Ricorso  della  Regione Emilia Romagna, in persona del presidente
della  giunta  regionale  pro  tempore  Vasco Errani, autorizzato con
deliberazione   della   giunta  regionale  5  luglio  2004,  n. 1336,
rappresentata  e  difesa,  come da procura rogata dal notaio Federico
Stame  del Collegio di Bologna con atto n. 48322 di rep. del 6 luglio
2004, dagli avvocati prof. Giandomenico Falcon e Luigi Manzi di Roma,
con  domicilio  eletto  in Roma presso lo studio dell'avv. Manzi, via
Confalonieri n. 5,

    Contro   il   Presidente   del  Consiglio  dei  ministri  per  la
dichiarazione  di  illegittimita' costituzionale del d.lgs. 23 aprile
2004,  n. 124,  Razionalizzazione delle funzioni ispettive in materia
di  previdenza  sociale  e  di lavoro, a norma dell'articolo 8, della
legge  14 febbraio  2003,  n. 30, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale
n. 110   del   12   maggio   2004,   con  riferimento  alle  seguenti
disposizioni:
        art. 1,  comma  1;  art. 2;  art.3,  commi  da 1 a 4; art. 4;
art. 5, commi da 1 a 3; art. 6, commi 1 e 3; art. 7; art. 8; art. 10,
commi  1,  3 e 4; art. 11, commi 1, 4, 5 e 6; art. 12; art. 14, comma
2;  art. 15,  comma  1;  art. 16,  commi 1 e 2; art. 17, commi 1 e 2;
art. 18,  per  violazione  degli  artt. 76,  117  e  118  Cost. e del
principio  di  leale  collaborazione,  nei  modi  o  per i profili di
seguito illustrati.

                              F a t t o

    Il  decreto  legislativo  n. 124  del  2004,  qui impugnato nelle
disposizioni  sopra  indicate  e'  stato  emanato in attuazione della
legge  n. 30 del 2003, ed in particolare dell'art. 8 di essa, recante
Delega  al  Governo per la razionalizzazione delle funzioni ispettive
in materia di previdenza sociale e di lavoro.
    Questa  disposizione, «allo scopo di definire un sistema organico
e coerente di tutela del lavoro con interventi omogenei», delegava il
Governo  «ad  adottare,  nel  rispetto delle competenze affidate alle
regioni,  su  proposta  del  Ministro  del  lavoro  e delle politiche
sociali  ed  entro  il  termine  di  un anno dalla data di entrata in
vigore  della  presente  legge, uno o piu' decreti legislativi per il
riassetto  della  disciplina  vigente  sulle  ispezioni in materia di
previdenza  sociale  e  di  lavoro,  nonche' per la definizione di un
quadro  regolatorio  finalizzato  alla prevenzione delle controversie
individuali  di  lavoro  in  sede conciliativa, ispirato a criteri di
equita' ed efficienza» (comma 1).
    I principi direttivi fissati al Governo erano i seguenti:
      «a) improntare  il  sistema  delle ispezioni alla prevenzione e
promozione    dell'osservanza   della   disciplina   degli   obblighi
previdenziali,  del  rapporto  dl lavoro, del trattamento economico e
normativo   minimo   e   dei  livelli  essenziali  delle  prestazioni
concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su
tutto  il  territorio  nazionale,  anche  valorizzando l'attivita' di
consulenza degli ispettori nei confronti dei destinatari della citata
disciplina;
      b) definizione  di  un  raccordo  efficace  fra  la funzione di
ispezione  del  lavoro  e  quella di conciliazione delle controversie
individuali;
      c) ridefinizione  dell'istituto  della  prescrizione  e diffida
propri della direzione provinciale del lavoro;
      d) semplificazione dei procedimenti sanzionatori amministrativi
e possibilita' di ricorrere alla direzione regionale del lavoro;
      e) semplificazione  della  procedura  per  la soddisfazione dei
crediti di lavoro correlata alla promozione di soluzioni conciliative
in sede pubblica;
      f) riorganizzazione  dell'attivita' ispettiva del Ministero del
lavoro  e  delle politiche sociali in materia di previdenza sociale e
di  lavoro con l'istituzione di una direzione generale con compiti di
direzione  e  coordinamento delle strutture periferiche del Ministero
ai  fini  dall'esercizio  unitario della predetta funzione ispettiva,
tenendo   altresi'   conto   della   specifica  funzione  di  polizia
giudiziaria dell'ispettore del lavoro;
      g) razionalizzazione  degli  interventi  ispettivi di tutti gli
organi  di  vigilanza,  compresi quelli degli istituti previdenziali,
con  attribuzione  della direzione e del coordinamento operativo alle
direzioni  regionali  e  provinciali  del  lavoro  sulla  base  delle
direttive adottate dalla direzione generale di cui alla lettera f)».
