IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE

    Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza sul ricorso n. 8191/2001
R.G.  proposto  da:  Puglia  Gianmaria,  rappresentato e difeso dagli
avv. Felice Laudadio e Ferdinando Scotto ed elettivamente domiciliata
presso il loro studio in Napoli, alla via F. Caracciolo, n. 15;
    Contro  la  Seconda Universita' degli studi di Napoli, in persona
del   rettore   pro   tempore,   rappresentata   e   difesa  ex  lege
dall'Avvocatura  distrettuale  dello  Stato  di Napoli, presso la cui
sede alla via A. Diaz, n. 11 domicilia;
    Per    l'annullamento    del   provvedimento   rettoriale   prot.
n. 001302/A/1  datato  23  maggio 2001 con il quale viene denegata al
ricorrente  l'iscrizione al II anno Corso di laurea in odontoiatria e
protesi dentaria presso la Seconda Universita' degli studi di Napoli;
di  ogni  altro  atto  e  provvedimento  se ed in quanto lesivo degli
interessi  del  ricorrente al proseguimento degli studi relativi alla
facolta' odontoiatrica del Secondo Ateneo.
    Visto il ricorso con i relativi allegati;
    Visto  l'atto  di  costituzione  in giudizio dell'amministrazione
intimata;
    Viste   le  memorie  presentate  dalle  parti  a  sostegno  delle
rispettive difese;
    Visti gli atti tutti della causa;
    Uditi  -  Relatore  alla pubblica udienza del 20 febbraio 2004 il
dott.  Vincenzo  Cernese  -  i  difensori delle parti come da verbale
d'udienza, ritenuto in fatto e considerato in diritto.

                              F a t t o

    Premette  il  sig.  Gianmaria  Puglia  di  avere partecipato alla
selezione  indetta  della II Universita' degli studi di Napoli giusta
d.r.  del  9  agosto 1999 per l'accesso ad uno dei ventiquattro posti
programmati all'universita' per il corso di laurea in odontoiatria.
    Aggiunge,  non  avendo ottenuta l'iscrizione, perche' collocatosi
all'ottantacinquesimo  posto  della  graduatoria,  di  avere proposto
ricorso  al  Tribunale  amministrativo  regionale Lazio censurando la
legittimita'  di  tutti  gli atti limitativi dell'accesso al corso di
laurea,   nonche'   del   giudizio   di  ammissione,  consequenziale,
quest'ultimo, all'erronea ripartizione dei punteggi.
    Aggiunge, ancora, che il ricorso aveva ad oggetto i seguenti atti
e provvedimenti:
        a)  il  provvedimento  con  cui  si  e'  negata al ricorrente
l'iscrizione  al  corso  di  laurea in odontoiatria presso la Seconda
universita' degli studi di Napoli;
        b)  il  decreto  del  rettore  n. 2725  del  9 agosto 1999 di
approvazione  ed emanazione del bando di concorso per titoli ed esami
per  complessivi  ventiquattro  posti  presso  il  corso di laurea in
odontoiatria della Seconda Universita' degli studi di Napoli;
        c)  il  decreto  del M.U.R.S.T. del 21 giugno 1999, sia nella
parte  in  cui  determina in ventiquattro i posti disponibili ai fini
dell'ammissione  al  corso  di  laurea  in  odontoiatria  per  l'a.a.
1999/2000,  sia nella parte in cui fissa i criteri per l'attribuzione
del  punteggio, nonche' le note M.U.R.S.T. n. 116/259/C del 1° aprile
1999 e n. 116/363/C del 6 maggio 1999.
    Successivamente, a riscontro di una sua istanza del 4 maggio 2001
(correlata   alla   pendenza   innanzi  al  Tribunale  amministrativo
regionale Lazio del ricorso nella guisa su esposta da lui proposto ed
alla  intervenuta n. 133 del 27 marzo 2001 recante «Norme relative ai
corsi  universitari»),  il  rettore  della predetta universita' - con
provvedimento del 23 maggio 2001 - non accoglieva la sua richiesta di
iscrizione  al  II anno del corso di laurea in odontoiatria e protesi
dentaria,   evidenziando  che  «avendo  il  Tribunale  amministrativo
regionale  del  Lazio  respinto con ordinanza n. 6988/2000 la domanda
sospensiva  proposta  ai  fini  dell'immatricolazione  al  c.d.l.  in
oggetto  per l'anno accademico 1999/2000, la s.v. non rientra fra gli
studenti  che  possono iscriversi al secondo anno del suddetto c.d.l.
