del Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso
dall'Avvocatura generale dello Stato presso i cui uffici in Roma, via
dei  Portoghesi  n. 12,  e'  domiciliato  nei confronti della Regione
Veneto,  in  persona  del  presidente  del  giunta  regionale  per la
dichiarazione  di  illegittimita'  costituzionale  della  legge della
Regione  Veneto  23  aprile  2004, pubblicata nel B.U.R. n. 45 del 27
aprile 2004, recante «Norme per il governo del territorio»:
        nell'art. 40,   in  relazione  all'art. 117,  secondo  comma,
lettera s), ed all'art. 118, terzo comma, della Costituzione;
        nell'art. 50,  comma 8, lettera c) in relazione all'art. 117,
commi  secondo,  lettera  l), terzo e sesto, nonche' all'art. 3 della
Costituzione.
    La  legge  n. 11/2004  della  Regione  Veneto  detta norme per il
governo  del  territorio,  definendo,  in  particolare, le competenze
degli  enti  territoriali,  le  regole per l'uso dei suoli, i diversi
livelli  e  strumenti  di pianificazione, le forme di coordinamento e
integrazione delle informazioni, i procedimenti.
    Tale legge, giusta delibera del Consiglio dei ministri in data 22
giugno 2004, viene impugnata nelle sottoindicate disposizioni.
a) Art. 40.
    L'art. 40 della impugnata legge regionale prevede che il Piano di
assetto del territorio (PAT) in relazione: ai manufatti ed agli spazi
liberi  dei  centri  storici  (tali  considerati  secondo il criterio
enunciato  al  comma  1,  fondato  sui  segni  di originarie funzioni
economiche,   sociali,   politiche   o  culturali  degli  agglomerati
insediativi  di  remota  formazione),  alle  Ville Venete di cui alla
pubblicazione dell'apposito Istituto regionale «Ville Venete-Catalogo
e  Atlante  del  Veneto»,  nonche' agli edifici e complessi di valore
monumentale  e  testimoniale  (con  individuazione  delle  pertinenze
scoperte  da  tutelare  e  del  contesto  figurativo),  determini  le
categorie  in  cui  gli stessi debbono essere raggruppati per le loro
caratteristiche tipologiche, attribuendo valori di tutela in funzione
degli  specifici  contesti  da tutelare e salvaguardare e quindi, per
ciascuna   categoria,   gli   interventi   e  le  destinazioni  d'uso
ammissibili.
    Prevede  inoltre che il Piano degli interventi (PI) attribuisca a
ciascun  manufatto  le  caratteristiche  tipologiche  di  riferimento
nonche'  la  corrispondente  categoria  di  intervento edilizio, come
sopra determinate dal PAT.
    Tali disposizioni appaiono costituzionalmente illegittime perche'
in violazione dell'art. 117, secondo comma, lettera s) e sesto comma,
Cost.,  che  riserva  alla potesta' legislativa esclusiva dello Stato
(ed alla sua potesta' regolamentare) la tutela dei beni culturali.
    Esse,  infatti, prefigurano misure di limitazione e conformazione
della  proprieta'  privata,  in  funzione  esclusiva  di un interesse
storico  e  culturale,  la  cui  individuazione rappresenta una delle
attivita'   fondamentali  in  cui  si  esplica  la  tutela  dei  beni
culturali.
    Gli   interventi  riferiti  alla  struttura  del  bene,  volti  a
conservare  o recuperare il valore ideale e di testimonianza che esso
esprime,  assicurandone  la trasmissione nel tempo, attengono infatti
specificamente  all'aspetto  della  tutela del bene culturale e non a
quello  di valorizzazione del medesimo (riconducibile alla competenza
concorrente della Regione), come insegnato nella sentenza n. 9/04.
    In  particolare  la Corte, rilevato che nella modifica del quadro
costituzionale   delle   competenze  di  Stato  e  Regioni  e'  stata
attribuita  allo  Stato  la  potesta'  legislativa  esclusiva (con la
conseguente  potesta'  regolamentare)  in  materia di tutela dei beni
culturali  ed  ambientali,  tenendo  conto  delle caratteristiche del
patrimonio  storico  artistico  italiano, considerato unitariamente e
nel  suo  complesso  come  un tutt'uno, ha precisato che la tutela e'
diretta principalmente ad impedire che il bene possa degradarsi nella
sua  struttura  fisica  e quindi nel suo contenuto culturale e che la
prima   attivita'  in  cui  si  sostanzia  la  tutela  e'  quella  di
riconoscere  il  bene culturale come tale (cfr. gia' art. 148, d.lgs.
n. 112/1998).
