IL GIUDICE DI PACE Visti gli atti del procedimento penale iscritto al n. 15 del registro generale dell'anno 2003 e premesso in fatto che: con ricorso immediato ex art. 21 del decreto legislativo n. 274/2000 depositato nella cancelleria di questo ufficio in data 18 aprile 2003 (e previamente comunicato al pubblico ministero in data 17 aprile 2003), Giordano Zita, in proprio e nella qualita' di Madre superiora della Comunita' monastica denominata «Piccola Famiglia dell'Esodo», premesso che: in un procedimento civile pendente tra essa ricorrente e il sig. Marchetti Valerio era stata prodotta una missiva a firma «suor Maria Marra» che presentava evidenti connotazioni diffamatorie a carico di essa ricorrente e della Comunita' da essa rappresentata; la predetta missiva, sebbene destinata all'Arcivescovo di Ancona - Osimo, avesse in qualche modo «circolato» tra altri soggetti, anche mediante autorizzazione alla divulgazione da parte della predetta suor Maria Marra; la missiva, inserita in un particolare contesto finalizzato a screditare sotto ogni punto di vista l'operato di essa ricorrente, aveva determinato un'offesa all'onore e alla reputazione dell'esponente faceva istanza affinche' si procedesse nei confronti della predetta suor Maria Marra per il reato di cui all'art. 595 del codice penale; il pubblico ministero in data 17 aprile 2003 chiedeva l'archiviazione del procedimento, ex art. 17 del citato decreto legislativo, ritenendo che (anche a voler ritenere offensivo il contenuto della missiva incriminata) mancasse del tutto sia l'elemento della divulgazione a piu' persone (dal momento che la predetta missiva era stata inviata ad un preciso destinatario) sia la prova che il possesso della lettera da parte del difensore del Marchetti fosse avvenuto ad opera di suor Maria Marra; con memoria depositata nella cancelleria di questo ufficio in data 5 maggio 2003, ex artt. 90 e 121 cod. proc. pen., il difensore di fiducia della parte offesa chiedeva che questo giudice di pace ordinasse la convocazione delle parti davanti a se' ritenendo che la richiesta avanzata dal pubblico ministero dovesse essere rigettata sia perche' non contemplata tra quelle tassativamente previste dall'art. 25 del citato decreto legislativo sia perche' non ricorrevano i requisiti della inammissibilita' o della manifesta infondatezza dell'accusa; Osserva in diritto E' opportuno preliminarmente precisare, soprattutto ai fini della rilevanza della questione, che questo giudice di pace (anche sulla scorta della documentazione prodotta dalla ricorrente) nel caso di specie non ritiene di provvedere ai sensi dell'art. 26 del piu' volte richiamato decreto legislativo bensi', ai sensi del successivo art. 27, mediante decreto di convocazione delle parti in udienza. Tra i requisiti del decreto di convocazione, la disposizione da ultimo citata (chiaramente modellata sull'art. 552 cod. proc. pen.) contiene anche quello della «trascrizione dell'imputazione» (comma 3, lett. d). L'attuale forma legislativa (diversa rispetto a quella contenuta nel testo del decreto legislativo approvato dal Consiglio dei ministri e diffuso prima della pubblicazione che prevedeva la «trascrizione della imputazione formulata dal pubblico ministero»), pur se ha eliminato un evidente contrasto con l'ultima parte del secondo comma dell'art. 25 (dal momento che l'art. 26 contempla, appunto, le ipotesi in cui il pubblico ministero non ha formulato alcuna imputazione), a parere di questo giudice di pace non ha eliminato i dubbi sulla legittimita' costituzionale - con riferimento alla sua concreta attuazione - della disposizione in esame in base alla quale il giudice di pace deve unicamente provvedere alla «trascrizione dell'imputazione». Non ignora, infatti, questo giudicante la soluzione offerta sullo specifico argomento dalla dottrina (che, nel silenzio della legge, suggerisce la pura e semplice trascrizione dell'addebito contenuto nel ricorso) ma, pur considerandola l'unica concretamente praticabile, non la ritiene esente da rilievi di legittimita' costituzionale. Al suo accoglimento, invero, necessariamente consegue la constatazione che, nel caso oggetto del presente procedimento, con il ricorso immediato si e' introdotta una forma diversa di esercizio dell'azione penale che (affidata al privato ricorrente ovvero al giudice di pace), in ogni caso, appare in contrasto con l'art. 112 della Costituzione che impone l'obbligo di esercitare l'azione penale al pubblico ministero, inteso come unico soggetto al quale, costituzionalmente e in via esclusiva, e' affidato l'esercizio dell'azione penale. Conclusivamente, le precedenti considerazioni impongono una verifica sulla compatibilita' della disposizione legislativa in precedenza riportata con l'art. 112 della Costituzione, ritenendo questo giudice di pace che la citata norma costituzionale sara' necessariamente violata qualora questo giudicante (soprattutto al fine di evitare che il decreto di convocazione delle parti sia inficiato da nullita) attui l'unica alternativa possibilita' in precedenza individuata, dovendosi in essa necessariamente ravvisare un esercizio dell'azione penale sussidiaria a quella del pubblico ministero.