Ricorso  della  Regione  Toscana,  in  persona del presidente pro
tempore  autorizzato  con deliberazione della giunta regionale n. 556
del  7  giugno  2004, rappresentato e difeso, per mandato in calce al
presente  atto,  dagli avvocati Lucia Bora e Fabio Lorenzoni e presso
lo  studio di quest'ultimo elettivamente domiciliato in Roma, via del
Viminale n. 43;
    Contro  il  Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore per
la  dichiarazione di illegittimita' costituzionale degli articoli 13,
quarto  comma;  14, sesto comma; 17, primo comma 18, secondo e quarto
comma   del   decreto   legislativo  29  marzo  2004,  n. 99  recante
«Disposizioni   in   materia  di  soggetti  e  attivita',  integrita'
aziendale  e  semplificazione  amministrativa in agricoltura, a norma
dell'art. 1, comma 2, lettere d), f), g), l), ee) della legge 7 marzo
2003, n. 38».
    Nella   Gazzetta   Ufficiale  22  aprile  2004,  n. 94  e'  stato
pubblicato  il  decreto  legislativo n. 99/2004: esso costituisce uno
dei  decreti  previsti  dalla legge delega in agricoltura n. 38/2003,
impugnata in alcune sue previsioni dalla Regione Toscana.
    Anche   alcune  disposizioni  del  presente  decreto  legislativo
contrastano  con  le  attribuzioni  costituzionalmente garantite alle
regioni e vengono impugnate per i seguenti motivi di

                            D i r i t t o

    1. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 13, quarto comma per
violazione degli artt. 76, 117 e 118 Cost.
    L'art. 13,  ai  commi  1,  2 e 3, richiama il fascicolo aziendale
elettronico  ed il suo aggiornamento, la Carta dell'agricoltore e del
pescatore   nonche'   il  codice  unico  di  identificazione  aziende
agricole: trattasi di strumenti cartacei ed elettronici gia' previsti
e  disciplinati  dal decreto legislativo 30 aprile 1998, n. 173 e dal
d.P.R.  1°  dicembre  1999,  n. 503.  In particolare l'art. 1 di tale
d.P.R.   n. 503/1999,   nel  disciplinare  l'anagrafe  delle  aziende
agricole,  dispone  che il codice fiscale costituisce il codice unico
di  identificazione aziende agricole (CUAA) da utilizzarsi in tutti i
rapporti  con  la  pubblica  amministrazione;  l'art. 7  dello stesso
d.P.R.   istituisce   la  Carta  dell'agricoltore  e  del  pescatore,
documento di riconoscimento cartaceo ed elettronico, rilasciata dalle
regioni   ai  legali  rappresentanti  di  ciascuna  azienda  iscritta
all'anagrafe;   l'art. 9   del  medesimo  d.P.R.  n. 503  istituisce,
nell'ambito  dell'anagrafe, il fascicolo aziendale, riepilogativo dei
dati aziendali.
    I  citati  primi tre commi della disposizione in oggetto nulla di
sostanziale   aggiungono  rispetto  a  quanto  gia'  stabilito  dalla
previgente normativa.
    Il  quarto comma, invece, dispone che AGEA assicura, attraverso i
servizi  del  SIAN,  la  realizzazione  dell'Anagrafe  delle  aziende
agricole,  nonche'  di  quanto  previsto  ai  precedenti commi 1 e 2,
relativi,  come  appena  visto,  al fascicolo aziendale elettronico e
alla carta dell'agricoltore e del pescatore.
    Dunque  tale  quarto  comma  accentra  in capo all'Agenzia per le
erogazioni  in  agricoltura  (organismo  nazionale  istituito  con il
decreto    legislativo    n. 165/1999,    subentrato   all'AIMA)   la
realizzazione  dell'anagrafe  delle  aziende  agricole, del fascicolo
aziendale elettronico e della carta dell'agricoltore e del pescatore,
prevedendo che a tal fine detta Agenzia provvede attraverso i servizi
del  SlAN,  che e' il Sistema informativo agricolo nazionale previsto
dalla legge 4 giugno 1984, n. 194.
