IL GIUDICE DI PACE

    Nel  procedimento penale pendente nei confronti di Da Re Michele,
nato a Conegliano il 3 novembre 1975, «per la contravvenzione p. e p.
dall'art. 186  secondo  comma n.c.s., perche' conduceva l'autovettura
tg.  AH  704  YW,  in  stato  d'ebbrezza,  in conseguenza dell'uso di
bevande    alcoliche.    Con    la   recidiva   reiterata   specifica
infraquinquennale.».
    Accertato in S.Fior (TV), in data 12 maggio 2002;

                            O s s e r v a

    L'art. 2,  d.lgs.  28  agosto  2000,  n. 274  fissa  i  principii
generali del procedimento penale avanti il giudice di pace penale. La
collocazione della norma, aderendo alle osservazioni del parere della
Commissione  giustizia  del  Senato  e'  stata anticipata nella parte
iniziale  del  provvedimento, dedicato alle disposizioni di carattere
generale.  Viene  espressamente esclusa l'applicabilita' di una serie
di  istituti,  ritenuti  incompatibili  con il processo avanti questo
giudice.  Istituti,  la  cui  esclusione  e'  desumibile  dalla legge
delega,  in quanto estranei alla natura del processo penale avanti il
g.d.p.  Il  criterio  della massima semplificazione del processo e la
vocazione  conciliativa  del  giudice di pace rendono inapplicabili i
riti alternativi e l'udienza preliminare.
    L'esclusione  dell'istituto del patteggiamento (art. 444 c.p.p.),
sembra imposta dalla necessita' di assicurare, comunque, una adeguata
tutela  delle  ragioni  della persona offesa (soprattutto nel ricorso
immediato  al  giudice),  tutela ritenuta incompatibile con la natura
del  patteggiamento  (che  non produce effetti nel giudizio civile) e
per  favorire  la  celebrazione  del  processo.  Qui,  e' il vulnus o
punctum  dolens,  nella  considerazione che celebrato il processo (in
caso  di condanna, l'imputato avanti il g.d.p. non ha una terza via).
Questo crea grandissima disparita' di trattamento tra cives.
    Secondo  l'impostazione  ex  lege,  il cd. patteggiamento avrebbe
potuto   determinare  un  aumento  del  contenzioso  civile,  per  la
duplicazione  dei  giudizi.  E'  pur  vero  che  il  compito primario
affidato  al  giudice di pace e' quello (deflattivo) di conciliare le
parti  (con  la  remissione  di  querela), nonche' quello, in caso di
condanna,  della  cd.  effettivita'  della pena (sia essa pecuniaria,
multa  o  ammenda;  ovvero paradetentiva, permanenza domiciliare, con
possibilita' di conversione m lavoro di p.u.). Ma cio' non toglie che
ad  attenta  disamina dei reati (contravvenzioni) alla cognizione del
giudice  di  pace,  si  evince  che  diverso e' il trattamento penale
previsto  se  il  reo  e'  giudicato  dal giudice togato monocratico,
ovvero dal giudice di pace.
