ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nei  giudizi  di  legittimita' costituzionale dell'art. 4 della legge
della  Regione  Emilia-Romagna 23 aprile  1987,  n. 16  (Disposizioni
integrative  della  legge regionale 2 agosto 1984, n. 42 «Nuove norme
in materia di enti di bonifica - Delega di funzioni amministrative»),
promossi   con   8   ordinanze   dell'11  giugno 2003  dal  Tribunale
amministrativo    regionale    dell'Emilia-Romagna,   rispettivamente
iscritte ai nn. da 613 a 620 del registro ordinanze 2003 e pubblicate
nella  Gazzetta  Ufficiale della Repubblica n. 35, 1° serie speciale,
dell'anno 2003.
    Visti  gli  atti di costituzione del Consorzio irriguo del Canale
di  Felino  ed  altro,  della Societa' del Canale di Torrechiara e S.
Michele  in Tiorre ed altro, della Societa' della Canaletta de' Rossi
ed  altro,  della Societa' del Canale comune di Parma, della Societa'
degli  Utenti  delle  acque  del Canale Naviglio Taro e della Regione
Emilia-Romagna;
    Udito   nell'udienza   pubblica  dell'8  giugno 2004  il  giudice
relatore Valerio Onida;
    Uditi  gli  avvocati  Franco  Bassi  per il Consorzio irriguo del
Canale  di Felino ed altro, per la Societa' del Canale di Torrechiara
e S. Michele in Tiorre ed altro e per la Societa' della Canaletta de'
Rossi  ed  altro, Arrigo Allegri per la Societa' del Canale comune di
Parma, Francesco Soncini per la Societa' degli Utenti delle acque del
Canale  Naviglio  Taro,  Giandomenico  Falcon  e  Luigi  Manzi per la
Regione Emilia-Romagna.

                          Ritenuto in fatto

    1.   -  Con  otto  ordinanze  di  identico  tenore,  emesse  l'11
giugno 2003  (reg.  ord.  nn.  da  613 a 620 del 2003), e pervenute a
questa  Corte il 15 luglio 2003, pronunciate nel corso di altrettanti
giudizi   promossi  da  consorzi  irrigui  per  l'annullamento  delle
delibere  regionali  di  soppressione dei consorzi irrigui stessi, il
Tribunale  amministrativo regionale dell'Emilia-Romagna ha sollevato,
in  riferimento agli artt. 117 (vecchio testo), 2, 3, 18, 41, 42 e 43
della   Costituzione,   questione   di   legittimita'  costituzionale
dell'art. 4  della legge della Regione Emilia-Romagna 23 aprile 1987,
n. 16  (Disposizioni integrative della legge regionale 2 agosto 1984,
n. 42  «Nuove  norme  in  materia  di  enti  di  bonifica - Delega di
funzioni amministrative»).
    Le  delibere regionali, emesse sulla base dell'art. 4 della legge
regionale  citata, con le quali il Consiglio regionale sopprimeva gli
organismi  ricorrenti,  stabilendo  altresi'  che  il Consorzio della
Bonifica  Parmense  subentrasse  ad essi nell'esercizio dei compiti e
delle  funzioni  nonche'  nei  rapporti  giuridici  in atto, venivano
impugnate  con  due  ordini  di censure, il primo dei quali involgeva
l'estraneita'  delle societa' ricorrenti alla previsione soppressiva,
mentre  il  secondo  aveva ad oggetto l'illegittimita' costituzionale
della stessa, se ritenuta applicabile alla fattispecie.
    Il  giudice  amministrativo  sollevava  questione di legittimita'
costituzionale  della  disposizione  in  riferimento,  tra  gli altri
parametri,  all'art. 117  della Costituzione nel testo allora (aprile
2000) vigente. Questa Corte, con l'ordinanza n. 13 del 2002, rilevato
che  successivamente  all'emanazione dell'ordinanza di rimessione era
entrata  in  vigore  la  legge  costituzionale  18 ottobre 2001, n. 3
(Modifiche  al  titolo V della parte seconda della Costituzione), che
ha   sostituito  l'intero  testo  dell'art. 117  della  Costituzione,
restituiva  gli  atti  al  remittente  per un nuovo esame dei termini
della questione.
