IL TRIBUNALE

    Ha  emesso  la la seguente ordinanza nel procedimento ex art. 700
c.p.c.  pendente  tra  Augelletta  Maria  Grazia,  quale  procuratore
generale  di Ziccardi Rosa, difesa dall'avv. Luigi Vetere e dall'avv.
Gian  Giuseppe  Ricci  e  condominio Corso Roma, difeso dall'avv. Ugo
Marciello, Di Giovanni Maurizio, contumace.

                            O s s e r v a

    Con  ricorso  d'urgenza  del  2  luglio  2003 Ziccardi Rosa aveva
esposto  d'essere  proprietaria  di un appartamento facente parte del
condominio  Corso  Roma  in Foggia lamentando che da tempo l'immobile
era   interessato   da  gravi  infiltrazioni  d'acqua  verosimilmente
provenienti  dal  lastrico  solare  dell'appartamento  sovrastante di
proprieta'  del  condomino  Di  Giovanni Maurizio ovvero dal lastrico
comune.
    Ha  richiesto  al  giudice  designato  del Tribunale di Foggia un
provvedimento  ex  art. 700 c.p.c. nei confronti del condominio Corso
Roma e del proprietario dell'immobile sovrastante.
    Con  ordinanza  del  24 settembre 2003 il giudice designato aveva
ritenuto l'incompetenza Tribunale di Foggia ai sensi dell'art. 30-bis
c.p.c. ritenendo competente il giudice di Lecce.
    Con  analogo ricorso del 12 novembre 2003 la Ziccardi aveva adito
il Tribunale di Lecce.
    Disposta la comparizione delle parti, la causa e' stata riservata
all'udienza del 14 gennaio 2004.
    Preliminarmente  va rilevato che il ricorso contiene gli elementi
essenziali   per   consentirne   in   astratto   l'esame   ai   sensi
dell'art. 669-bis c.p.c. e 700 c.p.c.;
    E',  infatti,  indicato il diritto sostanziale a tutela del quale
si  chiede  la misura cautelare con allegazione documentale del fitto
costitutivo  di  tale  diritto,  il  riferimento  al  presupposto del
periculum  in  mora  e del fumus boni juris entrambi ricavabili dagli
atti  del  fascicolo  dell'istante, oltre all'indicazione del petitum
immediato  e  la  prospettazione  del  petitum  mediato e della causa
petendi la necessita' della cui sussistenza e' correttamente desunta,
in  dottrina,  dai  numerosi  riferimenti  normativi,  in  tal senso,
contenuti  nella  novellata normativa cautelare (art. 125 c.p.c., art
669-ter, octies e novies c.p.c.).
    Il  requisito poi della correlazione tra la situazione cautelanda
e  quella  che  costituira'  oggetto  del  successivo  (ed eventuale)
giudizio   di  merito,  si  rinviene  nel  riferimento  (seppure  non
chiarissimo)  alla domanda tesa all'esecuzione di un facere specifico
a  carico  del  convenuto,  oltre al risarcimento dei danni provocati
dalle infiltrazione d'umidita'.
    In  ordine  al  fumus  boni  juris  va  detto  che  dalla  stessa
documentazione   esibita   dal   ricorrente  pare  evincersi  che  le
infiltrazioni   lamentate   derivano  dalla  terrazza  di  proprieta'
esclusiva  del  condomino Di Giovanni (v. pag. 2 della CTP); inoltre,
dalla  documentazione  esibita dal condominio emerge che lo stesso ha
eseguito  le  opere d'impermeabilizzazione richieste dalla ricorrente
limitatamente  alle  parti comuni e con esclusione di quelle parti di
proprieta'  esclusiva del resistente contumace alle quali era inibito
l'accesso in assenza del legittimo proprietario.
    Orbene,  ritiene  questo  giudice  che  preliminarmente  ad  ogni
decisione in ordine al merito del ricorso debba essere presa in esame
la  questione  di legittimita' costituzionale dell'art. 30-bis c.p.c.
che sebbene non prospettata dalle parti si ritiene di dover sollevare
d'ufficio per contrasto con l'art. 3 e l'art. 24 della Costituzione.
