IL TRIBUNALE DI GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA Ha pronunciata la seguente ordinanza sul ricorso n. 116 del 2004 proposta da Malcotti Adriano, rappresentato e difesa dall'avv. Svetlana Turella, con domicilio eletto presso il T.r.g.a. di Trento, via Calepina n. 50; Contro Ministero dell'interno, in persona del ministro pro tempore, il Commissariato del Governo per la Provincia di Trento, in persona del Commissario pro tempore, entrambi rappresentati e difesi dall'Avvocatura distrettuale dello Stato e presso la stessa domiciliati in Trento, largo Porta Nuova n. 9; per l'annullamento, previa sospensiva: del decreto di rigetta dell'istanza di regolarizzaziane del lavoratore extracomunitario albanese Saraci Karafil presentata dal sig. Malcotti Adriano, emesso dal Commissariato del Governo per la Provincia autonoma di Trento in data 29 settembre 2003, prot. n. SP/1012/PRT/2307/2003, ex d.l. 195/2002, convertito in legge n. 222/2002, e notificato al ricorrente in data 20 febbraio 2004; del provvedimento del questore di Trento con cui si e' negato il relativo nulla osta; di ogni altro provvedimento presupposto, connesso e conseguente. Visto il ricorso con i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio dell'amministrazione statale intimata; Visti gli atti tutti della causa; Uditi alla Camera di Consiglio del 29 aprile 2004 - relatore il consigliere Gianfranco Bronzetti - l'avv. Svetlana Turella per il ricorrente e l'avvocato dello Stato, Sarre Pirrone, per l'amministrazione resistente; Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanta segue: F a t t o Con ricorso notificato in data 16 aprile 2004 il signor Adriano Malcotti, quale datore di lavoro del signor Karafil Saraci, cittadino albanese - impugnava, chiedendone l'annullamento, previa sospensiva, il decreto del Commissario del Governo per la Provincia di Trento del 29 settembre 2003 (prot. n. SP/1022/PRT/2307/2003), con il quale - a seguito del diniego di nulla osta da parte della questura di Trento, in quanto lo straniero risulta precedentemente «espulso ed accompagnato alle frontiera» atto pure oggetto di gravame) - e' stata respinta la domanda di regolarizzazione proposta dal ricorrente per il predetto lavoratore extracomunitario ai sensi del 9 settembre 2002, n. 195 (convertito con la legge 9 ottobre 2002, n. 222). A sostegno del ricorso deduceva le seguenti censure in diritto: 1) Violazione di legge: difetto di motivazione (art. 3 legge 7 agosto 1990, n. 241 e art. 97 Cost); 2) Eccesso di potere per difetto di istruttoria, insufficienza della motivazione e, comunque, irragionevolezza ed illogicita' della decisione; 3) Violazione di legge: violazione e falsa applicazione dell'art. 3 Cost. Si costituiva in giudizio l'amministrazione statale (centrale e periferica) intimata, contestando la fondatezza del ricorso e chiedendone quindi il rigetto, in una con la formulata istanza cautelare. Con ordinanza n. 40/2004 il tribunale - considerato di dover sottoporre alla Corte costituzionale la questione di legittimita' costituzionale, prospettata della difesa del ricorrente, dell'art. 1, ottavo comma lettera a), del d.l. 9 settembre 2002, n. 195 convertito con la legge 9 ottobre 2002, n. 222), come da separata ordinanza - accoglieva la domanda incidentale di sospensione temporaneamente e cioe' fino all'esito del giudizio di costituzionalita'. D i r i t t o 1. - Va, anzitutto, precisato che l'impugnato decreto commissariale costituisce la rigorosa applicazione del disposto del citato art. 1, ottavo comma lett. a), del d.l. n. 195 del 2002, convertito nella legge n. 222 del 2002 (Disposizioni urgenti in materia di legalizzazione del lavoro irregolare di extracomunitari), che esclude la possibilita' di regolarizzare la posizione del lavoratore extracomunitario quando esso sia stato colpito da un provvedimento di espulsione con successivo accompagnamento alla frontiera: situazione che ricorre appunto nel caso di specie. Ne consegue che la decisione del ricorso - sia nella fase cautelare (in via definitiva), sia nel merito - dipende esclusivamente dalla valutazione in ordine alla possibile incostituzionalita' della suddetta norma: di qui la rilevanza processuale della questione di legittimita' costituzionale della norma medesima. Ritiene, in proposito, il collegio che detta questione non sia manifestamente infondata, con riferimento agli artt. 3, primo comma, e 35, Cost., nei termini appresso indicati. 