Ricorso della Regione Toscana, in persona del presidente pro tempore autorizzato con deliberazione della giunta regionale n. 556 del 7 giugno 2004, rappresentato e difeso, per mandato in calce al presente atto, dagli avvocati Lucia Bora e Fabio Lorenzoni e presso lo studio di quest'ultimo elettivamente domiciliato in Roma, via del Viminale n. 43; Contro il Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale degli articoli 13, quarto comma; 14, sesto comma; 17, primo comma 18, secondo e quarto comma del decreto legislativo 29 marzo 2004, n. 99 recante «Disposizioni in materia di soggetti e attivita', integrita' aziendale e semplificazione amministrativa in agricoltura, a norma dell'art. 1, comma 2, lettere d), f), g), l), ee) della legge 7 marzo 2003, n. 38». Nella Gazzetta Ufficiale 22 aprile 2004, n. 94 e' stato pubblicato il decreto legislativo n. 99/2004: esso costituisce uno dei decreti previsti dalla legge delega in agricoltura n. 38/2003, impugnata in alcune sue previsioni dalla Regione Toscana. Anche alcune disposizioni del presente decreto legislativo contrastano con le attribuzioni costituzionalmente garantite alle regioni e vengono impugnate per i seguenti motivi di D i r i t t o 1. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 13, quarto comma per violazione degli artt. 76, 117 e 118 Cost. L'art. 13, ai commi 1, 2 e 3, richiama il fascicolo aziendale elettronico ed il suo aggiornamento, la Carta dell'agricoltore e del pescatore nonche' il codice unico di identificazione aziende agricole: trattasi di strumenti cartacei ed elettronici gia' previsti e disciplinati dal decreto legislativo 30 aprile 1998, n. 173 e dal d.P.R. 1° dicembre 1999, n. 503. In particolare l'art. 1 di tale d.P.R. n. 503/1999, nel disciplinare l'anagrafe delle aziende agricole, dispone che il codice fiscale costituisce il codice unico di identificazione aziende agricole (CUAA) da utilizzarsi in tutti i rapporti con la pubblica amministrazione; l'art. 7 dello stesso d.P.R. istituisce la Carta dell'agricoltore e del pescatore, documento di riconoscimento cartaceo ed elettronico, rilasciata dalle regioni ai legali rappresentanti di ciascuna azienda iscritta all'anagrafe; l'art. 9 del medesimo d.P.R. n. 503 istituisce, nell'ambito dell'anagrafe, il fascicolo aziendale, riepilogativo dei dati aziendali. I citati primi tre commi della disposizione in oggetto nulla di sostanziale aggiungono rispetto a quanto gia' stabilito dalla previgente normativa. Il quarto comma, invece, dispone che AGEA assicura, attraverso i servizi del SIAN, la realizzazione dell'Anagrafe delle aziende agricole, nonche' di quanto previsto ai precedenti commi 1 e 2, relativi, come appena visto, al fascicolo aziendale elettronico e alla carta dell'agricoltore e del pescatore. Dunque tale quarto comma accentra in capo all'Agenzia per le erogazioni in agricoltura (organismo nazionale istituito con il decreto legislativo n. 165/1999, subentrato all'AIMA) la realizzazione dell'anagrafe delle aziende agricole, del fascicolo aziendale elettronico e della carta dell'agricoltore e del pescatore, prevedendo che a tal fine detta Agenzia provvede attraverso i servizi del SlAN, che e' il Sistema informativo agricolo nazionale previsto dalla legge 4 giugno 1984, n. 194. Tale accentramento, che non si fonda su alcuno dei titoli che legittimano l'intervento statale, si pone in contrasto con le attribuzioni regionali in materia di agricoltura, che costituisce una materia riservata alla competenza residuale delle regioni, ai sensi dell'art. 117, quarto comma Cost. (come affermato dalla Corte costituzionale nella recente sentenza n. 12/2004). D'altra parte la disposizione non trova un fondamento costituzionale neppure nell'art. 118 Cost. non essendovi motivi che giustifichino l'allocazione in capo allo Stato delle funzioni suddette in applicazione del principio di sussidiarieta'. Peraltro, anche in tale ipotesi, la norma sarebbe ugualmente incostituzionale per l'assenza di ogni previsione di intesa con le regioni, che invece sarebbe imprescindibile in considerazione dell'interferenza con le funzioni regionali in materia di agricoltura, secondo quanto enunciato dalla Corte cost. nella sentenza n. 303/2003. La