Ricorso della Regione Emilia Romagna, in persona del presidente della giunta regionale pro tempore Vasco Errani, autorizzato con deliberazione della giunta regionale 5 luglio 2004, n. 1336, rappresentata e difesa, come da procura rogata dal notaio Federico Stame del Collegio di Bologna con atto n. 48322 di rep. del 6 luglio 2004, dagli avvocati prof. Giandomenico Falcon e Luigi Manzi di Roma, con domicilio eletto in Roma presso lo studio dell'avv. Manzi, via Confalonieri n. 5, Contro il Presidente del Consiglio dei ministri per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale del d.lgs. 23 aprile 2004, n. 124, Razionalizzazione delle funzioni ispettive in materia di previdenza sociale e di lavoro, a norma dell'articolo 8, della legge 14 febbraio 2003, n. 30, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 110 del 12 maggio 2004, con riferimento alle seguenti disposizioni: art. 1, comma 1; art. 2; art.3, commi da 1 a 4; art. 4; art. 5, commi da 1 a 3; art. 6, commi 1 e 3; art. 7; art. 8; art. 10, commi 1, 3 e 4; art. 11, commi 1, 4, 5 e 6; art. 12; art. 14, comma 2; art. 15, comma 1; art. 16, commi 1 e 2; art. 17, commi 1 e 2; art. 18, per violazione degli artt. 76, 117 e 118 Cost. e del principio di leale collaborazione, nei modi o per i profili di seguito illustrati. F a t t o Il decreto legislativo n. 124 del 2004, qui impugnato nelle disposizioni sopra indicate e' stato emanato in attuazione della legge n. 30 del 2003, ed in particolare dell'art. 8 di essa, recante Delega al Governo per la razionalizzazione delle funzioni ispettive in materia di previdenza sociale e di lavoro. Questa disposizione, «allo scopo di definire un sistema organico e coerente di tutela del lavoro con interventi omogenei», delegava il Governo «ad adottare, nel rispetto delle competenze affidate alle regioni, su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali ed entro il termine di un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o piu' decreti legislativi per il riassetto della disciplina vigente sulle ispezioni in materia di previdenza sociale e di lavoro, nonche' per la definizione di un quadro regolatorio finalizzato alla prevenzione delle controversie individuali di lavoro in sede conciliativa, ispirato a criteri di equita' ed efficienza» (comma 1). I principi direttivi fissati al Governo erano i seguenti: «a) improntare il sistema delle ispezioni alla prevenzione e promozione dell'osservanza della disciplina degli obblighi previdenziali, del rapporto dl lavoro, del trattamento economico e normativo minimo e dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, anche valorizzando l'attivita' di consulenza degli ispettori nei confronti dei destinatari della citata disciplina; b) definizione di un raccordo efficace fra la funzione di ispezione del lavoro e quella di conciliazione delle controversie individuali; c) ridefinizione dell'istituto della prescrizione e diffida propri della direzione provinciale del lavoro; d) semplificazione dei procedimenti sanzionatori amministrativi e possibilita' di ricorrere alla direzione regionale del lavoro; e) semplificazione della procedura per la soddisfazione dei crediti di lavoro correlata alla promozione di soluzioni conciliative in sede pubblica; f) riorganizzazione dell'attivita' ispettiva del Ministero del lavoro e delle politiche sociali in materia di previdenza sociale e di lavoro con l'istituzione di una direzione generale con compiti di direzione e coordinamento delle strutture periferiche del Ministero ai fini dall'esercizio unitario della predetta funzione ispettiva, tenendo altresi' conto della specifica funzione di polizia giudiziaria dell'ispettore del lavoro; g) razionalizzazione degli interventi ispettivi di tutti gli organi di vigilanza, compresi quelli degli istituti previdenziali, con attribuzione della direzione e del coordinamento operativo alle direzioni regionali e provinciali del lavoro sulla base delle direttive adottate dalla direzione generale di cui alla lettera f)». La legge n. 30/2003 si occupava della vigilanza, in realta', anche nell'art. 1, comma 2, lett. d) fissando, fra i criteri direttivi relativi al mercato del lavoro, quello del «mantenimento da parte dello Stato delle funzioni amministrative relative alla vigilanza in materia di lavoro...». Come si vede, la norma delegante dell'art. 8, nonostante un formale richiamo al «rispetto delle competenze affidate alle regioni», ignorava completamente il ruolo che la Costituzione assegna alle regioni nella materia della tutela del lavoro, nella quale certamente rientra la vigilanza sul lavoro, come attestato espressamente dallo stesso art. 8 legge n. 30/2003 («allo scopo di definire, un sistema organico e coerente di tutela del lavoro con interventi omogenei»). Per questi motivi l'art. 8, come altre disposizioni della legge n. 30/2003, e' stato impugnato (insieme all'art. 1, comma 2, lett. d) da questa regione con ricorso n. 43/2003, che sara' discusso avanti a codesta ecc.ma Corte il 12 ottobre 2004. E' da sottolineare che la vigilanza sul lavoro rientra nella materia, «tutela del lavoro» non tanto in quanto strumentale ad una materia di base regionale, quanto piuttosto per il proprio contenuto intrinseco e per le caratteristiche della materia «tutela del lavoro». Resta senz'altro