    Riassunti   gli   atti,  le  societa'  ricorrenti  eccepivano  la
persistente   illegittimita'  costituzionale  della  disposizione  in
riferimento  all'art. 117  (nuovo  testo)  della Costituzione, per la
violazione  dei  limiti  alla  potesta' legislativa concorrente della
Regione  in  materia  di  «governo  del territorio», della competenza
esclusiva  dello  Stato  nella  materia  dell'«ordinamento civile», e
all'art. 118  (nuovo  testo)  della  Costituzione,  mentre la Regione
resistente  deduceva  essere  ricompresa  la bonifica integrale nella
materia  «agricoltura  e  foreste»,  non  piu'  inclusa fra quelle di
competenza concorrente.
    Il  giudice  a  quo  espone  che,  a  fondamento  della  disposta
soppressione,   il   Consiglio   regionale   ha   posto  le  seguenti
circostanze:  la  societa' risulta strutturata come ente ad autonomia
piena  con  compiti  irrigui,  in  analogia con l'attivita' svolta di
norma  dai  consorzi  di  bonifica; le suddette funzioni sono oggi di
competenza   dei   consorzi   di  bonifica,  essendo  intervenuta  la
classificazione  di  bonifica  dell'intero territorio in cui opera il
citato  consorzio; la societa' opera in base all'atto costitutivo dal
quale  si  evince  che  l'ente  si  configura di fatto come consorzio
irriguo.
    Espone  ancora  il  rimettente  di aver rigettato con sentenza le
censure   delle  ricorrenti  discendenti  dalla  loro  prospettazione
principale,  secondo  la  quale, non avendo esse veste pubblicistica,
ne'  essendo  consorzi  irrigui  di  natura amministrativa, sarebbero
state  erroneamente  assoggettate  alla  previsione  di  soppressione
dell'art. 4 della legge regionale n. 16 del 1987.
    Osserva infatti il giudice amministrativo che, con la legge n. 16
del   1987,   la  Regione  Emilia-Romagna,  al  dichiarato  fine  «di
conseguire  il  necessario  coordinamento degli interventi pubblici e
privati»,  ha  sottoposto  a  regime  di bonifica l'intero territorio
regionale;  ha  previsto  l'istituzione,  per ogni ambito, di un solo
consorzio  di bonifica destinato a succedere in tutti i diritti e gli
obblighi  ai  preesistenti consorzi ricadenti in tutto o in parte nel
comprensorio;  nell'ambito  di  tale  riorganizzazione,  con la norma
denunciata  ha  soppresso,  per  farle  confluire nei nuovi consorzi,
tutte  le  preesistenti  forme  di  gestione,  comprendendo  in esse,
ritiene  il  remittente, anche le gestioni di natura privata titolari
di concessione statale di grande derivazione di acque.
    La  rilevanza  della questione starebbe nel fatto che, essendo la
norma  impugnata il presupposto esclusivo e diretto del provvedimento
impugnato,  l'accoglimento  della  questione  implicherebbe, per cio'
solo, l'accoglimento dei ricorsi proposti.
    Quanto alla non manifesta infondatezza, precisa il remittente che
gli  enti soppressi hanno tutti natura privatistica: essi, costituiti
in  epoca  remota,  non  sono  mai  stati  oggetto  di riconoscimento
pubblico,  ne'  con  le  modalita' previste per le persone giuridiche
private  dal  codice  civile  vigente,  ne'  con  quelle  di cui agli
artt. 862  e  863  del  codice  civile che disciplinano i consorzi di
bonifica  e  quelli  di  miglioramento fondiario. Il finanziamento di
tali  enti  e' interamente privato e non e' previsto alcun intervento
pubblico  nelle  varie  fasi attinenti alla costituzione, alla nomina
degli organi e al funzionamento. La stessa Regione, nei provvedimenti
impugnati,   qualifica   i   soggetti  soppressi  come  enti  che  si
configurano  di fatto come consorzi irrigui. La circostanza, poi, che
sia in dubbio anche la qualificazione delle societa' ricorrenti quali
consorzi  volontari  ai  sensi  dell'art. 918  del  codice civile non
porterebbe argomenti a favore della tesi secondo la quale le societa'
ricorrenti  potrebbero  essere  assimilate ad un organismo di diritto
pubblico,  ma  confermerebbe  solo la difficolta' di classificarle in
una  delle  figure  tipiche  disciplinate  dal  codice  civile,  e la
conseguente  necessita'  di  inquadrare le stesse fra le associazioni
non riconosciute.
