ha pronunciato la seguente Ordinanza nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 11, comma 2, della legge 30 dicembre 1991, n. 413 (Disposizioni per ampliare le basi imponibili, per razionalizzare, facilitare e potenziare l'attivita' di accertamento; disposizioni per la rivalutazione obbligatoria dei beni immobili delle imprese, nonche' per riformare il contenzioso e per la definizione agevolata dei rapporti tributari pendenti; delega al Presidente della Repubblica per la concessione di amnistia per reati tributari; istituzioni dei centri di assistenza fiscale e del conto fiscale), promosso con ordinanza del 14 luglio 2003 dalla Commissione tributaria regionale di Venezia sui ricorsi riuniti proposti da Chiari Sergio contro l'Agenzia delle Entrate - Ufficio di Padova 1, iscritta al n. 924 del registro ordinanze 2003 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 46, 1ª serie speciale, dell'anno 2003. Udito nella camera di consiglio del 12 maggio 2004 il giudice relatore Annibale Marini. Ritenuto che la Commissione tributaria regionale di Venezia, con ordinanza depositata il 14 luglio 2003, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24, secondo comma, e 97, primo comma, della Costituzione, questione di legittimita' costituzionale «dell'art. 11, 2° comma, Legge 1 giugno 1939, n. 413» [recte: art. 11, comma 2, della legge 30 dicembre 1991, n. 413 (Disposizioni per ampliare le basi imponibili, per razionalizzare, facilitare e potenziare l'attivita' di accertamento; disposizioni per la rivalutazione obbligatoria dei beni immobili delle imprese, nonche' per riformare il contenzioso e per la definizione agevolata dei rapporti tributari pendenti; delega al Presidente della Repubblica per la concessione di amnistia per reati tributari; istituzioni dei centri di assistenza fiscale e del conto fiscale)] «nella parte in cui non prevede disparita' di trattamento per i proprietari di immobili vincolati locati e non»; che la norma impugnata dispone che, ai fini delle imposte sul reddito «in ogni caso, il reddito degli immobili riconosciuti di interesse storico o artistico, ai sensi dell'articolo 3 della legge 1° giugno 1939, n. 1089, e successive modificazioni e integrazioni, e' determinato mediante l'applicazione della minore tra le tariffe d'estimo previste per le abitazioni della zona censuaria nella quale e' collocato il fabbricato»; che tale regola - secondo un diritto vivente da cui il rimettente non ritiene possibile discostarsi in considerazione dell'inequivoco tenore della norma - trova applicazione anche nel caso di immobili locati; che sotto questo profilo la norma confliggerebbe, ad avviso del rimettente, con il principio di eguaglianza, di cui all'art. 3 della Costituzione, in quanto «diversa e' la situazione del proprietario dell'immobile non locato, vincolato, per il quale si attaglia il dato normativo (...), rispetto a quella del proprietario dell'immobile locato, dal momento che i redditi derivati al proprietario locatore possono essere anche molto consistenti», cosicche' risulterebbe ingiustificata la deroga al principio di diritto tributario che distingue tra immobili locati e non locati. Considerato che questa Corte, con sentenza n. 346 del 2003, ha dichiarato non fondata analoga questione, sollevata con riferimento ai parametri di cui agli artt. 3 e 53 della Costituzione, rilevando - quanto in particolare alla prospettata irragionevolezza dell'uniforme trattamento riservato tanto agli immobili locati quanto a quelli non locati - come «a prescindere dal carattere generale del sistema catastale di tassazione degli immobili (sentenza n. 362 del 2000), (...) il riferimento alle tariffe d'estimo censurato dal rimettente trovi una non irragionevole giustificazione nell'obiettiva difficolta', evidenziata anche dalla piu' recente giurisprudenza di legittimita', di ricavare per gli immobili di cui si tratta dal reddito locativo il reddito effettivo, per la forte incidenza dei costi di manutenzione e conservazione di tali beni»; che la questione va pertanto dichiarata, sotto tale profilo, manifestamente infondata; che, quanto poi agli ulteriori parametri di cui agli artt. 24, secondo comma, e 97, primo comma, della Costituzione, la questione stessa risulta manifestamente inammissibile, non essendo sorretta da alcuna specifica motivazione. Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.