vero (come e' da tempo pacifico nella giurisprudenza costituzionale) che la disciplina e l'attivita' sanzionatoria ha carattere strumentale rispetto alla materia di base [da ultimo v. sent. n. 12/2004. «E' orientamento saldo nella giurisprudenza di questa Corte che la competenza sanzionatoria amministrativa non e' in grado di autonomizzarsi come materia in se', ma accede alle materie sostanziali» (cfr. sentenze n. 361 del 2003; n. 28 del 1996; n. 85 del 1996; n. 187 del 1996; n. 115 del 1995; n. 60 del 1993)]; e uguale carattere ha ovviamente la vigilanza rispetto alla stessa attivita' sanzionatoria; e, in effetti, le funzioni di vigilanza e la relativa disciplina e gestione sono state sempre e pacificamente considerate parte integrante di ciascuna materia regionale anche sotto il vigore del precedente Titolo V. Dunque, la diciplina della vigilanza sul rispetto delle norme amministrative di competenza regionale in materia di tutela del lavoro spetta senz'altro alle regioni. Ma il senso della materia «tutela del lavoro» e' in realta', ben piu' ampiamente, quello di affidare alle regioni, nel rispetto dei principi fondamentali statali, la disciplina e l'allocazione di tutte le funzioni amministrative di vigilanza sul rispetto della normativa volta a tutelare il lavoratore, di qualsiasi tipo esso sia, amministrativa regionale, amministrativa statale (ad es., previdenziale), civilistica o proveniente dalla contrattazione collettiva. Per propria essenza, la materia «tutela del lavoro» comprende tutta l'attivita' pubblicistica funzionale alla difesa della regolarita', stabilita' e sicurezza del lavoro, e dunque anche quella volta a garantire il rispetto delle norme civilistiche. In questo caso bisogna, cioe', distinguere fra apparato sanzionatorio civilistico (quali le sanzioni di nullita' o di invalidita), di competenza statale, e apparato sanzionatorio di tipo amministrativo, di competenza regionale (salva, naturalmente, la determinazione statale dei principi fondamentali). Il d.lgs. n. 124 del 2004 conferma in pieno i timori espressi dalla regione con il ricorso n. 43/2003, ridisciplinando la materia della vigilanza in materia di lavoro e previdenza sociale senza alcun riconoscimento della competenza legislativa regionale risultante dall'art. 117, comma 3, e dall'art. 118, comma 2, e senza alcuna considerazione del principio di sussidiarieta' di cui all'art. 118, comma 1, Cost. Non solo si detta una normativa direttamente operativa e dettagliata in materia concorrente, ma ancor prima si allocano direttamente le funzioni amministrative in materia di competenza regionale (salva la determinazione dei principi fondamentali) e si individua nello Stato l'ente competente all'esercizio della vigilanza, senza che sussista alcuna esigenza unitaria, come conferma chiaramente il fatto che gli organi statali titolari dalla funzione sono poi, in definitiva, gli organi periferici: organi statali che a termini dl Costituzione neppure dovrebbero esistere. Per queste ragioni, che ora si illustreranno con riferimento alle varie norme impugnate, il d.lgs. n. 124 del 2004 risulta illegittimo e lesivo della sfera costituzionale di competenza della Regione Emilia-Romagna. D i r i t t o 1. - Illegittimita' dell'art. 1, comma 1, primo periodo, e dell'art. 6, comma 1, per violazione dell'art. 117, comma 3, e dell'art. 118, commi 1 e 2. Le norme centrali del decreto, quelle che costituiscono l'ossatura fondamentale della disciplina qui contestata, sono l'art. 1, comma 1, primo periodo e l'art. 6, comma 1. La prima disposizione stabilisce che «il Ministero del lavoro e delle politiche sociali assume e coordina, nel rispetto delle competenze affidate alle regioni ed alle province autonome, le iniziative di contrasto del lavoro sommerso e irregolare, di vigilanza in materia di rapporti di lavoro e dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, con particolare riferimento allo svolgimento delle attivita' di vigilanza mirate alla prevenzione e alla promozione dell'osservanza delle norme di legislazione sociale, del lavoro ivi compresa l'applicazione dei contratti collettivi di lavoro e della disciplina previdenziale» (enfasi aggiunta). L'art. 6, comma 1, assegna poi alle strutture periferiche del Ministero del lavoro la competenza a svolgere le funzioni di vigilanza, stabilendo che «le funzioni di vigilanza in materia di lavoro e di legislazione sociale sono svolte dal personale ispettivo in forza presso le direzioni regionali e provinciali del lavoro». L'art. 1, comma 1, contiene - come la norma delegante - un richiamo alle competenze regionali che risulta del tutto formale, dato che in nessun altro punto il decreto si preoccupa di tener conto di quelle competenze, cosicche' si puo' trunquillamente dire che le regioni sono totalmente ignorate dal d.lgs. n. 124/2004. Le disposizioni appena citate sono quelle centrali perche' sono quelle che confermano la competenza amministrativa del Ministero del lavoro, mentre gli artt. 117, comma 3, e 118, comma 2, imponevano allo Stato di intervenire nella materia della vigilanza sul lavoro solo con la determinazione di propri principi fondamentali, lasciando alle Regioni spazio per la disciplina di dettaglio e, soprattutto, consentendo alle regioni l'esercizio della potesta' di allocazione