IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE

    Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza sul ricorso introduttivo
n. 9589  del  2000,  proposto  da Cattel Caterina, Cinini Claudia, De
Propris  Giampaolo,  Fusaro  Pier  Luca,  Lamanna  Maria  Annunziata,
Macculi  Giovanna, Marino Giuseppe, Masuzzo Maria Teresa, Mazzariello
Gina,  Sciarpelletti Rosa, rappresentati e difesi dagli avv.ti Orazio
Abbamonte   e   Giovanni  Romano,  con  i  quali  sono  elettivamente
domiciliati  presso  lo  studio  del  primo, in Roma, Via G. G. Porro
n. 8;
    Contro  il Ministero dell'universita' e della ricerca scientifica
e  tecnologica,  in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso
dall'Avvocatura generale dello Stato; per l'annullamento:
        a) del  decreto  MURST  14  febbraio  2000  pubblicato  nella
Gazzetta   Ufficiale   27 marzo  2000,  con  il  quale  sono  dettate
disposizioni  di  esecuzione  in forza del mandato di cui all'art. 11
legge 19 ottobre 1999, n. 370;
        b) di  ogni altro atto preordinato, connesso e conseguenziale
comunque lesivo;
    Visto il ricorso con i relativi allegati;
    Visto  l'atto  di costituzione in giudizio e la memoria difensiva
dell'amministrazione;
    Visti gli atti tutti della causa;
    Designato  relatore, per la pubblica udienza del 12 gennaio 2004,
il Consigliere D. Lundini;
    Uditi, all'udienza predetta, gli avv. come da verbale di udienza;
    Ritenuto e considerato, in fatto e in diritto, quanto segue;

                              F a t t o

    Gli  istanti  premettono  di  essere  medici specialisti in varie
branche  della  medicina  e  chirurgia e di aver a suo tempo proposto
ricorso  al  Lazio lamentando che il d.lgs. n. 257/1991, con il quale
era stata data esecuzione alle normative comunitarie sulla formazione
medica  professionale,  li  discriminava, non tenendo conto del fatto
che, essendo intervenuto in ritardo rispetto al termine imposto dalle
direttive  comunitarie,  avrebbe  dovuto  considerare  anche  la loro
posizione,  dettando  norme  che  adeguatamente colmassero il divario
prodottosi nei confronti dei colleghi che, dal 1991 in poi, avrebbero
goduto  dei  vantaggi del nuovo e tardivo) regime. Soggiungono: che i
ricorsi furono accolti dal Tar per il Lazio con le sentenze ricordate
nella  premessa  del  provvedimento  impugnato,  sentenze  passate in
giudicato  dopo le impegnative proposte dallo Stato italiano; che con
legge  del  19  ottobre 1999, n. 370, all'art. 11, sono state dettate
disposizioni  di  esecuzione  dei  giudicati formatisi; che la citata
disposizione ha anche rimesso ad un regolamento, quello impugnato, di
dettare norme per l'esecuzione.
    Deducono quindi i seguenti motivi:
        1) Violazione  dell'art. 2146  (2946?) del codice civile, la'
dove  il Regolamento impugnato (artt. 1, 2, comma 7) fissa un termine
di  90 giorni per far valere i diritti nascenti dal giudicato e dalle
direttive  comunitarie,  termine  che  si  ribadisce per le eventuali
integrazioni  all'art.  2,  terzo comma. Invero, sia che tali diritti
derivino  dalle  sentenze,  sia che derivino dal regime comunitario e
quindi dalla legge, essi sono soggetti al termine prescrizionale, che
l'Amministrazione  non puo' trasformare in termine decadenziale assai
piu' breve.