    Quanto  ai dubbi di costituzionalita' riferiti all'art. 117 della
Costituzione,   il   giudice  a  quo  ritiene  che  il  parametro  di
riferimento   resti  il  riparto  di  competenze  fissato  dal  testo
originario,   perche'   «il   giudizio   instaurato   e'   di  natura
impugnatoria,   e   tende   all'annullamento   di   un  provvedimento
autoritativo  la  cui  legittimita'  va  valutata  alla  stregua  del
principio  tempus  regit actum», e perche' «l'interesse al ricorso va
valutato   con   riferimento  esclusivo  all'eliminazione  di  `quel'
provvedimento  ed  al  ripristino  della situazione giuridica ad esso
precedente, ed in tali termini tuttora persiste».
    Cio'  premesso,  osserva  che  l'art. 4 della legge della Regione
Emilia-Romagna,  prevedendo  l'esercizio  del  potere di soppressione
indistintamente  nei  confronti  di tutti i soggetti, anche di natura
privata, che operano nel settore della bonifica, con il trasferimento
ai  nuovi  consorzi  di  bonifica delle funzioni e dei rapporti delle
gestioni  soppresse  e,  quindi,  in sostanza, di tutto il patrimonio
dell'organismo  soppresso,  violerebbe,  anzitutto,  l'art. 117 della
Costituzione,  in  quanto  la  potesta'  legislativa  regionale nella
materia  della  bonifica,  di  natura  concorrente, va esercitata nei
limiti derivanti dai principi fondamentali della legislazione statale
nella  materia  stessa.  Come  questa  Corte  ha  riconosciuto  nella
sentenza  n. 326 del 1998, la potesta' legislativa regionale non puo'
spingersi  fino all'eliminazione della figura giuridica del consorzio
di  bonifica,  stante  la  combinazione  che in esso peculiarmente si
realizza  fra  pubblico  e  privato  per  effetto  della legislazione
nazionale.  Nella  specie,  la  Regione  poteva  si' riorganizzare le
funzioni di bonifica e, con esse, quelle dei consorzi di bonifica, ma
non  sopprimere ogni organismo di gestione ad esso non riconducibile,
ed  in  particolare  associazioni  o  soggetti  di carattere privato.
Tenuto  conto  della  natura  concorrente  della potesta' legislativa
regionale,   solo   il  legislatore  statale  potrebbe  stabilire  il
principio  secondo cui l'attivita' di bonifica, anche per gli aspetti
gestionali,  deve  essere  riservata  esclusivamente  ai  consorzi di
bonifica,   e  quindi  prevedere  la  soppressione  di  ogni  diversa
gestione.
    La  violazione  dell'art. 117  della  Costituzione,  prosegue  il
remittente,  sussisterebbe anche con riferimento al cosiddetto limite
del  diritto  privato,  comportante  l'inderogabilita',  da parte del
legislatore  regionale,  delle  norme  dettate  dal codice civile per
regolare  l'autonomia  negoziale  privata:  nella  specie,  la  norma
impugnata  sarebbe  precisamente  diretta a sopprimere un soggetto di
diritto privato, qualificabile come associazione non riconosciuta, in
contrasto   con  il  suo  statuto  ed  in  violazione  dell'autonomia
negoziale riconosciuta dagli artt. 36 e seguenti cod. civ.
    L'art. 4  della  legge  della  Regione  Emilia-Romagna violerebbe
anche   gli  artt. 2  e  18  della  Costituzione  in  relazione  alla
soppressione di associazioni liberamente costituite; gli artt. 41 (in
relazione  alla  compressione  della liberta' di iniziativa economica
privata), 42 e 43 della Costituzione, attesa la mancata previsione di
un indennizzo a fronte della devoluzione del patrimonio degli enti da
sopprimere   ai   consorzi   di   bonifica   istituiti  per  l'ambito
territoriale di riferimento.