    Tale  accentramento,  che  non  si fonda su alcuno dei titoli che
legittimano  l'intervento  statale,  si  pone  in  contrasto  con  le
attribuzioni regionali in materia di agricoltura, che costituisce una
materia  riservata  alla competenza residuale delle regioni, ai sensi
dell'art. 117,   quarto  comma  Cost.  (come  affermato  dalla  Corte
costituzionale nella recente sentenza n. 12/2004).
    D'altra   parte   la   disposizione   non   trova  un  fondamento
costituzionale  neppure  nell'art. 118 Cost. non essendovi motivi che
giustifichino   l'allocazione  in  capo  allo  Stato  delle  funzioni
suddette  in  applicazione del principio di sussidiarieta'. Peraltro,
anche  in  tale ipotesi, la norma sarebbe ugualmente incostituzionale
per l'assenza di ogni previsione di intesa con le regioni, che invece
sarebbe  imprescindibile  in  considerazione dell'interferenza con le
funzioni   regionali   in  materia  di  agricoltura,  secondo  quanto
enunciato dalla Corte cost. nella sentenza n. 303/2003.
    La  norma  censurata  costituisce addirittura un «passo indietro»
rispetto   alla   previgente   normativa  di  cui  al  citato  d.P.R.
n. 503/1999:   infatti   l'art. 1   di  tale  decreto  stabiliva  che
l'anagrafe  delle  aziende  agricole  fosse istituita all'interno del
SIAN  integrato  con i sistemi informativi regionali, per raccogliere
le   notizie  relative  ai  soggetti  esercenti  attivita'  agricola,
agroalimentare,  forestale  e  della pesca che intrattengano rapporti
con  la  p.a.;  analogamente  l'art. 14,  terzo  comma,  del  decreto
legislativo   n. 173/1998   disponeva   l'istituzione   della   carta
dell'agricoltore  e  del  pescatore  e  dell'anagrafe  delle  aziende
agricole  avvalendosi  del  SIAN, integrato con i sistemi informativi
regionali.
    Invece   la   disposizione   impugnata  non  prevede  piu'  alcun
coordinamento  ed  alcuna  integrazione  tra  il  SIAN  ed  i Sistemi
informativi  regionali i quali, invece, nel corso degli anni, proprio
in  virtu'  delle  sopra  richiamate disposizioni, hanno realizzato e
sviluppato molte delle attivita' in esame.
    Mentre  e'  conforme  all'assetto  costituzionale che al SIAN sia
attribuito  un  ruolo  generale  di  coordinamento tecnico, e' invece
contrastante  con  gli  artt. 117 e 118 Cost. che all'AGEA tramite il
SIAN  sia  affidato  direttamente il compito di realizzare l'anagrafe
delle  aziende agricole, la Carta dell'agricoltore e del pescatore ed
il fascicolo aziendale.
    In tale senso, del resto, era stata formulata - durante l'iter di
approvazione della norma - la proposta di modifica dalle regioni («Le
regioni,   attraverso  i  servizi  del  SIAN  integrato  dai  sistemi
informativi  agricoli  regionali, realizzano l'Anagrafe delle aziende
agricole,  la  carta...»:  nota della Conferenza dei presidenti delle
regioni  e  delle province autonome del 2 febbraio 2004, osservazioni
relative  all'art. 12;  doc. n. 1), ma - come si puo' constatare - la
proposta non e' stata presa in esame.
    La  censurata  disposizione e' incostituzionale anche per eccesso
di  delega  e  quindi  per  violazione  dell'art. 76 Cost. Infatti la
lettera  g)  del  secondo  comma  dell'art. 1  della legge n. 38/2003
prevede,  quale  criterio direttivo per la delega, la semplificazione
degli  adempimenti contabili ed amministrativi a carico delle imprese
agricole:  ebbene  e'  evidente  che l'accentramento in capo all'AGEA
tramite  il  SIAN  della  realizzazione  dell'anagrafe  delle aziende
agricole,   della  Carta  dell'agricoltore  e  del  pescatore  e  del
fascicolo   aziendale   non   hanno   nulla   a  che  vedere  con  la
semplificazione  degli  adempimenti  contabili  ed  amministrativi  a
carico  delle  imprese,  non  essendo affatto dimostrato, ne' essendo
vero,  che  tale  semplificazione  non  sia  perseguibile  attraverso
l'integrazione con i sistemi informativi regionali.