norma censurata costituisce addirittura un «passo indietro» rispetto alla previgente normativa di cui al citato d.P.R. n. 503/1999: infatti l'art. 1 di tale decreto stabiliva che l'anagrafe delle aziende agricole fosse istituita all'interno del SIAN integrato con i sistemi informativi regionali, per raccogliere le notizie relative ai soggetti esercenti attivita' agricola, agroalimentare, forestale e della pesca che intrattengano rapporti con la p.a.; analogamente l'art. 14, terzo comma, del decreto legislativo n. 173/1998 disponeva l'istituzione della carta dell'agricoltore e del pescatore e dell'anagrafe delle aziende agricole avvalendosi del SIAN, integrato con i sistemi informativi regionali. Invece la disposizione impugnata non prevede piu' alcun coordinamento ed alcuna integrazione tra il SIAN ed i Sistemi informativi regionali i quali, invece, nel corso degli anni, proprio in virtu' delle sopra richiamate disposizioni, hanno realizzato e sviluppato molte delle attivita' in esame. Mentre e' conforme all'assetto costituzionale che al SIAN sia attribuito un ruolo generale di coordinamento tecnico, e' invece contrastante con gli artt. 117 e 118 Cost. che all'AGEA tramite il SIAN sia affidato direttamente il compito di realizzare l'anagrafe delle aziende agricole, la Carta dell'agricoltore e del pescatore ed il fascicolo aziendale. In tale senso, del resto, era stata formulata - durante l'iter di approvazione della norma - la proposta di modifica dalle regioni («Le regioni, attraverso i servizi del SIAN integrato dai sistemi informativi agricoli regionali, realizzano l'Anagrafe delle aziende agricole, la carta...»: nota della Conferenza dei presidenti delle regioni e delle province autonome del 2 febbraio 2004, osservazioni relative all'art. 12; doc. n. 1), ma - come si puo' constatare - la proposta non e' stata presa in esame. La censurata disposizione e' incostituzionale anche per eccesso di delega e quindi per violazione dell'art. 76 Cost. Infatti la lettera g) del secondo comma dell'art. 1 della legge n. 38/2003 prevede, quale criterio direttivo per la delega, la semplificazione degli adempimenti contabili ed amministrativi a carico delle imprese agricole: ebbene e' evidente che l'accentramento in capo all'AGEA tramite il SIAN della realizzazione dell'anagrafe delle aziende agricole, della Carta dell'agricoltore e del pescatore e del fascicolo aziendale non hanno nulla a che vedere con la semplificazione degli adempimenti contabili ed amministrativi a carico delle imprese, non essendo affatto dimostrato, ne' essendo vero, che tale semplificazione non sia perseguibile attraverso l'integrazione con i sistemi informativi regionali. 2. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 14, sesto comma, per violazione degli artt. 76, 117 e 118 Cost. L'art. 14, sesto comma, introduce la regola del silenzio assenso («Decorso tale termine - centottanta giorni - la domanda si intende accolta») per tutti i procedimenti che l'impresa agricola puo' attivare, purche' la relativa istanza sia presentata tramite i CAA (Centri autorizzati di assistenza agricola). Da cio' consegue che se i CAA sono affidatari di compiti istruttori non solo per procedimenti di erogazione di contributi (come avviene in Toscana sulla base di convenzioni tra CAA e gli enti titolari della funzione amministrativa), si applica la stessa regola del silenzio assenso anche ai procedimenti di autorizzazione, espressione di discrezionalita' amministrativa, che non si prestano ad essere rilasciati tramite il silenzio assenso. L'autorizzazione all'esercizio di attivita' agrituristiche, come le autorizzazioni fitosanitarie e le autorizzazioni edilizie in zone agricole entrerebbero nell'ambito di applicazione della disposizione in esame, vanificando le competenze regionali in materia di disciplina dei relativi procedimenti amministrativi. Lo Stato non interviene, con la norma in questione, in procedimenti di sua competenza, ma detta una norma generale che si applica per tutti i procedimenti, in violazione quindi dei criteri di riparto di competenze di cui all'art. 117 Cost., posto che i procedimenti in materia di agricoltura non rientrano nelle attribuzioni statali. La disposizione non