    Devono   quindi  ritenersi  precluse  alla  Regione  la  potesta'
conformativa  del  regime dominicale in relazione a categorie di beni
di  valenza  culturale  e  la  disciplina di ogni attivita' di tutela
nonche' di definizione delle relative modalita'.
b) Art. 50, comma 8, lettera c).
    L'art. 23 della l.r. 27 giugno 1985, n. 61 (norme per l'assetto e
l'uso  del  territorio),  dopo  aver stabilito al sesto comma che «le
distanze minime tra fabbricati sono quelle di cui all'art. 9 del d.m.
2  aprile 1968, n. 1444 del Ministro dei lavori pubblici», prevedeva,
all'ultimo  comma,  in  corrispondenza con lo stesso u.c. dell'art. 9
del  d.m. citato, che minori distanze tra fabbricati potessero essere
ammesse  nei  casi  di gruppi di edifici oggetto di piani urbanistici
attuativi planivolumetrici o per interventi puntuali disciplinati dal
Piano regolatore generale.
    Tale  ultimo  comma  e'  stato  sostituito dall'art. 50, comma 8,
dell'impugnata  l.r.  n. 11/2004, che, alla lettera c), prevede anche
la  possibilita' che i Piani regolatori generali definiscano distanze
minori   di   quelle   stabilite   nell'art. 9   del   ripetuto  d.m.
n. 1444/1968,  nelle  zone territoriali omogenee B e C1, (1) qualora,
fermo  restando  per  le nuove costruzioni il rispetto delle distanze
dal  confine  previste dal piano regolatore generale che comunque non
possono  essere  inferiori  a  cinque  metri,  gli  edifici esistenti
antistanti   a   quelli   da   costruire   siano   stati   realizzati
legittimamente  ad  una  distanza  dal  confine  inferiore (ai cinque
metri).
          (1)  V.  art. 24,  commi  1  e  2, della l.r. n. 61/1985 in
          relazione all'art. 7 del d.m. n. 1444/1968:
                  la   zona   B  concerne  le  parti  del  territorio
          totalmente   o   parzialmente   edificate   diverse   dagli
          agglomerati   urbani   che   rivestono  carattere  storico,
          artistico   o   di   particolare   pregio   ambientale;  si
          considerano  parzialmente  edificate  le  zone  in  cui  la
          superficie   coperta   degli   edifici  esistenti  non  sia
          inferiore  al 12,5% della superficie fondiaria della zona e
          nelle  quali  la densita' territoriale sia superiore ad 1,5
          mc/mq;
                  la   zona  C1  concerne  le  parti  del  territorio
          destinate  a  nuovi  complessi insediativi e nelle quali il
          limite della superficie coperta dagli edifici esistenti non
          deve  essere  inferiore  al 7,5% della superficie fondiaria
          della  zona  e  la  densita'  territoriale  non deve essere
          inferiore a 0,50 mc/mq.
              Il  d.m.  prevede  per  tali  zone  la  distanza minima
          assoluta  di  m  10,  nonche',  per  la  zona C, tra pareti
          finestrate  di  edifici antistanti, la distanza minima pari
          all'altezza del fabbricato piu' alto.

    Tale   disposizione  appare  costituzionalmente  illegittima  per
quanto appresso precisato.
    Al  fine  di assicurare la coesistenza e l'armonico esercizio dei
diritti  dei  singoli proprietari fondiari, alle facolta' di ciascuno
sono  imposti  dalla  legge  (in coerenza con l'art. 42 Cost.) limiti
atti  a  conciliare  il  godimento del suo fondo con il godimento del
fondo finitimo.
    Un limite legale specifico a protezione del diritto del vicino e'
posto  dalle norme che impongono, ad ogni proprietario, di rispettare
determinate  distanze  minime  nell'eseguire  costruzioni (perche' le
costruzioni  vicine  non  si  tolgano reciprocamente aria e luce, non
creino  condizioni  insalubri  per gli abitanti, non pregiudichino la
rispettiva sicurezza).
