IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE

    Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza sul ricorso introduttivo
n. 9581 del 2000, proposto dal sig. Abate
    Massimo  Eraldo ed altri (come da allegato elenco), rappresentati
e  difesi  dagli avv. Orazio Abbamonte e Giovanni Romano, con i quali
sono  elettivamente  domiciliati presso lo studio del primo, in Roma,
via G. G. Porro n. 8;
    Contro  il Ministero dell'universita' e della ricerca scientifica
e  tecnologica,  in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e
difeso dall'Avvocatura generale dello Stato; per l'annullamento
      a) del  decreto  MURST  14 febbraio 2000 pubblicato in Gazzetta
Ufficiale  del  27 marzo 2000, con il quale sono dettate disposizioni
di  esecuzione  in  forza  del  mandato  di  cui all'art. 11 legge 19
ottobre 1999 n. 370;
      b) di  ogni  altro  atto preordinato, connesso e conseguenziale
comunque lesivo;
    Visto il ricorso con i relativi allegati;
    Visto  l'atto  di costituzione in giudizio e la memoria difensiva
dell'amministrazione;
    Visti gli atti tutti della causa;
    Designato  relatore, per la pubblica udienza del 12 gennaio 2004,
il consigliere D. Lundini;
    Uditi, all'udienza predetta, gli avv. come da verbale di udienza;
    Ritenuto e considerato, in fatto e in diritto, quanto segue;

                              F a t t o

    Gli  istanti  premettono  di  essere  medici specialisti in varie
branche  della  medicina  e  chirurgia e di aver a suo tempo proposto
ricorso  al  Tribunale  amministrativo regionale Lazio lamentando che
d.lgs.  n. 257/1991,  con  il  quale  era  stata data esecuzione alle
normative  comunitarie  sulla  formazione  medica  professionale,  li
discriminava, non tenendo conto del fatto che, essendo intervenuto in
ritardo  rispetto  al  termine  imposto  dalle direttive comunitarie,
avrebbe  dovuto  considerare  anche la loro posizione, dettando norme
che  adeguatamente colmassero il divario prodottosi nei confronti dei
colleghi  che,  dal  1991  in  poi, avrebbero goduto dei vantaggi del
nuovo  (e  tardivo) regime. Soggiungono: che i ricorsi furono accolti
dal  Tribunale  amministrativo  regionale  del  Lazio con le sentenze
ricordate   nella  premessa  del  provvedimento  impugnato,  sentenze
passate  in  giudicato  dopo  le  impugnative  proposte  dallo  Stato
italiano  che  con  legge  19 ottobre 1999, n. 370, all'art. 11, sono
state dettate disposizioni di esecuzione dei giudicati formatisi; che
la  citata  disposizione  ha  anche rimesso ad un regolamento, quello
impugnato, di dettare norme per l'esecuzione.
    Deducono quindi i seguenti motivi:
        1)  Violazione  dell'art. 2146 (2946?) codice civile la' dove
il  regolamento  impugnato  (art.  1,  2 comma 7) fissa un termine di
novanta  giorni per far valere i diritti nascenti dal giudicato dalle
direttive  comunitarie,  termine  che  si  ribadisce per le eventuali
integrazioni  all'art. 2,  comma  terzo. Invero, sia che tali diritti
derivino  dalle  sentenze,  sia che derivino dal regime comunitario e
quindi dalla legge, essi sono soggetti al termine prescrizionale, che
l'amministrazione  non puo' trasformare in termine decadenziale assai
piu' breve.