trova un fondamento costituzionale neppure nell'art. 118 Cost. e quindi nei principi di sussidiarieta', adeguatezza e differenziazione ivi richiamati. Secondo l'insegnamento della Corte costituzionale (sentenza n. 303/2003) la legge statale e' legittimata ad intervenire in materie di competenza regionale nei casi in cui, in applicazione dell'art. 118 primo comma Cost., allo Stato sia attribuita la titolarita' di una funzione amministrativa: la potesta' legislativa «si sposta» dal livello regionale a quello statale al fine di organizzare e regolare funzioni amministrative allocate in capo allo Stato in risposta ad esigenze di carattere unitario. Nel caso in esame la titolarita' della funzione amministrativa non viene allocata a livello statale, perche' l'impugnata disposizione fissa il termine per il formarsi del silenzio assenso non solo per i procedimenti di competenza statale, ma anche per quelli gestiti da tutte le altre amministrazioni: dunque non si giustifica in nome della sussidiarieta' l'intervento legislativo in questione. In ogni caso le disposizioni sarebbero incostituzionali per violazione dell'art. 118 Cost. perche' non prevedono l'intesa con la regione che sarebbe invece imprescindibile a fronte dell'interferenza della disciplina in ambiti materiali di competenza regionale, secondo quanto affermato nella citata sentenza n. 303/2003. La disposizione appare poi viziata per eccesso di delega. Infatti la lettera g) dell'art. 1, secondo comma, della legge n. 38/2003 prevedeva, tra i criteri direttivi della delega, la semplificazione degli adempimenti contabili e amministrativi a carico delle imprese agricole: la norma in esame invece non riduce detti adempimenti, ma estende l'istituto del silenzio assenso a tutti i procedimenti, ivi compresi quelli che richiedono l'esercizio di poteri discrezionali. 3. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 17, primo comma e dell'art. 18, secondo e quarto comma, per violazione degli artt. 5, 117, 118 Cost., anche in relazione all'art. 2 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e dell'art. 11 della legge costituzionale n. 3/2001. Violazione del principio della leale collaborazione. Le censurate disposizioni appartengono al Capo IV «Tutela del patrimonio agroalimentare» totalmente mancante nel testo sottoposto all'esame della Conferenza Stato-regioni per l'espressione del proprio parere. Infatti tale ulteriore capo e' stato inserito dal Governo dopo l'acquisizione del parere della Conferenza Stato-regioni (come attestato dalla depositata interrogazione e relativa risposta: doc. n. 2). La motivazione di tale successivo inserimento e' che il nuovo Capo darebbe risposta alle raccomandazioni espresse dalla Camera dei deputati e dal Senato; che il termine per l'esercizio della delega legislativa stava per scadere; che non c'era il tempo per convocare la Conferenza e che comunque le nuove norme introdotte da ultimo sarebbero rispettose delle attribuzioni regionali. Le suddette argomentazioni - tutte infondate - sono una conferma della sussistenza dei vizi eccepiti. La Conferenza Stato-regioni ha espresso il proprio parere in data 15 gennaio 2004 (citato doc. n. 1); tale Conferenza costituisce la sede della concertazione, del confronto politico, della valutazione e ponderazione di una pluralita' di interessi che si imputano a soggetti diversi dell'ordinamento e rappresenta pertanto uno strumento essenziale per la leale cooperazione, che trova il suo diretto fondamento nell'art. 5 Cost. (sentenza Corte cost. n. 373/1997). Come ha chiarito la giurisprudenza costituzionale «la premessa per l'intervento della Conferenza e' sempre la presenza di una qualche implicazione degli indirizzi di politica generale di pertinenza degli organi statali e la conferenza e' sede di raccordo per consentire alle regioni di partecipare a processi decisionali che resterebbero altrimenti nella esclusiva disponibilita' dello Stato» (Corte cost. sentenza n. 408/1998). In tale ottica, attuando il criterio del potenziamento delle funzioni della Conferenza di cui all'art. 9 della legge n. 59/1997, in considerazione delle piu' rilevanti attribuzioni riconosciute alle regioni dalla stessa legge, l'art. 2, terzo