delle funzioni amministrative ad esse assegnata dall'art. 118, comma 2, intestandole a propri organi o al giusto livello di amministrazione locale, secondo il principio di sussidiarieta'. E' infatti ormai pacifico, dopo le sentt. n. 303/2003 e n. 6/2004, che nelle materie di competenza regionale concorrente o residuale lo Stato puo' autoassegnarsi e regolare funzioni amministrative solo in presenza di effettive esigenze di esercizio unitario e nel rispetto dei principi di proporzionalita' e leale collaborazione. Tali esigenze di esercizio unitario implicano, logicamente, che l'alterazione delle competenze legislative in nome del principio di susidiarieta' possa avvenire solo assegnando funzioni ad organi statali centrali, perche' la competenza degli organi statali periferici smentisce ipso facto l'esistenza di un'esigenza di esercizio unitario. Se una funzione amministrativa in una materia regionale, puo' essere svolta a livello periferico, spetta alle regioni individuare il livello istituzionale adeguato (art. 118, comma 2); in generale se una funzione amministrativa puo' essere svolta a livello periferico, la competenza degli organi statali e' esclusa dall'art. 118, comma 1, salvo casi eccezionali (sull'illegittimita' di una norma statale attributiva di competenza ad un organo statale periferico la sent. n. 13 del 2004 dl codesta Corte costituzionale). L'art. 1, comma 1, primo periodo, stabilisce la competenza amministrativa del Ministero in materia di vigilanza sul lavoro e l'art. 6 precisa che le concrete funzioni dl vigilanza sono svolte dagli organi periferici. Dunque, queste norme violano gli artt. 117, comma 3, 118, comma 1 e 2, della Costituzione, per le ragioni appena illustrate. Sembra invece evidente che, dopo l'introduzione della competenza legislativa delle regioni in materia di tutela del lavoro, la legislazione statale avrebbe dovuto mettere a disposizione delle regioni gli uffici periferici statali, nel senso che avrebbe dovuto prevedere il trasferimento degli uffici stessi a favore delle regioni, o in ipotesi degli enti indicati dalle regioni come titolari della competenza amministrativa in materia. La Costituzione assegna direttamente alle regioni il potere di assegnare le funzioni amministrative, e nulla impedisce alle regioni di istituire autonomamente propri uffici per esercitare una funzione amministrativa in una materia regionale (v. la sent n. 13/2004). E' chiaro, pero', che una razionale riorganizzazione dell'amministrazione pubblica e, soprattutto, un'evidente esigenza di contenimento dei costi - che oggi assume rilievo costituzionale anche attraverso le disposizioni interposte relative al patto di stabilita' in sede comunitaria - presuppongono che, nelle materie regionali, gli uffici statali periferici siano trasferiti agli enti indicati dalle leggi regionali come titolari della relativa funzione. Nel momento in cui e' intervenuto innovativamente nella materia della vigilanza sul lavoro, lo Stato avrebbe appunto prevedere questo passaggio di uffici e funzioni (oltre a dettare il quadro dei principi fondamentali della materia). La fondatezza di questa conclusione risulta confermata dalla considerazione che, nel caso di specie, sarebbe impossibile rispettare lo schema delineato dalla sent. n. 303 del 2003, non essendo pensabile che si raggiunga un'intesa fra Stato e regione in relazione alla minuta e frequente attivita' di controllo. L'attrazione allo Stato di funzioni amministrative si giustifica in casi particolari (nei quali, appunto, ha senso la codeterminazione dell'atto), non certo per l'ordinaria attivita' di vigilanza sul lavoro. Per quanto riguarda la parte dell'art. 1, comma 1, che fa riferimento alla «vigilanza in materia... dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale», occorre rinviare a quanto gia' detto in narrativa circa l'estensione della materia «tutela del lavoro», che comprende tutta l'attivita' pubblicistica funzionale alla difesa della regolarita', stabiliti e sicurezza del lavoro, e dunque anche quella volta a garantire il rispetto delle norme civilistiche. Allo Stato spetta determinare i livelli essenziali e disciplinare le eventuali sanzioni civili (come, ove ve ne fossero, quelle penali); l'attivita' amministrativa di vigilanza e' invece oggetto di potesta' concorrente (con possibilita', per lo Stato, di attivare il potere sostitutivo ex art. 120 Cost. ove ne ricorrano i presupposti). Si consideri, inoltre, che la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni non e' di per se' una «materia», ma un compito statale che pertiene di regola a materie regionali, come in campo sanitario, o assistenziale, o scolastico. Ma la competenza statale si limita a tale compito, mentre la materia rimane quella pur «incisa» dalle determinazioni statali. Ne risulta che non esiste una autonoma vigilanza in materia di «determinazione dei livelli essenziali», ma una funzione di vigilanza in materia di tutela del lavoro. Dunque, si conferma la violazione dell'art. 117, comma 3, e dell'art. 118, commi 1 e 2. 