    La  legge  n. 30/2003  si  occupava  della vigilanza, in realta',
anche  nell'art. 1,  comma  2,  lett.  d)  fissando,  fra  i  criteri
direttivi relativi al mercato del lavoro, quello del «mantenimento da
parte   dello  Stato  delle  funzioni  amministrative  relative  alla
vigilanza in materia di lavoro...».
    Come  si  vede,  la  norma  delegante  dell'art. 8, nonostante un
formale   richiamo   al  «rispetto  delle  competenze  affidate  alle
regioni», ignorava completamente il ruolo che la Costituzione assegna
alle  regioni  nella  materia  della  tutela  del lavoro, nella quale
certamente   rientra   la   vigilanza   sul  lavoro,  come  attestato
espressamente  dallo  stesso  art. 8 legge n. 30/2003 («allo scopo di
definire,  un  sistema  organico  e coerente di tutela del lavoro con
interventi   omogenei»).  Per  questi  motivi  l'art. 8,  come  altre
disposizioni  della  legge  n. 30/2003,  e'  stato impugnato (insieme
all'art. 1,   comma   2,  lett. d)  da  questa  regione  con  ricorso
n. 43/2003,  che  sara'  discusso avanti a codesta ecc.ma Corte il 12
ottobre 2004.
    E'  da  sottolineare  che  la  vigilanza sul lavoro rientra nella
materia,  «tutela  del lavoro» non tanto in quanto strumentale ad una
materia  di base regionale, quanto piuttosto per il proprio contenuto
intrinseco  e  per  le  caratteristiche  della  materia  «tutela  del
lavoro».
    Resta   senz'altro   vero   (come  e'  da  tempo  pacifico  nella
giurisprudenza   costituzionale)  che  la  disciplina  e  l'attivita'
sanzionatoria  ha carattere strumentale rispetto alla materia di base
[da   ultimo  v.  sent.  n. 12/2004.  «E'  orientamento  saldo  nella
giurisprudenza  di  questa  Corte  che  la  competenza  sanzionatoria
amministrativa non e' in grado di autonomizzarsi come materia in se',
ma  accede  alle materie sostanziali» (cfr. sentenze n. 361 del 2003;
n. 28  del  1996;  n. 85  del 1996; n. 187 del 1996; n. 115 del 1995;
n. 60  del  1993)];  e  uguale  carattere  ha ovviamente la vigilanza
rispetto  alla  stessa  attivita'  sanzionatoria;  e,  in effetti, le
funzioni  di vigilanza e la relativa disciplina e gestione sono state
sempre  e  pacificamente  considerate  parte  integrante  di ciascuna
materia  regionale  anche  sotto  il  vigore del precedente Titolo V.
Dunque,  la  diciplina  della  vigilanza  sul  rispetto  delle  norme
amministrative  di  competenza  regionale  in  materia  di tutela del
lavoro spetta senz'altro alle regioni.
    Ma  il senso della materia «tutela del lavoro» e' in realta', ben
piu'  ampiamente,  quello  di affidare alle regioni, nel rispetto dei
principi fondamentali statali, la disciplina e l'allocazione di tutte
le  funzioni amministrative di vigilanza sul rispetto della normativa
volta   a  tutelare  il  lavoratore,  di  qualsiasi  tipo  esso  sia,
amministrativa    regionale,    amministrativa   statale   (ad   es.,
previdenziale),   civilistica   o  proveniente  dalla  contrattazione
collettiva.
