IL GIUDICE DI PACE Ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa civile iscritta al n. 117/A/04 R.G., promossa da D'Antona Fabrizio, con avv. Massimiliano Pompignoli, ricorrente; Contro Sindaco di Roncofreddo pro tempore, resistente; in punto a: opposizione a sanzione amministrativa. Conclusioni del ricorrente: «... che 1'Ill.mo Giudice di Pace di Cesena, contrariis reiectis, voglia accogliere le seguenti conclusioni: in via preliminare, sospendere l'esecuzione del verbale n. AX 3282/03; nel merito accertare e dichiarare, in accoglimento dei motivi esposti, il verbale in oggetto e' infondato, ingiusto ed illegittimo e, per l'effetto, revocarne l'efficacia. Con vittoria di spese competenze ed onorari di causa. In subordine, qualora l'ill.mo signor giudice di pace ritenga fondato il verbale della Polizia municipale di Forli', compensare le spese in giudizio in considerazione della buona fede del ricorrente e dei contrasti giurisprudenziali in materia. Con riserva di ulteriormente dedurre e produrre e con sentenza provvisoriamente esecutiva». Fatto Con atto del ricorso avanti l'intestato ufficio del giudice di pace, il sig. D'Antona Fabrizio, a mezzo del di lui procuratore, esponeva che in data 10 ottobre 2003, alla guida del veicolo a lui intestato tg. BF372 SW, mentre percorreva la E 45 3-bis con direzione di marcia Ravenna, veniva accertata a suo carico ad opera della Sezione della Polizia stradale di Roncofreddo, mediante apparecchiatura Velomatic 512, la violazione dell'art. 142 comma 1 e 8 c.d.s. All'accertamento de quo, tuttavia, non seguiva una immediata contestazione in quanto «trattasi di strada, ovvero singolo tratto di essa, per la quale non e' possibile il fermo del veicolo ai sensi dell'art. 201 comma 1-bis, lett. e)». A seguito della notificazione dell'impugnato verbale, il procuratore della parte ricorrente, oltre ad eccepire l'illegittimita' della sanzione per motivi di merito, sollevava anche, in via preliminare, la questione di incostituzionalita' della norma 204-bis d.lgs n. 285/1992, cosi' come introdotto dalla legge n. 214/2003 in relazione agli artt. 3 e 24 Cost. e concludeva, quindi, come sopra riportato. D i r i t t o Esaminati gli atti, questo giudice rileva come il ricorso in opposizione alla sanzione amministrativa, contestata all'odierno ricorrente, sia stato depositato in cancelleria in data 7 febbraio 2004, senza il versamento della somma richiesta a titolo di deposito cauzionale in ragione della meta' del massimo edittale della sanzione inflitta dall'organo accertatore. Detto obbligo, previsto a pena di inammissibilita' del ricorso, scaturisce dall'art. 204-bis del decreto legislativo 30 aprile 1992 n. 285, introdotto dalla legge 1° agosto 2003 n. 214 che ha convertito in legge, con modificazioni, il decreto legge 27 giugno 2003 n. 151. Questo giudice ritiene che l'art. 204-bis del decreto legislativo 30 aprile 1992 n. 285, introdotto dalla legge 1° agosto 2003, n. 214 che ha convertito in legge, con modificazioni, il decreto legge 27 giugno 2003 n. 151, non sia conforme a Costituzione. Difatti, la maggioranza dei commentatori della legge de quo, e con essi la scrivente, ha ritenuto che l'obbligo de quo costituisca un «ostacolo grave e discriminatorio» per l'accesso alla giustizia in violazione degli artt. 3, 24, primo e terzo comma, nonche' l'art. 113 della Costituzione. Nella sostanza non si puo' limitare l'accoglimento dei ricorsi, negando la possibilita' di proporli. In tal modo si danneggiano i cittadini, e particolarmente i non abbienti, e non si eliminano i pericoli paventati nei casi piu' gravi: so scoraggiati, infatti, dalla presentazione del ricorso al giudice gli automobilisti che hanno commesso piccole infrazioni, i quali sono indotti a pagare ed a non fare ricorsi pur di evitare lungaggini ed adempimenti; non sono scoraggiati, invece, quelli che sono incolpati di avere commesso infrazioni piu' gravi e rischiano di subire pene pecuniarie ed accessorie piu' pesanti, quali il ritiro della patente e l'attribuzione di penalita' di punteggio pregiudizievoli. Lo spirito della legge, quindi, verrebbe in tal modo realizzato mediante un ingiusto «taglieggiamento» tra la generalita' dei multati, anziche' introducendo un sistema sanzionatorio e di accertamento giurisdizionale piu' rigoroso, specie per coloro che si macchiano delle infrazioni piu' gravi che mettono in pericolo l'incolumita' degli utenti della strada. La censurata norma, infatti, si distingue, sotto il profilo dell'accertamento della costituzionalita' o meno, come una palese violazione dei dettati fondamentali, in quanto