ai  sensi  dell'art. 1 della legge n. 133/2001 per l'a.a. 2000/2001»,
conseguentemente  il sig. Gianmaria Puglia, preso atto, altresi', che
il  predetto  provvedimento si presentava direttamente consequenziale
all'applicazione  letterale  dell'art. 1  della  legge  n. 133 del 27
marzo  2001, con ricorso notificato il 23 luglio 2001 e depositato il
27   luglio   2001,  ha  impugnato,  innanzi  a  questo  tribunale  i
provvedimenti in epigrafe, deducendo le seguenti censure:
        1)  violazione  artt. 3,  24, 103, 113, 34 Cost. in relazione
all'art. 1   della  legge  n. 133  del  27  marzo  2001  -  Manifesta
irragionevolezza - disparita' di trattamento; sollevando la questione
di  costituzionalita', per contrasto con gli articoli rubricati della
Costituzione della norma contenuta nell'art. 1 della, pure rubricata,
legge  n. 133,  avente natura di disposizione normativa di sanatoria,
che, in maniera manifestamente irragionevole, collegherebbe l'effetto
della  «iscrizione  per  l'anno  accademico 2000-2001, entro quindici
giorni  dalla entrata in vigore della presente legge, al secondo anno
di  altro  corso  di diploma universitario o di altro corso di laurea
non ricompresi nelle disposizioni di cui agli artt. 1 e 2 della legge
2   agosto   1999,   n. 264,   riconoscendo  loro  crediti  formativi
eventualmente  maturati», alla condizione dell'avvenuto conseguimento
da  parte  degli studenti di pronuncia cautelare di sospensione degli
atti  preclusivi  dell'iscrizione,  resa  dai  competenti  organi  di
giurisdizione amministrativa. Lamenta, in particolare, il ricorrente,
la  manifesta irragionevolezza della disposizione in parola per avere
giustificato  la  disparita'  di  trattamento  fra gli immatricolandi
sull'unico  irragionevole presupposto, costituito dall'avere ottenuto
un   provvedimento   giurisdizionale   non   definitivo   (anche   se
favorevole),  enfatatizzandosi,  in  tal  modo, oltre ogni misura, il
ruolo   del   procedimento   cautelare   nell'ambito   del   processo
amministrativo   che   (a   differenza   dell'oggetto   del  giudizio
principale,  inerente  alla  validita'  o  meno  dell'atto impugnato)
riguarderebbe  solo  l'aspetto dell'esecuzione dell'effetto giuridico
dell'atto  impugnato,  sulla  base  di una valutazione preminente del
danno  grave  ed  irreparabile  che  l'esecuzione  dell'atto potrebbe
arrecare  al  privato, rendendo marginale o, addirittura, irrilevante
la   valutazione   del  fumus  boni  iuris.  Evidenzia,  inoltre,  la
contraddizione,  a  suo  dire  insanabile, esistente fra una legge di
sanatoria  che  avrebbe  l'effetto  fondamentale  e caratteristico di
munire  del crisma della stabilita' situazioni la cui consistenza sia
divenuta  o appaia dubbia ed irregolare e lo strumento utilizzato dal
legislatore  per  conseguire  un  tale  effetto,  costituito  da  una
pronuncia sospensiva, resa nel procedimento cautelare, per sua natura
rebus   sic   stantibus,  e,  quindi,  modificabile  in  presenza  di
sopravvenienze  in  ogni  caso  destinata  ad  essere assorbita nella
decisione racchiusa nella sentenza di I grado, la quale, a sua volta,
neppure   potrebbe  dirsi  propriamente  definitiva,  considerata  la
possibilita'  di  una  sua riforma in grado di appello. In proposito,
rappresenta  il  ricorrente  come,  in  punto  di fatto, le ordinanze
sospensive   relative  ai  provvedimenti  ministeriali  e  rettoriali
disciplinanti  il  cosiddetto numero programmato per l'a.a. 1999/2000
sarebbero  state nella integralita' riformate dal Consiglio di Stato,
per  modo  che  la  ingiustificata  disparita'  di  trattamento sopra
lamentata  si  sarebbe concretizzata creando intollerabili situazioni
discriminatorie.