2. - Statuisce, in concreto, l'art. 1, ottavo comma lett. a) del n. 195 del 2002 (nel testo sostituito dalla legge di conversione) che le disposizioni sulla legalizzazione del rapporto di lavoro non si applicano ai lavoratori extracomunitari «nei confronti dei quali sia stato emesso un provvedimento di espulsione per motivi diversi dal mancato rinnovo del permesso di soggiorno, salvo che sussistano le condizioni per la revoca del provvedimento in presenza di circostanze obiettive riguardanti l'inserimento sociale»; revoca che «non puo' essere in ogni caso disposta» non solo nelle ovvie e giustificate ipotesi difatti a rilevanza penale, ma anche quando il lavoratore extracomunitario «risulti destinatario di un provvedimento di espulsione mediante accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica». Questa parte della riportata norma pone, ad avviso del collegio, seri dubbi di costituzionalita' sotto una duplice angolatura. A) in primo luogo essa, con riguardo alle altre ipotesi ivi segnate e con richiamo all'art. 13 del T.U. sull'immigrazione (d.lgs. n. 286 del 1998 e succ. modif.), viene ad operare un identico trattamento negativo per situazioni profondamente diverse e cioe' da un lato le espulsioni, eseguite coattivamente, per motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato o di pericolosita' sociale, e dall'altro le espulsioni, mediante accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica, per mera inerzia dell'interessato, spesso dovuta a difficolta' oggettive prive di una qualsivoglia rilevanza penale. Una siffatta scelta del legislatore, ingiustificata sul piano logico-giuridico ed inconcepibile in relazione alle intrinseche finalita' della legge, appare in contrasto con il fondamentale principio di eguaglianza di cui all'art. 3, primo comma Cost., che, imponendo appunto un eguale trattamento delle situazioni giuridiche identiche, vieta, per converso, l'adozione di una stessa disciplina per posizioni radicalmente differenziate, come quella di specie. B) In secondo luogo la norma in esame, laddove introduce il divieto di «revoca» del provvedimento di espulsione nell'ipotesi indicata (mero accompagnamento alla frontiera, senza presupposti di ordine pubblico o di pericolosita' sociale), sembra porsi in palese contrasto con il principio (precettivo e programmatico) di cui all'art. 35, primo comma, Cost. secondo cui «la Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni». Non v'e', infatti, dubbio che la regolarizzazione del rapporto di lavoro del cittadino extracomunitario concorre in maniera determinante a quell'«inserimento sociale» di cui parla la norma, rappresentando nel contempo la condizione per la «revoca» del provvedimento di espulsione. Una scelta restrittiva sul punto non e' certo conforme, sotto tale profilo, alla ratio della legge in parola e non risulta percio' stesso in sintonia con il richiamato canone costituzionale. 3. - Alla luce delle esposte considerazioni, il collegio ritiene non manifestamente infonda la questione di legittimita' costituzionale, in parte qua, dell'art. 1, ottavo comma lett. a) del d.l. 9 settembre 2002, n. 195 (convertito con la legge 9 ottobre 2002, n. 222), innegabile essendo, d'altra parte, la sua rilevanza ai fini della decisione, in via cautelare (definitiva) e nel merito, del ricorso in epigrafe.