    Per  propria  essenza,  la  materia «tutela del lavoro» comprende
tutta   l'attivita'   pubblicistica   funzionale  alla  difesa  della
regolarita', stabilita' e sicurezza del lavoro, e dunque anche quella
volta  a  garantire  il  rispetto delle norme civilistiche. In questo
caso   bisogna,   cioe',   distinguere   fra  apparato  sanzionatorio
civilistico  (quali  le  sanzioni  di  nullita'  o di invalidita), di
competenza  statale, e apparato sanzionatorio di tipo amministrativo,
di  competenza  regionale  (salva,  naturalmente,  la  determinazione
statale dei principi fondamentali).
    Il  d.lgs.  n. 124  del  2004 conferma in pieno i timori espressi
dalla  regione  con il ricorso n. 43/2003, ridisciplinando la materia
della vigilanza in materia di lavoro e previdenza sociale senza alcun
riconoscimento  della  competenza  legislativa  regionale  risultante
dall'art. 117,  comma  3,  e  dall'art. 118,  comma 2, e senza alcuna
considerazione  del  principio di sussidiarieta' di cui all'art. 118,
comma 1, Cost. Non solo si detta una normativa direttamente operativa
e  dettagliata  in  materia  concorrente,  ma ancor prima si allocano
direttamente  le  funzioni  amministrative  in  materia di competenza
regionale  (salva  la  determinazione dei principi fondamentali) e si
individua   nello   Stato   l'ente   competente  all'esercizio  della
vigilanza, senza che sussista alcuna esigenza unitaria, come conferma
chiaramente  il  fatto che gli organi statali titolari dalla funzione
sono  poi, in definitiva, gli organi periferici: organi statali che a
termini dl Costituzione neppure dovrebbero esistere.
    Per queste ragioni, che ora si illustreranno con riferimento alle
varie  norme impugnate, il d.lgs. n. 124 del 2004 risulta illegittimo
e  lesivo  della  sfera  costituzionale  di  competenza della Regione
Emilia-Romagna.

                            D i r i t t o

    1.  -  Illegittimita'  dell'art. 1,  comma  1,  primo  periodo, e
dell'art. 6,  comma  1,  per  violazione  dell'art. 117,  comma  3, e
dell'art. 118, commi 1 e 2.
    Le   norme   centrali   del  decreto,  quelle  che  costituiscono
l'ossatura   fondamentale   della  disciplina  qui  contestata,  sono
l'art. 1, comma 1, primo periodo e l'art. 6, comma 1.
    La  prima  disposizione stabilisce che «il Ministero del lavoro e
delle  politiche  sociali  assume  e  coordina,  nel  rispetto  delle
competenze  affidate  alle  regioni  ed  alle  province  autonome, le
iniziative   di  contrasto  del  lavoro  sommerso  e  irregolare,  di
vigilanza  in  materia di rapporti di lavoro e dei livelli essenziali
delle  prestazioni  concernenti i diritti civili e sociali che devono
essere  garantiti  su  tutto il territorio nazionale, con particolare
riferimento allo svolgimento delle attivita' di vigilanza mirate alla
prevenzione   e   alla  promozione  dell'osservanza  delle  norme  di
legislazione  sociale,  del  lavoro  ivi  compresa l'applicazione dei
contratti  collettivi  di  lavoro  e  della disciplina previdenziale»
(enfasi aggiunta).
    L'art. 6,  comma  1,  assegna  poi alle strutture periferiche del
Ministero  del  lavoro  la  competenza  a  svolgere  le  funzioni  di
vigilanza,  stabilendo  che  «le  funzioni di vigilanza in materia di
lavoro  e di legislazione sociale sono svolte dal personale ispettivo
in forza presso le direzioni regionali e provinciali del lavoro».