    2. - Si sono costituite nei giudizi davanti a questa Corte alcune
delle associazioni ricorrenti nei procedimenti a quibus: il Consorzio
irriguo  del Canale di Felino (r.o. n. 613 del 2003), la Societa' del
Canale comune di Parma (r.o. n. 615 del 2003), la Societa' del Canale
di  Torrechiara  e  S.  Michele  di Tiorre (r.o. n. 616 del 2003), la
Societa'  della  Canaletta  de'  Rossi  (r.o.  n. 617  del  2003), la
Societa'  degli  Utenti  delle  acque  del Canale Naviglio Taro (r.o.
n. 618  del  2003),  chiedendo  che  le  questioni  siano  dichiarate
fondate.
    3.  - In ciascuno degli otto giudizi si e' altresi' costituita la
Regione  Emilia-Romagna,  chiedendo  che  la questione sia dichiarata
inammissibile  o  infondata  e  riservandosi di esporne le ragioni in
separata memoria.
    4.  - Ha depositato memoria la Regione Emilia-Romagna, resistente
nei  giudizi  a  quibus,  che  eccepisce anzitutto l'inammissibilita'
della  questione  per  avere  il  Tribunale  amministrativo regionale
remittente  fatto  applicazione  della  norma impugnata, «definendone
irrevocabilmente  l'interpretazione»,  con la reiezione, disposta con
sentenza,  di  uno  dei motivi di impugnazione (tendente ad accertare
l'inapplicabilita'  ai  consorzi irrigui ricorrenti dell'art. 4 della
legge  regionale  n. 16 del 1987, perche', in tesi, riferito ad altri
tipi  di enti). Cio' in quanto, dando una certa interpretazione della
disposizione,  e  cosi' applicandola, avrebbe vincolato questa Corte,
predeterminando  l'esito  dell'operazione  di derivazione delle norme
dalle  disposizioni  (vengono  richiamate  in  proposito le ordinanze
n. 67  del  1998  e  n. 346  del  2001).  Sarebbe,  conseguentemente,
ravvisabile  anche un difetto di rilevanza in relazione alla parte di
controversia  gia'  decisa,  non  scindibile dal resto. Infine, viene
eccepito  il  difetto  di motivazione sulla perdurante rilevanza, per
avere  il  remittente,  senza  motivare  in modo esauriente, ritenuto
applicabile  l'art. 117 della Costituzione nel vecchio testo, dopo la
restituzione degli atti disposta dalla Corte.
    In  subordine, nel merito, la Regione conclude per l'infondatezza
della  questione,  osservando  in  particolare,  tra  l'altro, quanto
all'asserita  violazione  dell'art. 117  della  Costituzione, che non
sarebbe  stato  indicato  il  principio  fondamentale  violato; e che
l'opera di concentrazione nei consorzi di bonifica - che ne valorizza
il  ruolo  ed  il  carattere  misto  pubblico-privato  -  di tutte le
funzioni ed attivita' svolte nel settore, anche dai privati, privando
dei  compiti  irrigui  altre  organizzazioni,  troverebbe sostegno in
quanto affermato dalla sentenza n. 326 del 1998.
    Quanto  alla  violazione  del limite del diritto privato, osserva
che  la  scomparsa  dell'ente  e' la mera conseguenza della scomparsa
delle  sue  uniche  funzioni,  concentrate  nei consorzi di bonifica,
nell'ambito  di  un profondo riordinamento organizzativo del sistema,
riguardante  anche  attivita'  svolte da soggetti privati, ma solo in
quanto  si  tratti  di  funzioni  di  interesse  generale, di rilievo
pubblico, non di funzioni proprie dell'autonomia privata.
    In  proposito  ricorda, tra l'altro, che alla stregua dell'art. 1
della  legge  5 gennaio  1994, n. 36 - attuata dal d.P.R. 18 febbraio
1999,  n. 238  (artt. 1  e  2) - «tutte le acque ... sono pubbliche e
costituiscono  una risorsa che e' salvaguardata ed utilizzata secondo
criteri  di solidarieta», e che la gestione del demanio idrico spetta
alle  Regioni  ed  agli enti locali. Tali norme, costituenti principi
fondamentali  ai  sensi  dell'art. 117  della Costituzione, avrebbero
universalizzato  il  rilievo  pubblicistico delle funzioni svolte dai
privati  in  materia  di bonifiche, sicche' tutti i consorzi operanti
nell'ambito  delle acque, anche relativamente «minori», non avrebbero
«alcun  titolo  di detenzione e trattamento di tali acque che non sia
esattamente   l'appartenenza   al   sistema   pubblico/privato  delle
bonifiche».
