IL MAGISTRATO DI SORVEGLIANZA Nel procedimento relativo al differimento provvisorio dell'esecuzione della pena ex art. 684 del codice di procedura penale nei confronti di M. I., nato a Corleto Monforte (Salerno) il giorno 8 gennaio 1956, detenuto nella Casa di Reclusione N.C. San Michele di Alessandria, difeso dall'avv. Flavio Campagna del foro di Torino di fiducia, in relazione alla pena di cui al provvedimento di cumulo proc. rep. contro Tribunale di Torino in data 22 gennaio 2004. O s s e r v a I. M. ha avanzato a questo magistrato di sorveglianza istanza di applicazione provvisoria della detenzione domiciliare ai sensi del combinato disposto dagli articoli 47-ter, commi 1-ter e 1-quater della legge n. 354/1975, come introdotti dalla legge n. 165/1998. In effetti, dalle acquisizioni istruttorie in atti risulta quanto segue. Sul piano giuridico, egli e' condannato definitivo con pena residua superiore a quattro anni.. Sul piano sanitario, egli risulta sieropositivo dal 1989, con alterazione della funzionalita' epatica e biliare, affetto da epatite C, neorotoxoplasmosi, con reliquati neorologici che determinano difficolta' nell'articolazione della parola e dei movimenti, in condizioni di salute non adeguati trattabili in istituto penitenziario.. Egli tuttavia non risulta nelle condizioni descritte dall'art. 146 del codice penale (grave deficienza immunitaria o AIDS conclamato accertate ai sensi dell'art. 286-bis del codice di procedura penale, ne' e' in fase cosi' avanzata da non rispondere piu' ai trattamenti disponibili o alle terapie curative).. Egli, a causa di tale quadro, si trova invece nella condizione di cui al numero 2 dell'art. 147 del codice penale (persona in condizioni di grave infermita' fisica). Egli, in particolare, si trova, dal punto di vista sanitario, nella condizione che ha individuato la Corte di cassazione nella applicazione della medesima disposizione (non e' sufficiente che una o piu' infermita' fisiche menomino in maniera piu' o meno rilevante la salute del soggetto e siano suscettibili di generico miglioramento in caso di ritorno alla liberta', ma e' necessario che le patologie siano suscettibili di generico miglioramento in caso di ritorno alla liberta', ma e' necessario che le patologie siano di tale gravita' da far apparire l'espiazione della pena in contrasto con il senso di umanita' cui si ispira la norma dell'art. 27, secondo comma, Cost.; occorre cioe' che la malattia sia di tale gravita' da escludere - in quanto preponderante sugli altri aspetti della vita intramuraria, globalmente considerata, del detenuto la sua capacita' di avvertire l'effetto rieducativo del trattamento penitenziario» Cass. sez. I, 15 ottobre 1996, in Ced. Cass., rv. 206329). Egli tuttavia non soddisfa la condizione di cui all'art. 147, ultimo comma del codice penale (esclusione del concreto pericolo di commissione di delitti). Ha commesso infatti numerosi delitti di particolare gravita' e, situazione decisiva, e' gravemente recidivo dopo benefici penitenziari e inflizione di misure di sicurezza, di tal che la pura e semplice remissione in liberta' costituisce fattore di rischio per l'interessato e la collettivita'. Piu' precisamente, poiche' tale pericolo di recidiva e' una situazione di fatto, da accertare in concreto, esso e' una variabile che dipende dal regime sanzionatorio. Alla luce di tale valutazione, sia pure effettuata nella presente sede cautelare, egli e' portatore di pericolosita' sociale incompatibile con la mera scarcerazione, ma compatibile con il collocamento in un regime restrittivo e controllato quale quello inerente la detenzione domiciliare, con i relativi controlli, supporti e regime sanzionatorio e deterrente, ivi compresa la possibilita' di immediato arresto per evasione. Sussiste, inoltre, il periculum in mora, attese le condizioni compromesse di salute e il cospicuo tempo di attesa necessario per la trattazione davanti al tribunale di sorveglianza, poiche' l'udienza piu' prossima fissata in conformita' all'art. 70, della legge n. 354/1975 non e' prima del 12 maggio 2004. L'istanza dell'interessato e', in definitiva, assai ben fondata in punto di fatto. Essa pero' non puo' essere accolta poiche' vi osta l'art. 47-ter, comma 1-quater. Questa disposizione consente l'applicazione provvisoria della detenzione nei soli casi di cui ai commi 1 e 1-bis, escludendo il caso, che qui ricorre, dell'art. 1-ter. Cio' risulta in modo inequivocabile dalla disposizione dello stesso art. 1-quater, introdotto contestualmente al comma 1-ter (circostanza ugualmente