    L'art. 1,  comma  1,  contiene  -  come  la  norma delegante - un
richiamo  alle  competenze  regionali  che risulta del tutto formale,
dato che in nessun altro punto il decreto si preoccupa di tener conto
di  quelle  competenze, cosicche' si puo' trunquillamente dire che le
regioni sono totalmente ignorate dal d.lgs. n. 124/2004.
    Le  disposizioni  appena citate sono quelle centrali perche' sono
quelle  che confermano la competenza amministrativa del Ministero del
lavoro,  mentre  gli  artt. 117,  comma 3, e 118, comma 2, imponevano
allo  Stato  di  intervenire nella materia della vigilanza sul lavoro
solo con la determinazione di propri principi fondamentali, lasciando
alle  Regioni  spazio  per la disciplina di dettaglio e, soprattutto,
consentendo  alle  regioni  l'esercizio della potesta' di allocazione
delle  funzioni amministrative ad esse assegnata dall'art. 118, comma
2,   intestandole   a   propri   organi   o   al  giusto  livello  di
amministrazione locale, secondo il principio di sussidiarieta'.
    E'   infatti   ormai  pacifico,  dopo  le  sentt.  n. 303/2003  e
n. 6/2004,  che  nelle  materie di competenza regionale concorrente o
residuale   lo   Stato   puo'   autoassegnarsi  e  regolare  funzioni
amministrative  solo  in  presenza di effettive esigenze di esercizio
unitario  e  nel  rispetto  dei  principi di proporzionalita' e leale
collaborazione.
    Tali  esigenze  di esercizio unitario implicano, logicamente, che
l'alterazione  delle  competenze legislative in nome del principio di
susidiarieta'  possa  avvenire  solo  assegnando  funzioni  ad organi
statali   centrali,   perche'  la  competenza  degli  organi  statali
periferici   smentisce  ipso  facto  l'esistenza  di  un'esigenza  di
esercizio  unitario.  Se  una  funzione amministrativa in una materia
regionale,  puo'  essere  svolta  a  livello  periferico, spetta alle
regioni  individuare  il  livello  istituzionale  adeguato (art. 118,
comma  2);  in  generale  se  una funzione amministrativa puo' essere
svolta  a  livello  periferico, la competenza degli organi statali e'
esclusa    dall'art. 118,    comma    1,   salvo   casi   eccezionali
(sull'illegittimita'  di  una norma statale attributiva di competenza
ad  un  organo  statale periferico la sent. n. 13 del 2004 dl codesta
Corte costituzionale).
    L'art. 1,  comma  1,  primo  periodo,  stabilisce  la  competenza
amministrativa  del  Ministero  in  materia di vigilanza sul lavoro e
l'art. 6  precisa  che  le concrete funzioni dl vigilanza sono svolte
dagli  organi periferici. Dunque, queste norme violano gli artt. 117,
comma  3, 118, comma 1 e 2, della Costituzione, per le ragioni appena
illustrate.
    Sembra  invece evidente che, dopo l'introduzione della competenza
legislativa  delle  regioni  in  materia  di  tutela  del  lavoro, la
legislazione  statale  avrebbe  dovuto  mettere  a disposizione delle
regioni  gli  uffici periferici statali, nel senso che avrebbe dovuto
prevedere  il  trasferimento  degli  uffici  stessi  a  favore  delle
regioni, o in ipotesi degli enti indicati dalle regioni come titolari
della competenza amministrativa in materia.
    La  Costituzione  assegna  direttamente alle regioni il potere di
assegnare  le funzioni amministrative, e nulla impedisce alle regioni
di  istituire autonomamente propri uffici per esercitare una funzione
amministrativa  in  una materia regionale (v. la sent n. 13/2004). E'
chiaro,     pero',     che     una     razionale     riorganizzazione
dell'amministrazione pubblica e, soprattutto, un'evidente esigenza di
contenimento dei costi - che oggi assume rilievo costituzionale anche
attraverso le disposizioni interposte relative al patto di stabilita'
in sede comunitaria - presuppongono che, nelle materie regionali, gli
uffici  statali  periferici siano trasferiti agli enti indicati dalle
leggi regionali come titolari della relativa funzione.