2. - Illegittimita' dell'art. 6, comma 3, primo periodo, per violazione dell'art. 118, comma 1. L'art. 6, comma 3, stabilisce che «le funzioni ispettive in materia di previdenza ed assistenza sociale sono svolte anche dal personale di vigilanza dell'INPS, dell'INAIL, dell'ENPALS e degli altri enti per i quali sussiste la contribuzione obbligatoria, nell'ambito dell'attivita' di verifica del rispetto degli obblighi previdenziali e contributivi». La disposizione presuppone che le funzioni ispettive in materia di previdenza sociale siano svolte dagli organi periferici statali e dagli organi periferici degli enti previdenziali. Nonostante che in questo caso la materia «vigilata» appartenga alla competenza statale, ad avviso della ricorrente regione la norma viola in ogni caso l'art. 118, comma 1. Infatti, il principio di sussidiarieta' di cui alla disposizione costituzionale opera anche in relazione alle materie statali (come gia' affermato nel ricorso contro la legge delega: v. ultima frase del motivo n. 3). Per ragioni corrispondenti a quelle esposte al punto 1, la connessione esistente tra lavoro e previdenza dovrebbe risolversi, sul piano amministrativo, con l'unificazione delle funzioni in capo alle strutture degli enti autonomi, restando allo Stato e agli enti parastatali le funzioni «unitarie». Se infatti esistono, nelle materie statali di cui all'art. 117, comma secondo, settori - quali la difesa o la pubblica sicurezza - in cui per evidenti ragioni lo Stato deve organizzare e conservare un apparato direttamente e territorialmente operativo, le stesse ragioni non esistono affatto per il settore della vigilanza sulla previdenza sociale, nel quale sono invece evidenti le relazioni di accessorieta' all'organizzazione generale della vigilanza in materia di tutela di lavoro, che - come sopra illustrato - compete alle regioni. 3. - Illegittimita' degli artt. 2, 3, commi da 1 a 4, 4, 5, commi da 1 a 3. Gli artt. 2, 3, 4 e 5 assegnano funzioni di coordinamento a strutture statali di vario tipo. La legittimita' di queste norme risulta collegata a quella degli artt. 1 e 6: se queste disposizioni sono, come la ricorrente Regione ritiene, illegittime, anche le norme che disciplinano il coordinamento delle funzioni oggetto degli artt. 1 e 6 risultano affette da illegittimita' «derivata». In particolare, l'art. 2 prevede l'istituzione, con regolamento ex art. 17, comma 4-bis, legge n. 400/1988, di «una una direzione generale con compiti di direzione e coordinanento delle attivita' ispettive svolte dai soggetti che effettuano vigilanza in materia di rapporti di lavoro, di livelli essenziali delle pretazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale e di legislazione sociale, compresi gli enti previdenziali» (comma 1). Il comma 2 prevede, oltre all'attivita' di coordinamento svolta dalla direzione, l'emanazione di «direttive» da parte del Ministro, ed il comma 3 prevede riunioni strumentali all'attivita' direttiva del Ministro stesso. Tenuto conto delle altre norme del decreto, l'art. 2 prevede un'attivita' di coordinamento e direzione dell'attivita' di vigilanza svolta tagli organi periferici dello Stato e degli enti previdenziali. Dunque, la sua illegittimita' e' conseguente a quella delle norme che mantengono le funzioni di quegli organi (v. supra). E' da precisare, peraltro, che, poiche' l'art. 2 richiama genericamente i «soggetti che effettuano vigilanza», esso potrebbe essere riferito anche ad organi regionali o degli enti autonomi, qualora codesta Corte accogliesse le censure di cui sopra: in questo caso, esso sarebbe illegittimo perche', nelle materie di cui all'art. 117, commi 3 e 4, non e' piu' ammesso un potere amministrativo statale di indirizzo e coordinamento (v. la sent. n. 329/2003: «E' da escludere la permanenza in capo allo Stato del potere di emanare atti di indirizzo e coordinamento in relazione alla materia de qua [tutela salute], anche alla luce di quanto espressamente disposto dall'art. 8, comma 6, della legge 5 giugno 2003, n. 131...»). In subordine, ove si ravvissassero esigente di coordinamento fondate sul principio di sussidiuarieta', l'art. 2 sarebbe in ogni caso illegittimo per violazione del principio di leale collaborazione, perche' non si prevede l'intesa della Conferenza Stato-regioni per l'esercizio della funzione di coordinamento. L'art. 3 prevede un altro organo di coordinamento, la Commissione centrale di coordinamento dell'attivita' di vigilanza, che va convocata dal Ministro «qualora si renda opportuno coordinare a livello nazionale l'attivita' di tutti gli organi impegnati sul territorio nelle azioni di contrasto del lavoro sommerso e irregolare, per i profili diversi da quelli di ordine e sicurezza pubblica di cui al secondo periodo dell'art. 1,... al fine di individuare gli indirizzi e gli obiettivi strategici, nonche' le priorita' degli interventi ispettivi» (comma 1). I commi 2 e 3 disciplinano la composizione della Commissione. Il comma 4 dispone che «alla Commissione centrale di coordinamento dell'attivita' di vigilanza puo' essere attribuito il compito di definire lo modalita' di attuazione e di funzionamento della banca dati di cui all'art. 10, comma 1, e di definire le linee di indirizzo per la realizzazione del modello unificato di verbale di rilevazione degli illeciti in materia di lavoro, di previdenza e assistenza obbligatoria ad uso degli organi di vigilanza, nei cui confronti la direzione generale ai sensi dell'art. 2, esercita un'attivita' di direzione e coordinamento». A parte i dubbi su rapporti