    La lesione del diritto di proprieta' determinata dalla violazione
delle norme sulle distanze e' suscettibile anche della drastica forma
di  risarcimento  in  forma  specifica,  attraverso  la  riduzione in
pristino.
    Com'e'  del  tutto pacifico, le norme degli strumenti urbanistici
che  prescrivono le distanze nelle costruzioni - o come spazio tra le
medesime  o  come  distacco  dal  confine  -  (2) in forza del rinvio
contenuto nell'art. 873 del codice civile hanno carattere integrativo
delle  norme  dello  stesso  codice. In quanto volte a disciplinare i
rapporti   di  vicinato,  assicurando  un'equita'  nell'utilizzazione
edilizia  dei  suoli  privati  ed attribuendo il diritto reciproco al
loro rispetto, esse concorrono alla stessa configurazione del diritto
di  proprieta';  la  loro  violazione  attribuisce all'interessato la
facolta'  di chiedere riduzione in pristino (art. 872, secondo comma,
c.c.).
          (2)  Le  norme che impongono distanze dal confine hanno una
          particolare   carica  privatistica  in  quanto  miranti  ad
          evitare  che un proprietario, in base al principio generale
          della cd. prevenzione temporale, rimanga coartato, nei modi
          di   avvalersi   della   sua  facolta'  di  edificare,  dal
          comportamento del vicino che per primo ha costruito.

    Ne  discende  che  le anzidette particolari norme degli strumenti
urbanistici   incidono   nella   materia   dell'ordinamento   civile,
attribuita  alla  competenza  legislativa  esclusiva dello Stato, cui
compete  altresi' la potesta' regolamentare (art. 117, secondo comma,
lettera  l) e sesto comma, Cost.) e devono pertanto essere rispettose
della normativa statale anche di livello regolamentare. Non e' dunque
consentito  alla  legge regionale prevedere la possibilita' che norme
sulle  distanze  nelle costruzioni contenute in strumenti urbanistici
deroghino  alla  normativa  statale  in  argomento,  la quale pone al
riguardo  limiti  precisi e inderogabili nella formazione o revisione
di detti strumenti.
    In  diversa prospettiva ed a volerla considerare sotto il profilo
dell'assetto  urbanistico, sarebbe palese la violazione dei canoni di
coerenza  e  ragionevolezza  di  cui  all'art. 3 Cost. da parte della
censurata  disposizione  della  legge regionale. Essa consente che la
valutazione  pubblicistica in sede locale dell'efficienza ambientale,
che,  a  salvaguardia  degli  inerenti  molteplici interessi generali
della  collettivita'  e  per  un  uso  razionale  ed  equilibrato del
territorio,  porta  a  stabilire nel PRG una determinata distanza tra
costruzioni   nel   rispetto  di  quelle  minime  indicate  nel  d.m.
n. 1444/1968,  possa  essere  contraddetta da una diversa valutazione
normativa  nello  stesso  PRG,  in  senso  riduttivo di tale distanza
complessiva  e  violativo  delle  prescrizioni  del d.m., in funzione
esclusivamente di un interesse di natura privata di uno dei frontisti
(il proprietario prevenuto, altrimenti obbligato ad arretramenti).
    Cio' anche in contrasto, sul piano pubblicistico dei rapporti tra
costruttore  e  p.a.,  con  il  principio  fondamentale ricavabile in
materia  di governo del territorio dall'art. 41-quinquies della legge
n. 150/1942  circa  l'inderogabilita'  dei  limiti  di distanza tra i
fabbricati   stabiliti  nell'interesse  pubblico  (cfr.  anche  sent.
n. 120/1996),  con  conseguente configurabilita', con riguardo a tale
interferente  materia,  della  violazione dell'art. 117, terzo comma,
Cost.  Ne' puo' trascurarsi che dovrebbe aversi riguardo, a tal fine,
all'intero  complesso normativo statale consolidatosi ben prima delle
modifiche costituzionali attinenti ai rapporti Stato-Regioni, in base
al  quale  costituisce  ius  receptum  il  principio  affermato dalla
giurisprudenza  circa l'inserzione delle disposizioni dell'art. 9 del
d.m. nello strumento urbanistico che rechi previsioni difformi.