    Nel  momento  in cui e' intervenuto innovativamente nella materia
della vigilanza sul lavoro, lo Stato avrebbe appunto prevedere questo
passaggio  di  uffici  e  funzioni  (oltre  a  dettare  il quadro dei
principi fondamentali della materia).
    La  fondatezza  di  questa  conclusione  risulta confermata dalla
considerazione   che,   nel   caso  di  specie,  sarebbe  impossibile
rispettare  lo  schema  delineato  dalla  sent.  n. 303 del 2003, non
essendo  pensabile  che si raggiunga un'intesa fra Stato e regione in
relazione   alla   minuta   e   frequente   attivita'  di  controllo.
L'attrazione  allo  Stato di funzioni amministrative si giustifica in
casi  particolari  (nei  quali, appunto, ha senso la codeterminazione
dell'atto),  non  certo  per  l'ordinaria  attivita' di vigilanza sul
lavoro.
    Per  quanto  riguarda  la  parte  dell'art. 1,  comma  1,  che fa
riferimento  alla  «vigilanza  in  materia...  dei livelli essenziali
delle  prestazioni  concernenti i diritti civili e sociali che devono
essere  garantiti su tutto il territorio nazionale», occorre rinviare
a  quanto  gia'  detto  in narrativa circa l'estensione della materia
«tutela  del  lavoro»,  che comprende tutta l'attivita' pubblicistica
funzionale  alla  difesa della regolarita', stabiliti e sicurezza del
lavoro,  e  dunque  anche  quella volta a garantire il rispetto delle
norme   civilistiche.   Allo   Stato  spetta  determinare  i  livelli
essenziali  e disciplinare le eventuali sanzioni civili (come, ove ve
ne  fossero,  quelle penali); l'attivita' amministrativa di vigilanza
e'  invece  oggetto di potesta' concorrente (con possibilita', per lo
Stato,  di  attivare  il  potere sostitutivo ex art. 120 Cost. ove ne
ricorrano i presupposti).
    Si   consideri,   inoltre,  che  la  determinazione  dei  livelli
essenziali  delle  prestazioni non e' di per se' una «materia», ma un
compito  statale  che pertiene di regola a materie regionali, come in
campo  sanitario,  o  assistenziale,  o  scolastico. Ma la competenza
statale si limita a tale compito, mentre la materia rimane quella pur
«incisa» dalle determinazioni statali.
    Ne  risulta  che  non esiste una autonoma vigilanza in materia di
«determinazione dei livelli essenziali», ma una funzione di vigilanza
in materia di tutela del lavoro.
    Dunque,  si  conferma  la  violazione  dell'art. 117,  comma 3, e
dell'art. 118, commi 1 e 2.
    2.  -  Illegittimita'  dell'art. 6,  comma  3, primo periodo, per
violazione dell'art. 118, comma 1.
    L'art. 6,  comma  3,  stabilisce  che  «le  funzioni ispettive in
materia  di  previdenza  ed  assistenza sociale sono svolte anche dal
personale  di  vigilanza  dell'INPS,  dell'INAIL, dell'ENPALS e degli
altri  enti  per  i  quali  sussiste  la  contribuzione obbligatoria,
nell'ambito  dell'attivita'  di  verifica del rispetto degli obblighi
previdenziali e contributivi».
    La  disposizione  presuppone che le funzioni ispettive in materia
di  previdenza sociale siano svolte dagli organi periferici statali e
dagli organi periferici degli enti previdenziali.
    Nonostante  che  in  questo caso la materia «vigilata» appartenga
alla  competenza statale, ad avviso della ricorrente regione la norma
viola in ogni caso l'art. 118, comma 1.
    Infatti,  il principio di sussidiarieta' di cui alla disposizione
costituzionale  opera  anche  in relazione alle materie statali (come
gia'  affermato  nel  ricorso contro la legge delega: v. ultima frase
del  motivo  n. 3).  Per  ragioni  corrispondenti a quelle esposte al
punto  1,  la  connessione esistente tra lavoro e previdenza dovrebbe
risolversi,   sul  piano  amministrativo,  con  l'unificazione  delle
funzioni  in  capo  alle strutture degli enti autonomi, restando allo
Stato e agli enti parastatali le funzioni «unitarie».