intercorrenti fra la Direzione generale e la Commissione centrale, l'art. 3, comma 1, risulta illegittimo per le ragioni esposte in relazione all'art. 2 (cioe' per illegittimita' «derivata», se il coordinamento riguarda organi statali, o per illegittimita' del potere di coordinamento o, in subordine, della mancata previsione di un'intesa, se esso riguarda organi regionali); a loro volta, i commi 2 e 3 sono legati al comma 1, in quanto norme «strumentali». Quanto al comma 4, esso detta norme collegate a quello di cui all'art 10, comma 1 e comma 4. La gestione della «banca dati» puo' effettivamente considerarsi una funzione «unitaria» in materia regionale, ma il comma 4, prima parte, risulta illegittimo perche' non prevede l'intesa con la conferenza Stato-regioni, in violazione del principio di leale collaborazione e della sent. n. 303/2003. Invece, il comma 4, seconda parte (che prevede il «modello unificato di verbale di rilevazione degli illeciti») risulta ad avviso della regione illegittimo per le ragioni esposte in relazione all'art. 2 (cioe' per illegittimita' «derivata», se il modello deve essere usato da organi statali o parastatali, o per l'illegittimita' della definizione di un modello unico che vincola gli organi regionali o, in subordine, della mancata previsione di un'intesa nel momento della definizione delle «linee di indirizzo» di cui al comma 4). Infine, si segnala un particolare profilo di illegittimita' dell'art. 3, comma 2. Esso, infatti, prevede fra i membri della Commissione il Coordinatore nazionale delle aziende sanitarie locali. Si tratta di una figura inedita all'interno del nostro ordinamento giuridico, che, a quanto si capisce, dovrebbe svolgere una funzione di coordinamento in materia regionale (tutela della salute). La legge delega, tuttavia, non attribuiva al Governo il potere di creare un tale organo, in una materia (quella sanitaria) che oltretutto non e' oggetto della disciplina in questione. L'art. 3, comma 2, dunque, prevede al di fuori della delega un organo statale con funzioni di coordinamento di enti pararegionali con conseguente violazione degli att. 76 e 117, comma 3, Cost. Inoltre, e' evidente che eventuali esigenze di coordinamento del sistema sanitario non possono essere costituzionalmente soddisfatte con una simile figura di «coordinatore», del tutto avulsa dal sistema degli organi rappresentativi responsabili ad ogni livello dell'attivita' amministrativa. L'art. 4 prevede un'attivita' di coordinamento a livello regionale, ad opera delle direzioni regionali del lavoro (comma 1) e delle commissioni regionali di coordinamento dall'attivita' di vigilanza (comma 2). Esso e' affetto da iilegittimita' «derivata» se il coordinamento riguarda organi statali o parastatali; se esso riguarda organi non statali, l'illegittimita' e' ancora piu' evidente che nel caso degli artt. 2 e 3, perche' qui manca addirittura il carattere unitario della funzione. Non si vede perche' un coordinamento svolto a livello regionale deve essere svolto da organi statali. Nelle materie regionali spetta alla legge regionale sia allocare le funzioni di concreta vigilanza sia allocare le funzioni di coordinamento. Dunque, risultano violati gli artt. 117, comma 3, e 118, commi 1 e 2, Cost. In subordine, l'art. 4, commi 1 e 2, e' illegittimo per mancata previsione di un'intesa con la regione interessata. L'illegittimita' del comma 2 «trascina» con se' quella dei commi 3 e 4, che riguardano la composizione della commissione regionale di coordinamento. Si segnala, nel comma 3, la previsione del Coordinatore regionale delle aziende sanitarie locali, che risulta illegittima per i medesimi motivi esposti a proposito del Coordinatore nazionale delle aziende sanitarie locali, ed inoltre per ragioni corrispondenti a quelle appena esposte sul generale coordinamento regionale. Il comma 5, infine, prevede un'attivita' informativa della Commissione regionale funzionale all'esercizio del potere di direttiva del Ministro del lavoro: per l'illegittimita' di questa norma si puo', dunque, rinviare a quanto detto in relazione all'art. 2, commi 2 e 3, che prevedono questo potere di direttiva. Infine, l'art. 5 si occupa del Coordinamento provinciale dell'attivita' di vigilanza. Il comma 1 prevede il coordinamento da parte delle direzioni provinciali del lavoro (che, a dire il vero, dovrebbero confluire negli Uffici territoriali del Governo ex artt. 11 e 47, comma 2, d.lgs. n. 300/99 e art. 1 comma 2, lettera e) d.P.R. n. 287/2001). Il comma 2 stabilisce che, «qualora si renda opportuno coordinare, a livello provinciale, l'attivita' di tutti gli organi impegnati nell'azione di contrasto del lavoro irregolare, i CLES» (Comitati per il lavoro e l'emersione del sommerso, previsti dal d.l. n. 210/2002, conv. in legge n. 266/2002) integrati da alcuni soggetti, «forniscono, in conformita' con gli indirizzi espressi dalla Commissione centrale di cui all'art. 3, indicazioni utili ai fini dell'orientamento dell'attivita' di vigilanza». Il comma 3 prevede poi che «il CLES redige, con periodicita' trimestrale una relazione sullo stato del mercato del lavoro e sui risultati della attivita' ispettiva nella provincia di competenza», e al termine di ogni anno «redige una relazione annuale di sintesi». L'art. 5, comma 1, viola gli artt. 