IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso n. 8191/2001 R.G. proposto da: Puglia Gianmaria, rappresentato e difeso dagli avv. Felice Laudadio e Ferdinando Scotto ed elettivamente domiciliata presso il loro studio in Napoli, alla via F. Caracciolo, n. 15; Contro la Seconda Universita' degli studi di Napoli, in persona del rettore pro tempore, rappresentata e difesa ex lege dall'Avvocatura distrettuale dello Stato di Napoli, presso la cui sede alla via A. Diaz, n. 11 domicilia; Per l'annullamento del provvedimento rettoriale prot. n. 001302/A/1 datato 23 maggio 2001 con il quale viene denegata al ricorrente l'iscrizione al II anno Corso di laurea in odontoiatria e protesi dentaria presso la Seconda Universita' degli studi di Napoli; di ogni altro atto e provvedimento se ed in quanto lesivo degli interessi del ricorrente al proseguimento degli studi relativi alla facolta' odontoiatrica del Secondo Ateneo. Visto il ricorso con i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio dell'amministrazione intimata; Viste le memorie presentate dalle parti a sostegno delle rispettive difese; Visti gli atti tutti della causa; Uditi - Relatore alla pubblica udienza del 20 febbraio 2004 il dott. Vincenzo Cernese - i difensori delle parti come da verbale d'udienza, ritenuto in fatto e considerato in diritto. F a t t o Premette il sig. Gianmaria Puglia di avere partecipato alla selezione indetta della II Universita' degli studi di Napoli giusta d.r. del 9 agosto 1999 per l'accesso ad uno dei ventiquattro posti programmati all'universita' per il corso di laurea in odontoiatria. Aggiunge, non avendo ottenuta l'iscrizione, perche' collocatosi all'ottantacinquesimo posto della graduatoria, di avere proposto ricorso al Tribunale amministrativo regionale Lazio censurando la legittimita' di tutti gli atti limitativi dell'accesso al corso di laurea, nonche' del giudizio di ammissione, consequenziale, quest'ultimo, all'erronea ripartizione dei punteggi. Aggiunge, ancora, che il ricorso aveva ad oggetto i seguenti atti e provvedimenti: a) il provvedimento con cui si e' negata al ricorrente l'iscrizione al corso di laurea in odontoiatria presso la Seconda universita' degli studi di Napoli; b) il decreto del rettore n. 2725 del 9 agosto 1999 di approvazione ed emanazione del bando di concorso per titoli ed esami per complessivi ventiquattro posti presso il corso di laurea in odontoiatria della Seconda Universita' degli studi di Napoli; c) il decreto del M.U.R.S.T. del 21 giugno 1999, sia nella parte in cui determina in ventiquattro i posti disponibili ai fini dell'ammissione al corso di laurea in odontoiatria per l'a.a. 1999/2000, sia nella parte in cui fissa i criteri per l'attribuzione del punteggio, nonche' le note M.U.R.S.T. n. 116/259/C del 1° aprile 1999 e n. 116/363/C del 6 maggio 1999. Successivamente, a riscontro di una sua istanza del 4 maggio 2001 (correlata alla pendenza innanzi al Tribunale amministrativo regionale Lazio del ricorso nella guisa su esposta da lui proposto ed alla intervenuta n. 133 del 27 marzo 2001 recante «Norme relative ai corsi universitari»), il rettore della predetta universita' - con provvedimento del 23 maggio 2001 - non accoglieva la sua richiesta di iscrizione al II anno del corso di laurea in odontoiatria e protesi dentaria, evidenziando che «avendo il Tribunale amministrativo regionale del Lazio respinto con ordinanza n. 6988/2000 la domanda sospensiva proposta ai fini dell'immatricolazione al c.d.l. in oggetto per l'anno accademico 1999/2000, la s.v. non rientra fra gli studenti che possono iscriversi al secondo anno del suddetto c.d.l. ai sensi dell'art. 1 della legge n. 133/2001 per l'a.a. 2000/2001», conseguentemente il sig. Gianmaria Puglia, preso atto, altresi', che il predetto provvedimento si presentava direttamente consequenziale all'applicazione letterale dell'art. 1 della legge n. 133 del 27 marzo 2001, con ricorso notificato il 23 luglio 2001 e depositato il 27 luglio 2001, ha impugnato, innanzi a questo tribunale i provvedimenti in epigrafe, deducendo le seguenti censure: 1) violazione artt. 3, 24, 103, 113, 34 Cost. in relazione