        2)  Violazione del giudicato. Violazione dei diritti nascenti
direttamente   dall'obbligo   di   dare   esecuzione  alle  direttive
comunitarie  ex art. 12 direttiva 82/1976 CEE. violazione dell'art. 3
Cost.  Illogicita'  manifesta  in giudizio. Violazione dell'art. 1223
codice  civile  regolamento  impugnato  prevede che abbiano diritto a
percepire  la  borsa  di  studio  unicamente  coloro  che non abbiano
svolto,  nel  corso del periodo di specializzazione, alcuna attivita'
lavorativa (art. 1, comma 3, n. 6). La prescrizione e' illegittima in
quanto:  il diritto alla borsa di studio nasce dal regime comunitario
che  non  e'  stato  tempestivamente eseguito, con la conseguenza che
all'epoca  i ricorrenti non avevano alcuna possibilita' di mantenersi
agli  studi  se  non  vivendo  delle  loro  sostanze  o lavorando; la
subordinazione  della  borsa  di  studio  al  mancato  svolgimento di
attivita'  lavorativa determina disparita' di trattamento (rispetto a
chi  ha  potuto  mantenersi  agli  studi  senza  lavorare), manifesta
ingiustizia  e  violazione  dei principi costituzionali rubricati; il
regime  dettato  viola  anche  i  principi  fondamentali  in  materia
risarcitoria, dato che al piu' avrebbe potuto ridursi il risarcimento
in  proporzione  alle  entrate  da  lavoro.  Non  mai  sarebbe  stato
consentito  far  discendere  la decadenza di qualsiasi diritto per il
solo fatto di aver sciolto anche una minima attivita' lavorativa. Ne'
ha rilievo che tale contenuto regolamentare sia previsto dall'art. 11
della  legge  n. 370/19999,  dal momento che tale norma, ponendosi in
contrasto  con le direttive comunitarie e con i principi fondamentali
in  tema dintegrita' patrimoniale, avrebbe dovuto essere disapplicata
dall'amministrazione;  essa  poi e' in ogni caso incostituzionale per
violazione degli artt. 3 e 97 Cost.
        3)  Violazione,  sotto  altro  profilo  dell'art. 1223 codice
civile  e  delle  direttive  comunitarie.  Violazione  del giudicato.
Incostituzionalita'.   Violazione  dell'art.  111  Cost.  Il  decreto
impugnato  e  la  legge  n. 370/1999  limitano  il  risarcimento a 12
milioni  annui.  Tale  somma  non corrisponde a quanto (21 mil. oltre
aggiornamenti)  assegnava  il d.lgs. n. 257/1991 a titolo di borsa di
studio  ai  medici  che  hanno  fruito del nuovo regime (tardivamente
applicato),   e   non  tiene  conto  degli  aggiornamenti  dovuti  in
considerazione   del  ritardo  nella  corresponsione.  Inoltre,  tale
risarcimento  non tiene in alcun conto gli ulteriori danni subiti dai
ricorrenti,  sia  per  minor  formazione  conseguita  (quando cio' e'
accaduto) sia per la mancata assegnazione del punteggio attribuito ai
titoli  di  specializzazione precomunitari, che determina conseguenze
pregiudizievoli  sulla collocazione nel mondo del lavoro, soprattutto
in  quello del S.S.N.. Anche tali omissioni costituiscono altrettante
forme  d'incostituzionalita'  e di violazione del regime comunitario,
che  dovranno  portare all'annullamento del decreto. Infatti, benche'
ormai  acclarata,  la violazione dei diritti nascenti dalle norme CEE
non  ha  trovato  adeguata  soddisfazione  nella ricostituzione delle
posizioni  pregiudicate,  con  conseguente  violazione  dei  principi
fondamentali  in tema di tutela della persona e del patrimonio, e con
ulteriore  discriminazione  dei  ricorrenti  rispetto  ai beneficiari
della nuova disciplina.
    L'amministrazione  e'  costituita  in  giudizio e controdeduce ex
adverso, con memoria depositata il 2 aprile 2001.
    Alla  pubblica udienza del 12 gennaio 2004 la causa e' passata in
decisione.