        2) Violazione  del giudicato. Violazione dei diritti nascenti
direttamente   dall'obbligo   di   dare   esecuzione  alle  direttive
comunitarie  ex  art. 12  direttiva 82/76 CEE. Violazione dell'art. 3
Cost.  Illogicita'  manifesta  in giudizio. Violazione dell'art. 1223
del  codice  civile.  Il  regolamento  impugnato  prevede che abbiano
diritto  a  percepire  la  borsa  di studio unicamente coloro che non
abbiano  svolto,  nel  corso  del periodo di specializzazione, alcuna
attivita'  lavorativa (art. 1, terzo comma, n. 6). La prescrizione e'
illegittima  in  quanto:  il  diritto  alla borsa di studio nasce dal
regime  comunitario che non e' stato tempestivamente eseguito, con la
conseguenza   che   all'epoca   i   ricorrenti   non  avevano  alcuna
possibilita'  di  mantenersi  agli  studi  se  non vivendo delle loro
sostanze  o  lavorando;  la  subordinazione  della borsa di studio al
mancato  svolgimento  di attivita' lavorativa determina disparita' di
trattamento  (rispetto  a  chi  ha potuto mantenersi agli studi senza
lavorare),   manifesta   ingiustizia   e   violazione   dei  principi
costituzionali  rubricati;  il  regime dettato viola anche i principi
fondamentali in materia risarcitoria, dato che al piu' avrebbe potuto
ridursi  il  risarcimento  in proporzione alle entrate da lavoro. Non
mai sarebbe stato consentito far discendere la decadenza di qualsiasi
diritto  per  il solo fatto di aver svolto anche una minima attivita'
lavorativa.  Ne'  ha  rilievo  che  tale  contenuto regolamentare sia
previsto  dall'art. 11  della legge n. 370/1999, dal momento che tale
norma,  ponendosi  in  contrasto con le direttive comunitarie e con i
principi  fondamentali  in  tema  d'integrita'  patrimoniale, avrebbe
dovuto  essere disapplicata dall'Amministrazione; essa poi e' in ogni
caso incostituzionale per violazione degli artt. 3 e 97 Cost.
        3) Violazione  sotto  altro profilo dell'art. 1223 del codice
civile  e  delle  direttive  comunitarie.  Violazione  del giudicato.
Incostituzionalita'.   Violazione   dell'art. 111  Cost.  Il  decreto
impugnato  e  la  legge  n. 370/1999  limitano  il  risarcimento a 12
milioni  annui.  Tale  somma  non corrisponde a quanto (21 mil. oltre
aggiornamenti)  assegnava  il d.lgs. n. 257/1991 a titolo di borsa di
studio  ai  medici  che  hanno  fruito del nuovo regime (tardivamente
applicato),   e   non  tiene  conto  degli  aggiornamenti  dovuti  in
considerazione   del  ritardo  nella  corresponsione.  Inoltre,  tale
risarcimento  non tiene in alcun conto gli ulteriori danni subiti dai
ricorrenti,  sia  per  minor  formazione  conseguita  (quando cio' e'
accaduto) sia per la mancata assegnazione del punteggio attribuito ai
titoli  di  specializzazione precomunitari, che determina conseguenze
pregiudizievoli  sulla collocazione nel mondo del lavoro, soprattutto
in  quello del S.S.N.. Anche tali omissioni costituiscono altrettante
forme  d'incostituzionalita'  e di violazione del regime comunitario,
che  dovranno  portare all'annullamento del decreto. Infatti, benche'
ormai  acclarata,  la violazione dei diritti nascenti dalle norme CEE
non  ha  trovato  adeguata  soddisfazione  nella ricostituzione delle
posizioni  pregiudicate,  con  conseguente  violazione  dei  principi
fondamentali  in tema di tutela della persona e del patrimonio, e con
ulteriore  discriminazione  dei  ricorrenti  rispetto  ai beneficiari
della nuova disciplina.
    L'amministrazione  e'  costituita  in  giudizio e controdeduce ex
adverso, con memoria depositata il 2 aprile 2001.
    Alla  pubblica udienza del 12 gennaio 2004 la causa e' passata in
decisione.

