost., che vorrebbe una delega conferita "per oggetti definiti". Tanto piu' quando si rinviene nel rinvio il richiamo a norme che non contengono elenchi di materie, qual e' in particolare il richiamo sub a) a norme indicate "nell'articolo 20 della legge 15 marzo 1997, n. 59"»; Con riferimento a quanto e' rilevante ai fini della decisione sulla determinazione del quantum dovuto al custode, tuttavia, cio' che primariamente rileva non e' tanto il problema della conformita' della legge delega ai criteri di specificita' imposti dall'art. 76, comma 1, Cost., quanto la conformita' delle norme confluite nel d.P.R. n. 115/2002, ed in particolare nell'art. 299 di detto d.P.R., con la legge delega stessa, e quindi la conformita' della menzionata norma ai principi di cui all'art. 77, comma 1, Cost. Come infatti ebbe a ritenere il g.i.p. del Tribunale di Verona con la richiamata ordinanza 3 settembre 2003: «D'altra parte, la delega ha ad oggetto ka sika semplificazione dei procedimenti come recita esaustivamente anche il titolo del citato allegato 1 alla legge n. 50/1999, per cui esattamente il legislatore delegante ha individuato le sole norme di rango procedimentale non gia' anche quelle, collocate nel corpo del codice di rito, che incidono anche su aspetti di portata sostanziale. Infine, siccome, come si vedra' infra, solo nel testo delle norme precedenti e' possibile trovare la definizione oggettiva dei principi e criteri direttivi della delega le norme medesime non potevano che essere solo quelle positivamente indicate nella delega». Come ebbe pertanto a ritenere il g.i.p. del Tribunale di Verona, in persona di altro magistrato, con la ricordata ordinanza del 3 settembre 2003: «l'unico criterio capace di definire l'ambito entro cui deve muoversi il legislatore delegato e' quello di cui alla lettera d), la quale prevede la possibilita' di un "coordinamento formale del testo delle disposizioni vigenti, apportando, nei limiti di detto coordinamento, le modifiche necessarie per garantire la coerenza logica e sistematica della normativa anche al fine di adeguare e semplificare il linguaggio normativo". Questo criterio e' fondamentale perche' mostra - e conferma il contesto normativo in cui la delega e' inserita - che quest'ultima non e' una delega a riformare le diverse materie individuate (o magari addirittura quelle affini o connesse), ma e' semplicemente una delega a realizzare Testi unici delle disposizioni gia' vigenti, con la sola facolta' aggiuntiva, che attribuisce al processo normativo il rango di fonte legislativa primaria (che per l'appunto richiede una delega e che la si attui con decreti legislativi), costituito dalla possibilita' di modificare le disposizioni vigenti, ma solo per apportare le "modifiche necessarie per garantire la coerenza logica e sistematica della normativa", anche al fine di adeguare e semplificare il linguaggio normativo, nell'ambito di un coordinamento formale del testo. Questa precisa delimitazione dell'oggetto del potere legislativo attribuito al legislatore delegato spiega l'assenza di criteri e principi direttivi sull'oggetto delle materie delegate, come vorrebbe l'art. 76 Cost., perche' le strutture portanti che la disciplina della materia gia' possiede non possono essere modificate, mentre oggetto di modifica possono essere solo quegli aspetti che servono a semplificare il linguaggio o a garantire coerenza logica e sistematica alla normativa». Orbene, a parere dello scrivente, l'abolizione dell'art. 84 disp. att. non appare affatto conferente a necessita' di semplificazione ne' di mera armonizzazione della disciplina innovata in attuazione (in ipotesi, legittima) della richiamata legge delega; cosi' come l'intero procedimento delineato dall'artt. 151 e 154, orfano delle norme di cui all'art. 264 c.p.p., a sua volta abrogato dall'art. 299 del citato d.P.R. n. 115/2002, appare tutt'altro che semplificato, introducendo anzi una moltiplicazione degli adempimenti e ponendo altresi' problemi quasi insormontabili nei non infrequenti casi in cui non sia nota - per ragioni differenti dalla controversia sulla titolarita' del diritto - l'identita' dell'avente diritto alla restituzione. Sebbene tale ultima questione possa apparire non immediatamente rilevante ai fini della decisione in ordine alla istanza di liquidazione del compenso al custode, cio' si e' tuttavia inteso rilevare al fine di meglio lumeggiare il carattere apparentemente semplicistico piu' che semplificatorio della «riorganizzazione» della normativa operata con i provvedimenti governativi che hanno dato esecuzione alla ricordata delega, ed in quanto l'abrogazione dell'art. 84 disp. att. c.p.p. e' verosimilmente il frutto di una non