    2. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 14, sesto comma, per
violazione degli artt. 76, 117 e 118 Cost.
    L'art. 14,  sesto comma, introduce la regola del silenzio assenso
(«Decorso  tale  termine - centottanta giorni - la domanda si intende
accolta»)  per  tutti  i  procedimenti  che  l'impresa  agricola puo'
attivare,  purche'  la  relativa istanza sia presentata tramite i CAA
(Centri  autorizzati di assistenza agricola). Da cio' consegue che se
i CAA sono affidatari di compiti istruttori non solo per procedimenti
di  erogazione  di  contributi (come avviene in Toscana sulla base di
convenzioni   tra   CAA   e   gli   enti   titolari   della  funzione
amministrativa),  si  applica  la  stessa regola del silenzio assenso
anche    ai    procedimenti   di   autorizzazione,   espressione   di
discrezionalita'  amministrativa,  che  non  si  prestano  ad  essere
rilasciati    tramite    il    silenzio   assenso.   L'autorizzazione
all'esercizio  di  attivita'  agrituristiche,  come le autorizzazioni
fitosanitarie   e   le   autorizzazioni  edilizie  in  zone  agricole
entrerebbero nell'ambito di applicazione della disposizione in esame,
vanificando  le  competenze  regionali  in  materia di disciplina dei
relativi procedimenti amministrativi.
    Lo   Stato   non  interviene,  con  la  norma  in  questione,  in
procedimenti  di  sua  competenza, ma detta una norma generale che si
applica per tutti i procedimenti, in violazione quindi dei criteri di
riparto  di  competenze  di  cui  all'art. 117  Cost.,  posto  che  i
procedimenti   in   materia   di   agricoltura  non  rientrano  nelle
attribuzioni statali.
    La  disposizione  non  trova un fondamento costituzionale neppure
nell'art. 118   Cost.   e  quindi  nei  principi  di  sussidiarieta',
adeguatezza e differenziazione ivi richiamati. Secondo l'insegnamento
della Corte costituzionale (sentenza n. 303/2003) la legge statale e'
legittimata  ad  intervenire  in  materie di competenza regionale nei
casi  in  cui,  in applicazione dell'art. 118 primo comma Cost., allo
Stato  sia  attribuita la titolarita' di una funzione amministrativa:
la  potesta'  legislativa  «si sposta» dal livello regionale a quello
statale  al  fine  di  organizzare e regolare funzioni amministrative
allocate  in  capo  allo  Stato  in risposta ad esigenze di carattere
unitario.
    Nel  caso  in  esame la titolarita' della funzione amministrativa
non   viene   allocata   a   livello   statale,  perche'  l'impugnata
disposizione  fissa  il  termine per il formarsi del silenzio assenso
non  solo  per  i  procedimenti  di  competenza statale, ma anche per
quelli  gestiti  da  tutte  le  altre  amministrazioni: dunque non si
giustifica  in  nome della sussidiarieta' l'intervento legislativo in
questione.
    In  ogni  caso  le  disposizioni  sarebbero  incostituzionali per
violazione  dell'art. 118 Cost. perche' non prevedono l'intesa con la
regione che sarebbe invece imprescindibile a fronte dell'interferenza
della disciplina in ambiti materiali di competenza regionale, secondo
quanto affermato nella citata sentenza n. 303/2003.
    La disposizione appare poi viziata per eccesso di delega. Infatti
la  lettera  g)  dell'art. 1,  secondo  comma, della legge n. 38/2003
prevedeva,  tra  i criteri direttivi della delega, la semplificazione
degli  adempimenti  contabili e amministrativi a carico delle imprese
agricole:  la  norma in esame invece non riduce detti adempimenti, ma
estende  l'istituto  del silenzio assenso a tutti i procedimenti, ivi
compresi quelli che richiedono l'esercizio di poteri discrezionali.
    3.  -  Illegittimita'  costituzionale dell'art. 17, primo comma e
dell'art. 18,  secondo  e quarto comma, per violazione degli artt. 5,
117, 118 Cost., anche in relazione all'art. 2 del decreto legislativo
28  agosto  1997,  n. 281,  e dell'art. 11 della legge costituzionale
n. 3/2001. Violazione del principio della leale collaborazione.