    Conclude  il  ricorrente  nel  senso  che la condizione contenuta
nella  legge  di  sanatoria  creerebbe  una  evidente  disparita'  di
trattamento  tra  identiche  situazioni  sub  iudice,  posto  che  la
pronuncia  cautelare  non  postulerebbe  accertamento  o  verifica di
situazione  irregolare,  laddove,  invece, le posizioni fatte vale in
giudizio  potrebbero  trovare identica definizione nel merito, per la
qual  cosa,  la  logica  o  la coerenza con i principi costituzionali
sanciti  dalle  norme  richiamate  in rubrica avrebbe raccomandato di
individuare  nella  mera  proposizione  del  ricorso  il  criterio di
discrimine,  essendo,  in  tal  modo, preclusa l'inoppugnabilita' dei
provvedimenti.
    Infine,    in    ordine    alla   rilevanza   dell'incidente   di
costituzionalita'   sollevato,  essa  sarebbe  evidente,  atteso  che
l'applicazione   della   norma   verificatasi  nel  caso  di  specie,
precluderebbe al ricorrente il proseguimento negli studi;
        2) illegittimita' derivata; attesa l'illegittimita' dell'atto
impugnato,  nella  misura  in  cui  si  fonderebbe  sull'applicazione
letterale  di  una  norma - l'art. 1, legge n. 133/2001 - chiaramente
incostituzionale.
    L'intimata amministrazione si costituiva in giudizio - in data 16
agosto  2001  -  genericamente sostenendo l'infondatezza del ricorso,
depositando, altresi' un fascicolo di documenti.
    Con memoria depositata in data 10 febbraio 2004 parte ricorrente,
preso   atto   che   la  difesa  dell'amministrazione  intimata,  nel
costituirsi   in  giudizio,  si  era  limitata  a  depositare  alcuni
documenti  pertinenti  alla  causa,  nell'ulteriormente  illustrare i
motivi   di   ricorso,   ribadiva  la  richiesta  di  dichiarare  non
manifestamente    infondata    e    rilevante    la    questione   di
costituzionalita' sollevata nel ricorso introduttivo, con conseguente
sospensione del relativo giudizio.
    Alla  pubblica  udienza  del  20  febbraio  2004,  dopo  ampia ed
approfondita   discussione,   il   ricorso  e'  stato  trattenuto  in
decisione.

                            D i r i t t o

    1.  -  La  controversia  all'esame  del  Collegio  ha per oggetto
l'annullamento di un provvedimento rettoriale di mancato accoglimento
di  un'istanza  di  iscrizione al secondo anno del corso di laurea in
odontoiatria  e  protesi  dentaria  sul presupposto che: «La s.v. non
rientra  tra  gli studenti che possono iscriversi al secondo anno del
suddetto  c.d.l.  ai  sensi  dell'art. 1  della legge n. 133/2001 per
l'a.a. 2000/2001».
    L'art. 1  della  legge  n. 133  del  27  marzo 2001 espressamente
prevede  che:  «Agli  studenti  nei  confronti dei quali i competenti
organi  di  giurisdizione  amministrativa, anteriormente alla data di
entrata  in  vigore della presente legge, abbiano emesso ordinanza di
sospensione dell'efficacia di atti preclusivi all'iscrizione ai corsi
di diploma universitario o di laurea, le universita', presso le quali
gli  studenti  stessi  sono  stati  iscritti, anche sotto condizione,
nell'anno  accademico  1999-2000  consentono  l'iscrizione per l'anno
accademico  2000-2001,  entro  quindici giorni dall'entrata in vigore
della  presente  legge,  al  secondo  anno  di altro corso di diploma
universitario   di   altro  corso  di  laurea  non  ricompreso  nelle
disposizioni  di  cui  agli  artt. 1  e  2 della legge 2 agosto 1999,
n. 264, riconoscendo loro crediti formativi eventualmente maturati».
    Il  Collegio  ritiene che la questione di costituzionalita' della
norma,  sollevata  dal  ricorrente,  ai  fini  della  definizione del
presente  giudizio,  non  sia  «priva di rilevanza» e «manifestamente
infondata».