    Verbigratia,  si  esamini  il  caso  - recente - della violazione
dell'art. 186  n.c.s.,  gia' di competenza di questo giudice e con la
novella,  1°  agosto  2003,  n. 214  attirato  nella  competenza  del
tribunale   (composizione  monocratica,  togata),  secondo  la  nuova
dizione   dell'art. 186   n.c.s.,  con  inciso  (l'irrogazione  della
sanzione  e' di competenza del tribunale). Ebbene, in buona sostanza,
se  il  procedimento  e' avanti il giudice di pace, per violazione ex
art. 186  n.c.s.,  ante  12  agosto  2003,  il giudice puo' applicare
l'oblazione  (pari  ad euro 1.291,00 piu' spese); ovvero, la condanna
alla pena pecuniaria dell'ammenda (minimo, euro 775,00; massimo, euro
2.582);  infine,  per i recidivi, etc, la cd. permanenza domiciliare,
sabato e domenica con la possibilita' della conversione nei lavori di
p.u.  Invece, il giudice monocratico, per la stessa violazione, oltre
alle  pene del g.d.p. puo' applicare, a richiesta, i riti alternativi
(dal decreto penale di condanna; al patteggiamento, etc.). Quindi, il
prevenuto  avanti il tribunale, ha maggiore scelta e puo', in teoria,
anche  prevedere  la  prescrizione.  Nel  caso  in  questione, questo
giudice  s'e'  trovato nel dubbio di incostituzionalita' della norma,
escludente  dimperio  il cd. patteggiamento (art. 444 c.p.p.), per un
reato  minore  (art. 186  n.c.s.);  mentre, per reati ben piu' gravi,
avanti  il  tribunale,  e' prevista una diversa pena alternativa. Nel
caso  concreto,  c'e' il rischio di una condanna, per un fatto in se'
non  gravissimo  (l'accertamento  della  violazione  avvenne alle ore
13,10  circa,  in  hora  prandiale),  correlato  alle  due precedenti
infrazioni,  della stessa indole, nel gennaio 1996 e gennaio 1999, da
qui   l'aggravante   detta;  mentre,  non  e'  previsto,  almeno,  un
temperamento,  quale  e' quello ex art. 444 c.p.p., avanti il g.d.p..
In  tali  casi,  non  vi  puo'  essere  conciliazione ed il decidente
onorario  non  ha  alternative:  assolvere  o condannare. Tertium non
datur.
    L'applicazione   della   pena   su  richiesta  delle  parti  (cd.
patteggiamento)     consiste     in    un    procedimento    speciale
pre-dibattimentale  di  tipo  premiale.  Esso  presuppone  un accordo
transattivo  tra  le  parti  non  solo sul rito, bensi sulla pena. La
mancata  previsione  di  esso,  avanti  il  giudice  di  pace  penale
(rectius,   l'esclusione)   fa  fortemente  dubitare  questo  giudice
dell'illegittimita'  costituzionale,  in  relazione  all'art. 3  e 24
Cost.   In  relazione  all'art. 3,  nella  considerazione  che  viene
alterata  la  pari dignita' del cittadino (principio di eguaglianza),
essendo  piu' favorevole essere giudicato dal tribunale, anziche' dal
giudice di pace. In base all'art. 24 Cost, in quanto non e' possibile
sottrarre  all'imputato  il  suo  fondamentale diritto alla difesa. E
sotto  il profilo della irragionevolezza, questo giudice dubita della
costituzionalita'  dell'art. 2  d.lgs.  n. 274/2000. Non si comprende
perche'   per   reati   anche   piu'  gravi,  vi  e'  il  ricorso  al
patteggiamenzo,  mentre  per i reati cd minori l'istituto e' escluso,
ponendo  una  disparita'  di trattamento tra i cittadini, soprattutto
nel caso in esame, che in caso di condanna (anche mite) e' pur sempre
una  condanna  penale. Il legislatore, secondo questo giudice avrebbe
dovuto  prevedere,  con ogni possibile cautela, il cd. patteggiamento
per  quei  reati,  anche  minori,  che in caso di condanna (concreta)
avrebbero  creato grave pregiudizio, e disparita' di trattamento, con
gli  altri  cittadini.  Appare,  studiando gli atti preparatori della
nostra  Cost.  del  1948,  all'art. 3  e 24, che i nostri Costituenti
avevano ben precisa una parita' uguale avanti ogni giudice, sia sotto
il  profilo dell'uguaglianza sostanziale e sia sotto il profilo della
cd. ragionevolezza.
    E'  pur vero che vi e' differenza tra giurisdizione ordinaria, di
natura repressiva, basata essenzialmente sul binomio: responsabilita'
accertata  I  sanzione,  e  la giurisdizione del giudice di pace, che
ignorando (perche' esclusi) i riti premiali, e' diretta a comporre in
via   principale  (conciliazione),  il  conflitto  sotteso  al  reato
(contravvenzione),  e, solo in extrema ratio sfocia nell'applicazione
della  sanzione, prevista ad hoc. E' chiaro che la scelta legislativa
di  non  rendere  praticabili  nel  processo  avanti il g.d.p. i riti
speciali deflattivi, oltre alle esigenze di semplicita' e' supportata
da  altri  motivi  (quali, in presenza di decreto penale di condanna,
non  si  favorisce  il  contatto  delle  parti  con  il giudice; e la
sentenza  che applica la pena su richiesta, puo' non offrire adeguate
garanzie di tutela della persona offesa). Ma non si comprende come da
un  lato  si lasci al g.d.p. la cognizione del reato ex art. 590 c.p.