all'art. 1 della legge n. 133 del 27 marzo 2001 - Manifesta irragionevolezza - disparita' di trattamento; sollevando la questione di costituzionalita', per contrasto con gli articoli rubricati della Costituzione della norma contenuta nell'art. 1 della, pure rubricata, legge n. 133, avente natura di disposizione normativa di sanatoria, che, in maniera manifestamente irragionevole, collegherebbe l'effetto della «iscrizione per l'anno accademico 2000-2001, entro quindici giorni dalla entrata in vigore della presente legge, al secondo anno di altro corso di diploma universitario o di altro corso di laurea non ricompresi nelle disposizioni di cui agli artt. 1 e 2 della legge 2 agosto 1999, n. 264, riconoscendo loro crediti formativi eventualmente maturati», alla condizione dell'avvenuto conseguimento da parte degli studenti di pronuncia cautelare di sospensione degli atti preclusivi dell'iscrizione, resa dai competenti organi di giurisdizione amministrativa. Lamenta, in particolare, il ricorrente, la manifesta irragionevolezza della disposizione in parola per avere giustificato la disparita' di trattamento fra gli immatricolandi sull'unico irragionevole presupposto, costituito dall'avere ottenuto un provvedimento giurisdizionale non definitivo (anche se favorevole), enfatatizzandosi, in tal modo, oltre ogni misura, il ruolo del procedimento cautelare nell'ambito del processo amministrativo che (a differenza dell'oggetto del giudizio principale, inerente alla validita' o meno dell'atto impugnato) riguarderebbe solo l'aspetto dell'esecuzione dell'effetto giuridico dell'atto impugnato, sulla base di una valutazione preminente del danno grave ed irreparabile che l'esecuzione dell'atto potrebbe arrecare al privato, rendendo marginale o, addirittura, irrilevante la valutazione del fumus boni iuris. Evidenzia, inoltre, la contraddizione, a suo dire insanabile, esistente fra una legge di sanatoria che avrebbe l'effetto fondamentale e caratteristico di munire del crisma della stabilita' situazioni la cui consistenza sia divenuta o appaia dubbia ed irregolare e lo strumento utilizzato dal legislatore per conseguire un tale effetto, costituito da una pronuncia sospensiva, resa nel procedimento cautelare, per sua natura rebus sic stantibus, e, quindi, modificabile in presenza di sopravvenienze in ogni caso destinata ad essere assorbita nella decisione racchiusa nella sentenza di I grado, la quale, a sua volta, neppure potrebbe dirsi propriamente definitiva, considerata la possibilita' di una sua riforma in grado di appello. In proposito, rappresenta il ricorrente come, in punto di fatto, le ordinanze sospensive relative ai provvedimenti ministeriali e rettoriali disciplinanti il cosiddetto numero programmato per l'a.a. 1999/2000 sarebbero state nella integralita' riformate dal Consiglio di Stato, per modo che la ingiustificata disparita' di trattamento sopra lamentata si sarebbe concretizzata creando intollerabili situazioni discriminatorie. Conclude il ricorrente nel senso che la condizione contenuta nella legge di sanatoria creerebbe una evidente disparita' di trattamento tra identiche situazioni sub iudice, posto che la pronuncia cautelare non postulerebbe accertamento o verifica di situazione irregolare, laddove, invece, le posizioni fatte vale in giudizio potrebbero trovare identica definizione nel merito, per la qual cosa, la logica o la coerenza con i principi costituzionali sanciti dalle norme richiamate in rubrica avrebbe raccomandato di individuare nella mera proposizione del ricorso il criterio di discrimine, essendo, in tal modo, preclusa l'inoppugnabilita' dei provvedimenti. Infine, in ordine alla rilevanza dell'incidente di costituzionalita' sollevato, essa sarebbe evidente, atteso che l'applicazione della norma verificatasi nel caso di specie, precluderebbe al ricorrente il proseguimento negli studi; 2) illegittimita' derivata; attesa l'illegittimita' dell'atto impugnato, nella misura in cui si fonderebbe sull'applicazione letterale di una norma - l'art. 1, legge n. 133/2001 - chiaramente incostituzionale. L'intimata amministrazione si costituiva in giudizio - in data 16 agosto 