ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel  giudizio  per  conflitto  di attribuzione tra poteri dello Stato
sorto  a  seguito  della  delibera  della  Camera dei deputati del 18
giugno 1998  relativa  alla  insindacabilita' delle opinioni espresse
dal deputato Vittorio Sgarbi nei confronti del dott. Gherardo Colombo
e della dott.ssa Ilda Boccassini, promosso con ricorso della Corte di
appello  di  Brescia,  notificato  il  29 gennaio 2003, depositato in
cancelleria  il  3 marzo  2003  ed  iscritto  al  n. 5  del  registro
conflitti 2003.
    Visto l'atto di costituzione della Camera dei deputati;
    Udito   nell'udienza  pubblica  del  25 maggio  2004  il  giudice
relatore Piero Alberto Capotosti;
    Udito l'avvocato Massimo Luciani per la Camera dei deputati.
    Ritenuto  che  la  Corte  d'appello  di  Brescia, nel corso di un
procedimento  penale  a  carico  del  deputato  Vittorio  Sgarbi  per
diffamazione   aggravata   in   danno  di  Gherardo  Colombo  e  Ilda
Boccassini, magistrati in servizio presso la Procura della Repubblica
di  Milano  con  funzioni di sostituto procuratore, ha sollevato, con
atto  depositato  presso la cancelleria della Corte il 15 marzo 2002,
conflitto  di  attribuzione tra poteri dello Stato, in relazione alla
delibera  adottata  dalla Camera dei deputati in data 18 giugno 1998,
con  la quale e' stato dichiarato che i fatti per i quali e' in corso
il  procedimento  penale  concernono opinioni espresse nell'esercizio
delle  funzioni parlamentari a norma dell'art. 68, primo comma, della
Costituzione;
        che,  secondo  la  predetta  Corte,  tali  dichiarazioni  non
sarebbero   «ricollegabili   all'esercizio   delle  funzioni  proprie
dell'espletamento del mandato parlamentare, in quanto pronunciate, al
di  fuori  di un dibattito o di un comizio politico, nel corso di una
trasmissione televisiva gestita in forza di contratto privatistico» e
senza  che  sia  riscontrabile una connessione «con atti tipici delle
funzioni    parlamentari    (proposte   di   legge,   interrogazioni,
interpellanze,  ecc.)  precedentemente  o contestualmente provenienti
dallo   stesso   o   da   altri  membri  del  Parlamento  o  di  sedi
istituzionali» concernenti la vicenda oggetto delle medesime;
        che  pertanto  la  Corte d'appello di Brescia ha sollevato il
conflitto  «in  ordine  al  corretto uso del potere di decidere sulla
sussistenza  dei  presupposti  di  applicabilita' dell'art. 68, primo
comma, Cost.» da parte della Camera dei deputati;
        che  il  conflitto  e' stato dichiarato ammissibile da questa
Corte,   in  sede  di  prima  delibazione,  con  ordinanza  n. 5  del
15 gennaio 2003;
        che l'ordinanza, ed il ricorso, a cura della ricorrente, sono
stati  notificati  alla  Camera  dei  deputati,  in  persona  del suo
Presidente  in  data  29 gennaio  2003, e che il ricorso e' stato poi
depositato nella cancelleria della Corte in data 3 marzo 2003;
        che  nella  relativa  nota  di  trasmissione, del 28 febbraio
2003,  la  Corte  d'appello  di Brescia ha fatto presente che solo il
giorno  precedente  era  pervenuta  a  quell'ufficio  da  parte degli
ufficiali  giudiziari  di  Roma la relata di notifica alla Camera dei
deputati del ricorso e della ordinanza della Corte;
        che  nel  giudizio  si  e' costituita la Camera dei deputati,
chiedendo  che  il conflitto sia dichiarato inammissibile o, in linea
gradata,  irricevibile,  ovvero,  in  via  ancora  piu'  subordinata,
infondato;
        che, in linea preliminare, la resistente deduce che, nel caso
in  esame, l'atto con il quale e' stato sollevato il conflitto, al di
la'  della  sua autoqualificazione come ricorso, non possiederebbe il
contenuto  minimo  di  tale  atto,  non  comprendendo  uno  specifico
petitum,  e  non richiedendo l'annullamento della deliberazione della
Camera;  e che inoltre esso non conterrebbe la menzione dei parametri
costituzionali   in  cui  si  radicherebbero  le  attribuzioni  della