    Se  infatti  esistono, nelle materie statali di cui all'art. 117,
comma secondo, settori - quali la difesa o la pubblica sicurezza - in
cui  per  evidenti  ragioni lo Stato deve organizzare e conservare un
apparato direttamente e territorialmente operativo, le stesse ragioni
non  esistono affatto per il settore della vigilanza sulla previdenza
sociale, nel quale sono invece evidenti le relazioni di accessorieta'
all'organizzazione  generale  della vigilanza in materia di tutela di
lavoro, che - come sopra illustrato - compete alle regioni.
    3. - Illegittimita' degli artt. 2, 3, commi da 1 a 4, 4, 5, commi
da 1 a 3.
    Gli  artt.  2,  3,  4  e  5 assegnano funzioni di coordinamento a
strutture  statali  di  vario  tipo.  La legittimita' di queste norme
risulta  collegata a quella degli artt. 1 e 6: se queste disposizioni
sono, come la ricorrente Regione ritiene, illegittime, anche le norme
che  disciplinano  il  coordinamento  delle  funzioni  oggetto  degli
artt. 1 e 6 risultano affette da illegittimita' «derivata».
    In  particolare,  l'art. 2 prevede l'istituzione, con regolamento
ex  art. 17,  comma  4-bis,  legge n. 400/1988, di «una una direzione
generale  con  compiti  di  direzione e coordinanento delle attivita'
ispettive  svolte dai soggetti che effettuano vigilanza in materia di
rapporti   di   lavoro,   di   livelli  essenziali  delle  pretazioni
concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su
tutto il territorio nazionale e di legislazione sociale, compresi gli
enti   previdenziali»   (comma   1).   Il   comma  2  prevede,  oltre
all'attivita'  di  coordinamento svolta dalla direzione, l'emanazione
di  «direttive» da parte del Ministro, ed il comma 3 prevede riunioni
strumentali all'attivita' direttiva del Ministro stesso.
    Tenuto  conto  delle  altre  norme  del decreto, l'art. 2 prevede
un'attivita' di coordinamento e direzione dell'attivita' di vigilanza
svolta   tagli   organi   periferici   dello   Stato   e  degli  enti
previdenziali.  Dunque, la sua illegittimita' e' conseguente a quella
delle norme che mantengono le funzioni di quegli organi (v. supra).
    E'   da  precisare,  peraltro,  che,  poiche'  l'art. 2  richiama
genericamente  i  «soggetti  che effettuano vigilanza», esso potrebbe
essere  riferito  anche  ad  organi  regionali o degli enti autonomi,
qualora  codesta Corte accogliesse le censure di cui sopra: in questo
caso,   esso  sarebbe  illegittimo  perche',  nelle  materie  di  cui
all'art. 117,   commi 3   e   4,   non  e'  piu'  ammesso  un  potere
amministrativo  statale  di  indirizzo  e  coordinamento (v. la sent.
n. 329/2003:  «E'  da  escludere la permanenza in capo allo Stato del
potere di emanare atti di indirizzo e coordinamento in relazione alla
materia   de   qua   [tutela  salute],  anche  alla  luce  di  quanto
espressamente  disposto  dall'art. 8,  comma  6, della legge 5 giugno
2003,  n. 131...»).  In  subordine,  ove si ravvissassero esigente di
coordinamento  fondate  sul  principio  di  sussidiuarieta', l'art. 2
sarebbe  in  ogni  caso  illegittimo  per violazione del principio di
leale   collaborazione,   perche'   non  si  prevede  l'intesa  della
Conferenza   Stato-regioni   per   l'esercizio   della   funzione  di
coordinamento.