2001 - genericamente sostenendo l'infondatezza del ricorso, depositando, altresi' un fascicolo di documenti. Con memoria depositata in data 10 febbraio 2004 parte ricorrente, preso atto che la difesa dell'amministrazione intimata, nel costituirsi in giudizio, si era limitata a depositare alcuni documenti pertinenti alla causa, nell'ulteriormente illustrare i motivi di ricorso, ribadiva la richiesta di dichiarare non manifestamente infondata e rilevante la questione di costituzionalita' sollevata nel ricorso introduttivo, con conseguente sospensione del relativo giudizio. Alla pubblica udienza del 20 febbraio 2004, dopo ampia ed approfondita discussione, il ricorso e' stato trattenuto in decisione. D i r i t t o 1. - La controversia all'esame del Collegio ha per oggetto l'annullamento di un provvedimento rettoriale di mancato accoglimento di un'istanza di iscrizione al secondo anno del corso di laurea in odontoiatria e protesi dentaria sul presupposto che: «La s.v. non rientra tra gli studenti che possono iscriversi al secondo anno del suddetto c.d.l. ai sensi dell'art. 1 della legge n. 133/2001 per l'a.a. 2000/2001». L'art. 1 della legge n. 133 del 27 marzo 2001 espressamente prevede che: «Agli studenti nei confronti dei quali i competenti organi di giurisdizione amministrativa, anteriormente alla data di entrata in vigore della presente legge, abbiano emesso ordinanza di sospensione dell'efficacia di atti preclusivi all'iscrizione ai corsi di diploma universitario o di laurea, le universita', presso le quali gli studenti stessi sono stati iscritti, anche sotto condizione, nell'anno accademico 1999-2000 consentono l'iscrizione per l'anno accademico 2000-2001, entro quindici giorni dall'entrata in vigore della presente legge, al secondo anno di altro corso di diploma universitario di altro corso di laurea non ricompreso nelle disposizioni di cui agli artt. 1 e 2 della legge 2 agosto 1999, n. 264, riconoscendo loro crediti formativi eventualmente maturati». Il Collegio ritiene che la questione di costituzionalita' della norma, sollevata dal ricorrente, ai fini della definizione del presente giudizio, non sia «priva di rilevanza» e «manifestamente infondata». 2. - Quanto al primo profilo, la «rilevanza», nella fattispecie puo' dirsi in re ipsa, atteso che l'avversato provvedimento risulta dichiaratamente emanato sull'unico presupposto di dover prestare esecuzione all'art. 1 della citata legge n. 133: appena e' il caso di rilevare l'impossibilita' di pervenire alla definizione del presente giudizio a prescindere dalla questione di costituzionalita' della legge in discussione, appalesandosi, per tal guisa la fondatezza della seconda censura relativa alla illegittimita' dell'avversato provvedimento di diniego in derivazione della eventuale pronuncia di costituzionalita' della legge stessa. E conferma di una siffatta rilevanza puo' trarsi anche dalla memoria della resistente amministrazione che, nel costituirsi in giudizio, senza nulla argomentare in ordine alla legittimita' dell'impugnato provvedimento, ha depositato una serie di documenti, tra cui una relazione della II Universita' degli studi di Napoli, ad uso interno, nella quale e' contenuta solo una ricostruzione dei fatti, nonche' una pedissequa ripetizione del contenuto del provvedimento impugnato. 3. - Con riferimento all'altro profilo relativo alla «non manifesta infondatezza» della questione di costituzionalita' del citato art. 1, osserva il Collegio come un provvedimento legislativo del tipo come quello emanato non solo sottrae all'amministrazione il potere istituzionale che le compete di cura dell'interesse pubblico attraverso la scelta della determinazione a tal fine piu' congrua ed adeguata, ma sottrae alla giurisdizione questioni su cui era sorta controversia con evidente lesione del diritto di azione (art. 2, comma I, Cost.) e reazione (diritto di difesa art. 24, comma 2, Cost.) e di tutela nei confronti degli atti amministrativi (art. 113 Cost.). Cio' per non dire che l'ampia discrezionalita' del legislatore incontra, comunque, i limiti della manifesta arbitrarieta' (Corte cost. 24 ottobre 2000, n. 434) ed irragionevolezza (Corte cost. 10 maggio 2002, n. 179). Ad avviso del Collegio la norma in discussione pone una serie di problemi di costituzionalita', essenzialmente riconducibili a tre: i primi due aventi rilevanza sotto il profilo prevalentemente oggettivo e processuale, e l'ultimo a apprezzare sotto il profilo soggettivo e sostanziale, al di la' della considerazione di piu' ampia portata, riconducibile al piu' generale problema del rispetto del principio di ragionevolezza. Infatti, un provvedimento in siffatta guisa congegnato, finendo con il porsi finanche in stridente ed insanabile contraddizione con se stesso, senza alcuna logica ed apparente spiegazione, disapplica (nel senso di apportarvi deroga) una legge preesistente, ma per un tempo determinato ed esclusivamente in relazione a talune fattispecie, quasi individuate casualmente (tale, e non altro, risultando il significato ed il senso che - come si rilevera' - puo' darsi alla circostanza dell'accoglimento di un'istanza cautelare), salvo poi, sempre inspiegabilmente, a consentire la ripresa della piena vigenza della disposizione legislativa la quale e' cosi' risultata, senza alcuna plausibile ragione, disapplicata. 3.a. - Il primo ordine di problemi cui si accennava concerne l'interferenza con il potere esecutivo, posti da una norma del tipo su menzionato, atteso che il legislatore in siffatta guisa operante, oltre a mortificare il principio di ragionevolezza (la «legge di ragione» condiziona l'azione di ogni pubblico potere), di imparzialita' e di buona amministrazione (cfr. art. 97 Cost.), sembra porsi in contrasto con il principio della divisione dei poteri. Al riguardo, il Collegio, tenuto anche conto del carattere oramai relativo assunto dal principio di separazione dei poteri nei moderni ordinamenti costituzionali, e senza avere la pretesa di prendere, in questa sede, definitiva posizione sull'annosa questione dell'esistenza (o meno) di una riserva di amministrazione (cfr.: Corte cost. 25 maggio 1957, nn. 59 e 60; 21 marzo 1989, n. 143; 16 febbraio 1993, n. 62; 24 febbraio 1995, n. 63; 21 luglio 1995, n. 347), ritiene che il ricorso del Legislatore ad una legge-provvedimento, anche in funzione - come nella specie - di sanatoria, dovrebbe far sentire la necessita' di rendere comprensibile le ragioni di una siffatta decisione, anche se non attraverso una vera e propria motivazione (elemento connaturale a qualsivoglia atto provvedimentale); altrimenti, una legge-provvedimento di sanatoria si risolve in una indebita invasione di campo e si appalesa ancora piu' odiosa se favorisce solo taluni degli interessati, discriminando gli altri. In altri termini, anche una legge del genere, al pari di tutte quelle altre che abbiano un basso tasso di generalita' e/o di astrattezza, pone seri e non pochi problemi di costituzionalita', a cagione dell'immanente pericolo di violazione del principio di eguaglianza (art. 3 Cost.), quale specifica applicazione di quel piu' generale principio di ragionevolezza che - come rilevato - dovrebbe informare l'azione di ogni pubblico potere. Nel caso di specie, si e' di fronte ad una situazione nella quale il Legislatore ha rinunciato a conferire carattere generale ed astratto ad una sua norma-provvedimento per finalita' di sanare situazioni pregresse, peraltro ricorrendo ad un criterio selettivo (quasi occasionale e contingente e, quindi, irragionevole) costituito dall'intervenuto accoglimento della domanda cautelare proposta da alcuni fra i tanti che avevano ricorso avverso la disposta esclusione dalla selezione ed avevano ottenuto l'ammissione con riserva alla procedura concorsuale, positivamente sciogliendo, per costoro, la riserva. Appare, pertanto, evidente la disparita' di trattamento che ne deriva rispetto a tutti gli altri partecipanti alla predetta procedura, anch'essi non graduati in posizione utile che, tuttavia, o non risultavano avere addirittura presentato ricorso, ovvero (avendolo fatto), come il ricorrente, non avevano visto accogliere la propria istanza cautelare. 