ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nel  giudizio  di  legittimita' costituzionale dell'art. 10, comma 3,
della legge 27 marzo 2001, n. 97 (Norme sul rapporto tra procedimento
penale  e  procedimento  disciplinare ed effetti del giudicato penale
nei   confronti  dei  dipendenti  delle  amministrazioni  pubbliche),
promosso  con  ordinanza  del  6 giugno 2003 dal Consiglio di Stato -
sezione  VI  giurisdizionale  sul  ricorso  proposto dall'Universita'
degli studi «La Sapienza» di Roma contro Toscano Michele, iscritta al
n. 588  del  registro  ordinanze  2003  e  pubblicata  nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica, n. 34, 1ª serie speciale, dell'anno 2003.
    Visto  l'atto  d'intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio del 28 aprile 2004 il giudice
relatore Paolo Maddalena.

                          Ritenuto in fatto

    1.  -  Con  ordinanza  del 6 giugno 2003, il Consiglio di Stato -
sezione  VI giurisdizionale ha sollevato, in riferimento agli artt. 3
e  97  della  Costituzione,  questione di legittimita' costituzionale
dell'art. 10,  comma 3,  della  legge 27 marzo 2001, n. 97 (Norme sul
rapporto  tra  procedimento  penale  e  procedimento  disciplinare ed
effetti  del  giudicato  penale  nei  confronti  dei dipendenti delle
amministrazioni  pubbliche), nella parte in cui, con riguardo ai soli
fatti  commessi  anteriormente  alla  data di entrata in vigore della
legge  medesima,  fa  decorrere  il  termine  per l'instaurazione del
procedimento  disciplinare  dalla conclusione del procedimento penale
con  sentenza  irrevocabile  e non, invece, dalla comunicazione della
sentenza all'amministrazione.
    1.1.  -  In punto di fatto il remittente espone che il giudizio a
quo trae origine da un ricorso per l'annullamento di un provvedimento
di  sospensione  dal  servizio  di  un  docente  universitario  e del
successivo  atto di contestazione di addebito di delitti (di cui agli
artt. 81,  319  e 319-bis del codice penale) gia' oggetto di sentenza
patteggiata  in  sede  penale  ai  sensi  dell'art. 444 del codice di
procedura   penale,   pronunciata  il  29 novembre  2001  e  divenuta
irrevocabile il 24 gennaio 2002.
    In diritto, il Consiglio di Stato riferisce di avere acclarato il
tardivo    inizio    del   procedimento   disciplinare   oggetto   di
contestazione, avendo l'Universita' degli studi «La Sapienza» di Roma
contestato l'addebito dopo il decorso di centoventi giorni dalla data
in  cui era divenuta irrevocabile la sentenza di patteggiamento. Tale
sentenza,  pronunciata dopo l'entrata in vigore della legge n. 97 del
2001,  riguardava  fatti  commessi prima dell'entrata in vigore della
stessa  legge,  per  cui,  nella  fattispecie, veniva in applicazione
l'art. 10, comma 3, della legge in questione.
    1.2.  -  Il  Consiglio  di Stato, nel prospettare la questione di
legittimita'  costituzionale del citato art. 10, comma 3, della legge
n. 97  del 2001, rileva che quest'ultima prevede un sistema normativo
a  regime  (art. 5,  comma 4),  che  impone l'inizio del procedimento
disciplinare  entro novanta giorni dalla comunicazione della sentenza
all'amministrazione,  e  un  sistema  normativo transitorio (art. 10,
comma 3)  -  applicabile  nella  specie -, che prescrive, per i fatti
commessi  prima  dell'entrata  in vigore della legge, un termine piu'
lungo  per l'instaurazione del procedimento (centoventi giorni invece
di  novanta),  con  decorrenza  dalla  «conclusione  del procedimento
penale con sentenza irrevocabile», anziche' dalla comunicazione della
sentenza.
    Orbene,  il  giudice  a quo ritiene che la disciplina transitoria
configurata dalla norma impugnata sarebbe in contrasto con i principi
di  buon  andamento  e  di  efficienza  dell'attivita' amministrativa
(art. 97,  primo  comma,  della  Costituzione), in quanto non sarebbe
conforme  a  tali  principi far decorrere un termine di decadenza per
l'esercizio   del   potere   disciplinare   dell'amministrazione  dal
verificarsi  di  un  fatto (sentenza penale irrevocabile di condanna)
del quale essa non sia stata posta a conoscenza.
