IL GIUDICE DI PACE Nel procedimento penale pendente nei confronti di Bon Giovanni, nato a Mareno di Piave (Treviso) l'8 giugno 1954, per la contravvenzione p.e p. dall'art. 186, secondo comma, n.c.s. d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285, perche' conduceva l'autovettura Lancia Dedra targato PN 30 7423, in stato d'ebbrezza, in conseguenza dell'uso di bevande alcoliche, desumibile da alito vinoso, difficolta' nel'articolare il linguaggio e linguaggio sconnesso; e, della contravvenzione di cui all'art. 186, sesto comma, n.c.s., stesso decreto legislativo, per avere rifiutato l'invito da partire del personale della Stazione Carabinieri di Codogne' (Treviso), di sottoporsi al test alcolometrico; Accertato in Vazzola (Treviso), in data 1° novembre 2002; O s s e r v a L'art. 2 d.lgs. 28 agosto 2000, n. 274 fissa i principii generali del procedimento penale avanti il giudice di pace penale. La collocazione della norma, aderendo alle osservazioni del parere della Commissione giustizia del Senato e' stata anticipata nella parte iniziale del provvedimento, dedicato alle disposizioni di carattere generale. Viene espressamente esclusa l'applicabilita' di una serie di istituti, ritenuti incompatibili con il processo avanti questo giudice. Istituti, la cui esclusione e' desumibile dalla legge delega, in quanto estranei alla natura del processo penale avanti il g.d.p. Il criterio della massima semplificazione del processo e la vocazione conciliativa del giudice di pace rendono inapplicabili i riti alternativi e l'udienza preliminare, secondo il legislatore. Ma questo giudice onorario ne dubita. L'esclusione dell'istituto del patteggiamento (art. 444 c.p.p.), sembra imposta dalla necessita' di assicurare, comunque, una adeguata tutela delle ragioni della persona offesa (soprattutto nel ricorso immediato al giudice), tutela ritenuta incompatibile con la natura del patteggiamento (che non produce effetti nel giudizio civile) e, per favorire con speditezza e celerita', la celebrazione del processo. Qui, e' il vulnus o punctum dolens, nella considerazione che celebrato il processo, in caso di condanna, l'imputato avanti il g.d.p. non ha una terza via. Questo crea grandissima disparita' di trattamento tra cives, soltanto perche' dovuta al caso e' la scelta del giudice adito, come sara' argomentato infra. Secondo l'impostazione ex lege, il cd. patteggiamento avrebbe potuto determinare un aumento del contenzioso civile, per la duplicazione dei giudizi. Ma cosi' non sembra essere, secondo i primi dati statistici. E' pur vero che il compito primario affidato al giudice di pace e' quello (deflattivo) di conciliare le parti (con la remissione di querela), nonche' quello, in caso di condanna, della ed effettivita' della pena (sia essa pecuniaria, multa o ammenda; ovvero paradetentiva, permanenza domiciliare, con possibilita' di conversione in lavoro di p.v.). Ma cio' non toglie che ad attenta disamina dei reati (contravvenzioni) alla cognizione del giudice di pace, si evince che diverso e' il trattamento penale previsto se il reo e' giudicato dal giudice togato monocratico, ovvero dal giudice di pace, il quale ultimo in caso di condanna (penale) puo' irrogare, nel suo piccolo, pene anche severe. Si pensi ad Euro 2.582,00 per violazione ex art. 186 n.c.s. (quand'era di esclusiva competenza dello stesso magistrato onorario). Ovvero, alla pena edittale massima di Euro 2.582,00 (multa) per il danneggiamento ex art. 635 c.p.; o all'ammenda massima edittale di Euro 2.582,00 per violazione ex art. 726, primo c.p., (atti contrari alla pubblica decenza): in quest'ultimo caso si procede d'ufficio. Non vi puo' essere la cd. funzione conciliativa del g.d.p., e, cosi' via esemplificando. Verbigratia, si esamini il caso - recente - della violazione dell'art. 186 n.c.s., gia' di competenza di questo giudice e con la