                            D i r i t t o

    1.-   I  ricorrenti  prospettano  di  essere  medici  specialisti
destinatari delle sentenze del tribunale amministrativo regionale del
Lazio,  passate  in  giudicato,  citate  nelle  prenesse  del decreto
ministeriale  (oggetto  d'impugnativa)  14  febbraio  2000. Si tratta
sostanzialmente  di  medici ammessi presso le scuole universitarie di
specializzazione  in medicina dall'anno accademico 1983/1984 all'anno
accademico  1990/1991.  A  suo  tempo  hanno  impugnato  i decreti di
attuazione  del  decreto legislativo n. 257/1991 di recepimento della
normativa  europea  in  tema  di formazione di medici specialisti. Il
predetto  decreto  legislativo  prevedeva,  per  gli  specializzandi,
l'espletamento  di  un'attivita'  a tempo pieno, l'incompabilita' con
ogni  altra  attivita'  libero  professionale  esterna alle strutture
assistenziali, e l'inibizione di ogni rapporto, anche convenzionale o
precario,  con  il  Servizio  sanitario  nazionale.  A fronte di tali
connotazioni   dell'attivita'   di   specializzazione,  tuttavia,  il
medesimo  decreto  legislativo,  da  un lato, stabiliva anche, che il
titolo  rilasciato  agli  specializzati avesse uno speciale valore in
sede  concorsuale  e, dall'altro, prevedeva l'erogazione di una borsa
di studio, determinata per il 1991 in lire 21.500.000 annue, a favore
degli  ammessi  alle scuole di specializzazione e per tutta la durata
del  corso.  Con  le  sentenze  di accoglimento dei ricorsi all'epoca
proposti dagli interessati, il giudice amministrativo ha ritenuto che
il   d.lgs.   n. 257/1991,   riservando   l'applicazione  del  regime
comunitario  ai soli medici ammessi alle scuole di specializzazione a
partire  dal  1991/1992,  si  era posto in contrasto con le direttive
comunitarie  ed  andava  quindi disapplicato, mentre i decreti che ad
esso  avevano  dato  attuazione  erano consentemente illegittimi. Con
l'art. 11  della  legge  19  ottobre  1999, n. 370, sono state quindi
dettate  disposizioni  per  l'attuazione delle sentenze in questione,
tra  le  quali  la sentenza (ricomprendente un elevatissimo numero di
medici  interessati,  come gli attuali ricorrenti, nelle controversie
all'epoca  instaurate)  del  Tribunale  amministrativo  regionale del
Lazio  n. 601/1993, confermata dal c.d.s. con decisione della sez. IV
n. 735/1994  e  dalla  Corte di cassazione con sentenza n. 7410/1996.
Con  il  ricorso  ora all'esame, gli istanti contestano il decreto 14
febbraio  2000  (contenenti  disposizioni  di attuazione dell'art. 11
della  legge  n. 370/1999,  per  la corresponsione di borse di studio
agli  specializzandi  medici  ammessi alle scuole di specializzazione
negli anni 1983-1991), facendo peraltro sostanzialmente valere, sotto
il   dichiarato   schema   impugnatorio,  anche  profili  di  diritto
soggettivo  attinenti  alle  predette  borse  di  studio,  alla  loro
quantiticazione,  e  ad  altri  aspetti  risarcitori  e reintegratori
prevalentemente  basati  sul  giudicato  formatosi in loro favore, su
norme  comunitarie (Direttiva CEE 82/1976) e su principi di carattere
costituzionale.
        2.  -  Premesso  quanto  sopra,  e'  da  ritenersi  anzitutto
infondato  il  primo motivo di gravame. Il termine decadenziale di 90
gg.  concesso  dal  d.m.  14 febbraio 2000 per la presentazione delle
documentate  domande  di  corresponsione  della  borsa di studio, non
appare   esiguo,   ne'   incongruo,   ne'   illegittimo.  Il  termine
decadenziale in questione si e' reso in effetti necessario al fine di
dare   certezza   all'attivita'   amministrativa,   per  esigenze  di
accertamento  dei  requisiti  e  di pagamento delle borse, nonche' in
relazione    alla   disponibilita'   temporale   degli   stanziamenti
autorizzati (1999-2001).
    Per  altro verso, rileva il Collegio che dal giudicato riferibile
agli interessati non e' scaturito il riconoscimento del diritto degli
stessi  al  conseguimento  e pagamento di una precisa borsa di studio
gia'  per  essi quantificata, ma solo il riconoscimento della pretesa
ad essere ricompresi in un (rinnovato) procedimento di accertamento a
tale  beneficio  finalizzato. Con la previsione di tale procedimento,
delle  relative regole e termini (anche decadenziali) di svolgimento,
il  giudicato  e' stato in effetti eseguito ed e' quindi inconferente
il  riferimento  operato  dagli  interessati  a  termini di carattere
prescrizionale.
    Non  si  comprende,  in  ogni  caso,  quale  sia  l'interesse dei
ricorrenti all'annullamento del ripetuto termine, se si considera che
il  ricorso  di  cui  trattasi  e stato notificato 25 giugno 2000 ben
prima della scadenza del termine stesso (27 giugno 2000).