                            D i r i t t o

    1.  -  I  ricorrenti  prospettano  di  essere  medici specialisti
destinatari  delle  sentenze  del Lazio, passate in giudicato, citate
nelle  premesse  del  decreto  ministeriale  (oggetto  d'impugnativa)
14 febbraio  2000. Si tratta sostanzialmente di medici ammessi presso
le  scuole  universitarie  di  specializzazione in medicina dall'anno
accademico 1983/1984 all'anno accademico 1990/1991. A suo tempo hanno
impugnato i decreti di attuazione del decreto legislativo n. 257/1991
di  recepimento  della  normativa  europea  in  tema di formazione di
medici  specialisti.  Il  predetto decreto legislativo prevedeva, per
gli  specializzandi,  l'espletamento  di  un'attivita' a tempo pieno,
l'incompabilita'   con  ogni  altra  attivita'  libero  professionale
esterna   alle   strutture  assistenziali,  e  l'inibizione  di  ogni
rapporto,  anche  convenzionale o precario, con il Servizio sanitario
nazionale.   A   fronte   di   tali  connotazioni  dell'attivita'  di
specializzazione,  tuttavia,  il  medesimo decreto legislativo, da un
lato,  stabiliva  anche  che  il titolo rilasciato agli specializzati
avesse  uno  speciale  valore  in  sede  concorsuale  e,  dall'altro,
prevedeva  l'erogazione  di  una  borsa di studio, determinata per il
1991  in lire 21.500.000 annue, a favore degli ammessi alle scuole di
specializzazione  e per tutta la durata del corso. Con le sentenze di
accoglimento  dei  ricorsi  all'epoca  proposti dagli interessati, il
giudice   amministrativo  ha  ritenuto  che  il  d.lgs.  n. 257/1991,
riservando  l'applicazione  del  regime  comunitario  ai  soli medici
ammessi  alle  scuole di specializzazione a partire dal 1991/1992, si
era  posto in contrasto con le direttive comunitarie ed andava quindi
disapplicato,  mentre  i  decreti che ad esso avevano dato attuazione
erano   conseguentemente   illegittimi.  Con  l'art. 11  della  legge
19 ottobre  1999,  n. 370, sono state quindi dettate disposizioni per
l'attuazione  delle  sentenze  in questione, tra le quali la sentenza
(ricomprendente  un  elevatissimo  numero di medici interessati, come
gli  attuali ricorrenti, nelle controversie all'epoca instaurate) del
Tribunale  amministrativo regionale Lazio n. 601/1993, confermata dal
c.d.s.  con  decisione  della  sez.  IV  n. 735/1994 e dalla Corte di
cassazione  con  sentenza n. 7410/1996. Con il ricorso ora all'esame,
gli  istanti  contestano  il  decreto  14  febbraio  2000 (contenenti
disposizioni  di attuazione dell'art. 11 della legge n. 370/1999, per
la  corresponsione  di  borse  di  studio  agli specializzandi medici
ammessi  alle  scuole  di  specializzazione  negli  anni  1983-1991),
facendo  peraltro  sostanzialmente valere, sotto il dichiarato schema
impugnatorio,  anche  profili  di  diritto  soggettivo attinenti alle
predette  borse  di  studio,  alla  loro  quantificazione, e ad altri
aspetti   risarcitori   reintegratori   prevalentemente   basati  sul
giudicato  formatosi  in loro favore, su norme comunitarie (Direttiva
CEE 82176) e su principi di carattere costituzionale.