novella, 1° agosto 2003, n. 214 attirato nella competenza del tribunale (composizione monocratica, togata), secondo la nuova dizione dell'art. 186 n.c.s., con inciso (l'irrogazione della sanzione e' di competenza del tribunale). Ebbene, in buona sostanza, se il procedimento e' avanti il giudice di pace, per violazione ex art. 186 n.c.s., ante 12 agosto 2003, il giudice puo' applicare l'oblazione (pari ad Euro 1.291,00 piu' spese); ovvero, la condanna alla pena pecuniaria dell'ammenda (minimo, Euro 775,00; massimo, Euro 2.582,00); infine, per i recidivi, etc. la cd., permanenza domiciliare, sabato e domenica con la possibilita' della conversione nei lavori di p.u. (anche qui, vi sarebbe da commentare negativamente). Invece, il giudice monocratico, per la stessa violazione, oltre alle pene del g.d.p. puo' applicare, a richiesta, i riti alternativi (dal decreto penale di condanna; al patteggiamento, etc.). Quindi, il prevenuto avanti il tribunale, ha maggiore scelta e puo', in teoria, anche prevedere, in casi particolari, la prescrizione. Nel caso in questione, questo giudice s'e' trovato nel dubbio di incostituzionalita' della norma, escludente d'imperio il cd. patteggiamento (art. 444 c.p.p.), per un reato minore (art. 186 n.c.s.). Mentre, per reati ben piu' gravi, avanti il tribunale, e' prevista una diversa pena alternativa. Nel caso concreto, c'e' il rischio di una condanna, per un fatto in se' non gravissimo (l'accertamento della violazione avvenne alle ore 18,20 circa, in hora praeprandiale, quando e' usanza bere l'aperitivo, l'ombra o calice di vino), correlato ad un vecchio precedente della stessa indole, nel novembre 1995. Non e' previsto, almeno, un temperamento, quale e' quello ex art. 444 c.p.p., avanti il g.d.p. In tali casi, non vi puo' essere conciliazione ed il decidente onorario non ha alternative: assolvere o condannare. Tertium non datur. L'applicazione della pena su richiesta delle parti (cd., patteggiamento) consiste in un procedimento speciale pre-dibattimentale di tipo premiale. Esso presuppone un accordo transattivo tra le parti non solo sul rito, bensi' sulla pena. La mancata previsione di esso, avanti il giudice di pace penale (rectius, l'esclusione) fa fortemente dubitare questo giudice dell'illegittimita' costituzionale, in relazione all'art. 3 e 24 Cost. In relazione all'art. 3, nella considerazione che viene alterata la pari dignita' del cittadino (principio di eguaglianza), essendo piu' favorevole essere giudicato dal tribunale, anziche' dal giudice di pace. In base all'art. 24 Cost., in quanto non e' possibile sottrarre all'imputato il suo fondamentale diritto alla difesa. E sotto il profilo della irragionevolezza, questo giudice dubita della costituzionalita' dell'art. 2 d.lgs. n. 274/2000. Non si comprende perche' per reati anche piu' gravi, vi e' il ricorso al patteggiamento, mentre per i reati cd. minori l'istituto e' escluso, ponendo una disparita' di trattamento tra i cittadini, soprattutto nel caso in esame, che in caso di condanna (anche mite) e' pur sempre una condanna penale. Il legislatore, secondo questo giudice avrebbe dovuto prevedere, con ogni possibile cautela, il cd. patteggiamento per quei reati, anche minori, che in caso di condanna (concreta) avrebbero creato grave pregiudizio, e disparita' di trattamento, con gli altri cittadini. Appare, studiando gli atti preparatori della nostra Cost. del 1948, all'art. 3 e 24, che i nostri Costituenti avevano ben precisa una parita' uguale avanti ogni giudice, sia sotto il profilo dell'uguaglianza sostanziale e sia sotto il profilo della cd. ragionevolezza. E' pur vero che vi e' differenza tra giurisdizione ordinaria, di natura repressiva, basata essenzialmente sul binomio: responsabilita' accertata/sanzione, e la giurisdizione del giudice di pace, che ignorando (perche' esclusi) i riti premiali