    3.  - Con riguardo poi alla richiesta di annullamento del d.m. 14
febbraio  2000, nella parte in cui prevede, ai fini dell'attribuzione
della  borsa  di  studio,  il  mancato  svolgimento, durante tutta la
durata  del corso, di alcun tipo di attivita' lavorativa, il Collegio
rileva  che  proprio  l'accertamento  di  tale  condizione  e'  stato
richiesto dal consiglio di Stato nella decisione di appello (Sez. IV,
n. 735/23  novembre  1994;  vedi  anche  c.d.s.,  IV,  n. 909/1997  e
n. 927/1997).   Tale   giudice   ha  espressamente  disposto  che  le
amministrazioni  pubbliche  soccombenti  avrebbero  dovuto attenersi,
nella  loro  azione  futura,  alla regola contenuta nella sentenza di
accoglimento  dei  ricorsi,  e  quindi  avrebbero  dovuto rinnovare i
decreti annullati ricomprendendo nel loro campo di applicazione anche
i  ricorrenti  «ove  sia  per  essi  dimostrata  la sussistenza delle
condizioni  generali  richieste  per  coloro che ai corsi erano stati
ammessi  in  base  ai  DD.I  I impugnati, e cioe': a) frequenza di un
corso  di  specializzazione in base alla normativa dettata dal d.P.R.
n. 162  del  1982,  a  decorrere  dall'anno  accademico 1991-92 e per
l'intera  durata del corso legale del ciclo di formazione; b) impegno
di  servizio  a  tempo  pieno,  attestato  sotto la propria personale
responsabilita'  dal  direttore  della scuola di specializzazione; c)
inibizione  di  qualsiasi attivita' libero professionale esterna». Il
Consiglio  di  Stato  ha quindi imposto l'accertamento dell'identita'
dei  percorsi  formativi  seguiti di fatto dagli specializzati con il
vecchio   ordinamento   rispetto   a  quelli  ammessi  con  il  nuovo
ordinamento, applicativo delle direttive comunitarie. A tali principi
e  regole,  rivenienti  inequivocabilmente  dal  dictum contenuto nel
giudicato,   si   e'  strettamente  attenuto  l'art. 11  della  legge
n. 370/1999  il relativo decreto esecutivo (oggetto d'impugnativa) 14
febbraio 2000.
    D'altro  canto,  i  ricorrenti,  nei  ricorsi  originati, avevano
sostanzialmente   denunciato  l'illegittima  e  discriminatoria  loro
esclusione  dal nuovo regime dei corsi di specializzazione ed avevano
dunque invocato l'estensione a loro favore della relativa disciplina.
Tale   essendo  il  parametro  normativo  richiamato  dagli  istanti,
coerentemente  sono  stati  imposti,  in  sede  di  giudicato,  per i
ricorrenti  medesimi,  gli  stessi  requisiti  richiesti  dal  d.lgs.
n. 257/1991  (e relativi decreti applicativi) per i suoi destinatari.
L'art. 11 della legge n. 370/1999, norma di esecuzione del giudicato,
si   e'  dunque  attenuto,  recependola,  alla  regola  contenuta  in
quest'ultimo  e  specificamente dettata per i ricorrenti. A fronte di
tale regola, ed in assenza di riconoscimenti giurisdizionali diversi,
in sede cognitoria, da quelli concretamente e definitivamente assunti
per gli interessati nel giudicato stesso, gli istanti non possono ora
invocare   criteri  interpretativi  ed  applicativi  della  normativa
comunitaria  e  statale diversi da quelli sanciti nelle sentenze loro
riferite,  ed  in  presenza  delle  quali non sono piu' denunciabili,
nemmeno    sul   piano   del   possibile   contrasto   con   principi
costituzionali,  disparita'  di trattamento, o violazioni di principi
risarcitori  o  di direttive comunitarie. Il secondo motivo va quindi
disatteso.