    5.  -  Nel  giudizio  introdotto  con  r.o.  n. 615  del 2003, in
prossimita' dell'udienza ha depositato memoria la Societa' del Canale
comune di Parma, concludendo per la fondatezza della questione.
    La  parte  privata, che fa, tra l'altro, presente - anche ai fini
dei   limiti   che   l'efficacia   ex   tunc   della   pronuncia   di
incostituzionalita'  potrebbe  incontrare  negli effetti che la norma
abbia  irrevocabilmente  prodotto - che un provvedimento cautelare ha
sospeso  la  soppressione dell'ente ed il passaggio di proprieta' dei
beni,   anzitutto   contesta  la  inammissibilita'  della  questione,
eccepita  dalla  Regione  resistente,  per  avere  il  giudice  a quo
rigettato  con  sentenza uno dei due motivi di gravame - basato sulla
applicabilita'  della  norma  denunciata  ai soli consorzi di diritto
amministrativo  e  non  anche  a quelli, come la ricorrente, privi di
veste  pubblicistica  -,  applicando  cosi'  la  norma poi impugnata.
Respingendo  il  primo  motivo,  infatti, il Tribunale amministrativo
regionale  si sarebbe limitato a dare della norma una interpretazione
letterale e sistematica.
    Ricorda  poi  come essa Societa', costituita otto secoli fa dagli
agricoltori  per  regolare  l'uso  delle  acque derivate dal torrente
Parma,  ed il relativo riparto delle spese, abbia natura associativa,
ed abbia diritto a vedersi mantenuta in vita ai sensi degli artt. 2 e
18 della Costituzione. Essa, nell'ambito della tutela di un'attivita'
produttiva agricola, cura in particolare l'irrigazione dell'erba - di
cui  viene cosi' permessa la ricrescita ed una pluralita' di «sfalci»
-  essenziale  per l'allevamento delle mucche da latte destinato alla
produzione  del formaggio parmigianoreggiano, erba che «tipizza» tale
formaggio.   L'attivita'  di  presa  e  distribuzione  dell'acqua  e'
integralmente  finanziata dagli associati, ed e' escluso ogni costo o
contributo  pubblico.  La  sua rete strumentale ha un valore di oltre
800.000  euro, che secondo la legge il Consorzio di Bonifica di Parma
dovrebbe  prendere in carico, realizzando una espropriazione gratuita
senza  indennizzo  alcuno,  senza  evidenziate  ragioni  di  pubblica
utilita',  atteso  che  i  beni  resterebbero  destinati  ad irrigare
proprio e soltanto i fondi degli aderenti alla societa'.
    6.  -  Hanno altresi' depositato memorie di identico contenuto il
Consorzio  irriguo  del  Canale  di Felino (r.o. n. 613 del 2003), la
Societa'  del  Canale  di  Torrechiara  e  S. Michele di Tiorre (r.o.
n. 616 del 2003) e la Societa' della Canaletta de' Rossi (r.o. n. 617
del  2003),  le quali parti, insistendo nelle conclusioni rassegnate,
hanno  soprattutto  illustrato  la  violazione del limite del diritto
privato posto alla competenza legislativa regionale.
    7.  -  Ha depositato memoria la Societa' degli Utenti delle acque
del  Canale  Naviglio Taro (r.o. n. 618 del 2003), che nell'insistere
per  l'accoglimento  della  questione  ha, tra l'altro, contestato la
fondatezza dell'eccezione di inammissibilita' sollevata dalla Regione
per  avere  il  giudice amministrativo rigettato con sentenza uno dei
motivi  di  impugnazione,  facendo cosi' applicazione della norma poi
denunciata.  Osserva  in  proposito  che, a differenza del precedente
richiamato  (l'ordinanza  di questa Corte n. 346 del 2001), nel quale
il,  accogliendo  un  motivo,  aveva  annullato l'atto in forza della
legge  regionale che, poi, ultroneamente aveva impugnato, nel caso di
specie l'esame, ed il rigetto, del motivo aveva condotto ad affermare
che   l'art. 4   della   legge  regionale  n. 16  del  1987  impediva
l'annullamento  dell'atto.  E proprio in virtu' di tale constatazione
il  Tribunale  amministrativo  regionale  aveva  ritenuto rilevante e
proponibile la questione.