    Com'e' noto, anche nei giudizi nei confronti di un condominio per
il  fatto  che  dello stesso faccia parte un magistrato, deve trovare
applicazione  l'art. 30-bis  cod.  proc. civ. secondo cui le cause in
cui sono comunque parti magistrati, che secondo le norme del presente
capo  sarebbero  attribuite alla competenza di un ufficio giudiziario
compreso  nel  distretto  di  corte  d'appello  in  cui il magistrato
esercita  le  proprie  funzioni,  sono  di  competenza  del  giudice,
ugualmente  competente  per  materia,  che  ha sede nel capoluogo del
distretto  di  corte  d'appello determinato ai sensi dell'articolo 11
del codice di procedura penale.
    Ribadendo  un orientamento tradizionale, la Cassazione - anche da
ultima  -  ha,  infatti,  precisato  che il condominio va individuata
quale  ente  di  gestione sfornito di personalita' distinta da quella
dei suoi componenti, cosicche' il singolo condomino deve considerarsi
parte nella controversia tra il condominio ed altri soggetti, tant'e'
che,   ove   egli  intervenga  personalmente  nel  processo  promosso
dall'amministratore   per  far  valere  diritti  della  collettivita'
condominiale,  non  puo' essere considerato un terzo che s'intromette
in  una  controversia  tra  estranei,  essendo invece una delle parti
originarie   determinatasi  a  far  valere  direttamente  le  proprie
ragioni,  altrimenti  rappresentate  per  mandato dall'amministratore
(Cassazione  Sezione  Lavoro,  n. 7119  del  16  maggio  2002,  Pres.
Genghini, Rel. Di Iasi).
    Se dunque, come ritiene il giudicante e come ha ritenuto anche il
giudice  del  Tribunale  di Foggia (giudice designato, dott. Costanzo
Cea),  l'unica interpretazione possibile della norma citata e' quella
fatta   propria   dalla   Cassazione,  si  profila  la  questione  di
legittimita'  costituzionale  della  detta  norma  per  contrasto con
l'art. 3 e l'art. 24 della Costituzione.
    Va  pure  sottolineato  che  il  dato  testuale  non  permette di
attribuire  alla  norma  da applicare un significato normativo non in
contrasto  con  i parametri costituzionali secondo un'interpretazione
adeguatrice.
    Ricorrono    certamente    tutti    i    presupporti    richiesti
dall'art. l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87.
    Infatti,   la   questione   viene  esaminata  nell'ambito  di  un
procedimento  cautelare che costituisce «giudizio pendente innanzi ad
un'autorita'  giurisdizionale» e viene dedotto un contrasto (vizio di
legittimita'  costituzionale, violazione di leggi costituzionali) tra
la  disposizioni  della legge o dell'atto avente forza di legge dello
Stato e le disposizioni della Costituzione.
    Sussiste,  dunque,  sia  il requisito processuale della rilevanza
della  questione  di  costituzionaliti  -  la  cui  risoluzione cioe'
pregiudichi  necessariamente la definizione del giudizio - sia quella
della   non   manifesta   infondatezza  nonche'  l'impossibilita'  di
interpretare   la   norma   impugnata   in  conformita'  ai  principi
costituzionali,  della  cui  previa valutazione e' onorato il giudico
rimettente.
    La  questione  e'  rilevante,  secondo  la  definizione normativa
dell'art. 23  della  legge  n. 87 del 1953, in quanto, trattandosi di
norma relativa alla competenza inderogabile applicabile anche in sede
cautelare  ed  essendovi  stata  un'eccezione  in  tal  senso  ed una
pronuncia  da parte del giudice designato del Tribunale di Foggia, il
giudizio non puo' essere definito indipendentemente dalla risoluzione
della   questione   di  legittimita'  costituzionale.  La  rilevanza,
infatti,   esprime   il   legame   esistente   tra  la  questione  di
costituzionalita' e il giudizio cautelare a quo.