3.b. - Come se cio' non bastasse, nella fattispecie, a causa della norma citata si e' verificata una singolare interferenza del provvedimento legislativo con il potere giurisdizionale: infatti, la norma sospetta di incostituzionalita' non e' stata precostituita per disciplinare una serie indefinita di ipotetiche situazioni future, ma e' stata emanata unicamente per la definizione e la rimozione di una sola parte del contenzioso gia' in atto, in quanto beneficia esclusivamente coloro che, avendo adita la giurisdizione amministrativa, si erano visti accogliere l'istanza sospensiva. In ordine alla singolarita' di un siffatto criterio legislativamente prescelto per la soluzione del contenzioso, quanto mai eloquente si presenta quanto prospettato in gravame dal ricorrente e ripreso nella sua memoria depositata in data 10 febbraio 2004 che vale a significare come, a cagione della presenza nell'ordinamento di una norma quale quella sospetta di incostituzionalita', le occasioni per l'avverarsi di situazioni di ingiustificata disparita' di trattamento e di violazione del principio di eguaglianza finiscono con il moltiplicarsi a dismisura. «A giustificare una tale disparita' di trattamento tra studenti, occorrerebbe individuare una differenza, pervero inesistente, tra la posizione giuridica di quanti hanno ottenuto in primo grado un provvedimento interinale favorevole, annullato e/o riformato dal Consiglio di Stato, e quanti hanno proposto ricorso senza chiedere la sospensiva e/o hanno ottenuto un provvedimento interinale negativo in primo grado. L'unica apparente differenza sta in cio' che, i primi, per un brevissimo lasso di tempo, hanno visto accolte le loro ragioni di urgenza, disattese, subito dopo dal Consiglio di Stato». Ne' l'obiezione sollevata ha carattere meramente teorico: l'ingiustificata disparita' di trattamento si e' verificata concretamente, atteso che tutte le ordinanze di sospensione relative ai provvedimenti ministeriali e rettoriali disciplinanti il cosiddetto numero programmato per l'a.a. 1999/2000, che hanno consentito l'iscrizione di alcuni studenti, sono state integralmente riformate dal Consiglio di Stato, che ha rimesso tutti i soggetti non utilmente graduati nella medesima condizione. 3.c. - Infine ultimo aspetto che ne consegue dall'intera vicenda e' rappresentato dalla violazione del diritto allo studio, costituzionalmente rilevante (art. 34 Cost.). Invero, contravvenendo agli orientamenti della Corte costituzionale, per i quali il diritto in parola puo' essere limitato esclusivamente con legge o con regolamento, nel caso in esame a ritenere indiscussa la legittimita' della norma in questione si finirebbe con il pervenire alla vera e propria negazione del diritto allo studio non confronti di soggetti ingiustamente penalizzati per non avere fatto ricorso, ovvero, pur avendolo fatto, per la circostanza del tutto insignificante di essersi vista respingere l'istanza cautelare, e cio' senza la minima attinenza con quella che dovrebbe essere l'unico elemento in grado di differenziare a ragion veduta le varie situazioni: la valutazione meritocratica. L'art. 34, I comma, della Costituzione recita: «La scuola e' aperta a tutti» e nelle intenzioni del Costituente il diritto all'istruzione si pone come potere-dovere di ogni cittadino di frequentare i grandi dell'istruzione inferiore, obbligatoria e gratuita, nonche' di accedere ai gradi piu' alti degli studi anche se privo di mezzi, ma capace e meritevole. Tale aspettativa si definisce come diritto allo studio e si colloca nel novero dei diritti sociali ovvero di quei diritti che promuovono l'intervento dello Stato diretto a soddisfare le esigenze naturali dei singoli. E' compito della Repubblica, garantite l'estensione erga omnes dell'offerta di istruzione, nonche' la fruibilita' di essa con una serie di provvidenze, elargizioni ed aiuti finanziari alle famiglie degli studenti bisognosi, realizzando cosi' l'eguaglianza dei «punti di partenza» voluta dall'art. 3, comma 2, Cost. In seno all'Assemblea Costituente fu osservato che: «Uno dei punti al quale l'Italia deve tenere e' che, nella sua Costituzione, come in nessun altra, sia accentuato l'impegno di aprire ai capaci ed ai meritevoli, anche se poveri i piu' alti gradi dell'istruzione. Alla