IL TRIBUNALE O s s e r v a Nel corso dello svolgimento del processo penale n. 10347/00 R.G.N.R. e n. 11501/00 R.G.N.R. iscritto a carico di: Pulci Calogero e Giuca Giuseppe generalizzati come in atti, ed imputati del reato di calunnia continuata ed in concorso cosi' come previsto e punito dagli articoli 81 c.p.v. 110, e 368 c.p. commesso in Catania e Roma in data 5 novembre 1998 e 24 aprile 1999 ai danni del funzionario di Polizia di Stato Contrada Bruno, all'udienza del 7 febbraio 2004 nel corso dell'esame del teste della difesa colonnello Michele Riccio, veniva sollevata dal difensore di fiducia del Giuca Giuseppe, una questione di illegittimita' costituzionale dell'articolo n. 203 comma 1 c.p.p. nela parte in cui non consentiva l'acquisizione o l'utilizzabilita' delle informazioni fornite agli ufficiali di Polizia Giudiziaria se gli stessi informatori non siano esaminati come testimoni, e del sottostante comma 1-bis dello stesso articolo - aggiunto dall'articolo 7 della legge 1° marzo 2001 n. 63, sul giusto processo - nella parte in cui sanciva una ipotesi di inutilizzabilita' assoluta in tutte le fasi diverse dal dibattimento, se gli informotori non siano stati interrogati ne' assunti a sommarie informazioni per palese contrasto con gli articoli 3, 24 e 111 della Costituzione. La norma ritenuta non conforme a Costituzione, come e' noto, va comunque inserita in un quadro normativo del tutto aderente al suo dettato. Essa invero, trova assoluta rispondenza nel principio previsto dall'articolo 191 c. p.p. avente ad oggetto prove illegittiinamente acquisite secondo il quale, le prove acquisite in violazione dei divieti stabiliti dalla legge, non possono essere utilizzate e, tale inutilizzabilita', risulta essere rilevabile anche d'ufficio in ogni stato e grado del procedimento. Trova altresi' rispondenza parziale, nel principio contenuto nell'articolo 195 comma 5 c.p.p. nella parte in cui non consentirebbe agli ufficiali ed agli agenti di Polizia Giudiziaria di deporre sul contenuto delle dichiarazioni acquisite dai testimoni con le modalita' di cui agli articoli 351 e 357, comma 2, lettere a) e b), ammettendo solo negli altri casi l'applicazione delle disposizioni dei commi 1, 2 e 3 del presente articolo. Nel caso in questione la sollevata questione posta dal difensore e' apparsa a questo decidente rilevante ai fini della decisione oltre che non manifestamente infondata, circostanza questa che lo induceva a sospendere il processo ed od ordinare la conseguente rimessione degli atti alla Corte costituzionale affinche' valuti la conformita' a Costituzione della norma sopra indicata. Ed invero nel caso in esame, il colonnello Riccio stava riferendo notizie ricevute dal confidente di Polizia Giudiziaria Ilardo Luigi, cugino di Pippo Madonia e referente di Provenzano per la Sicilia orientate, - informazioni che avevano consentito di pervenire all'arresto di numerosi latitanti ed alla redazione di una successiva informativa di reato denominata «Grande Oriente» in quanto abbracciava il panorama di situazioni che fungevano da coltante tra Cosa Nostra e le istituzioni. Dal momento della scarcerazione dell'Ilardo avvenuta nel gennaio dei 1994 fino al momento della sua morte, occorsa nel maggio del 1996, il colonnello nella sua veste di ufficiale di P.G. aveva pertanto raccolto numerose notizie confidenziali sulle ramificazioni e sugli interessi di Cosa Nostra utilizzando prevalentemente le informazioni ricevute dall'Ilardo medesimo, fonte confidenziale al quanto qualificata. L'informatore di P.G. non riusciva tuttavia od assurgere al grado di collaboratore di giustizia in quanto freddato ed ucciso barbaramente mentre era in corso di preparazione il suo ingresso nel programma di protezione. Nel corso del suo esame innanzi a questa Autorita' giudiziaria, il colonnello Riccio stava rendendo noto il contenuto delle dichiarazioni ricevute dall'informatore di P.G., di cui tra t'altro egli solo era a diretta conoscenza, in quanto le stesse non erano state ancora ritualmente assunte ne' formalmente verbalizzate a causa del barbaro assassinio dello stesso confidente. Si trattava altresi' di dichiarazioni relative all'appartenenza del Pulci alla associazione Cosa Nostra, oltre che alla posizione assunta dallo stesso dottor Contrada all'interno del gruppo mafioso e pertanto rilevanti alfine di accertare se le accuse mosse dal Pulci e dal Giuga siano state o meno calunniose. Se nella normalita' dei casi sarebbe stato possibile sentire il teste de