    In  premessa  si e' dato atto della particolare fattispecie d cui
trae  origine  il  dubbio  di  costituzionalita', del petitum e della
causa  petendi  del giudizio a quo, in quanto necessari, a loro volta
per   la   corretta   indicazione   dell'oggetto   del   giudizio  di
costituzionalita'  (nn. 91/1997;  69/1997; 74/1997; 8/1997; 202/1996;
86/1996;   48/1996).   Da   cio'   discende   che   la  pregiudiziale
costituzionale  si  pone  in  termini di strumentalita' rispetto alla
decisione  nel  merito  del giudizio de quo (cautelare) oltre che del
successivo giudizio di merito.
    Quanto  all'indicazione  dei  motivi di costituzionalita' ed alla
determinazione   dell'oggetto   della   questione   di   legittimita'
costituzionale  (thema decidendum) di cui e' onorato il giudice a quo
nell'ordinanza di rimessione, va osservato quanto segue.
    Il   disposto   dell'art. 30-bis   c.p.c.   interpretato  secondo
l'insegnamento  della  Cassazione  sul  punto appare incostituzionale
alla  luce  della  piu' recente giurisprudenza della Consulta e della
posizione della dottrina in tema di competenza territoriale speciale.
    La sentenza n. 332 del 27 ottobre 2003 della Corte costituzionale
in   materia   di   art.   30-bis   c.p.c.  evidenzia  l'anomalia  di
un'interpretazione  rigida  della norma precisando in motivazione che
«in  realta', l'indiscriminata estensione a tutte le cause civili del
criterio   di   competenza   introdotto   dall'art.   11  c.p.p.  sia
suscettibile  di  risolversi - con riferimento a singole tipologie di
controversie    -    nel    sacrificio    di   interessi   e   valori
costituzionalmente  rilevanti  e'  stato  puntualmente  avvertito  da
questa Corte, sia prima dell'introduzione dell'art. 30-bis c.p.c. sia
dopo di essa».
    La consulta ha fornito un'indicazione sufficientemente chiara per
consentire  al  giudice  del  merito,  non  attraverso  una  semplice
operazione   interpretativa,   ma   attraverso   lo  strumento  della
rimessione,  di  delimitare  il corretto ambito di applicazione della
norma.
    Va,  infatti,  ricordato  che  nel  processo civile la disciplina
speciale  in  materia  di competenza territoriale e' stata introdotta
dalla  legge n. 420 del 1998, che ha disciplinato la competenza per i
procedimenti  riguardanti  i  magistrati  sia  in materia penale (tra
l'altro   modificando  nell'art. 11  cod.  proc.  pen. i  criteri  di
individuazione  della  gia'  prevista competenza derogatoria), sia in
materia civile (introducendo - con l'art. 9 - nel codice di procedura
civile l'art. 30-bis).
    Di  tale nuova disciplina e' stata posta in dubbio la conformita'
alla  Costituzione,  ed in particolare e' stata proposta questione di
legittimita'  costituzionale  del citato art. 30-bis, in quanto norma
regolatrice  della competenza territoriale nei procedimenti esecutivi
promossi da o contro magistrati in servizio nel distretto del giudice
competente secondo le regole ordinarie. Sul punto la Consulta - preso
atto  che  con  l'art. 30-bis  cod.  proc.  civ. il legislatore aveva
esercitato la propria discrezionalita' estendendo la regola dell'art.
11  cod.  proc.  pen.,  a  tutte  le  controversie civili riguardanti
magistrati  di quel distretto - ha ritenuto che la norma, nella parte
in cui comporta l'applicazione di tale regola al foro dell'esecuzione
forzata,  ha  leso  gli  art.  3  e 24 della Costituzione, non avendo
proceduto  al  necessario  bilanciamento  tra  i  due interessi prima
ricordati,   in   relazione   alle   specifiche   particolarita'  del
procedimento esecutivo (sentenza n. 444 del 2002).
    In materia condominiale, poi, va osservato che la pronuncia della
Cassazione  Sezione  Lavoro  ripropone  una  visione tradizionale del
condominio  come  soggetto  giuridico  nell'ambito del nuovo problema
della  «competenza  territoriale  inderogabile» individuata dall'art.