117, comma 3, 118, commi 1 e 2, per le stessa ragioni esposte in relazione all'art. 4, commi 1 e 2, ulteriolmente aggravate dal carattere appunto provinciale del coordinamento. Quanto ai commi 2 e 3, essi affidano funzioni amministrative nella materia della tutela del lavoro e le affidano ad un organo locale statale, come costringono a pensare non solo la prevenienza della maggior parte dei suoi elementi, ma anche la sua istituzione presso un organo statale ed il potere di nomina affidato ad un organo statale (il prefetto; v. il nuovo art. 1-bis, legge n. 383/2001), conseguente violazione degli artt. 117, comma 3, e 118, commi 1 e 2, Cost. 4 - Illegittimita' dell'art. 7. L'art. 7 indica i vari compiti del personale ispettivo. Come per altre disposizioni del decreto, la sua illegittimita' e' strettamente collegata a quella dell'art. 6, comma 1, e si puo' dunque rinviare al punto 1. L'llegittimita' e' confermata anche dal fatto che, se si giustificasse una funzione statale in materia regionale, sarebbe necessaria un'intesa con la regione, ma questo schema non e' praticabile per la minuta e frequente attivita' ispettiva. Se poi l'art. 7 venisse riferito a ispettori non statali (a seguito della eventuale declaratoria di illegittimita' delle disposizioni sulla competenza statale), esso sarebbe illegittimo in quanto recante norme di dettaglio. 5 - Illegittimita' dell'art. 8. L'art. 8 stabilisce che «le direzioni regionali e provinciali del lavoro organizzano, mediamite il proprio personale ispettivo, eventualmente anche in concorso con i CLES o con le commissioni regionali e provinciali per la emersione del lavoro non regolare, attivita' di prevenzione e promozione, su questioni di ordine generale, presso i datori di lavoro, finalizzata al rispetto della normativa in materia lavoristica e previdenziale, con particolare riferimcnto alle questioni di maggior rilevanza sociale, nonche' alle novita' legislative e interpretative» (comma 1); il comma 2 completa la disciplina. Il comma 3, poi, dispone che «la direzione generale e le direzioni regionali e provinciali del lavoro, anche d'intesa con gli enti previdenziali, propongono a enti, datori di lavoro e associazioni, attivita' di informazione ed aggiornamento, da svolgersi, a cura e spese di tali ultimi soggetti, mediante stipula di apposita convenzione», aggiungendo che «lo schema di convenzione e' definito con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali da adottarsi entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto». I primi due commi disciplinano attivita' che rientrano nella materia «tutela del lavoro» e, assegnando funzioni amministrative ad organi statali periferici, violano gli artt. 117, comma 3, e 119, commi 1 e 2, Cost. Il comma 3 sembra attenere piu' alla formazione che alla tutela del lavoro e, dunque, ricade in una materia di potesta' regionale piena, con conseguente violazione - oltre che dell'art. 118 - dell'art. 117, comma 4 (in subordine, del comma 3). Se, in denegata ipotesi, la prima parte del comma 3 fosse considerata legittima, la seconda parte sarebbe pur sempre illegittima per violazione del principio di leale collaborazione, mancando qualsiasi coinvolgimento regionale per la definizione dello schema di convenzione. Il comma 4 prevede che «la direzione provinciale del lavoro, sentiti gli organismi preposti, sulla base di direttive del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, fornisce i criteri volti a uniformare l'azione dei vari soggetti abilitati alla certificazione dei rapporti di lavoro ai sensi degli articoli 75 e seguenti, del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276». Anche tale norma rientra nella materia tutela del lavoro (alla quale e' funzionale la certificazione dei rapporti) e, attribuendo funzioni ammistrative ad organi statali periferici, viola gli artt. 117, comma 3, e 118, comuni 1 e 2; ne' pare giustificato il potere ministeriale di direttiva, non essendo piu' ammessa la funzione di indirizzo e coordinamento (su cio' v. supra), e in ogni caso non essendone neppure prima della riforma ammesso l'esercizio con atto meramente ministeriale. Se, in denegata ipotesi, codesta Corte ritenesse legittima la previsione delle direttive ministeriali (da rivolgere, pero', ad organi non statali), il comma 4 sarebbe pur sempre lesivo perche' le direttive ministeriali sono elaborate senza coinvolgimento regionale, in violazione del principio di leale collaborazione. Il comma 5 affida le attivita' previste dai primi 3 commi agli enti prevideuziali: per esso valgono le censure esposte in relazione ai primi 3 commi, essendo indubbio che in materia de qua e' sempre tutela del lavoro e formazione, e non previdenza sociale. In ogni caso, poi, come gia' esposto, il principio di sussidiarieta' vale anche per le materie statali. 