alternativi, e' diretta a comporre in via principale (conciliazione), il conflitto sotteso al reato (contravvenzione), e, solo in extrema ratio sfocia nell'applicazione della sanzione, prevista ad hoc. E' chiaro che la scelta legislativa di non rendere praticabili nel processo avanti il g.d.p. i riti speciali deflattivi, oltre alle esigenze di semplicita' e' supportata da altri motivi (quali, in presenza di decreto penale di condanna, non si favorisce il contatto delle parti con il giudice; e la sentenza che applica la pena su richiesta, puo' non offrire adeguate garanzie di tutela della persona offesa). Ma non si comprende come da un lato si lasci al g.d.p. la cognizione del reato ex art. 590 c.p. (in tutte le sfumature, trattandosi di lesioni conseguenti a sinistro stradale) e dall'altro non lo si creda capace di giudicare in casi di cd. patteggiamento (oggi, anche allargato). Nonostante cio', e di questo il decidente e' fortemente dubbioso, l'indirizzo legislativo suscita perplessita'. Si pensi ai reati previsti dall'art. 4, primo e secondo comma d.lgs. n. 274/2000 conosciuti, a causa di connessione eterogenea (v. art. 6, cpv. e 7 lett. b) legge cit.) non dal g.d.p. ma dal tribunale, in persona monocratica: tornano ad essere praticabili il cd. patteggiamento, il giudizio abbreviato, il decreto penale di condanna, con tutti i relativi benefici per l'imputato sul piano sanzionatorio. Vi e' chi non veda l'effetto discriminatorio, lesivo del principio di uguaglianza (art. 3, Cost.), posto che le probabilita' per imputati diversi, nelle stesse condizioni di fruire di sconto di pena, collegato alla scelta del rito, viene a dipendere da circostanza accidentale, quale la possibilita' di disporre la riunione tra procedimenti connessi, con lo spostamento conseguente alla competenza. Ulteriore esempio: se, in ipotesi, il prevenuto odierno, anziche' essere imputato della sola violazione ex art. 186 fosse anche responsabile del delitto ex art. 189 n.c.s. (con legge 9 aprile 2003 ritornato alla cognizione del giudice monocratico) andrebbe giudicato dal tribunale, con tutti i riti premiali previsti. Poiche', invece, e' ritenuto dal capo di imputazione, responsabile del solo art. 186 n.c.s. deve essere giudicato dal giudice di pace, con le pene previste dal d.lgs. n. 274/2000 (principio dell'effettivita' della pena). L'estensore della presente ordinanza, dopo attento e scrupoloso studio della questione di non secondario momento, fa' proprie le considerazioni sviluppate in aula dal patrocinio dell'imputato, sia sui dubbi di costituzionalita' della mancata previsione dell'art. 444 c.p.p. (almeno quello; se si vogliono ritenere esclusi gli altri), da applicarsi quale estrema ratio in presenza di determinati requisiti che il legislatore vorra' elencare e sia sulla rilevanza degli art. 3 e 24, primo e secondo comma Cost. In buona sostanza, come gia' sottolineato, il cittadino che contravvenga ad un reato grave di competenza del giudice monocratico, in uno con altro minore di competenza del g.d.p. viene giudicato, con tutti i riti premiali, non ultimo il patteggiamento, per connessione ex art. 6 d.lgs. n. 274/2000 dal giudice monocratico di tribunale. Invece, il cittadino che commette reato minore e' giudicato dal g.d.p. con pena (minore), ma esemplare, senza fruire del cd. patteggiamento, ne' dei doppi benefici, e di tutti gli altri riti premiali alternativi, etc. Egli viene condannato in modo esemplare, per il cd. principio dell'effettivita' della pena, applicata dal giudice di pace. Tutto cio' e' in palese contrasto con i predetti artt. 3 e 24 Cost. Per tutte le argomentazioni svolte, questo giudice onorario dubita della costituzionalita' delle predette norme, ed in accoglimento dell'eccezione sollevata dal difensore di fiducia dell'imputato, rimette gli atti alla Corte costituzionale, sospendendo il presente giudizio.