comma, del decreto legislativo n. 281/1997 ha stabilito che la Conferenza Stato-regioni e' obbligatoriamente sentita in ordine agli schemi di disegni di legge e di decreto legislativo o di regolamento del Governo nelle materie di competenza delle regioni o delle province autonome, che si pronuncia entro venti giorni; decorso tale termine i provvedimenti recanti attuazione di direttive comunitarie sono emanati anche in mancanza di detto parere. E' percio' chiaro che il parere della conferenza sarebbe stato obbligatorio nel caso in esame perche' le disposizioni del capo in questione interferiscono con materie regionali e, segnatamente, con la materia dell'agricoltura, della tutela della salute, del commercio, delle attivita' produttive. Di qui la violazione degli artt. 5, 117 e 118 Cost., anche in riferimento all'art. 2 del decreto legislativo n. 281/1997, sotto il profilo della lesione del principio di leale collaborazione tra Stato e regioni. Le motivazioni addotte dal Governo sono totalmente infondate e non valgono comunque a sanare la denunciata illegittimita'. In primo luogo non e' vero che le nuove disposizioni del Capo IV non ledano le attribuzioni regionali (come verra' analizzato di seguito); in secondo luogo l'urgenza non era sussistente e, comunque, a fronte di una situazione urgente deve trovare applicazione il comma quinto dello stesso art. 2 del decreto legislativo n. 281 che, tra gli altri casi, prevede la consultazione successiva della Conferenza per l'esame definitivo degli schemi di decreto legislativo sottoposti al parere delle commissioni parlamentari se l'urgenza non consente la consultazione preventiva. Le impugnate disposizioni del Capo IV inoltre sono in contrasto con l'impianto sostanziale dell'art. 117 Cost. L'intervento normativo statale, avendo un'incidenza diretta su materie spettanti al legislatore regionale, dovrebbe seguire e rispettare un procedimento di codecisione paritaria con le regioni. Tale necessita' e' confermata nel meccanismo di cui all'art. 11 della legge costituzionale n. 3/2001 ove e' previsto che la Commissione parlamentare per le questioni regionali, integrata con i rappresentanti delle autonomie territoriali, debba sempre esprimere un parere ad efficacia rinforzata su tutti i progetti di legge riguardanti le materie di legislazione concorrente e l'autonomia finanziaria delle regioni e degli enti locali. Tale norma e' immediatamente prescrittiva e vincolante, con conseguente illegittimita' dell'impugnata disposizione, perche' emanata senza il rispetto della suddetta procedura. Ove poi si ritenesse che detto art. 11 non sia direttamente prescrittivo, lo stesso e' comunque vincolante per il principio costituzionale ad esso sotteso, vale a dire la garanzia della leale collaborazione tra Stato e regioni, in particolare per quanto attiene all'esigenza di assicurare la partecipazione effettiva delle regioni ai procedimenti decisionali dello Stato che possano incidere sulle sfere di autonomia costituzionalmente attribuite alle regioni stesse; conseguentemente e' necessario adottare, anche per gli atti normativi del Governo, un meccanismo idoneo a questa finalita' che nel caso in oggetto e' stato invece del tutto disatteso. 4. - Ulteriore violazione dell'art. 17 primo comma, per violazione degli art. 76, 117 e 118 Cost. Il primo comma della norma affida alla societa' per azioni «Buonitalia», partecipata dal Ministero delle politiche agricole e forestali e strumento operativo del Ministero stesso per l'attuazione delle politiche promozionali di competenza nazionale, l'erogazione di servizi alle imprese del settore agroalimentare per favorire l'internazionalizzazione dei prodotti italiani. La norma si pone in attuazione della previsione contenuta nell'art. 1, secondo comma, lett. r) della legge delega n. 38/2003, impugnata da questa amministrazione. Il citato primo comma dell'art. 17 e' parimenti incostituzionale, in quanto non sussiste nell'art. 117 Cost. un titolo che legittimi lo Stato a disciplinare la promozione dei prodotti del sistema agroalimentare italiano. La norma fa riferimento alle politiche promozionali di competenza nazionale che, tuttavia, non trovano alcun fondamento costituzionale, posto che la