realizzazione di questo impegno occorreranno grandi stanziamenti, ma non si deve esitare; si tratta di una delle forme piu' significative per riconoscere, anche qui, un diritto della persona, per utilizzare a vantaggio della societa', forze che resterebbero latenti e perdute, di attuare una vera ed integrale democrazia». Al riguardo, con piu' specifico riferimento al diritto allo studio universitario, con l'art. 9, comma 4, della legge 19 dicembre 1990, n. 341, come modificato dall'art. 17, comma 116, della legge 15 maggio 1997, n. 127, il Legislatore ha conferito al Ministero dell'universita' il potere ridefinire i criteri generali per la regolamentazione dell'accesso alle scuole di specializzazione ed ai corsi universitari, con la possibilita' di prevedere contestualmente una limitazione delle iscrizioni. La Corte costituzionale, con la decisione con la nota decisione n. 383 del 27 novembre 1998 ha respinto i dubbi di costituzionalita' avanzati da diversi tribunali amministrativi regionali in ordine a tale disposizione normativa in base alla considerazione che la stessa non contrasta con gli artt. 33 e 34 Cost., in quanto interpretata nel senso che il conferimento alla p.a. del potere di limitare la fruizione dell'insegnamento universitario non e' illimitato, perche' vincolato, almeno per taluni corsi universitari di tipo tecnico-professionale, da una serie di obblighi derivanti da direttive comunitarie, che impongono agli Stati membri, ai fini del riconoscimento dei titoli accademici di medico, veterinario, odontoiatra ed architetto, l'adozione di misure adeguate a garantire la previste qualita' teoriche e pratiche dell'apprendimento, ivi compresa la determinazione di un rapporto, di congruita' fra disponibilita' delle strutture e numero degli studenti. In ossequio a tali principi affermati dalla Corte costituzionale con la cennata decisione, e' stata emanata la legge 2 agosto 1999, n. 264 (entrata in vigore il 21 agosto 1999). recante «Norme in materia di accesso ai corsi universitari», il cui art. 1, comma 1, lett. a), cosi' recita: «Sono programmati a livello nazionale gli accessi ai corsi di laurea in medicina e chirurgia, in medicina veterinaria, in odontoiatria e protesi dentaria, in architettura, nonche' ai corsi di diploma universitario, ovvero individuati come il primo livello, in applicazione dell'art. 17, comma 95, della legge 15 maggio 1997, n. 127 e successive modificazioni, concernente la formazione del personale sanitario infermieristico, tecnico e della riabilitazione, ai sensi dell'art. 6, comma 3, del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502 e successive modificazioni, in conformita' alla normativa comunitaria vigente ed alle raccomandazioni dell'Unione europea che determina standard formativi tali da richiedere il possesso di specifici requisiti». Il successivo art. 3, poi, fissa una serie di criteri direttivi. Anche la giurisprudenza di questa Sezione in un recente passato ha avuto modo di occuparsi del diritto allo studio (nella specie, universitario) e delle cause che, in concreto, potrebbero legittimamente venire a limitano. E, cosi', e' pervenuta alla conclusione che «Il diritto allo studio e' costituzionalmente tutelato e non puo' essere compresso se non per la necessita' di garantire un equilibrato rapporto fra studenti e docenti, in ragione delle aule e delle strutture a disposizioni, al fine di assicurare la regolarita' dei corsi». Stanti queste (autorevoli) premesse in punto di diritto, in primo luogo di rango costituzionale, sembrano confermati i sospetti di ingiustizia ed illogicita' di una norma che fa dipendere da un meno fatto processuale le sorti del diritto allo studio, comprimendo o, comunque, negativamente infirmando il principio di eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge (cfr. artt. 3 e 97 Cost.). 4. - Conclusivamente, la questione di costituzionalita' dell'art. 1 della legge n. 133 del 27 marzo 2001, emersa nel giudizio in corso, non si presenta manifestamente infondata e, pertanto, necessita disporre la sospensione del processo con l'inevitabile trasmissione degli atti alla Corte costituzionale.