    2.  -  Quanto al primo profilo, la «rilevanza», nella fattispecie
puo'  dirsi  in re ipsa, atteso che l'avversato provvedimento risulta
dichiaratamente  emanato  sull'unico  presupposto  di  dover prestare
esecuzione all'art. 1 della citata legge n. 133: appena e' il caso di
rilevare  l'impossibilita' di pervenire alla definizione del presente
giudizio  a  prescindere  dalla  questione di costituzionalita' della
legge  in  discussione,  appalesandosi,  per  tal guisa la fondatezza
della  seconda  censura  relativa  alla illegittimita' dell'avversato
provvedimento  di diniego in derivazione della eventuale pronuncia di
costituzionalita' della legge stessa.
    E  conferma  di  una  siffatta  rilevanza puo' trarsi anche dalla
memoria  della  resistente  amministrazione  che,  nel costituirsi in
giudizio,   senza  nulla  argomentare  in  ordine  alla  legittimita'
dell'impugnato  provvedimento,  ha depositato una serie di documenti,
tra  cui una relazione della II Universita' degli studi di Napoli, ad
uso  interno,  nella  quale  e'  contenuta solo una ricostruzione dei
fatti,   nonche'   una   pedissequa  ripetizione  del  contenuto  del
provvedimento impugnato.
    3.  -  Con  riferimento  all'altro  profilo  relativo  alla  «non
manifesta  infondatezza»  della  questione  di  costituzionalita' del
citato  art. 1, osserva il Collegio come un provvedimento legislativo
del  tipo come quello emanato non solo sottrae all'amministrazione il
potere  istituzionale  che le compete di cura dell'interesse pubblico
attraverso  la scelta della determinazione a tal fine piu' congrua ed
adeguata,  ma  sottrae  alla giurisdizione questioni su cui era sorta
controversia  con  evidente  lesione  del  diritto di azione (art. 2,
comma  I,  Cost.)  e  reazione  (diritto  di difesa art. 24, comma 2,
Cost.)  e di tutela nei confronti degli atti amministrativi (art. 113
Cost.).
    Cio'  per  non  dire che l'ampia discrezionalita' del legislatore
incontra,  comunque,  i  limiti  della manifesta arbitrarieta' (Corte
cost.  24  ottobre  2000, n. 434) ed irragionevolezza (Corte cost. 10
maggio 2002, n. 179).
    Ad  avviso del Collegio la norma in discussione pone una serie di
problemi  di costituzionalita', essenzialmente riconducibili a tre: i
primi due aventi rilevanza sotto il profilo prevalentemente oggettivo
e  processuale, e l'ultimo a apprezzare sotto il profilo soggettivo e
sostanziale,  al  di  la' della considerazione di piu' ampia portata,
riconducibile al piu' generale problema del rispetto del principio di
ragionevolezza.   Infatti,   un   provvedimento   in  siffatta  guisa
congegnato,  finendo con il porsi finanche in stridente ed insanabile
contraddizione  con  se  stesso,  senza  alcuna  logica  ed apparente
spiegazione,  disapplica  (nel  senso di apportarvi deroga) una legge
preesistente,  ma  per  un  tempo  determinato  ed  esclusivamente in
relazione  a talune fattispecie, quasi individuate casualmente (tale,
e  non  altro,  risultando  il  significato ed il senso che - come si
rilevera'   -   puo'  darsi  alla  circostanza  dell'accoglimento  di
un'istanza   cautelare),   salvo   poi,  sempre  inspiegabilmente,  a
consentire   la   ripresa  della  piena  vigenza  della  disposizione
legislativa  la  quale  e'  cosi'  risultata, senza alcuna plausibile
ragione, disapplicata.
    3.a.  -  Il  primo  ordine  di problemi cui si accennava concerne
l'interferenza  con  il potere esecutivo, posti da una norma del tipo
su  menzionato, atteso che il legislatore in siffatta guisa operante,
oltre  a  mortificare  il  principio  di ragionevolezza (la «legge di
ragione»   condiziona   l'azione   di   ogni   pubblico  potere),  di
imparzialita' e di buona amministrazione (cfr. art. 97 Cost.), sembra
porsi in contrasto con il principio della divisione dei poteri.