materia dell'agricoltura e' attribuita alla competenza regionale. Ove poi dovesse ravvisarsi una competenza statale in applicazione dei criteri di sussidiarieta' di cui all'art. 118 Cost., la norma resterebbe illegittima, perche' non e' prevista alcuna intesa con la regione, secondo i principi di cui alla sentenza n. 303/2003 della Corte costituzionale, ma anzi e' creato un sistema che esclude totalmente le regioni per accentrare le competenze in capo alla societa' Buonitalia. La disposizione si pone in contrasto anche con l'art. 76 Cost. Infatti la legge n. 38/2003 al citato art. 1 secondo comma lett. r) stabilisce, quale criterio direttivo per la delega, la previsione di strumenti di coordinamento, indirizzo e organizzazione delle attivita' di promozione dei prodotti del sistema agroalimentare, mentre l'impugnata disposizione prevede che la societa' Buonitalia ha per scopo l'erogazione di servizi alle imprese del settore agroalimentare e quindi a cio' provvede direttamente, con un ruolo non limitato all'attivita' di coordinamento. 5. - Ulteriore violazione dell'art. 18, secondo e quarto comma, per violazione degli artt. 97, 117 e 118 Cost. 5.a. - Il comma 2 dell'art. 18 sostituisce il comma 7 dell'art. 1 del decreto legislativo n. 223/2001, disponendo che le regioni e l'Agecontrol S.p.a. provvedono ad irrogare le sanzioni amministrative previste dai commi 1, 2, 3, 4, e 5 della stessa norma (trattasi di sanzioni amministrative previste per irregolarita' commesse dal titolare di frantoi o di stabilimenti di molitura delle olive; dal titolare di stabilimento di trasformazione delle olive da tavola; dai produttori di olio e dai principali destinatari di olio di oliva o di sansa usciti dal frantoio). L'originario comma settimo dell'art. 1 del decreto legislativo n. 223/2001 (che ora viene modificato nel senso suddetto) attribuiva alle regioni la competenza ad irrogare le suddette sanzioni amministrative. Ora si affianca alle regioni, nella competenza ad irrogare le sanzioni amministrative, l'Agecontrol (Agenzia per i controlli e le azioni comunitarie di cui alla legge n. 898/1986), organismo statale soggetto alla vigilanza ministeriale e si stabilisce che con successivo decreto del Ministro delle politiche agricole e forestali d'intesa con la Conferenza Stato-regioni saranno stabilite le modalita' di riparto dei proventi delle predette sanzioni. La disposizione ora introdotta e' illegittima per violazione delle attribuzioni regionali di cui all'art. 117 Cost. E' infatti stato chiarito dalla giurisprudenza costituzionale che la competenza sanzionatoria amministrativa non costituisce una materia a se', ma accede alle materie sostanziali (sentenza n. 85/1996; 361/2003; 12/2004); le norme sanzionatorie stabilite in materie di competenza regionale non possono essere ritenute legittime nemmeno in quanto direttamente attuative delle norme comunitarie, dato che ai sensi dell'art. 117 quinto comma Cost. l'attuazione ed esecuzione della normativa comunitaria spettano nelle materie di loro competenza alle regioni e alle province autonome. Percio', a maggior ragione dopo l'entrata in vigore del nuovo Titolo V, non e' consentito allo Stato intervenire con norme (come quella qui contestata) che attribuiscono direttamente allo Stato la competenza sanzionatoria per illeciti amministrativi attinenti a materie regionali. Infatti nel caso in esame vengono in questione norme sanzionatorie in materia di aiuto comunitario alla produzione di olio di oliva e alla trasformazione delle olive da tavola: si verte quindi nella materia dell'agricoltura, del commercio e delle attivita' produttive, tutte rientranti in ambiti materiali affidati alla competenza residuale delle regioni. Percio' la legge statale non e' legittimata a disciplinare la competenza ad irrogare le relative sanzioni amministrative. Ne', d'altra parte, tale legittimazione sussisterebbe ove si ritenesse che nel caso in esame le sanzioni amministrative vertano in materie soggette alla potesta' concorrente: anche in tale ipotesi non verrebbero meno le ragioni di incostituzionalita' della disposizione denunciata, perche' lo Stato avrebbe dovuto limitarsi a predisporre un principio di disciplina che la regione avrebbe