    L'art. 3 prevede un altro organo di coordinamento, la Commissione
centrale   di  coordinamento  dell'attivita'  di  vigilanza,  che  va
convocata  dal  Ministro  «qualora  si  renda  opportuno coordinare a
livello  nazionale  l'attivita'  di  tutti  gli  organi impegnati sul
territorio   nelle   azioni   di  contrasto  del  lavoro  sommerso  e
irregolare,  per  i  profili  diversi da quelli di ordine e sicurezza
pubblica  di  cui  al  secondo  periodo  dell'art. 1,...  al  fine di
individuare  gli  indirizzi  e  gli  obiettivi strategici, nonche' le
priorita'  degli  interventi  ispettivi»  (comma  1).  I  commi 2 e 3
disciplinano  la  composizione  della Commissione. Il comma 4 dispone
che  «alla  Commissione  centrale  di coordinamento dell'attivita' di
vigilanza  puo' essere attribuito il compito di definire lo modalita'
di attuazione e di funzionamento della banca dati di cui all'art. 10,
comma 1, e di definire le linee di indirizzo per la realizzazione del
modello unificato di verbale di rilevazione degli illeciti in materia
di  lavoro,  di  previdenza  e  assistenza  obbligatoria ad uso degli
organi di vigilanza, nei cui confronti la direzione generale ai sensi
dell'art. 2, esercita un'attivita' di direzione e coordinamento».
    A  parte  i  dubbi  su  rapporti  intercorrenti  fra la Direzione
generale  e  la  Commissione  centrale,  l'art. 3,  comma 1,  risulta
illegittimo per le ragioni esposte in relazione all'art. 2 (cioe' per
illegittimita'   «derivata»,  se  il  coordinamento  riguarda  organi
statali,  o  per  illegittimita'  del  potere  di coordinamento o, in
subordine,  della  mancata  previsione di un'intesa, se esso riguarda
organi  regionali);  a  loro  volta,  i  commi  2  e 3 sono legati al
comma 1, in quanto norme «strumentali».
    Quanto  al  comma  4,  esso detta norme collegate a quello di cui
all'art  10,  comma  1 e comma 4. La gestione della «banca dati» puo'
effettivamente   considerarsi  una  funzione  «unitaria»  in  materia
regionale,  ma  il  comma 4, prima parte, risulta illegittimo perche'
non  prevede  l'intesa con la conferenza Stato-regioni, in violazione
del  principio  di  leale  collaborazione  e della sent. n. 303/2003.
Invece,  il comma 4, seconda parte (che prevede il «modello unificato
di  verbale  di  rilevazione degli illeciti») risulta ad avviso della
regione  illegittimo  per  le ragioni esposte in relazione all'art. 2
(cioe' per illegittimita' «derivata», se il modello deve essere usato
da  organi  statali  o  parastatali,  o  per  l'illegittimita'  della
definizione  di  un modello unico che vincola gli organi regionali o,
in subordine, della mancata previsione di un'intesa nel momento della
definizione delle «linee di indirizzo» di cui al comma 4).
    Infine,  si  segnala  un  particolare  profilo  di illegittimita'
dell'art. 3,  comma  2.  Esso,  infatti,  prevede  fra i membri della
Commissione il Coordinatore nazionale delle aziende sanitarie locali.
Si  tratta  di  una figura inedita all'interno del nostro ordinamento
giuridico,  che,  a quanto si capisce, dovrebbe svolgere una funzione
di coordinamento in materia regionale (tutela della salute). La legge
delega,  tuttavia,  non  attribuiva al Governo il potere di creare un
tale  organo, in una materia (quella sanitaria) che oltretutto non e'
oggetto  della  disciplina  in  questione. L'art. 3, comma 2, dunque,
prevede  al  di  fuori della delega un organo statale con funzioni di
coordinamento  di enti pararegionali con conseguente violazione degli
att. 76 e 117, comma 3, Cost.
    Inoltre,  e' evidente che eventuali esigenze di coordinamento del
sistema  sanitario  non possono essere costituzionalmente soddisfatte
con una simile figura di «coordinatore», del tutto avulsa dal sistema
degli   organi   rappresentativi   responsabili   ad   ogni   livello
dell'attivita' amministrativa.