realizza un ostacolo grave, eccessivo nell'importo (il doppio del minimo edittale) e discriminatorio per i non abbienti, applicabile solo ad una parte dei ricorsi. Per i superiori motivi, pertanto, intende sollevare, come in effetti solleva, incidente di costituzionalita' nei termini che seguono: Sulla rilevanza della questione Nel caso che ci occupa il collegamento giuridico, e non gia' di mero fatto, tra la res giudicanda e le norme ritenute incostituzionali, appare del tutto evidente. Difatti, ove si ritenesse l'art. 204-bis del decreto legislativo 30 aprile 1992 n. 285, introdotto dalla legge 1° agosto 2003 n. 214 che ha convertito in legge, con modificazioni, il decreto legge 27 giugno 2003 n. 151 conforme a costituzione, il ricorso andrebbe dichiarato inammissibile mentre ove, per contro, si ritenesse il predetto disposto in contrasto con la Costituzione la suddetta opposizione dovra' essere esaminata nel merito. Sulla non manifesta infondatezza Violazione degli artt. 2, 3 e 113 Cost. Per ritenere l'art. 204-bis del decreto legislativo 30 aprile 1992 n. 285, introdotto dalla legge 1° agosto 2003 n. 214 che ha convertito in legge, con modificazioni, il decreto legge 27 giugno 2003 n. 151 conforme a Costituzione occorrerebbe affermare che la diversa posizione che il legislatore ha riservato a cittadino e pubblica amministrazione, oltre che a cittadino abbiente e cittadino non abbiente, non violi alcun precetto costituzionale. Tale assunto, tuttavia, non viene condiviso da questo giudice in quanto la normativa in parola lede il diritto fondamentale dell'individuo espressamente tutelato dall'art. 3 della Costituzione della Repubblica italiana, ponendo i soggetti abbienti e non abbienti su un piano di disuguaglianza fra loro permettendo esclusivamente al soggetto che sia in possesso di una somma di denaro addirittura doppia rispetto a quella che gli consentirebbe di definire la pendenza mediante pagamento in misura ridotta, di potere tutelare i propri diritti proponendo ricorso al giudice di pace. Ne' e' sostenibile la tesi che al soggetto non abbiente sarebbe comunque possibile presentare ricorso al prefetto in quanto tale procedura non prevede il versamento di alcuna cauzione, sia in quanto a maggior ragione cio' evidenzierebbe come il ricorso al giudice di pace si trasformerebbe in un mezzo di tutela riservato esclusivamente a soggetti facoltosi, sia in quanto la scelta della sede ove tutelare i propri diritti distinguerebbe o meglio discriminerebbe i cittadini sul piano economico e sociale limitando di fatto la liberta' e l'uguaglianza degli stessi. Del tutto evidente, alla luce di quanto sopra, come il disposto, che questo giudice ritiene incostituzionale, si presti a tale censura in quanto l'art. 3 della Costituzione della Repubblica italiana prevede che compito della Repubblica e' rimuovere, non gia' creare, ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la liberta' e l'uguaglianza dei cittadini, impediscano il pieno sviluppo della persona umana. Peraltro, il disposto, della cui costituzionalita' si dubita, lede altresi' l'art. 2 Cost. che sancisce il valore assoluto della persona umana, frustrando uno dei diritti fondamentali dell'individuo. Inoltre, il fatto che la p. a. cerchi di assicurarsi il recupero coattivo della somma esigenda condizionando, comunque, l'impugnazione alla dazione di una somma comprensiva della sanzione patrimoniale erogata, costituisce una forma alternativa di recupero «obtorto collo» in violazione di ogni tutela di difesa dei diritti del cittadino. Tale limitazione difficilmente potrebbe sottrarsi ad un sindacato di costituzionalita'. Difatti, senza scomodare l'ordinamento francese, l'inammissibilita' legata al pagamento del tributo o della sanzione per la quale si ricorre era un istituto ben noto al nostro ordinamento, previsto dalla legge 20 marzo 1865 n. 2248 lett. E sull'abolizione del contenzioso amministrativo sotto il nome di solve et repete. Si prevedeva la necessita' di pagare prima di potere avere giustizia. Le norme che si ispiravano a questo principio sono state eliminate da piu' di 40 anni dal nostro ordinamento attraverso vari interventi della Corte costituzionale (allora composta da Giuseppe Ambrosiani, Giuseppe Castelli Avorio, Nicola Jaeger, Giuseppe Branca, Michele Fragali, Aldo Sandulli, Costantino Mortalie Giuseppe Chiarelli, ed altri) che elimino' l'istituto del solve et repete in quanto contrastante con gli artt. 3, 24 e 113 della Costituzione. La Corte rilevo' che l'esclusione del solve et repete non fa venire meno il principio delle esecutivita' dell'atto