                       Considerato in diritto

    1.  -  Il Tribunale amministrativo regionale dell'Emilia-Romagna,
con  otto  ordinanze  di  analogo  tenore,  pronunciate  nel corso di
altrettanti  giudizi  promossi  da alcuni consorzi irrigui o societa'
qualificate come consorzi irrigui di fatto, avverso provvedimenti che
ne  disponevano  la  soppressione,  ha sollevato, in riferimento agli
articoli 2,  3, 18, 41, 42, 43 e 117 della Costituzione, questione di
legittimita'  costituzionale  dell'art. 4  della  legge della Regione
Emilia-Romagna 23 aprile  1987, n. 16 (Disposizioni integrative della
legge  regionale 2 agosto 1984, n. 42 «Nuove norme in materia di enti
di bonifica - Delega di funzioni amministrative»).
    La  disposizione impugnata prevede che «sono soppressi i consorzi
idraulici,  di  difesa,  di scolo e di irrigazione nonche' ogni altra
forma  di  gestione  non  consortile  di  opere o sistemi di scolo ed
irrigui, che ricadono nei comprensori delimitati ai sensi del secondo
comma  del  precedente  art. 3  [id est dei comprensori di bonifica]»
(comma 1).  Con  il  provvedimento  di  soppressione,  deliberato dal
Consiglio  regionale su proposta della Giunta (comma 2), il Consiglio
«definisce  la  successione  nei rapporti giuridici ed amministrativi
fra  gli  organismi soppressi e i consorzi di bonifica che subentrano
nell'esercizio dei compiti e delle funzioni» (comma 3).
    Analoga questione era stata gia' sollevata dal medesimo Tribunale
amministrativo  regionale  con  un  gruppo  di  ordinanze  emesse  il
6 aprile 2000, in riferimento agli articoli 2, 18, 42, 43 e 117 della
Costituzione.  A  seguito  della restituzione degli atti al giudice a
quo,  disposta  da questa Corte con l'ordinanza n. 13 del 2002 per un
nuovo  esame della questione, alla luce della sopraggiunta entrata in
vigore  del  nuovo testo dell'art. 117 della Costituzione, risultante
dall'art. 3  della  legge  costituzionale  18 ottobre  2001, n. 3, il
Tribunale   amministrativo   regionale  ora  ripropone  la  questione
medesima,  aggiungendo  ai  parametri  gia' in precedenza evocati gli
articoli 3  e  41  della  Costituzione,  e  ritenendo che, per quanto
riguarda   l'art. 117   della   Costituzione,   debba  farsi  tuttora
riferimento  al testo costituzionale anteriore alla riforma del 2001,
in  quanto  i  giudizi  a  quibus hanno per oggetto l'impugnazione di
provvedimenti  emanati  nel  vigore di quel testo, e tendono, in base
alla domanda dei ricorrenti, all'annullamento degli stessi.
    Secondo  il  remittente,  la norma censurata sarebbe anzitutto in
contrasto  con  i principi fondamentali della legislazione statale in
materia  di  bonifica  (che  ai sensi del vecchio testo dell'art. 117
della  Costituzione  limitavano  la  potesta'  legislativa regionale)
quali  individuati da questa Corte nella sentenza n. 326 del 1998. In
relazione  a  tali  principi,  secondo  il  remittente,  la  potesta'
regionale  di  programmazione  e  organizzazione  della  bonifica non
potrebbe  esplicarsi  sopprimendo  ogni  organismo  di  gestione  non
riconducibile   ai   consorzi  di  bonifica,  ed  in  particolare  le
associazioni  o  i  soggetti  di  carattere  privato. Al di fuori dei
procedimenti  previsti  per  la  costituzione,  anche  d'ufficio, dei
consorzi  di bonifica, il legislatore regionale non potrebbe incidere
obbligatoriamente  sugli interessi privati e riservare esclusivamente
ai  consorzi di bonifica medesimi l'attivita' di bonifica, prevedendo
la soppressione di ogni diversa gestione.