    2.  -  Premesso quanto sopra, e' da ritenersi anzitutto infondato
il  primo  motivo  di  gravame.  Il  termine  decadenziale  di 90 gg.
concesso  dal  d.m.  14 febbraio  2000  per  la  presentazione  delle
documentate  domande  di  corresponsione  della  borsa di studio, non
appare   esiguo,   ne'   incongruo,   ne'   illegittimo.  Il  termine
decadenziale in questione si e' reso in effetti necessario al fine di
dare   certezza   all'attivita'   amministrativa,   per  esigenze  di
accertamento  dei  requisiti  e  di pagamento delle borse, nonche' in
relazione    alla   disponibilita'   temporale   degli   stanziamenti
autorizzati  (1999-2001).  Per altro verso rileva il Collegio che dal
giudicato   riferibile   agli   interessati   non   e'  scaturito  il
riconoscimento  del diritto degli stessi al conseguimento e pagamento
di una precisa borsa di studio gia' per essi quantificata, ma solo il
riconoscimento  della  pretesa ad essere ricompresi in un (rinnovato)
procedimento  di  accertamento  a  tale beneficio finalizzato. Con la
previsione  di  tale  procedimento,  delle  relative regole e termini
anche decadenziali ) di svolgimento, il giudicato e' stato in effetti
eseguito  ed  e'  quindi  inconferente  il  riferimento operato dagli
interessati a termini di carattere prescrizionale.
    Non  si  comprende,  in  ogni  caso,  quale  sia  l'interesse dei
ricorrenti all'annullamento del ripetuto termine, se si considera che
il  ricorso  di cui trattasi e' stato notificato (26 maggio 2000) ben
prima della scadenza del termine stesso (27 giugno 2000).
    3.  -  Con  riguardo  poi alla richiesta di annullamento del d.m.
14 febbraio   2000,   nella   parte   in   cui   prevede,   ai   fini
dell'attribuzione  della  borsa  di  studio,  il mancato svolgimento,
durante  tutta  la  durata  del  corso,  di  alcun  tipo di attivita'
lavorativa,  il  Collegio  rileva  che proprio l'accertamento di tale
condizione  e' stato richiesto dal Consiglio di Stato nella decisione
di appello (Sez. IV, n. 735/23 settembre 1994; vedi anche c.d.s., IV,
n. 909/1997  e  n. 927/1997).  Tale giudice ha espressamente disposto
che   le   amministrazioni  pubbliche  soccombenti  avrebbero  dovuto
attenersi,  nella  loro  azione  futura,  alla regola contenuta nella
sentenza  di  accoglimento  dei  ricorsi,  e  quindi avrebbero dovuto
rinnovare  i  decreti  annullati  ricomprendendo  nel  loro  campo di
applicazione  anche  i  ricorrenti  «ove  sia  per essi dimostrata la
sussistenza  delle  condizioni  generali  richieste per coloro che ai
corsi  erano  stati  ammessi in base ai DD.I.I impugnati, e cioe': a)
frequenza  di  un  corso  di  specializzazione in base alla normativa
dettata  dal d.P.R. n. 162 del 1982, a decorrere dall'anno accademico
1991-92  e  per  l'intera  durata  del  corso  legale  del  ciclo  di
formazione;  b) impegno di servizio a tempo pieno, attestato sotto la
propria  personale  responsabilita'  dal  direttore  della  scuola di
specializzazione;   c)   inibizione  di  qualsiasi  attivita'  libero
professionale  esterna».  Il  Consiglio  di  Stato  ha quindi imposto
l'accertamento dell'identita' dei percorsi formativi seguiti di fatto
dagli  specializzati  con  il  vecchio  ordinamento rispetto a quelli
ammessi   con  il  nuovo  ordinamento,  applicativo  delle  direttive
comunitarie.  A tali principi e regole, rivenienti inequivocabilmente
dal  dictum  contenuto  nel  giudicato,  si  e' strettamente attenuto
l'art. 11  della  legge  n. 370/1999  e il relativo decreto esecutivo
(oggetto d'impugnativa) 14 febbraio 2000.