30-bis c.p.c. per le cause in cui siano parte i magistrati.
    Dalla  nozione  di  condominio  come  ente di gestione deriva, in
conseguenza,  che  ciascun  condomino  e' da considerarsi parte della
controversia  tra il condominio ed altri soggetti; i criteri ordinari
di  determinazione  della competenza per territorio andranno derogati
ogni  qualvolta  del  condominio attore, convenuto o interveniente in
lite,  faccia  parte  un  magistrato che eserciti le proprie funzioni
nello  stesso  distratto  di  Corte  d'appello nel quale sia compreso
l'ufficio giudiziario precedente.
    E'   stato  correttamente  osservato  che  «l'impostazione  fatta
propria    dalla    Cassazione,   presume   che   la   legittimazione
dell'amministratore  in  ordine  alle  azioni  collegate ad interessi
comuni  dei  condomini  (siano  esse  azioni  di accertamento, azioni
costitutive  o  di  condanna,  come  nel  caso  di specie) sopperisca
unicamente  all'esigenza di rendere piu' agevole ai terzi la chiamata
in  giudizio  del  condominio,  senza  la necessita' di promuovere il
litisconsorzio passivo nei confronti di tutti i condomini.».
    In  sostanza, che intervenga o meno personalmente nel processo in
cui  sia gia' parte l'amministratore, non sara' mai un terzo rispetto
alla   vertenza,   qualificandosi  piuttosto  come  una  delle  parti
originarie che stia facendo valere direttamente le proprie ragioni.
    Da cio', se nel condominio parte in causa risulti proprietario di
porzioni  esclusive  pure  un  magistrato,  si avrebbero comunque per
verificate  quelle  minacce  all'indipendenza  ed  alla  serenita' di
giudizio che l'art. 30-bis intende scongiurare.
    La  giurisprudenza di merito, con riguardo ad un'azione intentata
dall'amministratore  del  condominio  in  cui  uno  dei condomini era
magistrato, in qualche caso ha affermato che l'art. 30-bis c.p.c. non
e'  riferibile  alle  ipotesi  in  cui il magistrato non sia parte in
senso  tecnico-processuale  del  giudizio  (Trib.  Palermo,  9 maggio
2002).
    Come  e'  stato autorevolmente osservato in dottrina la negazione
giurisprudenziale di ogni distinzione soggettiva tra il condominio ed
i singoli condomini, comporta effetti aberranti.
    Potra'  verificarsi  che  l'associazione  non  riconosciuta  o la
societa'  di  persone, cui abbia aderito il «magistrato della porta a
fianco»,  ben  potra'  agire  o essere convenuta nel suo foro secondo
consueti criteri di radicamento della competenza; mentre, ad esempio,
il   supercondominio  estivo  di  trecentocinquanta  appartamenti  di
Otranto,  nel  quale  il  magistrato  del distretto di Lecce abbia la
comproprieta'   pro   indiviso   con   altri   coeredi  di  un'unita'
immobiliare,  dovra'  agire  davanti  al Tribunale di Potenza per non
turbare   la   coscienza  del  giudicante  appartenente  al  medesimo
distretto.
    In  tali occasioni il giudice delle leggi pero' sottolineando che
un'estensione  pura  e semplice dell'art. 11 c.p.p. alle controversie
civili  avrebbe  comportato  un rischio di una grave compressione del
diritto di difesa di qualcuna delle parti.
    La   tutela   della   serenita'   ed  imparzialita'  del  giudice
costituisce  un  obiettivo rispetto al quale lo strumento processuale
appare sovradimensionato e cio' a discapito dell'interesse certamente
di  rango superiore (nel caso in esame) alla pienezza ed effettivita'
della  tutela  giurisdizionale,  soprattutto  quanto  tale  interesse
riguarda la tutela cautelare ed urgente.
    La  Corte  costituzionale,  gia'  nelle  pronunce del 1998, aveva
avvertito  la  pericolosita' di adattare il meccanismo di spostamento
della  competenza  ex  art. 11  c.p.p.  a controversie come quelle di
esecuzione  forzata, specie se concorsuale, o alle cause divisorie, o
per regolamento di confini.