    Inoltre  la  disciplina  denunciata  violerebbe  il  principio di
eguaglianza  e  il  canone  di ragionevolezza di cui all'art. 3 della
Costituzione,  poiche'  si produrrebbe una disparita' di trattamento,
in   riferimento   alle  modalita'  e  ai  termini  del  procedimento
disciplinare, tra il sistema normativo transitorio e quello stabilito
a regime.
    A  conferma  della  propria  prospettazione,  il  remittente trae
ulteriori  argomenti  dall'art. 9,  comma 2,  della  legge 7 febbraio
1990,   n. 19   (Modifiche   in   tema  di  circostanze,  sospensione
condizionale  della  pena  e  destituzione  dei pubblici dipendenti),
secondo  il  quale  «la  destituzione  puo'  sempre  essere  inflitta
all'esito  del procedimento disciplinare che deve essere proseguito o
promosso entro centottanta giorni dalla data in cui l'amministrazione
ha  avuto  notizia della sentenza irrevocabile di condanna e concluso
nei   successivi   novanta  giorni  ...».  Questa  norma  infatti  fa
riferimento  ad  una  notizia  certa ricevuta dall'amministrazione in
ordine   alla  sentenza  penale  irrevocabile  di  condanna,  facendo
decorrere  da quella notizia il termine per il proseguimento o per la
instaurazione  del procedimento disciplinare. Ad ulteriore riprova di
cio' il remittente richiama una pronuncia di questa Corte, secondo la
quale  l'azione  disciplinare  si dovrebbe iniziare tempestivamente a
decorrere  dal  «momento in cui l'amministrazione ha conoscenza della
pronuncia irrevocabile di condanna» (sentenza n. 375 del 2000).
    Il  Consiglio  di  Stato  da'  atto  tuttavia che la disposizione
impugnata  avrebbe  comunque  una  sua  ratio,  data  la  specialita'
dell'ipotesi   prevista,  e  ricorda  che  in  materia  questa  Corte
(sentenza   n. 374   del   1995)  si  e'  espressa  nel  senso  della
infondatezza  della  questione  sollevata in riferimento all'art. 97,
terzo  comma,  della  legge  10 gennaio 1957, n. 3 (Testo unico delle
disposizioni  concernenti  lo  statuto  degli  impiegati civili dello
Stato),  nella  parte  in  cui  non  prevede, a carico dell'autorita'
giudiziaria, un obbligo di trasmissione alla pubblica amministrazione
della notizia della sentenza di proscioglimento del dipendente.
    Cio'  nonostante,  il  remittente  ribadisce  i  propri  dubbi di
legittimita'  costituzionale  della norma censurata e pone in risalto
che  l'art. 3, comma 3, della stessa legge n. 97 del 2001 prevede che
«in  caso  di  proscioglimento o di assoluzione anche non definitiva,
l'amministrazione,  sentito  l'interessato,  adotta  i  provvedimenti
consequenziali  nei  dieci giorni successivi alla comunicazione della
sentenza anche a cura dell'interessato».
    2.  - Con atto di intervento del 16 settembre 2003, il Presidente
del  Consiglio  dei  ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura
generale  dello  Stato,  ha chiesto che la questione venga dichiarata
inammissibile per irrilevanza ovvero infondata nel merito.
    In  ordine  alla  ritenuta  inammissibilita'  della questione, la
difesa  erariale  ritiene  che  la  norma  censurata  non verrebbe in
applicazione,  dal  momento  che i termini perentori legislativamente
previsti  sono  applicabili soltanto alle sentenze «emesse secondo lo
schema tipico» e non alle sentenze di patteggiamento.
    Inoltre,  l'art. 10,  comma 3, della legge n. 97 del 2001 sarebbe
disposizione estranea alla fattispecie dedotta nel giudizio a quo, in
quanto la decisione emessa ai sensi dell'art. 444 cod. proc. pen. non
sarebbe «sussumibile nel contesto di sentenza irrevocabile».
    Nel  merito, la difesa erariale ritiene che la norma in questione
dovrebbe  comunque  essere  interpretata  nel senso della «necessita'
dell'intervenuta  informativa  ai  fini  del  decorso  del termine di
inizio della procedura amministrativa».