    Le  censurate  disposizioni  appartengono  al Capo IV «Tutela del
patrimonio  agroalimentare»  totalmente mancante nel testo sottoposto
all'esame   della  Conferenza  Stato-regioni  per  l'espressione  del
proprio  parere.  Infatti  tale  ulteriore capo e' stato inserito dal
Governo dopo l'acquisizione del parere della Conferenza Stato-regioni
(come  attestato dalla depositata interrogazione e relativa risposta:
doc. n. 2).
    La  motivazione  di  tale  successivo inserimento e' che il nuovo
Capo  darebbe risposta alle raccomandazioni espresse dalla Camera dei
deputati  e  dal  Senato; che il termine per l'esercizio della delega
legislativa  stava  per scadere; che non c'era il tempo per convocare
la  Conferenza  e  che  comunque  le nuove norme introdotte da ultimo
sarebbero rispettose delle attribuzioni regionali.
    Le  suddette argomentazioni - tutte infondate - sono una conferma
della sussistenza dei vizi eccepiti.
    La Conferenza Stato-regioni ha espresso il proprio parere in data
15  gennaio  2004  (citato doc. n. 1); tale Conferenza costituisce la
sede della concertazione, del confronto politico, della valutazione e
ponderazione  di  una  pluralita'  di  interessi  che  si  imputano a
soggetti   diversi   dell'ordinamento   e  rappresenta  pertanto  uno
strumento  essenziale  per  la  leale  cooperazione, che trova il suo
diretto   fondamento   nell'art. 5   Cost.   (sentenza   Corte  cost.
n. 373/1997).  Come  ha chiarito la giurisprudenza costituzionale «la
premessa  per  l'intervento della Conferenza e' sempre la presenza di
una  qualche  implicazione  degli  indirizzi  di politica generale di
pertinenza  degli  organi statali e la conferenza e' sede di raccordo
per consentire alle regioni di partecipare a processi decisionali che
resterebbero  altrimenti  nella esclusiva disponibilita' dello Stato»
(Corte  cost.  sentenza  n. 408/1998).  In  tale  ottica, attuando il
criterio  del  potenziamento  delle  funzioni della Conferenza di cui
all'art. 9  della  legge  n. 59/1997,  in  considerazione  delle piu'
rilevanti  attribuzioni riconosciute alle regioni dalla stessa legge,
l'art. 2,   terzo  comma,  del  decreto  legislativo  n. 281/1997  ha
stabilito   che  la  Conferenza  Stato-regioni  e'  obbligatoriamente
sentita  in  ordine  agli  schemi  di  disegni  di legge e di decreto
legislativo  o di regolamento del Governo nelle materie di competenza
delle regioni o delle province autonome, che si pronuncia entro venti
giorni;  decorso  tale  termine i provvedimenti recanti attuazione di
direttive comunitarie sono emanati anche in mancanza di detto parere.
    E'  percio'  chiaro  che il parere della conferenza sarebbe stato
obbligatorio  nel  caso  in esame perche' le disposizioni del capo in
questione  interferiscono  con materie regionali e, segnatamente, con
la   materia   dell'agricoltura,   della  tutela  della  salute,  del
commercio, delle attivita' produttive.
    Di  qui  la  violazione  degli artt. 5, 117 e 118 Cost., anche in
riferimento  all'art. 2 del decreto legislativo n. 281/1997, sotto il
profilo della lesione del principio di leale collaborazione tra Stato
e regioni.
    Le  motivazioni  addotte  dal Governo sono totalmente infondate e
non  valgono comunque a sanare la denunciata illegittimita'. In primo
luogo non e' vero che le nuove disposizioni del Capo IV non ledano le
attribuzioni  regionali  (come  verra'  analizzato  di  seguito);  in
secondo  luogo l'urgenza non era sussistente e, comunque, a fronte di
una  situazione  urgente  deve  trovare  applicazione il comma quinto
dello stesso art. 2 del decreto legislativo n. 281 che, tra gli altri
casi,  prevede  la  consultazione  successiva  della  Conferenza  per
l'esame  definitivo degli schemi di decreto legislativo sottoposti al
parere  delle  commissioni  parlamentari se l'urgenza non consente la
consultazione preventiva.