    E  i primi interventi della Consulta sull'art. 30-bis c.p.c. sono
nel  senso  della  valutazione comparativa degli interessi sulla base
del   presupposto   giuridico   della   inapplicabilita'  tout  court
dell'art. 30-bis c.p.c. ad ogni tipologia di contenzioso.
    Cosi',  anche  la dottrina aveva ritenuto irragionevole sottrarre
al  giudice  del  medesimo  distretto la lite nel caso del magistrato
onorario  che  sia  ad un tempo un avvocato, e che debba recuperare i
suoi  onorari  professionali verso un cliente; poi anche nell'ipotesi
parimenti  irragionevole e' nei casi di liti condominiali, o, ancora,
di  piccoli  sinistri stradali, a di rapporti di consumo coinvolgenti
un magistrato.
    Analoghe  considerazioni  possono  essere  svolte  per  le  cause
davanti  al  giudice  di  pace in cui le parti, ai sensi dell'art. 82
c.p.c.,  possono  stare  in giudizio personalmente, in relazione alle
quali  il  costo della lontananza da corrispondere per la presenza in
lite di un magistrato sembrerebbe davvero inaccettabile rispetto alle
esigenze  difensive  della  parti.  Questo  perche' la presunzione di
mancanza  di serenita' ed imparzialita' del magistrato costituisce un
fattore fortemente negativo se esaminato dalla parte del soggetto che
introduce  il  giudizio  (che  abbia  i  caratteri sopra indicati) ed
assolutamente  sproporzionato rispetto alla ratio della norma che non
puo'  imporre  al  giudice  un rinvio acritico ed in toto al disposto
dell'art. 11 del c.p.p.
    Cosi'  il  privato  che  si  ritrovi  come  litisconsorte  o come
avversario  un  magistrato (o un condominio del quale faccia parte un
magistrato) sara' costretto a valutare preventivamente l'opportunita'
stessa di instaurare il giudizio (con una valutazione costi-benefici)
poiche' la disciplina codicistica gli impone di muoversi da distretto
a  distretto  (come  e'  avvenuto  nel caso di specie) con aumento di
costi e disagi personali.
    Si  tenga  conto  che  nel  caso  in esame il ricorso ex art. 700
c.p.c.  e'  stato  proposto addirittura il 2 luglio 2003 ed a seguito
delle   indispensabili  attivita'  processuali  (comparizione  parti,
pronuncia  sull'incompetenza,  nuovo ricorso, nuovo contraddittorio e
decisione)  e'  stato  riservato  per la decisione all'udienza del 14
gennaio  2004,  cioe'  dopo  oltre  sei  mesi  dalla proposizione del
ricorso.
    Tali  esigenze  erano state pure avvertite da autorevole dottrina
che   suggeriva   di   interpretare   l'art. 30-bis  c.p.c.  in  modo
restrittivo (trattandosi di norma eccezionale ) con la conseguenza di
prevedere  una  deroga  soltanto  per i criteri di competenza dettati
dagli  artt. da  5  a  36  c.p.c. («le norme del presente capo»), con
esclusione,   quindi,   delle   competenze   in   tema  di  procedure
concorsuali,  di  controversie di lavoro, di separazione dei coniugi,
di  convalida  di sfratto, di ingiunzione di pagamento per onorari di
avvocati  (art. 637,  comma 2, c.p.c.), e di ogni altra stabilita nel
codice  di  rito  ai  di fuori delle Sezioni II e III del Libro primo
c.p.c., ovvero nel codice civile o in leggi speciali.
    Nel  caso  di specie si pongono secondo questo giudice almeno due
profili di incostituzionalita' dell'art. 30-bis c.p.c. che si pongono
in termini di rapporto subordinato uno rispetto all'altro.
