LA COMMISSIONE TRIBUTARIA Ha emesso la seguente ordinanza sul ricorso n. 141/2000 depositato il 17 gennaio 2000; avverso avviso accertamento e liquidazione n. 64 I.C.I. 1993 contro Comune di Stanghella difeso da: Ortolani Walter, piazza R.O. Pighin n. 38, 35048 Stanghella (PD), proposto dal ricorrente: Rizzato Argenide, via Canaletta Inf. n. 86, 35048 Stanghella (PD); Sul ricorso n. 1813/2000 depositato il 2 giugno 2000, avverso avviso accertamento e liquidazione n. 83/2000 I.C.I. 1994 contro Comune di Stanghella difeso da: Ortolani Walter, piazza R.O. Pighin 38, 35048 Stanghella (PD), proposto dal ricorrente: Rizzato Argenide, via Canaletta Inf. n. 86, 35048 Stanghella (PD); Sul ricorso n. 1814/2000 depositato il 2 giugno 2000 avverso avviso accertamento e liquidazione n. 84/2000 I.C.I. 1995, contro Comune di Stanghella, difeso da: Ortolani Walter piazza R.O. Pighin n. 38, 35048 Stanghella (PD), proposta dal ricorrente: Rizzato Argenide, via Canaletta Inf. n. 86, 35048 Stanghella (PD); Sul ricorso n. 2450/2000 depositato il 30 giugno 2000 avverso avviso accertamento n. 85 I.C.I. 1996 contro comune di Stanghella, difeso da: Ortolani Walter, piazza R.O. Pighin n. 38, 35048 Stanghella (PD), proposto dal ricorrente: Rizzato Argenide, via Canaletta Inf. n. 86, 35048 Stanghella (PD); Sul ricorso n. 2451/2000 depositato il 30 giugno 2000 avverso avviso accertamento n. 86 I.C.I. 1997 contro comune di Stanghella, difeso da: Ortolani Walter, piazza R.O. Pighin n. 38, 35048 Stanghella (PD), proposto dal ricorrente: Rizzato Argenide, via Canaletta Inf. n. 86, 35048 Stanghella (PD). Fatto e Svolgimento del Processo Con i ricorsi in epigrafe indicati la contribuente sig.ra Argenide Rizzato impugna innanzi a questa commissione gli avvisi di liquidazione/accertamento, in epigrafe pure riportati, emessi, in materia di imposta comunale sugli immobili, dal comune di Stanghella per gli anni 1993, 1994, 1995, 1996 e 1997, e chiede di annullarli stante l'insussistenza della pretesa del comune, in quanto, per la ricorrente, negli anni predetti l'obbligazione tributaria e' stata da lei regolarmente assolta negli importi correttamente calcolati e dovuti. A sostegno di tale tesi la sig.ra A. Rizzato, proprietaria di un terreno agricolo in quel di Stanghella, fa presente, con i detti ricorsi e successive memorie, di essere «coltivatore diretto in quanto coltiva direttamente il fondo con il lavoro prevalentemente proprio e di persone della sua famiglia» e di aver titolo, pertanto, in forza di tale sua oggettiva condizione, a beneficiare delle agevolazioni previste dall'art. 9 del d.lgs. 31 dicembre 1994, n. 504. Evidenzia a essere titolare di pensione maturata proprio in virtu' dei contributi a suo tempo regolarmente versati a seguito dell'iscrizione alla relativa gestione previdenziale dell'Inps per la sua attivita' di coltivatrice diretta regolarmente iscritta nei relativi elenchi e lamenta l'irragionevolezza della definizione di coltivatori diretti ed imprenditori agricoli a titolo principale, contenuta nel secondo comma dell'art. 58 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, agli effetti dell'applicazione del citato art. 9 del decreto legislativo 31 dicembre 1994, n. 504. Si costituisce ritualmente il comune che contesta le affermazioni della contribuente di aver titolo alle predette agevolazioni, sostenendo e poi ribadendo, con apposite successive memorie illustrative la correttezza del proprio operato. Per il comune impositore difatti per aver diritto all'agevolazione invocata dalla ricorrente occorre soddisfare, cosa che la contribuente non riesce fare, tutte e due le condizioni richieste dal secondo comma dell'art. 58 del d.lgs. n. 446/1997, norma di chiaro carattere interpretativo, come peraltro confermato dal Ministero delle finanze con risoluzione 139/E del 25 agosto 1999 e pertanto applicabile anche alla fattispecie in discussione. In base al