    Le  impugnate  disposizioni del Capo IV inoltre sono in contrasto
con l'impianto sostanziale dell'art. 117 Cost. L'intervento normativo
statale,   avendo   un'incidenza  diretta  su  materie  spettanti  al
legislatore  regionale, dovrebbe seguire e rispettare un procedimento
di   codecisione   paritaria  con  le  regioni.  Tale  necessita'  e'
confermata   nel   meccanismo   di   cui   all'art. 11   della  legge
costituzionale   n. 3/2001   ove   e'  previsto  che  la  Commissione
parlamentare   per   le   questioni   regionali,   integrata   con  i
rappresentanti  delle  autonomie territoriali, debba sempre esprimere
un  parere  ad  efficacia  rinforzata  su  tutti  i progetti di legge
riguardanti  le  materie  di  legislazione  concorrente e l'autonomia
finanziaria delle regioni e degli enti locali.
    Tale  norma  e'  immediatamente  prescrittiva  e  vincolante, con
conseguente   illegittimita'   dell'impugnata  disposizione,  perche'
emanata  senza  il  rispetto  della  suddetta  procedura.  Ove poi si
ritenesse  che  detto  art. 11  non sia direttamente prescrittivo, lo
stesso e' comunque vincolante per il principio costituzionale ad esso
sotteso, vale a dire la garanzia della leale collaborazione tra Stato
e   regioni,  in  particolare  per  quanto  attiene  all'esigenza  di
assicurare  la partecipazione effettiva delle regioni ai procedimenti
decisionali dello Stato che possano incidere sulle sfere di autonomia
costituzionalmente  attribuite  alle regioni stesse; conseguentemente
e'  necessario adottare, anche per gli atti normativi del Governo, un
meccanismo idoneo a questa finalita' che nel caso in oggetto e' stato
invece del tutto disatteso.
    4.   -   Ulteriore  violazione  dell'art.  17  primo  comma,  per
violazione degli art. 76, 117 e 118 Cost.
    Il  primo  comma  della  norma  affida  alla  societa' per azioni
«Buonitalia»,  partecipata  dal  Ministero delle politiche agricole e
forestali e strumento operativo del Ministero stesso per l'attuazione
delle politiche promozionali di competenza nazionale, l'erogazione di
servizi   alle   imprese  del  settore  agroalimentare  per  favorire
l'internazionalizzazione dei prodotti italiani.
    La  norma  si  pone  in  attuazione  della  previsione  contenuta
nell'art. 1,  secondo  comma, lett. r) della legge delega n. 38/2003,
impugnata da questa amministrazione.
    Il citato primo comma dell'art. 17 e' parimenti incostituzionale,
in quanto non sussiste nell'art. 117 Cost. un titolo che legittimi lo
Stato   a   disciplinare  la  promozione  dei  prodotti  del  sistema
agroalimentare  italiano.  La  norma  fa  riferimento  alle politiche
promozionali di competenza nazionale che, tuttavia, non trovano alcun
fondamento  costituzionale,  posto che la materia dell'agricoltura e'
attribuita alla competenza regionale.
    Ove poi dovesse ravvisarsi una competenza statale in applicazione
dei  criteri  di  sussidiarieta'  di cui all'art. 118 Cost., la norma
resterebbe  illegittima, perche' non e' prevista alcuna intesa con la
regione,  secondo  i  principi di cui alla sentenza n. 303/2003 della
Corte  costituzionale,  ma  anzi  e'  creato  un  sistema che esclude
totalmente  le  regioni  per  accentrare  le  competenze in capo alla
societa' Buonitalia.
    La  disposizione  si  pone in contrasto anche con l'art. 76 Cost.
Infatti  la  legge n. 38/2003 al citato art. 1 secondo comma lett. r)
stabilisce,  quale criterio direttivo per la delega, la previsione di
strumenti   di   coordinamento,   indirizzo  e  organizzazione  delle
attivita'  di  promozione  dei  prodotti  del sistema agroalimentare,
mentre l'impugnata disposizione prevede che la societa' Buonitalia ha
per   scopo   l'erogazione   di  servizi  alle  imprese  del  settore
agroalimentare  e  quindi  a cio' provvede direttamente, con un ruolo
non limitato all'attivita' di coordinamento.
    5.  -  Ulteriore violazione dell'art. 18, secondo e quarto comma,
per violazione degli artt. 97, 117 e 118 Cost.