    Inoltre  sarebbe  violato  il  limite  del  diritto  privato, che
comporterebbe  l'inderogabilita', da parte del legislatore regionale,
delle norme del codice civile che regolano l'esercizio dell'autonomia
negoziale  privata,  e  dunque  il  divieto di sopprimere soggetti di
diritto  privato,  in  contrasto con il loro statuto ed in violazione
dell'autonomia negoziale.
    Infine  la  norma  censurata  contrasterebbe con gli artt. 2 e 18
della   Costituzione,  prevedendo  la  soppressione  di  associazioni
liberamente costituite; con l'art. 41 della Costituzione, comprimendo
la  liberta'  di  iniziativa economica privata; con gli artt. 42 e 43
della  Costituzione,  attesa la mancata previsione di un indennizzo a
fronte  della  devoluzione  del  patrimonio  degli  enti soppressi ai
consorzi di bonifica.
    2.  -  Non  possono  accogliersi le eccezioni di inammissibilita'
della questione avanzate dalla difesa della Regione Emilia-Romagna.
    La  circostanza che il Tribunale amministrativo regionale avesse,
con   separate   sentenze   parziali  (anteriori  alle  ordinanze  di
rimessione che hanno dato luogo alla restituzione degli atti disposta
con  l'ordinanza n. 13 del 2002), respinto un primo ordine di censure
fondate  sulla  asserita  inapplicabilita'  della norma denunciata ad
organismi  di  natura  privata come le ricorrenti non comporta che si
fosse con cio' esaurito il potere decisorio del Tribunale remittente.
In  realta' il Tribunale amministrativo regionale ha dapprima escluso
che  la  norma  abbia la portata restrittiva affermata dalla parte, e
conseguentemente  ne  e'  risultata  la  rilevanza della questione di
legittimita'   costituzionale,   con  la  quale  si  lamenta  proprio
l'incidenza della norma stessa su organismi di carattere privato. Che
poi tale procedimento logico, in se' ineccepibile, sia stato tradotto
dal  Tribunale in una sentenza parziale e in una successiva ordinanza
di  rimessione,  cosi'  «consolidando»  in  una  autonoma  pronuncia,
nell'ambito   della  stessa  controversia,  un'interpretazione  della
disposizione   impugnata   suscettibile   di   essere,   in  ipotesi,
contraddetta in sede di giudizio di costituzionalita', puo' dar luogo
a critica sul piano della tecnica del giudizio amministrativo, ma non
incide   sulla   ammissibilita'   della   questione  di  legittimita'
costituzionale.
    Parimenti non puo' essere accolta l'eccezione di inammissibilita'
che  la  Regione  avanza in relazione alla motivazione dell'ordinanza
sulla  necessita'  di  riferirsi  come  parametro al testo originario
dell'art. 117  della  Costituzione. Il problema della correttezza del
parametro  applicabile,  se  puo', astrattamente, incidere sul merito
della   questione,   non   ne  condiziona  invece,  in  questo  caso,
l'ammissibilita'.
    Nemmeno,   infine,   puo'   darsi   ingresso   all'eccezione   di
inammissibilita'  fondata  sulla asserita mancanza di motivazione dei
profili  di legittimita' costituzionale riferiti agli articoli 2, 18,
41,  42 e 43 della Costituzione. Infatti, ancorche' succintamente, il
remittente  indica  le  ragioni  di  fondo della affermata violazione
costituzionale.
    3. - I giudizi, aventi il medesimo oggetto, devono essere riuniti
per essere decisi con unica pronuncia.
    La questione e' fondata nei termini di seguito specificati.