                       Considerato in diritto

    1.  -  Con  ordinanza  del 6 giugno 2003, il Consiglio di Stato -
sezione  VI giurisdizionale ha sollevato, in riferimento agli artt. 3
e  97  della  Costituzione,  questione di legittimita' costituzionale
dell'art. 10,  comma 3,  della  legge 27 marzo 2001, n. 97 (Norme sul
rapporto  tra  procedimento  penale  e  procedimento  disciplinare ed
effetti  del  giudicato  penale  nei  confronti  dei dipendenti delle
amministrazioni  pubbliche), nella parte in cui, con riguardo ai soli
fatti  commessi  anteriormente  alla  data di entrata in vigore della
legge  medesima,  fa  decorrere  il  termine  per l'instaurazione del
procedimento  disciplinare  dalla conclusione del procedimento penale
con  sentenza  irrevocabile, e non, invece, dalla comunicazione della
sentenza all'amministrazione.
    2. - Prima di passare all'esame della questione occorre far cenno
alle modifiche normative introdotte dalla legge n. 97 del 2001.
    2.1.  - Per quanto riguarda l'efficacia della sentenza penale nel
giudizio  disciplinare  a  carico del pubblico dipendente, l'art. 653
del  codice  di  procedura  penale prevedeva che soltanto la sentenza
penale  irrevocabile  di assoluzione, e non anche quella di condanna,
avesse  valore  di  giudicato,  limitatamente all'accertamento che il
fatto  non sussiste o che l'imputato non lo ha commesso, nel giudizio
per responsabilita' disciplinare davanti alle pubbliche autorita'.
    A  seguito  delle modifiche recate dalla predetta legge n. 97 del
2001,  l'art. 653  cod.  proc.  pen.  vigente  non solo ha confermato
l'efficacia di giudicato nel giudizio di responsabilita' disciplinare
della  sentenza  penale  irrevocabile  di assoluzione, precisando che
essa  fa  stato  «quanto all'accertamento che il fatto non sussiste o
non  costituisce  illecito  penale  ovvero  che  l'imputato non lo ha
commesso», ma, innovando rispetto al passato, ha disposto l'efficacia
di  giudicato  nel  giudizio disciplinare anche della sentenza penale
irrevocabile   di   condanna   in  relazione  all'accertamento  della
sussistenza del fatto, della sua illiceita' penale e all'affermazione
che l'imputato lo ha commesso.
    Occorre  inoltre  evidenziare  che l'art. 2 della legge n. 97 del
2001,  con  la  modifica  apportata  all'art. 445 cod. proc. pen., ha
innovato anche la disciplina relativa all'efficacia della sentenza di
applicazione  della  pena  su  richiesta  nel  giudizio disciplinare,
prevedendo   che   tale   sentenza   ha  efficacia  nei  procedimenti
disciplinari  quanto  all'accertamento  della  sussistenza del fatto,
della  sua  illiceita' penale e all'affermazione che l'imputato lo ha
commesso.
    2.2.  -  In  tema  di rapporti tra processo penale e procedimento
disciplinare,  la  citata  legge  n. 97  del  2001  ha  previsto  una
normativa a regime e una transitoria.
    La  normativa  a  regime  e'  sancita dall'art. 5, comma 4, della
suddetta  legge,  secondo il quale «il procedimento disciplinare deve
avere inizio o in caso di intervenuta sospensione proseguire entro il
termine   di   novanta  giorni  dalla  comunicazione  della  sentenza
all'amministrazione   o   all'ente  competente  per  il  procedimento
disciplinare».
    La disciplina transitoria e' dettata dall'art. 10, comma 3, della
citata  legge,  il  quale prevede che i procedimenti disciplinari per
fatti  commessi  anteriormente  alla  data di entrata in vigore della
legge  stessa «devono essere instaurati entro centoventi giorni dalla
conclusione del procedimento penale con sentenza irrevocabile».
    E'  anche  da  far  presente  che,  con sentenza n. 394 del 2002,
questa    Corte   ha   dichiarato   l'illegittimita'   costituzionale
dell'art. 10,  comma 1, della legge n. 97 del 2001, per contrasto con
gli  articoli 3 e 24 della Costituzione, nella parte in cui disponeva
l'applicabilita'  degli  articoli 1  e 2 della legge (concernenti gli
effetti  della sentenza di applicazione della pena su richiesta delle
parti  nel  giudizio  disciplinare)  ai patteggiamenti perfezionatisi
anteriormente  all'entrata  in vigore della stessa legge. Ne consegue
che,  come  avviene  nel  caso  in  esame, rientrano nella disciplina
transitoria  i  procedimenti  disciplinari che hanno ad oggetto fatti
commessi  prima  dell'entrata  in vigore della legge n. 97 del 2001 e
che  concernono  sentenze  di  applicazione  della  pena su richiesta
pronunciate dopo l'entrata in vigore della legge medesima.