    Al riguardo, il Collegio, tenuto anche conto del carattere oramai
relativo  assunto dal principio di separazione dei poteri nei moderni
ordinamenti  costituzionali, e senza avere la pretesa di prendere, in
questa    sede,    definitiva    posizione    sull'annosa   questione
dell'esistenza  (o  meno)  di  una  riserva di amministrazione (cfr.:
Corte  cost.  25 maggio  1957, nn. 59 e 60; 21 marzo 1989, n. 143; 16
febbraio  1993,  n. 62;  24  febbraio  1995,  n. 63;  21 luglio 1995,
n. 347),   ritiene   che   il   ricorso   del   Legislatore   ad  una
legge-provvedimento,  anche  in  funzione  -  come  nella specie - di
sanatoria,   dovrebbe   far   sentire   la   necessita'   di  rendere
comprensibile  le  ragioni  di  una  siffatta decisione, anche se non
attraverso  una  vera  e  propria motivazione (elemento connaturale a
qualsivoglia      atto      provvedimentale);     altrimenti,     una
legge-provvedimento di sanatoria si risolve in una indebita invasione
di  campo  e  si appalesa ancora piu' odiosa se favorisce solo taluni
degli interessati, discriminando gli altri.
    In  altri  termini,  anche una legge del genere, al pari di tutte
quelle  altre  che  abbiano  un  basso  tasso  di  generalita' e/o di
astrattezza,  pone  seri e non pochi problemi di costituzionalita', a
cagione  dell'immanente  pericolo  di  violazione  del  principio  di
eguaglianza (art. 3 Cost.), quale specifica applicazione di quel piu'
generale  principio  di ragionevolezza che - come rilevato - dovrebbe
informare l'azione di ogni pubblico potere.
    Nel caso di specie, si e' di fronte ad una situazione nella quale
il  Legislatore  ha  rinunciato  a  conferire  carattere  generale ed
astratto  ad  una  sua  norma-provvedimento  per  finalita' di sanare
situazioni  pregresse,  peraltro  ricorrendo ad un criterio selettivo
(quasi occasionale e contingente e, quindi, irragionevole) costituito
dall'intervenuto  accoglimento  della  domanda  cautelare proposta da
alcuni fra i tanti che avevano ricorso avverso la disposta esclusione
dalla  selezione  ed  avevano  ottenuto l'ammissione con riserva alla
procedura  concorsuale,  positivamente  sciogliendo,  per costoro, la
riserva.
    Appare,  pertanto,  evidente  la disparita' di trattamento che ne
deriva   rispetto  a  tutti  gli  altri  partecipanti  alla  predetta
procedura, anch'essi non graduati in posizione utile che, tuttavia, o
non   risultavano   avere   addirittura  presentato  ricorso,  ovvero
(avendolo fatto), come il ricorrente, non avevano visto accogliere la
propria istanza cautelare.
    3.b.  -  Come  se  cio'  non bastasse, nella fattispecie, a causa
della  norma  citata  si e' verificata una singolare interferenza del
provvedimento  legislativo con il potere giurisdizionale: infatti, la
norma  sospetta di incostituzionalita' non e' stata precostituita per
disciplinare una serie indefinita di ipotetiche situazioni future, ma
e'  stata emanata unicamente per la definizione e la rimozione di una
sola  parte  del  contenzioso  gia'  in  atto,  in  quanto  beneficia
esclusivamente    coloro   che,   avendo   adita   la   giurisdizione
amministrativa,  si  erano  visti accogliere l'istanza sospensiva. In
ordine  alla  singolarita'  di  un siffatto criterio legislativamente
prescelto  per  la soluzione del contenzioso, quanto mai eloquente si
presenta quanto prospettato in gravame dal ricorrente e ripreso nella
sua   memoria  depositata  in  data  10  febbraio  2004  che  vale  a
significare  come,  a  cagione della presenza nell'ordinamento di una
norma  quale quella sospetta di incostituzionalita', le occasioni per
l'avverarsi di situazioni di ingiustificata disparita' di trattamento
e  di  violazione  del  principio  di  eguaglianza  finiscono  con il
moltiplicarsi a dismisura.