ricorrente in materia;
        che,  nel  merito, viene dedotta la infondatezza del ricorso,
rilevandosi  che  le dichiarazioni per cui si procede costituirebbero
mero   svolgimento   e   divulgazione   delle   ripetute   iniziative
dell'imputato,  che,  attraverso  interrogazioni ed interventi, aveva
sollevato  il  problema  dell'abuso  della  custodia cautelare, come,
insieme   ad   altri   colleghi,   quello   della   natura   politica
dell'attivita'  svolta dai magistrati offesi. In definitiva, conclude
la  Camera  dei  deputati,  le  dichiarazioni contestate all'imputato
hanno solo divulgato all'esterno il contenuto di atti parlamentari;
        che nell'imminenza della data fissata per l'udienza pubblica,
la  Camera dei deputati ha depositato una memoria nella quale insiste
nelle  conclusioni  rassegnate, aggiungendo un preliminare profilo di
improcedibilita'  del  ricorso, dovuta al deposito dello stesso oltre
il  termine di cui all'art. 26, terzo comma, delle norme integrative,
termine  da  ritenersi,  secondo  la difesa della Camera, perentorio,
alla luce della stessa giurisprudenza costituzionale;
        che,  nell'udienza  pubblica,  la  difesa  della  Camera  dei
deputati ha ribadito le medesime conclusioni.
    Considerato  che  l'eccezione di inammissibilita' del ricorso per
la  carenza  dei  requisiti  formali  deve essere respinta, giacche',
secondo  la  costante  giurisprudenza di questa Corte, e' sufficiente
che  l'atto di promovimento del conflitto abbia i requisiti minimi di
cui  all'art. 26  delle  norme integrative per i giudizi davanti alla
Corte  costituzionale (v. sentenze n. 10 e n. 11 del 2000 e ordinanza
n. 23  del 2003) e che deduca almeno la violazione dell'art. 68 della
Costituzione,  «norma  destinata  a definire e limitare le rispettive
sfere della prerogativa parlamentare e della giurisdizione» (sentenza
n. 509 del 2002);
        che,  quanto  all'eccezione  di improcedibilita', va rilevato
che  il  ricorso, notificato alla Camera dei deputati, in persona del
suo  Presidente  in  data 29 gennaio 2003, e' pervenuto a mezzo posta
nella  cancelleria  della  Corte  in  data  3 marzo 2003, vale a dire
successivamente  alla  scadenza  del  termine  di  venti giorni dalla
notifica,   stabilito   dall'art. 26,   terzo   comma,   delle  norme
integrative;
        che   questa  Corte  ha  ripetutamente  affermato  la  natura
perentoria  di  detto  termine  (v., ex plurimis, sentenze n. 449 del
1997, n. 203 del 1999, n. 111 del 2003, n. 247 del 2004);
        che nella specie nessun rilievo puo' avere la circostanza che
il  ricorso  sia stato restituito alla Corte d'appello richiedente la
notifica  in  un  momento  in cui il termine per il deposito era gia'
decorso;
        che  infatti, mentre l'ufficiale giudiziario incaricato della
notifica  e'  tenuto  ad  eseguirla senza indugio e comunque entro il
termine  fissato  dall'autorita'  per  gli  atti  da  essa  richiesti
(art. 108,  secondo  e  terzo  comma,  del  d.P.R.  15 dicembre 1959,
n. 1229),  nessuna  norma  invece  impone  all'ufficiale  giudiziario
l'obbligo di restituire gli atti al richiedente nel domicilio o nella
sede  di  questo,  essendo onere del notificante attivarsi perche' il
procedimento  di  notificazione si concluda con il ritorno degli atti
nella sua disponibilita' nel tempo utile per il rituale proseguimento
del processo (cfr. sentenza n. 247 del 2004);
        che  nemmeno  ha  influenza,  ai fini della tempestivita' del
deposito,  che  il conflitto sia promosso dall'autorita' giudiziaria,
in  quanto  le  difficolta' che questa puo' incontrare nel seguire il
processo  con  la  propria organizzazione «non possono indurre a dare
alle  norme  sul  deposito,  in sede di conflitto di attribuzione, un
contenuto diverso a seconda che a proporre il conflitto sia il potere
giudiziario  o  un  altro  potere  dello  Stato» (sentenza n. 247 del
2004);
        che    pertanto    il   giudizio   deve   essere   dichiarato
improcedibile.