    3.  -  Cosi'  ricostruito il quadro normativo di riferimento puo'
procedersi all'esame della questione.
    Il  remittente,  come  si  e'  detto,  dubita  della legittimita'
costituzionale di detta disciplina transitoria, osservando che il far
decorrere   il   termine   per   l'instaurazione   del   procedimento
disciplinare  dal  momento  in  cui  la  sentenza di condanna diviene
irrevocabile     anziche'     da     quello    della    comunicazione
all'amministrazione,  sarebbe  in  contrasto con il principio di buon
andamento  e  di  efficienza della pubblica amministrazione e inoltre
introdurrebbe una non giustificata disparita' di trattamento rispetto
al sistema normativo a regime (art. 5, comma 4, della legge n. 97 del
2001).
    4.   -   In   via   preliminare,  deve  innanzitutto  respingersi
l'eccezione  sollevata  dall'Avvocatura generale dello Stato, secondo
la  quale  la  norma denunciata non potrebbe trovare applicazione nel
giudizio  a quo, riguardando quest'ultimo fatti definiti con sentenza
di  patteggiamento.  Infatti,  come  gia'  osservato  da questa Corte
(sentenza n. 394 del 2002), in base al nuovo testo degli articoli 445
e 653 del codice di procedura penale non e' dubbio che la sentenza di
patteggiamento ha efficacia nel giudizio disciplinare.
    5. - Nel merito la questione e' fondata.
    Come si e' visto, con le novita' introdotte dalla legge n. 97 del
2001,  sia  la  sentenza  penale  irrevocabile  di  condanna,  sia la
sentenza  di  applicazione  della pena su richiesta sono destinate ad
esplicare  effetti  nel giudizio disciplinare. Si assicura, in questa
maniera,  non  solo  una  sostanziale coerenza tra sentenza penale ed
esito  del  procedimento  amministrativo, ma soprattutto una linea di
maggiore  rigore  per  garantire  il corretto svolgimento dell'azione
amministrativa.
    Se  questa  e'  la finalita' della disciplina in esame, la citata
norma transitoria che fa decorrere il termine per l'instaurazione del
procedimento  disciplinare  dalla conclusione del giudizio penale con
sentenza  irrevocabile,  anziche'  dalla comunicazione della sentenza
all'amministrazione, appare irragionevole e contraria al principio di
buon andamento.
    Essa,  infatti,  non prevedendo che l'amministrazione sia posta a
conoscenza  del  termine  iniziale  (sentenza  penale irrevocabile di
condanna)  per  l'instaurazione  del  procedimento  disciplinare,  ed
imponendo  altresi'  lo svolgimento di un'attivita' per la conoscenza
di   questo   dato,   espone   l'amministrazione  stessa  al  rischio
dell'infruttuoso  decorso  del  termine  decadenziale, rendendo cosi'
piu'  difficoltosa  ed  incerta la stessa applicazione delle sanzioni
disciplinari.
    In sostanza, nel ponderare l'interesse del dipendente pubblico ad
ottenere   una   sollecita   definizione   della  propria  situazione
disciplinare  e  l'esigenza  dell'amministrazione  di instaurare tale
procedimento,  il legislatore ha adottato una soluzione sbilanciata a
vantaggio  del  dipendente  pubblico, nel senso che gioca a favore di
quest'ultimo  lo scorrere del tempo necessario per venire in possesso
di  una  notizia  (sentenza  penale  di condanna) che invece dovrebbe
essere comunicata ab initio all'amministrazione.
    Si  realizza  cosi'  un  contrasto con la ratio della norma, che,
come  si  e'  visto, e' quella di assicurare un maggiore rigore nello
svolgimento dell'attivita' amministrativa.
    Va    pertanto    dichiarata    l'illegittimita'   costituzionale
dell'art. 10, comma 3, della legge n. 97 del 2001, nella parte in cui
prevede,  per  i fatti commessi anteriormente alla data di entrata in
vigore  di detta legge, l'instaurazione dei procedimenti disciplinari
entro centoventi giorni dalla conclusione del procedimento penale con
sentenza  irrevocabile  di  condanna,  anziche'  entro  il termine di
novanta giorni dalla comunicazione della sentenza all'amministrazione
o all'ente competente per il procedimento disciplinare.