    D'altro  canto,  i  ricorrenti,  nei  ricorsi  originari, avevano
sostanzialmente   denunciato  l'illegittima  e  discriminatoria  loro
esclusione  dal nuovo regime dei corsi di specializzazione ed avevano
dunque invocato l'estensione a loro favore della relativa disciplina.
Tale   essendo  il  parametro  normativo  richiamato  dagli  istanti,
coerentemente  sono  stati  imposti,  in  sede  di  giudicato,  per i
ricorrenti  medesimi,  gli  stessi  requisiti  richiesti  dal  d.lgs.
n. 257/1991  (e relativi decreti applicativi) per i suoi destinatari.
L'art. 11 della legge n. 370/1999, norma di esecuzione del giudicato,
si   e'  dunque  attenuto,  recependola,  alla  regola  contenuta  in
quest'ultimo  e  specificamente dettata per i ricorrenti. A fronte di
tale regola, ed in assenza di riconoscimenti giurisdizionali diversi,
in sede cognitoria, da quelli concretamente e definitivamente assunti
per gli interessati nel giudicato stesso, gli istanti non possono ora
invocare   criteri  interpretativi  ed  applicativi  della  normativa
comunitaria  e  statale diversi da quelli sanciti nelle sentenze loro
riferite,  ed  in presenza delle quali non sono denunciabili, nemmeno
sul  piano  del  possibile  contrasto  con  principi  costituzionali,
disparita'  di trattamento, o violazioni di principi risarcitori o di
direttive comunitarie. Il secondo motivo va quindi disatteso.
    4.  - In riferimento alle ulteriori censure circa l'importo della
borsa  di  studio  (13  milioni  di  lire  omnicomprensivi invece dei
21.500.000  oltre aggiornamenti previsti dal d.lgs. n. 257 del 1991),
rileva il Collegio - a parte quanto prospettato dalla difesa erariale
(e  cioe'  che  la  legge  n. 370/1999  ha  individuato tale somma in
relazione  alla borsa di cui al d.lgs. n. 257/1991, in proporzione al
minor  impegno,  circa 800 ore annuali, richiesto agli specializzandi
col vecchio ordinamento, rispetto al maggior impegno, circa 1500 ore,
richiesto  ai nuovi specializzandi con il tempo pieno) - che comunque
il predetto d.lgs. del 1991 riferiva l'importo in esso stabilito alla
borsa  determinata  per l'anno 1991. Mentre nella specie si tratta di
borse  relative ad anni diversi e precedenti, per cui e' inconferente
e  da  respingere  ogni  pretesa  dei  ricorrenti  di  comparazione e
corrispondenza  con la borsa ex d.lgs. n. 257/1991. Quanto ai mancati
aggiornamenti della somma per ritardo di corresponsione, si tratta di
doglianza  che  non  puo'  essere  assecondata,  dovendosi  rilevare,
anzitutto, che l'art. 11 della legge n. 370/1999 stabilisce il citato
importo tenendo conto, tra l'altro, «del tempo trascorso».
    E  comunque,  circa  il  mancato  riconoscimento  di  interessi e
rivalutazione,  non  va  dimenticato che dal giudicato cui viene data
esecuzione  e'  scaturito  il  diritto dei ricorrenti alla riedizione
degli   atti  annullati,  e  non  il  riconoscimento  di  un  credito
determinato, liquido ed esigibile. D'altro canto lo stesso obbligo di
remunerazione   dei   corsi   di  specializzazione  riveniente  dalla
normativa  comunitaria,  non  e'  ivi  previsto  in  termini  tali da
consentire   l'identificazione   del   debitore   e  l'individuazione
dell'importo della remunerazione stessa (cfr. c.d.s., VI, n. 6802 del
12 dicembre   2002).  Per  quanto  attiene  poi  all'addotta  mancata
considerazione  di  «ulteriori  danni» che sarebbero stati subiti dai
ricorrenti  «per  la  minor  formazione  conseguita  (quando  cio'  e
accaduto)», si tratta di doglianza da disattendere, perche' generica,
indimostrata ed anche dubitativamente espressa.