condivisibile, perche' superficiale ed affrettata, valutazione di superfluita' della norma nel contesto del procedimento delineato dagli artt. 151 e 154 del citato d.P.R. n. 115/2002. In verita', semplificare non vuol dire semplicemente diminuire gli adempimenti, o renderli piu' agevoli e chiari; a prescindere dall'osservazione che il procedimento delineato dagli artt. 151 e 154 del predetto d.P.R. nemmeno assolve alle siffatte esigenze (prevedendo anzi la necessita' di una pluralita' di atti decisori del giudice, da notificarsi tutti agli interessati, secondo cadenze e scansioni temporali per cui alla mancata notifica di un atto della serie procedimentale consegue l'impossibilita' di adottare i susseguenti), appare indubbio che semplificare voglia dire giungere a delineare una disciplina che, sebbene piu' gestibile ed agile rispetto a quella previgente, sia tuttavia adatta a salvaguardare con la stessa efficacia le medesime esigenze cui era preposta quella inizialmente vigente. Se ogni norma - sostanziale o procedimentale - risolve un possibile conflitto tra esigenze diverse, determinando quale debba essere il punto di equilibrio o componimento delle stesse, deve ritenersi che una delega che attribuisca all'esecutivo solo il potere di semplificare le disposizioni previgenti ed armonizzarle tra loro, non attribuisca al delegato anche il potere di innovare in materia di componimento ed equilibrio degli interessi potenzialmente contrastanti, in ordine ai quali provvedeva la norma da semplificare. La disciplina introdotta dall'art. 299 del citato d.P.R., mediante abrogazione dell'art. 84 disp. att. c.p.p. e dell'art. 264 c.p.p. appare invece non solo inutilmente farraginosa, ma anche inadeguata a tutelare le ragioni economiche dello Stato nel caso in cui, eseguita la notifica del provvedimento di restituzione all'interessato, per qualsiasi ragione (non escluse quelle relative ai carichi di lavoro) passino piu' di trenta giorni tra la suddetta notifica ed il provvedimento che dispone la vendita di quanto in sequestro. Nel caso in oggetto, ad esempio, il ritardo e' conseguito anche a causa del passaggio del fascicolo dall'ufficio del magistrato che ha emesso il provvedimento di restituzione di cui all'art. 150 d.P.R. n. 115/2002 a quello di altro magistrato chiamato a decidere, senza prefissazione di termini particolari, sulla sola istanza di archiviazione avanzata dal p.m. e ignaro dell'esistenza in atti di un provvedimento - non evidenziato - di restituzione non seguito dai successivi adempimenti di cui all'art. 151 d.P.R. n. 115/2002. Poiche' la norma interviene a disciplinare l'esistente, non puo' e non deve ignorare - specie se trattasi di norma delegata con meri compiti di semplificazione e riorganizzazione - che, al di la' dell'esistenza di termini genericamente assegnati al giudice per la decisione sulle istanze di parte (ipotizzando che anche la richiesta di archiviazione rientri tra le istanze in ordine alle quali l'art. 121, comma 2 c.p.p. assegna un termine di gg. 15), la natura meramente ordinatoria degli stessi fa si' che, in relazione ai carichi di lavoro propri di taluni uffici (ed in particolare di quelli del g.i.p., ad ogni magistrato del cui ufficio mensilmente pervengono alcune centinaia di richieste di archiviazione, oltre a tutte le altre diverse decine di richieste in tema di decreti penali, provvedimenti cautelari personali e reali, rinvii a giudizio, incidenti probatori ecc.) sia assolutamente normale che passi qualche mese tra l'istanza - non relativa a materia urgente - e l'esame del fascicolo cui la stessa inerisce, e sua decisione. Sicche' deve conclusivamente osservarsi come la «organica» operazione di «semplificazione» normativa operata dal d.P.R. n. 115/2002 appaia aver ecceduto dai limiti impliciti all'atto di delega, modificando la preesistente normativa oltre le necessita' proprie della semplificazione (ed addirittura in contrasto con la stessa, come si e osservato), e senza che possa ritenersi (richiamando le difese svolte dall'Avvocatura dello Stato davanti a codesta eccellentissima Corte costituzionale in analoghe cause) sussistere quel «naturale rapporto di «riempimento» che leghi la norma delegata a quella delegante, alla luce della ratio che ispira quest'ultima» idoneo a far ritenere che «il silenzio della legge di delegazione non osterebbe all'emanazione di norme che rappresentino un coerente sviluppo e completamento della scelta espressa dal legislatore delegante e delle ragioni ad essa sottese». Gia' si e' detto della rilevanza della questione, e qui si ripete, atteso che, in mancanza della abrogata norma di cui all'art. 84 disp. att. c.p.p., il compenso spettante al custode e' interamente a carico dello Stato.