(in tutte le sfumature, trattandosi di lesioni conseguenti a sinistro
stradale) e dall'altro non lo si creda capace di giudicare in casi di
cd.  patteggiamento  (oggi,  anche  allargato). Nonostante cio', e di
questo  il  decidente e' fortemente dubbioso, l'indirizzo legislativo
suscita perplessita'. Si pensi ai reati previsti dall'art. 4, primo e
secondo  comma  d.lgs.  27412000  conosciuti,  a causa di connessione
eterogenea (v. art. 6, cpv. e 7 lett.b) legge cit.) non dal g.d.p. ma
dal  tribunale, in persona monocratica: tornano ad essere praticabili
il  cd.  patteggiamento, il giudizio abbreviato, il decreto penale di
condanna,  con  tutti  i  relativi  benefici per l'imputato sul piano
sanzionatorio.  Vi  e' chi non veda l'effetto discriminatorio, lesivo
del   principio   di   uguaglianza   (art. 3  Cost.),  posto  che  le
probabilita'  per imputati diversi, nelle stesse condizioni di fruire
di  sconto di pena, collegato alla scelta del rito, viene a dipendere
da  circostanza  accidentale,  quale  la  possibilita' di disporre la
riunione  tra  procedimenti  connessi, con lo spostamento conseguente
alla  competenza.  Ulteriore  esempio:  se,  in ipotesi, il prevenuto
odierno,  anziche'  essere imputato della sola violazione ex art. 186
fosse  anche responsabile del delitto ex art. 189 n.c.s. (con legge 9
aprile  2003  ritornato  alla  cognizione  del  giudice  monocratico)
andrebbe giudicato dal tribunale, con tutti i riti premiali previsti.
Poiche', invece, e' ritenuto dal capo di imputazione responsabile del
solo  art. 186  n.c.s. deve essere giudicato dal giudice di pace, con
le  pene previste dal d.lgs. n. 274/2000 (principio dell'effettivita'
della pena).
    L'estensore  della  presente ordinanza, dopo attento e scrupoloso
studio  della  questione  di  non  secondario  momento, fa proprie le
considerazioni sviluppate nella memoria dal patrocinio dell'imputato,
sia   sui   dubbi   di  costituzionalita'  della  mancata  previsione
dell'art. 444  c.p.p.  (almeno  quello),  da applicarsi quale estrema
ratio  in presenza di determinati requisiti che il legislatore vorra'
elencare  e  sia  sulla  rilevanza degli art. 3 e 24, primo e secondo
comma,  Cost. In buona sostanza, come gia' sottolineato, il cittadino
che  contravvenga  ad  un  reato  grave  di  competenza  del  giudice
monocratico,  in  uno con altro minore di competenza del g.d.p. viene
giudicato,  con  tutti i riti premiali, non ultimo il patteggiamento,
per connessione ex art. 6, d.lgs. n. 274/2000 dal giudice monocratico
di  tribunale;  invece,  il  cittadino  che  commette reato minore e'
giudicato  dal  g.d.p.  con pena (minore), ma esemplare, senza potere
godere del cd. patteggiamento, ne' dei doppi benefici, e di tutti gli
altri  benefici, etc. Egli viene condannato in modo esemplare, per il
cd.  principio dell'effettivita' della pena, applicata dal giudice di
pace.  Tutto cio' e' in palese contrasto con i predetti artt. 3 e 24,
Cost.  Per  tutte  le  argomentazioni svolte, questo giudice onorario
dubita   della   costituzionalita'   delle   predette  norme,  ed  in
accoglimento   dell'eccezione  sollevata  dal  difensore  di  fiducia
dell'imputato,   rimette   gli   atti   alla   Corte  costituzionale,
sospendendo il presente giudizio.