6 - Illegittimita' dell'art 10, commmi 1, ultima frase, 3 e 4. L'art. 10, comma 1, dispone che «al fine di razionalizzare gli interventi ispettivi di tutti gli organi di vigilanza sul territorio, e' istituita, ... nell'ambito delle strutture del Ministero del lavoro e dalle politiche sociali ed avvalendosi delle risorse del Ministero stesso, una banca dati telematica che raccoglie le informazioni concernenti i datori di lavoro ispezionati, nonche' informazioni o approfondimenti sulle dinamiche del mercato del lavoro e su tutte le materie oggetto di aggiornamento e di formazione permanente del personale ispettivo»; si precisa che «alla banca dati, che costituisce una sezione riservata dalla borsa continua nazionale del lavoro di cui all'art. 15 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, hanno accesso esclusivamente le amministrazioni che effettuano vigilanza ai sensi del presente decreto», e si aggiunge che «con successivo decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, ... sentito il Ministro per l'innovazione e le tecnologie, previo parere del Centro nazionale per l'informatica nella pubblica amministrazione, vengono definite le modalita' di attuazione e di funzionamento della predetta banca dati». La ricorrente regione non contesta l'esistenza di una banca dati centrale; naturalmente, qualora risultasse, come la ricorrente regione ritiene, fondata la competenza regionale in tema di vigilanza, la banca dati dovrebbe essere considerata accessibile anche alle regioni. Sia consentito osservare, anzi, che sarebbe paradossale che l'ente cosituzionalmente competente in materia di tutela del lavoro non possa accedere alla banca dati centrale. E' pero' illegittimo l'ultimo periodo del comma 1, in quanto non prevede un'intesa dalla Conferenza Stato-regioni sul d.m. che regola la banca dati, pur incidendo questa su una materia di competenza regionale ne risulta violato il principio di leale collaborazione. Sono poi illegittimi i commi 3 e 4. Il comma 3 attribuisce funzioni amministrative particolari alle direzioni regionali del lavoro, con conseguente violazione degli artt. 3, comma 3, e 118, commi 1 e 2, Cost. Il comma 4 stabilisce che, «con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, ... di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, sentiti i direttori generali di INPS e INAIL, e' adottato un modello unificato di verbale di rilevazione degli illeciti ad uso degli organi dl vigilanza in materia di lavoro e di previdenza e assistenza obbligatoria nei cui confronti la direzione generale, ai sensi dall'art. 2, esercita un'attivita' di direzione e coordinamento». La illegittimita' di questa norma e' collegata a quella delle norme attributive delle funzioni di vigilanza. Qualora, in denegata ipotesi, risultasse legittima la previsione del modello unificato anche nella prospettiva di una competenza regionale alla vigilanza, il comma 4 sarebbe illegittimo per la mancanza di un'intesa con la Conferenza Stato-regioni, cioe' per violazione del principio di leale collaborazione. 7 - Illegittimita' dell'art. 11, commi 1, 4, secondo periodo, 5 e 6. I commi 1 e 6 dell'art. 11 attribuiscono competenza in materia di conciliazione amministrativa ad un funzionario della direzione provinciale del lavoro (su istanza delle parti - comma 1 - o su iniziativa dell'ispettore stesso: comma 6). Il comma 4, secondo periodo, dispone che «al fine di verificare l'avvenuto versamento dei contributi previdenziali e assicurativi» (a seguito della conciliazione), «le direzioni provinciali del lavoro trasmettono agli enti previdenziali interessati la relativa documentazione»; il comma 5 aggiunge che, «nella ipotesi di mancato accordo ovvero di assenza di una o di entrambe le parti convocate, attestata da apposito verbale, la direzione provinciale del lavoro da' seguito agli accertamenti ispettivi». Anche queste norme sono affette da illegittimita' «derivata», nel senso che la loro illegittimita' «segue» quella delle norme che mantengono agli organi statali periferici la competenza in materia di vigilanza. Ne' si potrebbe dire che la competenza a svolgere la conciliazione amministrativa dovrebbe comunque spettare allo Stato, anche se la vigilanza spettasse alle regioni: su questo punto ci si e' gia' soffermati nel punto 2 del ricorso n. 43/2003, riguardante l'art. 1, comma 2, lettera c), legge n. 30/2003, che prevedeva il «mantenimeto da parte dello Stato delle fuzioni amministrative relative alla conciliazione delle controversie di lavoro individuali e plurime». In quella sede si e' osservato che «la riserva statale della disciplina e dell'esercizio di funzioni amministrative tipicamente legate al territorio, come quelle qui in questione, non potrebbe giustificarsi attraverso l'attribuzione che la Cosituzione fa al solo Stato della materia «giurisdizione e norme processuali» (art. 117, secondo comma, lettera l). Infatti, si e' ancora osservato, «e' la stessa disposizione impugnata a precisare che si tratta qui delle funzioni amministrative relative alla conciliazione delle controversie di lavoro: siamo dunque palesemente e per espressa ammissione al di fuori della materia della giurisdizione affidata allo Stato». Senz'altro ci sono «nessi e raccordi fra la conciliazione in via amministrativa e la successiva eventuale fase giurisdizionale: come ad esempio quando la legge sancisce la obbligatorieta' di una previa fase di conciliazione amministrativa, o quando si regoli il rapporto tra questa e la decorrenza dei termini proccesuali»: a ben vedere, «si tratta in entrambi i casi di norme destinate ad essere applicate nel successivo eventuale processo, e dunque di norme processuali riservate allo Stato». Questa interferenza «certamente legittima lo Stato a dettare, quali principi fondamentali di materia, i lineamenti di base della conciliazione quale fase necessariamente previa a1 successivo eventuale ricorso giurisdizionale», ma «all'interno di quel quadro la disciplina propria della conciliazione amministrativa considerata in se stessa, e la sua concreta gestione, non partecipano affatto del carattere giuridizionale, e dunque fanno a pieno titolo parte della materia regionale tutela del lavoro». Per gli stessi argomenti si puo' ribadire che l'art. 11, comm1 1, 4, secondo periodo, 5 e 6, d.lgs. n. 124/2004 viola gli artt. 117, comma 3, e 118, commi 1 e 2. 