amministrativo, per cui la pubblica amministrazione, indipendentemente da un ricorso in corso, puo' procedere esecutivamente contro il cittadino. Alla luce di quanto sopra, il superiore trattamento differenziato appare oltremodo sproporzionato rispetto allo scopo perseguito da questa disposizione. Dice la giurisprudenza di quella Corte che proprio l'esistenza dell'esecutorieta' dell'atto amministrativo indebolisce l'efficacia del principio del solve et repete. Un'amministrazione efficiente puo' chiedere al cittadino il pagamento immediato della sanzione. La Corte ci ricorda che, gia' prima dell'avvento della Costituzione, si dubitava dell'opportunita' di mantenere il principio del solve et repete quale forma particolarmente efficace ed energica per attuare il pubblico interesse e si riteneva che l'istituto fosse in contrasto con la moderna concezione a cui andavano improntati i rapporti tra cittadini e Stato nella societa'. Secondo la sentenza n. 21 del lontano 1961 la imposizione dell'onere del pagamento del tributo (leggi sanzione), regolato quale presupposto imprescindibile dell'esperibilita' dell'azione giudiziaria diretta ad ottenere la tutela del diritto ... mediante l'accertamento giudiziale della legittimita' del tributo stesso, e' in contrasto con tutti i principi contenuti negli artt. della Costituzione enunciati (3, 24 e 113 della Costituzione). «Essa e' in contrasto con la norma dell'art. 3 perche' e' evidente la differenza tra il trattamento che ne consegue tra il contribuente che sia in grado di pagare immediatamente l'intero tributo (sanzione) ed il contribuente che non abbia i mezzi sufficienti per fare il pagamento, ne' possa procurarseli agevolmente ricorrendo al credito. Al primo e' consentito, proprio in conseguenza delle sue condizioni economiche di chiedere giustizia e di ottenerla, ove possa provare di avere ragione, al secondo questa facolta' e' resa difficile e talvolta impossibile, non solo di fatto, ma anche in base al diritto, in forza di un presupposto processuale stabilito dalla legge e consistente nell'onere del versamento di una somma eventualmente assai ingente». «Le stesse condizioni, secondo la Corte, valgono a giustificare il richiamo alle norme contenute negli artt. 24, primo comma, e 113 della Costituzione, nei quali l'uso delle parole «tutti» e «sempre» ha chiaramente lo scopo di ribadire l'uguaglianza di diritto e di fatto di tutti i cittadini per quanto concerne la possibilita' di richiedere e ottenere la tutela giurisdizionale, sia nei confronti di altri privati, sia in quelli dello Stato e di Enti pubblici minori». Violazione dell'art. 24 Cost. L'ingiustificato ostacolo imposto per la tutela dei diritti del cittadino nella sola sede giurisdizionale contrasta con l'art. 24 Cost. il quale espressamente prevede che tutti possano agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi ed aggiunge che la difesa e' un diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento. La sola lettura della norma costituzionale fa apparire palese il netto contrasto di quest'ultima con l'art. 24-bis del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, introdotto dalla legge 1° agosto 2003, n. 214 che ha convertito in legge, con modificazioni, il decreto legge 27 giugno 2003 n. 151. Infatti, l'imposizione del versamento della cauzione previsto per la tutela dei diritti del ricorrente nella sola sede giurisdizionale oltre a rappresentare un ingiustificato, quanto un ingiusto vantaggio per l'amministrazione opposta che, a differenza dell'opponente, in caso di vittoria ha immediatamente a propria disposizione quanto eventualmente dovuto, non assicura la possibilita' di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi a coloro i quali non dispongono di una sufficiente agiatezza economica, in tal modo ledendo gravemente il diritto di difesa. Peraltro, e' indubbio che l'art. 204-bis del decreto legislativo 30 aprile 1992 n. 285, introdotto dalla legge 1° agosto 2003 n. 241 che ha convertito in legge, con modificazioni, il decreto legge 27 giugno 2003 n. 151 nell'indurre il ricorrente, di fatto, a desistere dal tutelare i propri diritti in sede giurisdizionale, scoraggia l'unico mezzo di tutela che quest'ultimo ha a propria disposizione soggetto al principio della soccombenza, costringendo o comunque inducendo i meno facoltosi a presentare ricorso al prefetto per la tutela dei propri diritti, sede in cui in caso di accoglimento dell'opposizione il ricorrente non viene affatto rifuso non solo delle eventuali spese sostenute per l'assistenza di un professionista, ma neppure delle spese vive sostenute.