    5.a. - Il comma 2 dell'art. 18 sostituisce il comma 7 dell'art. 1
del  decreto  legislativo  n. 223/2001,  disponendo  che le regioni e
l'Agecontrol S.p.a. provvedono ad irrogare le sanzioni amministrative
previste  dai  commi  1, 2, 3, 4, e 5 della stessa norma (trattasi di
sanzioni  amministrative  previste  per  irregolarita'  commesse  dal
titolare  di  frantoi  o di stabilimenti di molitura delle olive; dal
titolare di stabilimento di trasformazione delle olive da tavola; dai
produttori di olio e dai principali destinatari di olio di oliva o di
sansa usciti dal frantoio).
    L'originario  comma  settimo  dell'art. 1 del decreto legislativo
n. 223/2001  (che ora viene modificato nel senso suddetto) attribuiva
alle   regioni   la  competenza  ad  irrogare  le  suddette  sanzioni
amministrative.
    Ora  si  affianca  alle  regioni, nella competenza ad irrogare le
sanzioni  amministrative,  l'Agecontrol (Agenzia per i controlli e le
azioni  comunitarie di cui alla legge n. 898/1986), organismo statale
soggetto   alla  vigilanza  ministeriale  e  si  stabilisce  che  con
successivo  decreto del Ministro delle politiche agricole e forestali
d'intesa   con  la  Conferenza  Stato-regioni  saranno  stabilite  le
modalita' di riparto dei proventi delle predette sanzioni.
    La  disposizione  ora  introdotta  e'  illegittima per violazione
delle attribuzioni regionali di cui all'art. 117 Cost.
    E' infatti stato chiarito dalla giurisprudenza costituzionale che
la   competenza  sanzionatoria  amministrativa  non  costituisce  una
materia   a   se',  ma  accede  alle  materie  sostanziali  (sentenza
n. 85/1996;  361/2003;  12/2004); le norme sanzionatorie stabilite in
materie di competenza regionale non possono essere ritenute legittime
nemmeno  in  quanto  direttamente  attuative delle norme comunitarie,
dato  che  ai  sensi dell'art. 117 quinto comma Cost. l'attuazione ed
esecuzione della normativa comunitaria spettano nelle materie di loro
competenza alle regioni e alle province autonome.
    Percio',  a  maggior  ragione  dopo l'entrata in vigore del nuovo
Titolo  V,  non  e' consentito allo Stato intervenire con norme (come
quella  qui  contestata) che attribuiscono direttamente allo Stato la
competenza  sanzionatoria  per  illeciti  amministrativi  attinenti a
materie regionali.
    Infatti   nel   caso   in   esame   vengono  in  questione  norme
sanzionatorie in materia di aiuto comunitario alla produzione di olio
di oliva e alla trasformazione delle olive da tavola: si verte quindi
nella  materia  dell'agricoltura,  del  commercio  e  delle attivita'
produttive,  tutte  rientranti  in  ambiti  materiali  affidati  alla
competenza  residuale  delle regioni. Percio' la legge statale non e'
legittimata  a  disciplinare  la  competenza  ad irrogare le relative
sanzioni amministrative.
    Ne',  d'altra  parte,  tale  legittimazione  sussisterebbe ove si
ritenesse che nel caso in esame le sanzioni amministrative vertano in
materie soggette alla potesta' concorrente: anche in tale ipotesi non
verrebbero  meno le ragioni di incostituzionalita' della disposizione
denunciata,  perche'  lo Stato avrebbe dovuto limitarsi a predisporre
un principio di disciplina che la regione avrebbe poi dovuto svolgere
nell'esercizio  delle  proprie  competenze  legislative;  la diretta,
puntuale   e   specifica  attribuzione  di  competenze  sanzionatorie
all'Agecontrol non costituisce invece norma di principio.
    Inoltre  si  attribuisce  la  potesta'  di  applicare le sanzioni
all'Agecontrol  in  modo concorrente con lo stesso compito regionale,
senza chiarire i rapporti e le rispettive competenze.
    Si  crea  cosi'  una  oggettiva  confusione  perche'  gli  agenti
accertatori  non sapranno a chi trasmettere i verbali: in tal modo la
funzione afflittiva e deterrente tipica della sanzione amministrativa
viene vanificata dalla caotica situazione che si crea per i possibili
vizi di incompetenza che verranno eccepiti a fronte dei provvedimenti
di irrogazione delle sanzioni amministrative.