    4.  - In riferimento alle ulteriori censure circa l'importo della
borsa  di  studio  (13  milioni  di  lire  omnicomprensivi invece dei
21.500.000  oltre aggiornamenti previsti dal d.lgs. n. 257 del 1991),
rileva il Collegio - a parte quanto prospettato dalla difesa erariale
(e  cioe'  che  la  legge  n. 370/1999  ha  individuato tale somma in
relazione  alla  borsa  di  cui al d.lgs. 257/1991, in proporzione al
minor  impegno,  circa 800 ore annuali, richiesto agli specializzandi
col vecchio ordinamento, rispetto al maggior impegno, circa 1500 ore,
richiesto  ai nuovi specializzandi con il tempo pieno) - che comunque
il predetto d.lgs. del 1991 riferiva l'importo in esso stabilito alla
borsa  determinata  per l'anno 1991. Mentre nella specie si tratta di
borse  relative ad anni diversi e precedenti, per cui e' inconferente
e  da  respingere  ogni  pretesa  dei  ricorrenti  di  comparazione e
corrispondenza  con  la  borsa  ex d.lgs. 257/1991. Quanto ai mancati
aggiornamenti della somma per ritardo di corresponsione, si tratta di
doglianza  che  non  puo'  essere  assecondata,  dovendosi  rilevare,
anzitutto, che l'art. 11 della legge n. 370/1999 stabilisce il citato
importo   tenendo  conto,  tra  l'altro,  «del  tempo  trascorso».  E
comunque,   circa   il   mancato   riconoscimento   di   interessi  e
rivalutazione,  non  va  dimenticato che dal giudicato cui viene data
esecuzione  e'  scaturito  il  diritto dei ricorrenti alla riedizione
degli   atti  annullati,  e  non  il  riconoscimento  di  un  credito
determinato, liquido ed esigibile. D'altro canto lo stesso obbligo di
remunerazione   dei   corsi   di  specializzazione  riveniente  dalla
normativa  comunitaria,  non  e'  ivi  previsto  in  termini  tali da
consentire.   L'identificazione   del   debitore  e  l'individuazione
dell'importo  della remunerazione stessa (cfr. c.d.s. VI, n. 6802 del
12  dicembre  2002).  Per  quanto  attiene  poi  all'addotta  mancata
considerazione  di  «ulteriori  danni» che sarebbero stati subiti dai
ricorrenti  «per  la  minor  formazione  conseguita  (quando  cio' e'
accaduto)», si tratta di doglianza da disattendere, perche' generica,
indimostrata ed anche dubitativamente espressa.
    5.  - Per quanto riguarda invece l'ultimo rilievo dei ricorrenti,
circa  la «mancata assegnazione del punteggio attribuito ai titoli di
specializzazione    precomunitari,    che    determina    conseguenze
pregiudizievoli  sulla collocazione nel mondo del lavoro, soprattutto
in  quello del S.S.N., principale sbocco per il personale medico», il
Collegio  rileva  che  in  effetti tale doglianza potrebbe non essere
destituita  di  fondamento.  Invero,  nelle stesse sentenze cui si e'
inteso  dare  attuazione (con l'art. 11 della legge n. 370/1999 e con
il   d.m.   impugnato),  sembra  evidente  il  riconoscimento  che  i
ricorrenti  intendevano  porre  rimedio,  sostanzialmente, con i loro
ricorsi, alla sperequazione determinata dalla mancata attribuzione, a
loro  favore,  non  solo  della  borsa  di  studio  per il periodo di
frequenza  del  corso  di  specializzazione,  ma anche dello speciale
punteggio  assegnato  al  termine  dello  stesso  e da utilizzare nei
concorsi  di  accesso  alle  strutture  sanitarie pubbliche (vedi, al
riguardo,  tribunale  amministrativo regionale del Lazio n. 601/1993,
pagg.  98  e  101;  c.d.s. IV, n. 735/1994, pag. 159, 160, 162). Tale
punteggio  era in effetti previsto per gli specializzandi destinatari
del  d.lgs.  n. 257/1991  (art. 4).  Il  giudicato formatosi a favore
degli    interessati    deve   quindi   intendersi   riferito   anche
all'eliminazione della discriminazione operata con riferimento a tale
punteggio.   Le   direttive   comunitarie,  peraltro,  n. 75/362/CEE,
n. 75/363/CEE,    n. 82/76/CEE   e   n. 93/16/CEE,   non   contengono
disposizioni   precise  ed  incondizionate  circa  il  diritto  degli
specializzati    allo   specifico   punteggio   per   il   corso   di
specializzazione  da  farsi valere secondo le modalita' stabilite dal
d.lgs.  n. 257/1991,  per  cui  sembra  ostativo  alla  pretesa degli
istanti  (nella  parte in cui essa e' riferibile a tale punteggio) il
disposto  dell'art. 11  della  legge n. 370 del 19 ottobre 1999. Tale
disposizione,  infatti,  nello  stabilire  i  benefici conferibili ai
medici  ammessi presso le universita' alle scuole di specializzazione
in  medicina  negli anni 1983-1991, non ha previsto l'attribuzione di