    Va  precisato,  a riguardo, che come rilevato gia' nella sentenza
della  Corte  costituzionale  n. 30  del  1984: «non e' consentito ai
giudici  a  quo  di  ipotizzare,  collocandole  sul  medesimo  piano,
interpretazioni  alternative  delle  norme  e  di  ciascuna  di  esse
denunciare  il  contrasto con la Costituzione. Diversamente opinando,
verrebbe  tra l'altro meno la possibilita' di verificare la rilevanza
della questione, constatabile attraverso la precisa indicazione della
norma  impugnata  nella  accezione  che  si  ritiene  applicabile nel
giudizio  a quo». Al contrario non e' di ostacolo alla ammissibilita'
della  impugnativa la sua articolazione in quesiti plurimi, quando il
giudice  a  quo  non  pone  tra  gli  stessi  un  legame irrisolto di
alternativita' - che ne precluderebbe, come tale l'esame - sebbene un
collegamento  di  subordinazione  logica,  che  viceversa consente la
delibazione della questione subordinata, in caso di rigetto di quella
che la precede (sentenza n. 188 del 1995).
    Cio' premesso:
        appare    non    manifestamente    infondata   la   questione
d'incostituzionalita'  dell'art. 30-bis c.p.c. ove interpretata anche
con riferimento ai procedimenti cautelari, quanto meno per quelli che
prevedono  una  distinzione  fra  fase  cautelare e fase di merito da
instaurare  davanti  ad  un giudice (eventualmente) diverso da quello
della  cautela  e  rispetto  al  quale  (giudice  del  merito)  opera
regolarmente la deroga prevista dall'art. 30-bis c.p.c.;
        e, in via subordinata, appare non manifestamente infondata la
questione   d'incostituzionalita'   dell'art.   30-bis   c.p.c.   ove
interpretata  con riferimento a tutte le ipotesi in cui il magistrato
(che  eserciti  le  proprie  funzioni nello stesso distretto di Corte
d'appello  nel  quale  sia compreso l'ufficio giudiziario procedente)
non  sia  parte  in  senso  tecnico  processuale  del  giudizio ed in
particolare  faccia  parte  di  un  condominio  attore,  convenuto  o
interveniente in lite;
    Infatti,  sotto  il  primo  profilo  deve ritenersi che la norma,
nella  parte  in  cui  si  estenda  anche nell'ambito di procedimenti
d'urgenza  e cautelari che prevedano una separata fase di merito leda
gli  artt. 3 e 24 della Costituzione. Il legislatore, infatti, non ha
proceduto  al necessario bilanciamento tra l'esigenza di indipendenza
e  serenita' di giudizio e l'interesse alla celerita' ed immediatezza
delle  tutela  sommaria e cautelare. Pare profilarsi il rischio di un
sacrificio  non  proporzionato  del  diritto  di difesa della parte -
magistrato  conseguente  all'estensione  pura e semplice dell'art. 11
c.p.p.   a  tutti  procedimenti  cautelari  previsti  dal  codice  di
procedura civile e dalle leggi speciali.
    Sotto  il  secondo  profilo deve ritenersi parimenti che la norma
leda  gli  artt. 3  e  24  della  Costituzione nella parte in cui sia
applicata  anche  quando  non  sia  direttamente parte in giudizio un
magistrato,   ma  un  soggetto  giuridico  sfornito  di  personalita'
distinta  da  quella  dei  suoi  componenti  tra  i  quali  vi sia un
magistrato.   Il   legislatore,   infatti,  ha  mancato  di  valutare
ponderatamente l'esigenza di indipendenza e serenita' di giudizio con
l'interesse  di tutte le parti (ivi compreso il magistrato-condomino)
a  vedersi  garantito  il diritto di diritto di difesa. Al contrario,
anche  in questo caso pare profilarsi il rischio di un sacrificio non
proporzionato del diritto di difesa delle parti (del magistrato e del
non   magistrato)   conseguente   all'estensione   pura   e  semplice
dell'art. 11  c.p.p.  a  tutte  le  controversie  civili  ed  ad ogni
soggetto che rivesta la qualita' di parte.
    Va  infatti  ribadito  che  nel processo civile trovano interessi
disomogenei e il giudice ha ruoli diversi e di aspetti il legislatore
del  processo  civile  deve tenere conto nello stabilire i tanti fori
speciali  correlati  alla  situazione  delle  persone  e  delle  cose
coinvolte in lite.