    Questa  Corte  aveva  gia'  ritenuto,  nel  vigore del previgente
Titolo  V  della  Parte  II della Costituzione, che la bonifica fosse
riconducibile    ad   una   competenza   regionale   fondamentalmente
concorrente,  relativa  da  un  lato  alla materia dell'agricoltura e
foreste,  dall'altro, e in un quadro piu' ampio, alla azione pubblica
per  la difesa del suolo, la tutela e l'uso delle risorse idriche, la
tutela  dell'ambiente  come  ecosistema,  in  una «concezione globale
degli  interventi  sul  territorio»  (sentenza n. 326 del 1998, sulle
orme  della  sentenza  n. 66  del  1992).  Rispetto  al  nuovo  testo
dell'art. 117,  potrebbero  venire  oggi in rilievo sia la competenza
regionale  «residuale»,  che  si  presta  a comprendere molti aspetti
della  disciplina  del  settore agricolo (quarto comma), sia, d'altro
canto,  la  competenza  esclusiva  dello  Stato in materia di «tutela
dell'ambiente»  e  «dell'ecosistema»  (secondo comma, lettera s), sia
infine,  in  modo piu' comprensivo, la competenza concorrente in tema
di «governo del territorio» (terzo comma).
    Tuttavia,  ai  fini  della decisione della presente controversia,
non    e'    necessario   dirimere   definitivamente   la   questione
dell'applicabilita' del vecchio o del nuovo Titolo V, ne' ricostruire
l'insieme  dei  principi  (ieri e oggi) vincolanti per il legislatore
regionale  in  questa  materia. Assumono infatti carattere assorbente
alcuni  profili delle censure mosse dal remittente che si riconducono
alla   violazione  di  norme  costituzionali  diverse  dall'art. 117,
nonche'  ad  un  limite  alla  potesta' legislativa regionale rimasto
fondamentalmente  invariato  nel passaggio dal vecchio al nuovo testo
dell'art. 117:  vale  a  dire  il  limite, individuato dalla costante
giurisprudenza  di  questa Corte (ed oggi espresso nella riserva alla
potesta' esclusiva dello Stato della materia «ordinamento civile», ai
sensi   del   nuovo   art. 117,   secondo  comma,  lettera  l,  della
Costituzione),   consistente   nel  divieto  di  alterare  le  regole
fondamentali  che  disciplinano  i rapporti privati (cfr., da ultimo,
sentenze n. 82 del 1998, n. 352 del 2001).
    La  Regione  era  ed  e'  bensi'  competente  a  disciplinare  le
attivita'  di  bonifica,  a  programmarle sul territorio, a regolarne
l'esercizio da parte degli enti pubblici e dei privati proprietari, a
stabilire  le  modalita'  di  gestione  delle  relative  opere  (cfr.
sentenze  n. 66  del  1992, n. 326 del 1998). In questo ambito non e'
escluso  che  la  legge regionale potesse e possa anche dettare norme
per  disciplinare  in  modo nuovo forme di gestione, costituitesi nel
tempo  in  epoche  risalenti,  di  opere  di interesse generale, come
quelle  di  adduzione,  di  distribuzione,  di utilizzo e di recupero
delle acque, e di sistemi irrigui.
    Ma  la  norma  impugnata  non  si limita a riordinare l'esercizio
delle  attivita'  di  bonifica  e  la  gestione delle relative opere,
bensi'  dispone  senz'altro la soppressione ex lege di organismi e di
gestioni,  anche  di  carattere privato, stabilendo che i consorzi di
bonifica  -  enti pubblici economici a base associativa, nell'attuale
configurazione  (cfr.,  nella Regione Emilia-Romagna, gli artt. 5 e 6
della  legge regionale 26 novembre 1984, n. 59) - non solo subentrino
nell'esercizio  dei  compiti e delle funzioni dei predetti organismi,
ma  succedano ad essi nei rapporti giuridici e amministrativi, dunque
pure  nella titolarita' dei beni eventualmente posseduti, al di fuori
di  ogni  procedura  di  eventuale ablazione per ragioni di interesse
pubblico, con conseguente corresponsione di indennizzi.
    In  tal modo la norma censurata, da un lato, travalica il limite,
ora  ricordato,  del  divieto  di alterare le fondamentali regole del
diritto  privato;  dall'altro  lato  si risolve in una violazione dei
principi   costituzionali   di  autonomia  e  di  salvaguardia  della
proprieta'  privata  e  della  liberta'  di  associazione.  La  legge
regionale, infatti, pretende di incidere sulla stessa esistenza degli
organismi privati di cui dispone la soppressione, e dunque sul nucleo
irriducibile della loro autonoma sfera giuridica.
    4.  -  La  disposizione impugnata deve pertanto essere dichiarata
costituzionalmente illegittima, restando assorbito ogni altro profilo
della questione sollevata.