decisiva). Non e' possibile, in definitiva, alcun altro significato per l'omesso richiamo di tale ultima disposizione, se non la chiara volonta' legislativa di escludere tale ipotesi dalla possibilita' di applicazione provvisoria. Tale e' del resto la costante applicazione concreta della norma nella quotidiana pratica giurisprudenziale. A sommesso avviso di questo magistrato di sorveglianza non e' manifestamente infondato il dubbio che questo assetto normativo, rilevante nel presente procedimento come emerge da quanto sopra, sia in contrasto con gli articoli 3, 27 e 32 della Costituzione. In primo luogo, per il fatto che esso impedisce, irragionevolmente, di adottare in via urgente l'unica misura, terapeutica e sanzionatoria, adeguata a tutelare il diritto a una pena umana, il diritto alla salute e il valore costituzionale rilevante (e anch'esso immanente alla pena) della sicurezza dei cittadini. In proposito, e' sufficiente sottolineare la efficacia umanitaria, rieducativa e preventiva di una misura contenitiva come la detenzione presso un luogo di privata dimora o cura. Ne' puo' essere trascurato il dato criminologo della riconosciuta efficacia deterrente di prescrizioni, controlli e immediate sanzioni che possono conseguire alla detenzione domiciliare (per tacere della possibile attuazione di meccanismi di controllo elettronico del rispetto delle prescrizioni). In secondo luogo perche' irragionevolmente equipara situazioni diverse quanto ai valori costituzionali in gioco, con violazione dell'art. 3 Cost., in correlazione con gli articoli 27 e 32 Cost. Per rimanere alla fattispecie oggetto dell'odierno esame, equipara un condannato portatore di pericolosita' compatibile con la detenzione domiciliare a un detenuto al quale tale misura non potrebbe essere concessa (neanche in sede definitiva), a causa di una pericolosita' del tutto incompatibile con forme trattamentali esterne. In terzo luogo (e si tratta di profili di dubbia legittimita' della disposizione non direttamente rilevanti nella situazione di fatto presente ma concernenti identici profili), perche', nel caso di persona nei cui confronti ricorrano le condizioni, piu' gravi, dell'art. 146 del codice penale, equipara, nella fase provvisoria, il condannato socialmente pericoloso a quello non socialmente pericoloso, impedendo l'applicazione al primo dell'unica misura idonea della detenzione domiciliare, stringendo tra le due alternative ugualmente costituzionalmente dubbie della scarcerazione tout court o del mantenimento della carcerazione. La prima priva il condannato di supporti necessari alla sua rieducazione e la collettivita' di tutela contro le aggressioni (tutela che la detenzione domiciliare garantirebbe). La seconda lederebbe la salute del condannato e principi di evidente umanita'. Questa irragionevole alternativa, in fatto, ricorre nella specie odierna. Tali profili della disciplina, a modestissimo avviso di questo giudice, non appaiono espressione di discrezionalita' legislativa ma: a) irragionevolmente e ingiustificata compressione dei valori costituzionali predetti; b) irragionevole equiparazione di situazioni differenti, se valutate alla luce dei valori medesimi. Ne' potrebbe giustificarsi, per completezza, tale assetto, sulla base di una ipotetica necessita', valutata dal legislatore, di intervento del giudice collegiale (di cui fanno parte componenti esperti) per le fattispecie di cui al comma 1-ter e art. 47-ter della legge n. 354/1975, concernenti le pene piu' elevate (e la correlata maggiore pericolosita), per l'ovvio motivo che provvedimenti che determinano la scarcerazione di soggetti, anche autori di gravissimi delitti e per pene della stessa durata, e' possibile in via monocratica (ad esempio, per effetto del combinato disposto dall'art. 146 del codice penale e 684 del codice di procedura penale). In tali casi, in modo esattamente opposto a quello che questa ipotetica ratio comporterebbe, e' riservata al giudice monocratico l'adozione in via urgente del provvedimento di liberazione tout court (e irragionevolmente preclusa l'applicazione provvisoria della detenzione domiciliare). Ne consegue che la questione di legittimita' costituzionale del comma 1-quater e dell'art. 47-ter, della legge n. 354/1975, nella parte in cui non consente l'applicazione provvisoria della detenzione domiciliare al caso di condannato con pena residua superiore ai quattro anni e' rilevante nel presente giudizio e non manifestamente infondata. Il procedimento deve pertanto sospendersi e gli atti essere inviati alla Corte costituzionale.