    Questo   costituisce   una  violazione  del  principio  di  buona
amministrazione   di   cui   all'art. 97  Cost.  che  la  regione  e'
legittimata  a  far  valere  in  questa  sede,  perche' determina una
diretta   lesione   delle   proprie  attribuzioni  nelle  materie  di
competenza sopra richiamate.
    L'impugnata   disposizione   e'  incostituzionale  anche  perche'
prevede  che con decreto ministeriale verranno stabilite le modalita'
di  riparto  dei  proventi  delle  sanzioni: quindi si attribuisce al
Ministro  una  potesta'  regolamentare  che  contrasta con l'art. 117
sesto  comma  Cost.  Infatti i proventi suddetti attengono a sanzioni
amministrative  che,  come  sopra  rilevato,  riguardano  materie non
qualificabili,  in  relazione  agli  oggetti  di  disciplina, come di
potesta' esclusiva statale e percio' il potere attribuito al Ministro
di  stabilire  il  riparto  dei  proventi  viola la chiara previsione
dell'art. 117   sesto   comma   Cost.  che  attribuisce  la  potesta'
regolamentare allo Stato nelle sole materie di competenza legislativa
esclusiva.
    Infine  l'impugnata  disposizione  e'  incostituzionale anche per
violazione dell'art. 118 Cost. in quanto l'allocazione della funzione
amministrativa  in  oggetto in capo ad un organismo statale non trova
giustificazione   nei   principi  di  sussidiarieta',  adeguatezza  e
differenziazione.  Inoltre  la  disposizione non trova fondamento nei
criteri  e  principi  fissati  nella  legge  di delega: la lettera o)
dell'art. 1  della  legge  n. 38/2003  infatti  aveva  previsto, come
criterio   di  delega,  l'armonizzazione  e  razionalizzazione  della
normativa  in  materia di controlli e di frodi agroalimentari al fine
di tutelare maggiormente i consumatori e di eliminare gli ostacoli al
commercio   e   le   distorsioni  della  concorrenza:  la  norma  qui
contestata, invece, non razionalizza il sistema, anzi lo confonde per
l'incertezza  sulle  competenze  sanzionatorie,  e  poi non ha alcuna
rispondenza rispetto alle finalita' previste nella legge delega.
    5.b.  -  Il quarto comma inserisce il comma 4-bis all'art. 18 del
d.lgs.   n. 109/1992,   prevedendo  che  «nelle  materie  di  propria
competenza   spetta   all'Ispettorato   centrale   repressione  frodi
l'irrogazione delle sanzioni amministrative.».
    Anche   in   tal  caso  in  una  materia  regionale  la  potesta'
sanzionatoria  viene  attribuita ad un organo statale, con violazione
dei  criteri  di  riparto  costituzionali.  Se poi, in ipotesi che si
contesta,   la  norma  dovesse  essere  giustificata  in  nome  della
sussidiarieta',  resta  la  denunciata  illegittimita'  per la totale
mancanza di ogni forma di intesa con le regioni.
    Inoltre  l'illegittimita'  appare  ancora  piu'  grave perche' il
d.lgs.  n. 109/1992,  ove  viene  introdotta  la  norma in esame, non
attribuisce    competenze    particolari   all'Ispettorato   centrale
repressione  frodi,  cosi'  che, quando la norma fa riferimento «alle
materie  di  competenza  dell'ispettorato»  non  si  comprende  quali
materie  intenda richiamare. L'Ispettorato ha una competenza generale
di controllo e quindi la disposizione in esame determina, per come e'
formulata,  un  generale  accentramento  di potesta' sanzionatorie in
capo all'Ispettorato stesso, con sussistenza dei vizi eccepiti.
    Inoltre  anche questa disposizione, per i motivi gia' evidenziati
in  relazione  al  precedente secondo comma, non trova fondamento nei
criteri  e  principi  fissati  nella  legge  di  delega  (lettera  o)
dell'art.  1  della  legge  n. 38/2003),  perche'  non  ha ad oggetto
l'armonizzazione   e   la   razionalizzazione  della  disciplina  dei
controlli e delle frodi agroalimentari.