tale norma, si considerano coltivatori diretti o imprenditori agricoli a titolo principale soltanto ed esclusivamente le persone fisiche: iscritte negli appositi elenchi comunali previsti dall'art. 11 della legge 9/1963 e sottoposte al corrispondente obbligo dell'assicurazione per invalidita' vecchiaia e malattia; condizioni di tutta evidenza che la ricorrente non puo' (piu) vantare, in quanto appunto (coltivatrice diretta) in pensione. La controversia, riuniti i ricorsi, e' stata chiamata alla pubblica udienza del 13 gennaio 2003 e trattata come da verbale. In tale occasione, in particolare, le parti non hanno ritenuto di accogliere l'invito ad addivenire ad una soluzione conciliativa confermando le loro distanti posizioni e concludendo come in atti. La commissione, nell'apposita successiva camera di consiglio, si e' riservata la decisione sciogliendo detta riserva, come appresso, nella successiva camera di consiglio del 20 gennaio 2003. In tale sede ha ritenuto di sollevare ex officio questione di legittimita' costituzionale in merito all'art. 58, secondo comma del d.lgs. n. 446/1997 con riferimento agli artt. 3, 4, 5 e 53 della Costituzione per i seguenti M o t i v i La questione oltre che rilevante ai fini della decisione del giudizio in corso non e' manifestamente infondata. Con riferimento alla rilevanza. E' incontroverso che gli avvisi impugnati quantificano in un maggior importo il tributo dovuto per I.C.I. in quanto contestano alla ricorrente, soltanto ed esclusivamente in forza dell'art. 58, secondo comma, la possibilita' di essere considerata coltivatrice diretta ai soli fini (e non ad altri diversi fini) di potersi avvalere delle agevolazioni previste dall'art. 9, comma 1 d.lgs. n. 504/1992. La ricorrente non essendo (piu) iscritta alla relativa gestione previdenziale non puo', secondo la parte resistente, invocare i benefici predetti e versare, come ha fatto, il tributo, impropriamente e nell'inferiore importo risultante dall'applicazione delle agevolazioni di cui al cit. art. 9, d.lgs. n. 504/1992. Il comune, seguendo la prevalente opinione ed in forza di un significativo orientamento ministeriale, attribuisce valore di interpretazione autentica alla norma contenuta nel cit. art. 58, secondo comma e pertanto effetto retroattivo. E' evidente, a seguir detta tesi, la rilevanza in tal caso per tutti i ricorsi. Ma la rilevanza sussisterebbe, comunque, anche se limitata alla decisione relativa alle sole annualita', dovute per I.C.I., successive all'entrata in vigore del d.lgs. n. 446/1997 nel diverso ipotetico caso di non voler attribuire alla norma carattere interpretativo, in quanto solo se norma interpretativa avrebbe efficacia anche per gli anni pregressi al 1998. La rilevanza, si aggiunge per scrupolo di completezza, sussisterebbe, comunque ed in ogni caso e non limitata solo ad alcuni dei ricorsi, coinvolgendo tutte le annualita' in contestazione con riferimento agli effetti retroattivi o meno della norma del 1997, (ulteriori precisazioni saranno necessarie, ed andranno svolte, pertanto, in merito alla non manifesta infondatezza, di cui appresso, con riferimento alla retroattivita' degli effetti ed alla legittimita' costituzionale di tale interpretazione). Con riferimento alla non manifesta infondatezza. Come e' noto la legge 23 dicembre 1996, n. 662, avente ad oggetto «Misure di razionalizzazione della finanza pubblica» all'art. 3, comma 147, aveva delegato il governo ad emanare al fine di semplificare e razionalizzare gli adempimenti dei contribuenti, di ridurre il costo del lavoro e il complessivo prelievo che grava sui redditi da lavoro autonomo e di impresa minore, nel rispetto dei principi costituzionali del concorso alle spese pubbliche in ragione della capacita' contributiva e dell'autonomia politica e finanziaria degli enti territoriali, uno o piu' decreti legislativi contenenti disposizioni, anche in materia di