ha pronunciato la seguente Ordinanza nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 274 del codice civile, promosso con ordinanza del 4 luglio 2003 dalla Corte di cassazione nel procedimento civile vertente tra B. I. e E. M. R. ed altri, iscritta al n. 706 del registro ordinanze 2003 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 37, 1ª serie speciale, dell'anno 2003. Visto l'atto di costituzione di E. M. R. ed A. M. R; Udito nell'udienza pubblica del 6 aprile 2004 il giudice relatore Annibale Marini; Udito l'avvocato Danilo Riponti per entrambe le parti costituite. Ritenuto che, nel corso di un giudizio promosso nei confronti degli eredi del presunto genitore per ottenere la dichiarazione giudiziale di paternita' naturale, la Corte di cassazione ha sollevato, in riferimento agli artt. 2, 3, primo comma (in relazione all'art. 24), 3, secondo comma, 30, primo comma, e 111 Cost., questione di legittimita' costituzionale dell'art. 274 del codice civile; che la Corte remittente precisa di essere chiamata a decidere sul ricorso avverso la sentenza di appello con la quale era stata dichiarata improponibile l'azione per la dichiarazione giudiziale di paternita' proposta dall'attrice (e quelle, connesse, di petizione ereditaria e di riduzione per lesione di legittima), per l'esistenza di un giudicato negativo gia' formatosi sull'ammissibilita' dell'azione stessa, a seguito della precedente cassazione, da parte della medesima Corte suprema, del decreto di ammissibilita'; che il giudice a quo -- dopo aver sottolineato l'erroneita' dell'assunto del giudice di merito riguardo alla definitivita' della statuizione di inammissibilita' di cui si tratta, essendo, quella richiamata dal giudice di appello, una sentenza di cassazione con rinvio al primo giudice per l'integrazione del contraddittorio -- assume, in punto di rilevanza, che l'eventuale caducazione, per effetto del sindacato di legittimita' costituzionale, dell'art. 274 cod. civ. comporterebbe la necessaria rimozione della suddetta declaratoria di improcedibilita', appunto adottata in ragione del difetto del presupposto processuale rappresentato dal decreto di ammissibilita' previsto dalla norma suddetta; che, quanto alla non manifesta infondatezza, avverte innanzitutto il giudice a quo che la questione che viene sollevata non riguarda -- come quella decisa con la sentenza n. 621 del 1987 di questa Corte -- «il modo con cui il giudizio preliminare e' stato ristrutturato», bensi' la stessa previsione di un giudizio di ammissibilita' e mira dunque alla radicale eliminazione del medesimo; che la Corte di cassazione da' conto del fatto che questa Corte, con la sentenza n. 70 del 1965, ha affermato che la previsione legislativa, contenuta nel citato art. 274 cod. civ., di un giudizio di delibazione preliminare della domanda di dichiarazione giudiziale di paternita' non contrasta, in linea di principio, con il canone costituzionale per cui tutti possono agire in giudizio, in considerazione della liberta', riconosciuta al legislatore, di stabilire, nei singoli casi ed in vista di peculiari esigenze, modalita' anche limitative del diritto di difesa, ove comunque ne sia garantita l'esplicazione; che tuttavia, essendo trascorsi molti anni, quel limite, allora ritenuto compatibile con il diritto di azione del figlio naturale, risulta oggi, secondo il giudice a quo, ingiustificatamente limitativo dei valori sostanziali in gioco e, nel contempo, viziato per «eccesso di potere legislativo» a causa della sua irragionevolezza intrinseca, oltre che difficilmente compatibile con il principio della ragionevole durata del processo; che, d'altra parte, pur essendo la ratio della norma impugnata quella di evitare la proposizione di azioni temerarie o infondate, con intenti meramente ricattatori o vessatori nei confronti del preteso genitore -- attraverso un vaglio preventivo della domanda con procedimento strutturato in modo da garantire la segretezza dell'indagine -- dovrebbe allora innanzitutto rilevarsi come l'attuale disciplina del procedimento non sia piu' idonea a soddisfare siffatto obiettivo; che infatti, per effetto delle modifiche introdotte prima dalla legge 23 novembre 1971, n. 1047, e poi dalla riforma del diritto di famiglia, che ha sancito l'imprescrittibilita' dell'azione, nonche' a seguito dell'evoluzione giurisprudenziale, che ha ammesso la ricorribilita' in cassazione del relativo provvedimento di secondo grado, la segretezza dell'indagine, di gran lunga attenuata nella fase di merito, appare al remittente totalmente venuta meno nella fase di legittimita', stante la pubblicita' dell'udienza dinanzi alla Corte di cassazione; che, essendo pacificamente riconosciuta la possibilita' di reiterare la domanda di ammissibilita', senza alcun limite temporale, sulla base di elementi ulteriori, dovrebbe allora concludersi -- ad avviso del remittente -- che la disciplina censurata finisce paradossalmente per aggravare, anziche' tutelare, la posizione del convenuto, lasciandolo esposto a tempo indeterminato a nuove chiamate in giudizio in base all'art. 274 cod. civ., mentre soltanto il rigetto della domanda nel merito, idoneo a passare in giudicato, lo porrebbe definitivamente al riparo da iniziative temerarie e vessatorie; che la norma in esame, secondo il giudice a quo non pare attuare la previsione costituzionale di «limiti alla ricerca della paternita» di cui all'ultimo comma dell'art. 30 Cost., in quanto tali eventuali limiti possono propriamente attenere ai presupposti sostanziali