    5.  Per  quanto  riguarda invece l'ultimo rilievo dei ricorrenti,
circa  la «mancata assegnazione del punteggio attribuito ai titoli di
specializzazione    precomunitari,    che    determina    conseguenze
pregiudizievoli  sulla collocazione nel mondo del lavoro, soprattutto
in  quello del S.S.N., principale sbocco per il personale medico», il
Collegio  rileva  che  in  effetti tale doglianza potrebbe non essere
destituita  di  fondamento.  Invero,  nelle stesse sentenze cui si e'
inteso  dare  attuazione (con l'art. 11 della legge n. 370/1999 e con
il   d.m.   impugnato),  sembra  evidente  il  riconoscimento  che  i
ricorrenti  intendevano  porre  rimedio,  sostanzialmente, con i loro
ricorsi, alla sperequazione determinata dalla mancata attribuzione, a
loro  favore,  non  solo  della  borsa  di  studio  per il periodo di
frequenza  del  corso  di  specializzazione,  ma anche dello speciale
punteggio  assegnato  al  termine  dello  stesso  e da utilizzare nei
concorsi  di  accesso  alle  strutture  sanitarie pubbliche (vedi, al
riguardo, Tribunale amministrativo regionale Lazio n. 601/1993, pagg.
98 e 101; c.d.s. IV, n. 735/1994, pagg. 159, 160, 162).
    Tale  punteggio  era  in  effetti previsto per gli specializzandi
destinatari del d.lgs. n. 257/1991 (art. 4). Il giudicato formatosi a
favore  degli  interessati  deve  quindi  intendersi  riferito  anche
all'eliminazione della discriminazione operata con riferimento a tale
punteggio.   Le   direttive   comunitarie,  peraltro,  n. 75/362/CEE,
n. 75/363/CEE,   n. 82/1976/CEE   e   n. 93/16/CEE,   non  contengono
disposizioni   precise  ed  incondizionate  circa  il  diritto  degli
specializzati    allo   specifico   punteggio   per   il   corso   di
specializzazione  da  farsi valere secondo le modalita' stabilite dal
d.lgs.  n. 257/1991,  per  cui  sembra  ostativo  alla  pretesa degli
istanti  (nella  parte in cui essa e' riferibile a tale punteggio) il
disposto  dell'art. 11  della  legge n. 370 del 19 ottobre 1999. Tale
disposizione,  infatti,  nello  stabilire  i  benefici conferibili ai
medici  ammessi presso le universita' alle scuole di specializzazione
in  medicina  negli anni 1983-1991, non ha previsto l'attribuzione di
un  qualsiasi  punteggio ai titoli di specializzazione conseguiti dai
medici  predetti e da farsi valere nei concorsi di accesso ai profili
professionali  medici,  come  stabilito invece dal d.lgs. n. 257/1991
per  i  titoli  conseguiti  dagli  specializzandi  ammessi  ai  corsi
dall'a.a.  1991/1992. Stante quanto sopra, il ricorso in esame, anche
in  riferimento  alla  specifica  pretesa  di  cui trattasi, dovrebbe
essere  respinto.  Il Collegio ritiene tuttavia di poter soprassedere
da   una  pronuncia  in  tale  senso,  ritenendo  non  manifestamente
infondata  la  questione  di  legittimita'  costituzionale del citato
art. 11  della  legge  n. 370/1999,  per  possibile contrasto con gli
artt. 24,  25, 101, 103, primo comma, 108, secondo comma, e 113 della
Costituzione,  nella parte in cui detto articolo si pone in contrasto
con  le  sentenze  passate  in  giudicato,  cui  invece  intende dare
attuazione, in esso citate.