poi dovuto svolgere nell'esercizio delle proprie competenze legislative; la diretta, puntuale e specifica attribuzione di competenze sanzionatorie all'Agecontrol non costituisce invece norma di principio. Inoltre si attribuisce la potesta' di applicare le sanzioni all'Agecontrol in modo concorrente con lo stesso compito regionale, senza chiarire i rapporti e le rispettive competenze. Si crea cosi' una oggettiva confusione perche' gli agenti accertatori non sapranno a chi trasmettere i verbali: in tal modo la funzione afflittiva e deterrente tipica della sanzione amministrativa viene vanificata dalla caotica situazione che si crea per i possibili vizi di incompetenza che verranno eccepiti a fronte dei provvedimenti di irrogazione delle sanzioni amministrative. Questo costituisce una violazione del principio di buona amministrazione di cui all'art. 97 Cost. che la regione e' legittimata a far valere in questa sede, perche' determina una diretta lesione delle proprie attribuzioni nelle materie di competenza sopra richiamate. L'impugnata disposizione e' incostituzionale anche perche' prevede che con decreto ministeriale verranno stabilite le modalita' di riparto dei proventi delle sanzioni: quindi si attribuisce al Ministro una potesta' regolamentare che contrasta con l'art. 117 sesto comma Cost. Infatti i proventi suddetti attengono a sanzioni amministrative che, come sopra rilevato, riguardano materie non qualificabili, in relazione agli oggetti di disciplina, come di potesta' esclusiva statale e percio' il potere attribuito al Ministro di stabilire il riparto dei proventi viola la chiara previsione dell'art. 117 sesto comma Cost. che attribuisce la potesta' regolamentare allo Stato nelle sole materie di competenza legislativa esclusiva. Infine l'impugnata disposizione e' incostituzionale anche per violazione dell'art. 118 Cost. in quanto l'allocazione della funzione amministrativa in oggetto in capo ad un organismo statale non trova giustificazione nei principi di sussidiarieta', adeguatezza e differenziazione. Inoltre la disposizione non trova fondamento nei criteri e principi fissati nella legge di delega: la lettera o) dell'art. 1 della legge n. 38/2003 infatti aveva previsto, come criterio di delega, l'armonizzazione e razionalizzazione della normativa in materia di controlli e di frodi agroalimentari al fine di tutelare maggiormente i consumatori e di eliminare gli ostacoli al commercio e le distorsioni della concorrenza: la norma qui contestata, invece, non razionalizza il sistema, anzi lo confonde per l'incertezza sulle competenze sanzionatorie, e poi non ha alcuna rispondenza rispetto alle finalita' previste nella legge delega. 5.b. - Il quarto comma inserisce il comma 4-bis all'art. 18 del d.lgs. n. 109/1992, prevedendo che «nelle materie di propria competenza spetta all'Ispettorato centrale repressione frodi l'irrogazione delle sanzioni amministrative.». Anche in tal caso in una materia regionale la potesta' sanzionatoria viene attribuita ad un organo statale, con violazione dei criteri di riparto costituzionali. Se poi, in ipotesi che si contesta, la norma dovesse essere giustificata in nome della sussidiarieta', resta la denunciata illegittimita' per la totale mancanza di ogni forma di intesa con le regioni. Inoltre l'illegittimita' appare ancora piu' grave perche' il d.lgs. n. 109/1992, ove viene introdotta la norma in esame, non attribuisce competenze particolari all'Ispettorato centrale repressione frodi, cosi' che, quando la norma fa riferimento «alle materie di competenza dell'ispettorato» non si comprende quali materie intenda richiamare. L'Ispettorato ha una competenza generale di controllo e quindi la disposizione in esame determina, per come e' formulata, un generale accentramento di potesta' sanzionatorie in capo all'Ispettorato stesso, con sussistenza dei vizi eccepiti. Inoltre anche questa disposizione, per i motivi gia' evidenziati in relazione al precedente secondo comma, non trova fondamento nei criteri e principi fissati nella legge di delega (lettera o) dell'art. 1 della legge n. 38/2003), perche' non ha ad oggetto l'armonizzazione e la razionalizzazione della disciplina dei controlli e delle frodi agroalimentari.