    «A  giustificare una tale disparita' di trattamento tra studenti,
occorrerebbe  individuare una differenza, pervero inesistente, tra la
posizione  giuridica  di  quanti  hanno  ottenuto  in  primo grado un
provvedimento  interinale  favorevole,  annullato  e/o  riformato dal
Consiglio di Stato, e quanti hanno proposto ricorso senza chiedere la
sospensiva e/o hanno ottenuto un provvedimento interinale negativo in
primo grado.
    L'unica  apparente  differenza  sta  in cio' che, i primi, per un
brevissimo  lasso  di  tempo,  hanno visto accolte le loro ragioni di
urgenza, disattese, subito dopo dal Consiglio di Stato».
    Ne'   l'obiezione   sollevata  ha  carattere  meramente  teorico:
l'ingiustificata   disparita'   di   trattamento   si  e'  verificata
concretamente,  atteso che tutte le ordinanze di sospensione relative
ai   provvedimenti   ministeriali   e   rettoriali  disciplinanti  il
cosiddetto   numero  programmato  per  l'a.a.  1999/2000,  che  hanno
consentito  l'iscrizione di alcuni studenti, sono state integralmente
riformate dal Consiglio di Stato, che ha rimesso tutti i soggetti non
utilmente graduati nella medesima condizione.
    3.c.  - Infine ultimo aspetto che ne consegue dall'intera vicenda
e'   rappresentato   dalla   violazione   del  diritto  allo  studio,
costituzionalmente rilevante (art. 34 Cost.).
    Invero,    contravvenendo    agli    orientamenti   della   Corte
costituzionale, per i quali il diritto in parola puo' essere limitato
esclusivamente  con  legge  o  con  regolamento,  nel caso in esame a
ritenere  indiscussa  la  legittimita'  della  norma  in questione si
finirebbe  con il pervenire alla vera e propria negazione del diritto
allo  studio  non confronti di soggetti ingiustamente penalizzati per
non   avere  fatto  ricorso,  ovvero,  pur  avendolo  fatto,  per  la
circostanza  del  tutto  insignificante  di  essersi vista respingere
l'istanza  cautelare, e cio' senza la minima attinenza con quella che
dovrebbe  essere  l'unico elemento in grado di differenziare a ragion
veduta le varie situazioni: la valutazione meritocratica.
    L'art. 34,  I  comma,  della  Costituzione  recita: «La scuola e'
aperta  a  tutti»  e  nelle  intenzioni  del  Costituente  il diritto
all'istruzione  si  pone  come  potere-dovere  di  ogni  cittadino di
frequentare   i  grandi  dell'istruzione  inferiore,  obbligatoria  e
gratuita, nonche' di accedere ai gradi piu' alti degli studi anche se
privo di mezzi, ma capace e meritevole. Tale aspettativa si definisce
come  diritto allo studio e si colloca nel novero dei diritti sociali
ovvero  di  quei  diritti  che  promuovono  l'intervento  dello Stato
diretto  a  soddisfare  le  esigenze naturali dei singoli. E' compito
della  Repubblica,  garantite l'estensione erga omnes dell'offerta di
istruzione,   nonche'  la  fruibilita'  di  essa  con  una  serie  di
provvidenze,  elargizioni  ed  aiuti  finanziari  alle famiglie degli
studenti  bisognosi,  realizzando  cosi'  l'eguaglianza dei «punti di
partenza»  voluta  dall'art. 3,  comma 2, Cost. In seno all'Assemblea
Costituente  fu  osservato che: «Uno dei punti al quale l'Italia deve
tenere  e'  che,  nella  sua  Costituzione, come in nessun altra, sia
accentuato  l'impegno  di aprire ai capaci ed ai meritevoli, anche se
poveri  i  piu'  alti  gradi  dell'istruzione.  Alla realizzazione di
questo  impegno  occorreranno  grandi  stanziamenti,  ma  non si deve
esitare;  si  tratta  di  una  delle  forme  piu'  significative  per
riconoscere,  anche  qui,  un diritto della persona, per utilizzare a
vantaggio  della  societa', forze che resterebbero latenti e perdute,
di attuare una vera ed integrale democrazia».
