IL GIUDICE DI PACE Letto il ricorso n. 16/C depositato in data 12 gennaio 2004 dal geom. Nicola D'Urbano, rappresentato e difeso dall'avv. Giovanni Di Monte, con cui si impugna il verbale di contravvenzione n. 12514 elevato in data 3 ottobre 2003 dal Comando di Polizia municipale di Lanciano in agro del Comune di Lanciano, notificato in data 11/14 novembre 2003; Esaminata la documentazione allegata, accertato che il ricorso e' stato tempestivamente proposto; Rilevato che l'opponente ha sollevato questione di legittimita' costituzionale dell'art. 126-bis del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 introdotto dalla legge 1° agosto 2003, n. 214 che ha convertito in legge il decreto legge 27 giugno 2003, n. 151; Ritenuto che, nel caso de quo, il collegamento giuridico tra la res iudicanda e la norma ritenuta incostituzionale appare rilevante: infatti, ove si ritenesse l'art. 126-bis del decreto legislativo n. 285/1992, introdotto dalla legge n. 214/2003 conforme alla Costituzione, il ricorso andrebbe rigettato mentre, per contro, ove si ritenesse il predetto disposto in contrasto con la Costituzione la suddetta opposizione dovra' essere esaminata nel merito; Ritenuta la non manifesta infondatezza per violazione dell'art. 24 della Costituzione sotto il seguente profilo: Il principio costituzionale di cui al suddetto articolo, che garantisce il diritto alla difesa in ogni stato e grado del procedimento, ha il preciso scopo di tutelare i cittadini accusati della commissione di un illecito sotto il profilo sostanziale e cioe' anche al di fuori della formalizzazione di un processo a loro carico, sancendo con cio' (in ossequio all'antico brocardo nemo tenetur se detergere) il diritto a non fornire elementi in proprio danno e, piu' in generale a non collaborare con l'Autorita' per la propria incriminazione. Inoltre, ai sensi della legge n. 689/1981, in tema di applicazione delle sanzioni amministrative, la responsabilita' per ogni azione od omissione richiede l'elemento psicologico, quanto meno della colpa, in assenza della quale l'ingiunzione di pagamento e, come nel caso di specie, la decurtazione di 5 punti della patente di guida in accoglimento dell'opposizione, va dichiarata illegittima e di conseguenza va annullata. Ritenuta la non manifesta infondatezza per violazione dell'art. 27 della Costituzione sotto il seguente profilo: Con l'introduzione della perdita dei punti sulla patente - art. 126-bis, ed in particolare il secondo comma di cui alla citata legge 1° agosto 2003 n. 214 - la contravvenzione da semplice illecito amministrativo (pagamento di una somma) acquisita la configurazione di un vero e proprio reato con sanzione anche di carattere afflittivo oltre che pecuniaria. I reati, secondo l'art. 39 del c.p., si suddividono in delitti e contravvenzioni. Di conseguenza la contravvenzione, con riduzione di punti sulla patente, non puo' essere addebitato ad un soggetto diverso da quello che ha violato la norma del codice della strada; in caso contrario - attribuzione diversa dal conducente - il reato-contravvenzione verrebbe addebitato per responsabilita' oggettiva violando l'art. 27 della nostra Costituzione. La normativa in parola afferma la responsabilita' personale in materia penale. La previsione della decurtazione di punti in capo al proprietario del veicolo, per le violazioni in cui non sia stato possibile identificare il conducente concretizzerebbe una fattispecie di responsabilita' oggettiva, in contrasto con l'art. 27 della Costituzione. L'istituto della responsabilita' oggettiva rileva sotto il profilo penale, civile ed amministrativo. In particolare, alla costruzione della responsabilita' nell'illecito amministrativo, cosi come formulato dalla legge n. 689 del 1981, concorrono elementi mutuati sia dal diritto penale, tra cui il principio di legalita', l'elemento soggettivo e le cause di esclusione dalla responsabilita' (per citarne alcuni), che da quello civile, rappresentati soprattutto dalla solidarieta' e dalla responsabilita' di chi e' tenuto alla sorveglianza nell'incapace per un fatto realizzato da questi. In particolare l'art. 3, primo comma, della presente legge, ripetendo la formula dell'art. 42 c.p., richiede lo stesso elemento soggettivo delle contravvenzioni, l'indifferenza tra il dolo e colpa, pur essendo necessaria almeno quest'ultima, depurando in tal modo l'illecito amministrativo da quei residui di responsabilita' oggettiva che ancora inquinano l'illecito penale. L'art. 6, invece, ha introdotto l'istituto della solidarieta', di derivazione civilistica, prevedendo la responsabilita' in solido, con l'autore dell'illecito, del proprietario della cosa che servi' a commettere la violazione, della persona incaricata della vigilanza dell'incapace, per i fatti da quest'ultimo commessi, dell'imprenditore per gli illeciti commessi dal dipendente nell'esercizio delle proprie incombenze. Analizzando attentamente il primo comma di questo articolo, relativo al proprietario della cosa che servi' o fu destinata a commettere la violazione, si puo' notare che e' stato ripreso in toto dall'art. 196 del codice della strada, ripetendo la stessa formulazione dell'art. 2054 comma terzo c.c., proposto precedentemente come esempio di responsabilita' oggettiva in campo civile. Tuttavia nella legge n. 689/1981, cosi' come nell'art. 196 c.d.s., la responsabilita' in solido comporta il pagamento della somma pecuniaria scaturita dalla violazione amministrativa, e non invece l'assoggettamento ad altra sanzione di carattere affittivo, ma non pecuniario, come quella della detrazione dei punti dalla patente prevista dall'art. 126-bis.