8 - Illegittimita' dell'art. 12, commi 1, 2, primo periodo, 3, in parte qua, e 4. L'art. 12 commi 1 e 2, primo periodo, assegna funzioni amministrative (diffida e tentativo di conciliazione) alle direzioni provinciali del lavoro, a tutela dei crediti patrimonali dei lavoratori. Rientrando le norme nella materia tutela del lavoro, risultano violati gli artt. 117, comma 3, e 118, commi 1 e 2, Cost., per le ragioni esposte nel punto 1. Per le medesime ragioni e' illegittimo il comma 3, la' dove prevede una funzione amministrativa del direttore della direzione provinciale del lavoro. Il comma 4, poi, stabilisce che contro la diffida «e' ammesso ricorso davanti al Comitato regionale per i rapporti di lavoro di cui all'art. 17»: anche questa norma assegna ad un organo statale periferico una funzione amministrativa e la regola nel dettaglio, violando i parametri appena menzionati. 9 - Illegittimita' dell'art. 14, comma 2, prima frase. L'art. 14 stabilisce che «le disposizioni impartite dal personale ispettivo in materia di lavoro e di legislazione sociale, nell'ambito dell'applicazione delle norme per cui sia attribuito dalle singole disposizioni di legge un apprezzamento discrezionale, sono esecutive» (comma 1), e che «contro le disposizioni dl cui al comma 1 e' ammesso ricorso, entro quindici giorni, al direttore della direzione provinciale del lavoro» (comma 2). L'illegittimita' di quest'ultima norma «segue» quella delle norme che mantengono la competenza sulla vigilanza al personale statale. Qualora il «personale ispettivo» non sia statale, l'art. 14, comma 2, prima frase sarebbe illegittimo in quanto assegna ad un organo statale periferico la competenza a decidere i ricorsi amministrativi in materia regionale, in violazione degli artt. 117, comma 3, e 118, commi 1 o 2, per le ragioni esposte nel punto 1. 10 - Illegittimita' dell'art 15, comma 1, primo periodo. L'art. 15, comma 1, statuisce che, «con riferimento alle leggi in materia di lavoro e legislazione sociale la cui applicazione e' affidata alla vigilanza della direzione provinciale del lavoro, qualora il personale ispettivo rilevi violazioni di carattere penale, punite con la pena alternativa dell'arresto o dell'ammenda ovvero con la sola ammenda, impartisce al contravventore una apposita prescrizione obbligatoria al sensi degli articoli 20 e 21 del decreto legislativo 19 dicembre 1994, n. 758»: il primo periodo di quista disposizione e' illegittimo perche' presuppone e conferma la competenza degli organi statali periferici sulla vigilanza in materia di lavoro, per le ragioni esposte nel punto 1. 11 - Illegittimita' dell'art. 16, commi 1 e 2. L'art. 16, comma 1, prevede la possibilita' di un ricorso amministrativo avanti alle direzioni regionali del lavoro, contro le ordinanze delle direzioni provinciali; il comma 2 regola la procedura. Anche in questo caso, l'illegittimita' dei commi 1 e 2 «segue» quella delle norme attributive delle funzioni di vigilanza alle direzioni provinciali: si puo' dunque rinviare al punto 1. 12 - Illegittimita' dell'art. 17, commi 1 e 2. L'art. 17, comma 1, stabilisce che «presso la direzione regionale del lavoro e' costituito il Comitato regionale per i rapporti di lavoro, composto dal direttore della direzione regionale del lavoro, che la presiede, dal direttore regionale dell'INPS e dal direttore regionale dell'INAIL»; il comma 2 dispone che «tutti i ricorsi avverso gli atti di accertamento e le ordinanze-ingiunzioni delle direzioni provinciali del lavoro e avverso i verbali di accertamento degli istituti previdenziali e assicurativi che abbiano ad oggetto la sussistenza o la qualificazione dei rapporti di lavoro, vanno inoltrati alla direzione regionale del lavoro e sono decisi, con provvedimento motivato, dal Comitato di cui al comma 1», regolando poi la relativa procedura. La materia in questione e' sempre la vigilanza sul lavoro e, quindi, la «tutela del lavoro», per le ragioni esposte nella parte in Fatto. Dunque, i commi 1 e 2 sono illegittimi, perche' mantengono e assegnano sanzioni amministrative ad organi statali periferici in materia regionale, violando gli artt. 117, comma 3, e 118, commi 1 e 2, per i motivi illustrati nel punto 1. 13 - Illegittimita' dell'art. 18. L'art. 18 si occupa della formazione del personale ispettivo, statale e parastatale. La norma e' affetta da illegittimita' «derivata» dall'illegittimita' delle norme che mantengono la competenza degli organi periferici statali. La prima parte della norma potrebbe anche essere riferita a personale ispettivo regionale, ma essa sarebbe pur sempre illegittima perche' interviene in materia di competenza regionale piena (formazione professionale), in violazione dell'art. 117, comma 4.