    Al  riguardo,  con  piu'  specifico  riferimento  al diritto allo
studio  universitario, con l'art. 9, comma 4, della legge 19 dicembre
1990, n. 341, come modificato dall'art. 17, comma 116, della legge 15
maggio  1997,  n. 127,  il  Legislatore  ha  conferito  al  Ministero
dell'universita'  il  potere  ridefinire  i  criteri  generali per la
regolamentazione  dell'accesso  alle scuole di specializzazione ed ai
corsi  universitari, con la possibilita' di prevedere contestualmente
una limitazione delle iscrizioni.
    La  Corte  costituzionale, con la decisione con la nota decisione
n. 383  del 27 novembre 1998 ha respinto i dubbi di costituzionalita'
avanzati  da  diversi  tribunali amministrativi regionali in ordine a
tale disposizione normativa in base alla considerazione che la stessa
non contrasta con gli artt. 33 e 34 Cost., in quanto interpretata nel
senso  che  il  conferimento  alla  p.a.  del  potere  di limitare la
fruizione  dell'insegnamento universitario non e' illimitato, perche'
vincolato,   almeno   per   taluni   corsi   universitari   di   tipo
tecnico-professionale,   da   una  serie  di  obblighi  derivanti  da
direttive  comunitarie,  che impongono agli Stati membri, ai fini del
riconoscimento   dei   titoli   accademici  di  medico,  veterinario,
odontoiatra  ed architetto, l'adozione di misure adeguate a garantire
la  previste  qualita'  teoriche  e  pratiche dell'apprendimento, ivi
compresa   la  determinazione  di  un  rapporto,  di  congruita'  fra
disponibilita' delle strutture e numero degli studenti.
    In  ossequio a tali principi affermati dalla Corte costituzionale
con  la  cennata  decisione, e' stata emanata la legge 2 agosto 1999,
n. 264  (entrata  in  vigore  il  21  agosto 1999). recante «Norme in
materia  di  accesso  ai corsi universitari», il cui art. 1, comma 1,
lett.  a),  cosi'  recita:  «Sono programmati a livello nazionale gli
accessi  ai  corsi  di  laurea  in  medicina e chirurgia, in medicina
veterinaria,  in  odontoiatria  e  protesi dentaria, in architettura,
nonche' ai corsi di diploma universitario, ovvero individuati come il
primo livello, in applicazione dell'art. 17, comma 95, della legge 15
maggio  1997,  n. 127  e  successive  modificazioni,  concernente  la
formazione  del  personale sanitario infermieristico, tecnico e della
riabilitazione, ai sensi dell'art. 6, comma 3, del d.lgs. 30 dicembre
1992,   n. 502   e  successive  modificazioni,  in  conformita'  alla
normativa  comunitaria  vigente  ed  alle raccomandazioni dell'Unione
europea  che  determina  standard  formativi  tali  da  richiedere il
possesso  di  specifici  requisiti». Il successivo art. 3, poi, fissa
una serie di criteri direttivi.
    Anche  la  giurisprudenza di questa Sezione in un recente passato
ha  avuto  modo  di  occuparsi del diritto allo studio (nella specie,
universitario)   e   delle   cause   che,   in  concreto,  potrebbero
legittimamente  venire  a  limitano.  E,  cosi',  e'  pervenuta  alla
conclusione   che  «Il  diritto  allo  studio  e'  costituzionalmente
tutelato  e  non  puo'  essere  compresso se non per la necessita' di
garantire  un equilibrato rapporto fra studenti e docenti, in ragione
delle aule e delle strutture a disposizioni, al fine di assicurare la
regolarita' dei corsi».
    Stanti queste (autorevoli) premesse in punto di diritto, in primo
luogo  di  rango  costituzionale,  sembrano  confermati i sospetti di
ingiustizia  ed  illogicita' di una norma che fa dipendere da un meno
fatto  processuale  le  sorti del diritto allo studio, comprimendo o,
comunque,  negativamente  infirmando  il principio di eguaglianza dei
cittadini di fronte alla legge (cfr. artt. 3 e 97 Cost.).
    4.   -   Conclusivamente,   la   questione  di  costituzionalita'
dell'art. 1 della legge n. 133 del 27 marzo 2001, emersa nel giudizio
in  corso,  non  si  presenta  manifestamente  infondata e, pertanto,
necessita  disporre  la  sospensione  del  processo con l'inevitabile
trasmissione degli atti alla Corte costituzionale.