    E  cio'  in  quanto,  mentre  dal  giudicato  formatosi  su dette
sentenze  e'  ricavabile  la  regola dell'attivita' di esecuzione del
giudicato  stesso,  consistente nell'eliminazione del discriminatorio
trattamento  riservato  anche  in riferimento, pertanto, alla mancata
assegnazione  del  ripetuto  punteggio)  agli specializzati ante 1991
rispetto  a  quelli  ex  d.lgs.  n. 257/1991,  l'art. 11  della legge
n. 370/1999  (che  pure  tale  giudicato  intenderebbe attuare) nulla
dispone, per i ricorrenti, con riguardo a detto punteggio.
    Sotto   altro   profilo,  poi,  nemmeno  potrebbe  plausibilmente
sostenersi  (conformemente  a  quanto  prospetta  invece, nel caso in
esame,  la  difesa  erariale  nella  sua  memoria  difensiva)  che il
punteggio  in  questione  e' legittimamente attribuito solo ai «nuovi
specializzandi»  ex  d.lgs. n. 257/1991 sulla considerazione che agli
stessi  era  vietato lo svolgimento di attivita' libero professionali
alle  dipendenze  del  S.S.N.  mentre  tale  divieto non vigeva per i
«vecchi  specializzandi»,  che  avevano  quindi  la  possibilita'  di
precostituirsi  un  punteggio  relativamente  servizio  prestato,  da
utilizzarsi nei concorsi. Si tratta di ricostruzione, infatti, che mi
potrebbe  giustificare  l'omessa previsione, nell'art. 11 della legge
n. 370/1999,  anche  a  favore  dei  ricorrenti, del punteggio di cui
trattasi,  una  volta  che tale articolo ha comunque richiesto, per i
suoi  destinatari,  al  comma  2,  lettere  b)  e  c),  il  requisito
dell'«impegno  di  servizio a tempo pieno» e del «mancato svolgimento
per  tutta  la  durata  del  corso  di  specializzazione di qualsiasi
attivita' libero-professionale estera nonche' di attivita' lavorativa
anche  in  regime  di  convenzione  o  di  precarieta'  con  Servizio
sanitario nazionale». Sono le stesse condizioni a suo tempo richieste
dal  d.lgs.  n. 257/1991,  sicche'  il  diverso  trattamento  operato
dall'art. 11  della  citata legge n. 370/1999 sembra porsi, ad avviso
del  Collegio,  sotto  il  profilo  teste' riferito, in contrasto con
l'art.  3  della  Costituzione, non essendo giustificato il deteriore
trattamento riservato ai titoli conseguiti negli anni 1983-1991.
    6.  -  La  questione  di legittimita' costituzionale dell'art. 11
della   legge   n. 370/1999,  sotto  i  profili  sopra  indicati,  e'
chiaramente  rilevante ai fini della decisione della controversia per
cui  e'  causa,  dato che soltanto se tale articolo fosse considerato
non  conforme  a  Costituzione, secondo quanto sopra prospettato (per
mancata  previsione  di un punteggio per i titoli di specializzazione
conseguiti,  nel  regime previgente a quell introdotto dal d.lgs. del
1991,  dagli  specializzandi medici ammessi alle scuole universitarie
di  specializzazione  negli anni 1983-1991 e destinatari dell'art. 11
stesso),  il  ricorso  in  esame,  nella  parte  in  cui e' rivolto a
rivendicare il detto punteggio potrebbe essere accolto.
    7.  - Va quindi rimessa alla Corte costituzionale, sospendendo in
conseguenza  il  presente  giudizio,  la  questione  di  legittimita'
costituzionale  dell'art. 11  della legge n. 370 del 19 ottobre 1999,
con  riferimento  agli  artt. 3,  24, 25, 101, 103, primo comma, 108,
secondo  comma,  e  113  della  Costituzione,  nella parte in cui non
prevede  alcun  punteggio  da  farsi valere nei concorsi di accesso a
profili  professionali  medici  per i medici destinatari dello stesso
art. 11, secondo quanto sopra specificato.