relato citato dal teste della difesa, nel caso di specie cio' non era possibile essendo stato l'Ilardo bruscamente freddato prima di poter formalizzare le sue dichiarazioni. Non permettere l'ingresso delle stesse attraverso l'escussione del teste e conseguentemente non consentire alla loro utilizzabilita' in dibattimento sulla base del divieto previsto dall'articolo 203 c.p.p. significherebbe, a parere del difensore del Giuga, frustare le garanzie del proprio assistito tutelate anche dalla Costituzione, in quanto, nel caso in esame, non si tratterebbe di dichiarazioni rese da chi per libera scelta si e' volontariamente sottratto all'interrogatorio, bensi' di dichiarazioni rese da persona che non ha materialmente avuto la possibilita' di ribadirle in dibattimento in quanto assassinato. Gia' a prima vista tale questione appariva a questo decidente rilevante ai fini della decisione avendo ad oggetto il processo proprio le presunte false accuse mosse ai danni del dottor Bruno Contrada accusato di appartenere alla organizzazione mafiasa Cosa Nostra facente capo al gruppo di Sommatine ed il ruolo all'interno della stessa del collaboratore di giustizia Pulci Calogero e di conseguenza del Giuga. Consentire l'utilizzabilita' di quanto dichiarato dall'Ilardo al colonnello Riccio, anche senza sentire il confidente in quanto deceduto, e' parso pertanto pregiudizialmente alla decisione finale del processo e pertanto la norma ordinaria di cui si contestava la conformita' a costituzione di applicazione indispensabile per giudicare sulla vicenda in concreto. La questione sollevata oltre che apparire rilevante ai fini della decisione, veniva ritenuta anche non manifestante infondata sussistendo ragionevoli dubbi circa la stessa legittimita' costituzionale della norma. Se infatti la stessa giurisprudenza della Suprema Corte, ha consentito la piena utilizzobilita' delle dichiarazioni assunte da confidente poi deceduto in sede di indagini preliminari, sostenendo il principio secondo cui: «Le informazioni assunte da un confidente della Polizia Giudiziaria e da questa riferite all'autorita' giudiziaria dopo la morte del medesimo (nella specie assassinato) possono essere legittimamente utilizzate all'interno della fase delle indagini preliminari e per l'applicazione delle misure cautelari, siccome informazioni assunte da persona in grado di riferire sui fatti oggetto di indagine» ( cfr. Cass. sez. I sentenza 13 gennaio 1993 rv. 03952) non si' comprenderebbe il motivo per cui le stesse informazioni non possano essere acquisite o utilizzate senza sentire il confidente che le ha rese in corso di dibattimento. Quanto risultante dalla norma impugnata, urterebbe invero contro il principio costituzionale di uguaglianza di cui allarticolo 3 della Costituzione, e contro le disposizioni piu' specifiche di cui all'articolo 24 Cost. e 111 commi 5 e 6 Cost. che garantiscono, il primo il diritto di difesa come inviolabile in ogni stato e grado del procedimento ed il secondo il principio del contraddittorio nella formazione della prova, regolando altresi' i casi in cui la stessa non possa aver luogo nel pieno rispetto dello stesso controddittorio per consenso dell'imputato o per accertata impossibilita' di natura oggettiva. Pur essendo il caso sorto in corso del presente giudizio, certamente un caso limite, essendo deceduto il confidente di Polizia Giudiziaria ancor prima della avvenuta verbalizzazione delle sue stesse dichiarazioni, se l'ufficiale di Polizia Giudiziaria non avesse la possibilita' di riferire quanto dallo stesso appreso, - ostando i divieti normativi sopra citati - le sue conoscenze - pur provenendo da una fonte autorevole, non avrebbero assolutamente ingresso nel processo penale, essendo divenuto impossibile sentire il confidente deceduto o comunque acquisire le sue dichiarazioni ai sensi dell'articolo 512 c.p.p. non essendo le stesse nemmeno ancora verbalizzate a causa dell'improvviso assassinio dell'Ilardo. Cosi' facendo si lascerebbe aperta una breccia ai poteri della mafia la quale potrebbe giungere o zittire i confidenti di P.G. prima che gli stessi possano ribadire le loro dichiarazioni in dibattimento, che non potrebbero entrare - in base al divieto normativo - nemmeno tramite gli operanti che ne avevano ricevuto notizia. Per tali e sopra esposti motivi ritenendo rilevante la questione sollevato, oltre che non manifestamente infondata, va ordinata la sospensione del processo e la conseguente trasmissione degli atti alla Corte costituzionale.