ed alle condizioni dell'accertamento della filiazione naturale -- per assicurarne quella «compatibilita' con i diritti dei membri della famiglia legittima» prevista dal precedente comma terzo -- e non gia' risolversi in ostacoli processuali all'accertamento stesso; che, pertanto, essendo venuta meno la funzione di cautela nei confronti del convenuto, fin qui assolta dall'art. 274 cod. civ., altro non residuerebbe se non un oggettivo e non giustificabile ostacolo alla tutela dei figli naturali ed a quei diritti allo status ed alla identita' biologica che la coscienza sociale avverte come essenziali alla realizzazione della persona, con conseguente violazione degli artt. 30, primo comma, e 2 della Costituzione; che ad avviso del remittente sarebbe altresi' non manifestamente infondato il dubbio di legittimita' riferito alla violazione del principio di eguaglianza, poiche' limiti analoghi a quelli in vigore per l'accertamento della paternita' naturale non sono previsti per l'azione di reclamo di legittimita', con la conseguenza che verrebbe a realizzarsi, ai fini del conseguimento del proprio status una ingiustificata disparita' di trattamento tra figli di genitori coniugati e figli di genitori non coniugati; che il procedimento delibativo di cui all'art. 274 cod. civ. appare infine alla Corte di cassazione difficilmente compatibile con il canone della ragionevole durata del processo di cui al novellato art. 111 Cost. ed all'art. 6, paragrafo 1, della Convenzione europea dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, ratificata con legge 4 agosto 1955, n. 848; che si sono costituiti in giudizio i convenuti nel giudizio a quo concludendo per la declaratoria di inammissibilita' o, in subordine, di non fondatezza della questione. Considerato che la Corte di cassazione dubita, in riferimento agli artt. 2, 3, primo comma (in relazione all'art. 24), 3, secondo comma, 30, primo comma, e 111 Cost., della legittimita' costituzionale dell'art. 274 cod. civ; che secondo la remittente la previsione, in relazione al procedimento di dichiarazione giudiziale di paternita' o maternita' naturale, di una preventiva fase camerale di ammissibilita' del relativo giudizio, era giustificata dalla opportunita' di preservare l'asserito genitore dal danno che gli poteva derivare da azioni infondate, temerarie e, peggio ancora, ricattatorie, danno reso grave dalla pubblicita' del processo; che, a detta del giudice a quo una volta acquisite dal procedimento di ammissibilita' molte delle caratteristiche del processo ordinario ed una volta affermata la ricorribilita' in cassazione del provvedimento conclusivo, da un lato e' venuta meno la stessa opportunita' di un giudizio preliminare che funga da filtro al giudizio ordinario di merito, dall'altro la maggior complicazione e durata del giudizio di ammissibilita' incide negativamente sui diritti che l'azione in questione deve soddisfare, rendendo quindi intrinsecamente irragionevole la norma censurata; che, nel corso del complesso iter del giudizio a quo la Corte di cassazione, in conformita' al carattere di presupposto processuale proprio del decreto di ammissibilita', ne aveva affermato la necessaria preesistenza al giudizio di merito, cassando il provvedimento sospensivo di quest'ultimo; che, in riferimento all'eccezione di intervenuto giudicato in punto di ammissibilita' della domanda, fondata sulla pronuncia citata -- con conseguente, possibile, irrilevanza dell'attuale questione -- il remittente omette ogni motivazione, in quanto le considerazioni relative agli effetti caducatori dell'invocata declaratoria di illegittimita' costituzionale si riferiscono esplicitamente ad una precedente cassazione del decreto di ammissibilita' per violazione del contraddittorio; che, inoltre, con sentenza n. 341 del 1990, questa Corte ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 274, primo comma, cod. civ., nella parte in cui, se si tratta di minore infrasedicenne, non prevede che l'azione promossa dal genitore esercente la potesta' sia ammessa solo quando sia ritenuta dal giudice rispondente all'interesse del figlio; che, nella motivazione di tale sentenza, la Corte ha tra l'altro affermato che «la veridicita' del preteso rapporto di filiazione col convenuto, del quale il giudice deve in questa prima fase del giudizio controllare l'esistenza di seri indizi, e' pure un elemento dell'interesse del minore»; che, come questa Corte ha gia' rilevato nella sentenza n. 216 del 1997, «il procedimento in esame e' ispirato pertanto a due finalita' concorrenti e non in contrasto tra loro, essendo posto a tutela non solo del convenuto contro il pericolo di azioni temerarie e ricattatorie, ma anche e soprattutto del minore, il cui interesse sta nell'affermazione di un rapporto di filiazione veridico, che non pregiudichi la formazione e lo sviluppo della propria personalita»; che l'ordinanza di remissione, che pure richiede l'integrale declaratoria di illegittimita' costituzionale della norma impugnata, non tiene alcun conto della modifica che la stessa ha subito per effetto della suindicata pronuncia additiva di questa Corte e della individuazione di altre ragioni oltre quelle che ispiravano la norma nella sua originaria formulazione; che il provvedimento di remissione, non avendo compiutamente individuato la norma denunciata e le ragioni che la ispirano, e' quindi anche carente di motivazione sulla non manifesta infondatezza della questione; che la prospettata questione deve quindi ritenersi manifestamente inammissibile.