accertamento, di riscossione, di sanzioni, di contenzioso e di ordinamento e funzionamento dell'amministrazione finanziaria dello Stato, delle regioni, delle province autonome e degli enti locali, occorrenti per riformare il sistema tributario, prevedendo l'istituzione dell'Irap la soppressione, razionalizzazione e la revisone di vari tributi ed espressamente alla lettera e) per quel che qui interessa la revisione della disciplina degli altri tributi locali. Revisione da informare ai criteri direttivi ed ai principi fissati nel successivo comma 149, dello stesso art. 3, tra cui: l'attribuzione ai comuni e alle province del potere di disciplinare con regolamenti tutte le fonti delle entrate locali, compresi i procedimenti di accertamento e di riscossione, nel rispetto dell'art. 23 della Costituzione, per quanto attiene alle fattispecie imponibili, ai soggetti passivi e all'aliquota massima, nonche' alle esigenze di semplificazione degli adempimenti dei contribuenti (art. 3, comma 149, lett. a); l'integrazione della disciplina legislativa riguardante l'imposta comunale sugli immobili, istituita con decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504 (lett. f); disciplinare, ai fini dell'art. 9 del citato decreto legislativo n. 504 del 1992, i soggetti passivi ivi contemplati. In virtu' di tale delega e' stata emanata la norma contenuta nell'art. 58, secondo comma citato piu' volte, con cui il governo ha provveduto a disciplinare i soggetti passivi contemplati dalla norma del 1992. Per detta norma, contenuta nell'art. 58, secondo comma, del d.lgs. n. 446/1997 agli effetti dell'applicazione dell'art. 9 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, relativo alle modalita' di applicazione dell'imposta ai terreni agricoli, si considerano coltivatori diretti od imprenditori agricoli a titolo principale le persone fisiche iscritte negli appositi elenchi comunali previsti dall'art. 11 della legge 9 gennaio 1963, n. 9, e soggette al corrispondente obbligo dell'assicurazione per invalidita', vecchiaia e malattia; la cancellazione dai predetti elenchi ha effetto a decorrere dal primo gennaio dell'anno successivo. Chiaro l'intento del legislatore delegato: restringere le agevolazioni. Chiara la natura e la funzione della norma. Chiara la natura di norma interpretativa e chiara la funzione antielusiva. Altrettanto chiaro il risultato: una disciplina cosi' dettagliata, tipica e propria di una norma piu' di normazione secondaria che primaria, piu' di tipo regolamentare che legislativo. Disciplina talmente dettagliata da risultare fortemente invasiva dell'autonomia comunale in contrasto con l'art. 5 della costituzione, in generale, ma anche, in violazione degli artt. 70 e 76 della Costituzione, con i principi ed i criteri direttivi di cui alla lettera a), del comma 149 dell'art. 3 della legge delega. Difatti il potere dei comuni di darsi e dare norme regolamentari, potere riconosciuto e non attribuito dallo Stato, in quanto potere proprio dell'ente, non ha, in subiecta materia interstizi in cui inserirsi ed esplicarsi, nonostante l'art. 5 Cost., nonostante l'espressa rigorosa specifica prescrizione della norma delegante, per la quale alla regolamentazione comunale spetta la disciplina della fonte, della fattispecie imponibile, dei soggetti passivi. Ma c'e' di piu'. Condivisibile e ragionevole e costituzionalmente legittima in quanto non arbitraria e', in evidente funzione antielusiva, la scelta di escludere dalle agevolazioni chi sommando altri redditi a quello da lavoro agricolo dimostra di non ricavare dal lavoro agricolo la sua unica fonte di reddito. Questo e' sicuramente il caso di chi non dedica al lavoro agricolo tutto il suo tempo perche' fa anche e soprattutto altro lavoro. Ma la soluzione adottata dal legislatore delegato esclude dalle agevolazioni anche soggetti tra cui per i fini che qui interessano i titolari di pensione. Di tutte