un  qualsiasi  punteggio ai titoli di specializzazione conseguiti dai
medici  predetti e da farsi valere nei concorsi di accesso ai profili
professionali  medici,  come  stabilito invece dal d.lgs. n. 257/1991
per  i  titoli  conseguiti  dagli  specializzandi  ammessi  ai  corsi
dall'a.a.  1991/1992. Stante quanto sopra, il ricorso in esame, anche
in  riferimento  alla  specifica  pretesa  di  cui trattasi, dovrebbe
essere  respinto.  Il Collegio ritiene tuttavia di poter soprassedere
da   una  pronuncia  in  tale  senso,  ritenendo  non  manifestamente
infondata  la  questione  di  legittimita'  costituzionale del citato
art. 11  della  legge  n. 370/1999,  per  possibile contrasto con gli
artt. 24,  25, 101, 103, primo comma, 108, secondo comma, e 113 della
Costituzione,  nella parte in cui detto articolo si pone in contrasto
con  le  sentenze  passate  in  giudicato,  cui  invece  intende dare
attuazione,  in  esso  citate. E cio' in quanto, mentre dal giudicato
formatosi su dette sentenze e' ricavabile la regola dell'attivita' di
esecuzione  del  giudicato  stesso, consistente nell'eliminazione del
discriminatorio   trattamento   riservato   (anche   in  riferimento,
pertanto,  alla  mancata  assegnazione  del  ripetuto punteggio) agli
specializzati  ante  1991  rispetto  a  quelli ex d.lgs. n. 257/1991,
l'art. 11   della   legge   n. 370/1999   (che  pure  tale  giudicato
intenderebbe attuare) nulla dispone, per i ricorrenti, con riguardo a
detto   punteggio.   Sotto   altro  profilo,  poi,  nemmeno  potrebbe
plausibilmente  sostenersi  (conformemente a quanto prospetta invece,
nel  caso  in  esame, la difesa erariale nella sua memoria difensiva)
che  il  punteggio  in questione e' legittimamente attribuito solo ai
«nuovi specializzandi» ex d.lgs. n. 257/1991 sulla considerazione che
agli   stessi   era   vietato  lo  svolgimento  di  attivita'  libero
professionali  o  alle dipendenze del S.S.N., mentre tale divieto non
vigeva   per   i  «vecchi  specializzandi»,  che  avevano  quindi  la
possibilita' di precostituirsi un punteggio relativamente al servizio
prestato,  da  utilizzarsi  nei concorsi. Si tratta di ricostruzione,
infatti, che non potrebbe giustificare l'omessa previsione, nell'art.
11  della  legge  n. 370/1999,  anche  a  favore  dei ricorrenti, del
punteggio  di  cui  trattasi, una volta che tale articolo ha comunque
richiesto,  per  i  suoi destinatari, al. comma 2, lettere b) e c) il
requisito  dell'impegno  di  servizio  a  tempo  pieno e del «mancato
svolgimento  per  tutta  la  durata  del corso di specializzazione di
qualsiasi   attivita'   libero-professionale   esterna,   nonche'  di
attivita'  lavorativa anche in regime di convenzione o di precarieta'
con  il Servizio sanitario nazionale». Son le stesse condizioni a suo
tempo   richieste   dal   d.lgs.   n. 257/1991,  sicche'  il  diverso
trattamento  operato  dall'art. 11  della  citata  legge  n. 370/1999
sembra  porsi,  ad  avviso  del  Collegio,  sotto  il  profilo teste'
riferito,  in  contrasto con l'art. 3 della Costituzione, non essendo
giustificato  il deteriore trattamento riservato ai titoli conseguiti
negli anni 1983-1991.
    6.  -  La  questione  di legittimita' costituzionale dell'art. 11
della   legge   n. 370/1999,  sotto  i  profili  sopra  indicati,  e'
chiaramente  rilevante ai fini della decisione della controversia per
cui  e'  causa,  dato che soltanto se tale articolo fosse considerato
non  conforme  a  Costituzione, secondo quanto sopra prospettato (per
mancata  previsione  di un punteggio per i titoli di specializzazione
conseguiti,  nel regime previgente a quello introdotto dal d.lgs. del
1991,  dagli  specializzandi medici ammessi alle scuole universitarie
di  specializzazione  negli anni 1983-1991 e destinatari dell'art. 11
stesso),  il  ricorso  in  esame,  nella  parte  in  cui e' rivolto a
rivndicare il detto punteggio, potrebbe essere accolto.
    7.  - Va quindi rimessa alla Corte costituzionale, sospendendo in
conseguenza  il  presente  giudizio,  la  questione  di  legittimita'
costituzionale  dellart. 11  della  legge n. 370 del 19 ottobre 1999,
con  riferimento  agli  art.  3.  24, 25, 101, 103, primo comma, 108,
secondo  comma.  e  113  della  Costituzione,  nella parte in cui non
prevede  alcun  punteggio  da  far  valere  nei concorsi di accesso a
profili  professionali  medici  per i medici destinatari dello stesso
art. 11, secondo quanto sopra specificato.