le pensioni. Orbene l'art. 9, d.lgs. n. 504/1994, aveva anche una funzione incentivante propria e tipica delle agevolazioni in generale che con particolare riguardo alle specifiche agevolazioni in detto articolo previste si puo' cosi' sintetizzare: favorire il lavoro agricolo, sempre pesante e sempre meno appetito non decurtando il relativo reddito con tributi pari a quelli applicati per redditi diversi ma prevedendo agevolazioni volte a favorire un razionale e produttivo sfruttamento delle campagne. A diversita', sia in termini quantitativi che qualitativi, di lavoro diversita' di trattamento tributario. Questa la norma. Il legislatore delegato aveva il compito di integrare, in generale, la disciplina del tributo ed in particolare disciplinare i soggetti indicati in detta norma. Per il futuro. E' chiaro che se si integra e si disciplina una fattispecie si riconosce che quella fattispecie esiste ma non e' completa e non e' compiutamente disciplinata. L'interpretazione della incompletezza e', questa si', autentica perche' fornita dallo stesso legislatore delegante, che riconosce la necessita' di intervenire con aggiunte normative a completare una fattispecie legale per renderla piu' funzionale allo scopo incentivante perseguito. E questa delega, per una diversa ulteriore disciplina, non viene rispettata nell'oggetto e nei soggetti. Nell'oggetto perche' la norma delegata e' costruita come norma interpretativa (si considerano dice al posto di saranno considerati), nei soggetti in quanto, anche qui con effetto a ben guardare retroattivo, esclude tutti i pensionati, anche i pensionati, gia' ed ancora coltivatori diretti. Se a diversita' di lavoro e di lavoratori devono corrispondere trattamenti diversi altrettanto deve avvenire a fronte di pensioni e pensionati, per varie considerazioni. Innanzitutto perche' la pensione e' in generale retribuzione o reddito differiti e quindi per i coltivatori diretti e' reddito agricolo solo differito. E' reddito ricavato coltivando i campi come coltivatori diretti. Continuare a fare i coltivatori diretti anche dopo il raggiungimento dell'eta' pensionabile non snatura il loro lavoro, svolto nell'agricoltura, come lavoro agricolo. Nei loro confronti la norma non realizza ne' l'obiettivo antielusivo (cio' che l'erario perde con le agevolazioni la recupera con la tassazione delle pensioni), ne' lo scopo incentivante. Escludendo dalle agevolazioni previste per gli stessi soggetti in attivita' si tende ad impedire ai coltivatori diretti in pensione di continuare a fare, spesso non per scelta, ma per necessita', il lavoro che sanno vogliono e possono fare e che altri non farebbe. E che hanno il diritto-dovere di fare in forza di quanto dispone l'art. 4 della Costituzione che assegna a tutti, proprio a tutti, detto diritto che e' anche un dovere. E se continuano a fare e ad essere coltivatori diretti perche' devono essere tali nei doveri e non anche nei diritti? La negativa risposta del legislatore delegato viola, oltre che l'art. 4 anche l'art. 3 perche' tratta in maniera identica situazioni diverse. Non solo tratta i pensionati coltivatori diretti come se fossero coltivatori diretti pensionati, ma tratta tutti i coltivatori diretti titolari di pensione che continuano a fare i coltivatori diretti come se ininfluente fosse il titolo per il quale detta pensione e' stata conseguita. Per quanto detto evidente la necessita' dell'intervento del Giudice delle leggi stante la rilevanza e la non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 58, comma 2 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446 (Istituzione dell'imposta regionale sulle attivita' produttive, revisione degli scaglioni, delle aliquote e delle detrazioni dell'IRPEF e istituzione di una addizionale regionale a tale imposta, nonche' riordino della disciplina dei tributi locali) con riferimento agli articoli 3, 4, 5, 70 e 76 della Costituzione.