    L'art. 4   prevede   un'attivita'   di  coordinamento  a  livello
regionale,  ad opera delle direzioni regionali del lavoro (comma 1) e
delle   commissioni  regionali  di  coordinamento  dall'attivita'  di
vigilanza  (comma 2). Esso e' affetto da iilegittimita' «derivata» se
il  coordinamento  riguarda  organi  statali  o  parastatali; se esso
riguarda organi non statali, l'illegittimita' e' ancora piu' evidente
che  nel  caso  degli  artt.  2 e 3, perche' qui manca addirittura il
carattere   unitario   della   funzione.   Non  si  vede  perche'  un
coordinamento svolto a livello regionale deve essere svolto da organi
statali.  Nelle  materie  regionali  spetta  alla legge regionale sia
allocare  le  funzioni di concreta vigilanza sia allocare le funzioni
di coordinamento. Dunque, risultano violati gli artt. 117, comma 3, e
118,  commi  1  e  2,  Cost.  In subordine, l'art. 4, commi 1 e 2, e'
illegittimo  per  mancata  previsione  di  un'intesa  con  la regione
interessata.  L'illegittimita'  del comma 2 «trascina» con se' quella
dei  commi  3  e  4, che riguardano la composizione della commissione
regionale di coordinamento.
    Si segnala, nel comma 3, la previsione del Coordinatore regionale
delle  aziende  sanitarie  locali,  che  risulta  illegittima  per  i
medesimi  motivi esposti a proposito del Coordinatore nazionale delle
aziende  sanitarie  locali,  ed  inoltre per ragioni corrispondenti a
quelle appena esposte sul generale coordinamento regionale.
    Il  comma  5,  infine,  prevede  un'attivita'  informativa  della
Commissione   regionale   funzionale   all'esercizio  del  potere  di
direttiva  del  Ministro  del  lavoro: per l'illegittimita' di questa
norma  si puo', dunque, rinviare a quanto detto in relazione all'art.
2, commi 2 e 3, che prevedono questo potere di direttiva.
    Infine,   l'art. 5   si   occupa  del  Coordinamento  provinciale
dell'attivita'  di  vigilanza. Il comma 1 prevede il coordinamento da
parte  delle  direzioni  provinciali del lavoro (che, a dire il vero,
dovrebbero  confluire  negli Uffici territoriali del Governo ex artt.
11  e  47,  comma  2,  d.lgs.  n. 300/99 e art. 1 comma 2, lettera e)
d.P.R.  n. 287/2001).  Il  comma  2 stabilisce che, «qualora si renda
opportuno coordinare, a livello provinciale, l'attivita' di tutti gli
organi  impegnati  nell'azione  di contrasto del lavoro irregolare, i
CLES»  (Comitati  per  il lavoro e l'emersione del sommerso, previsti
dal d.l. n. 210/2002, conv. in legge n. 266/2002) integrati da alcuni
soggetti,  «forniscono,  in  conformita'  con  gli indirizzi espressi
dalla  Commissione  centrale  di cui all'art. 3, indicazioni utili ai
fini  dell'orientamento  dell'attivita'  di  vigilanza».  Il  comma 3
prevede  poi  che  «il  CLES redige, con periodicita' trimestrale una
relazione  sullo  stato  del mercato del lavoro e sui risultati della
attivita'  ispettiva  nella provincia di competenza», e al termine di
ogni anno «redige una relazione annuale di sintesi».
    L'art.  5,  comma 1, viola gli artt. 117, comma 3, 118, commi 1 e
2,  per  le stessa ragioni esposte in relazione all'art. 4, commi 1 e
2,  ulteriolmente  aggravate  dal  carattere  appunto provinciale del
coordinamento.
    Quanto  ai  commi  2  e  3, essi affidano funzioni amministrative
nella  materia  della  tutela  del  lavoro e le affidano ad un organo
locale  statale,  come  costringono a pensare non solo la prevenienza
della  maggior  parte  dei suoi elementi, ma anche la sua istituzione
presso un organo statale ed il potere di nomina affidato ad un organo
statale  (il  prefetto;  v.  il nuovo art. 1-bis, legge n. 383/2001),
conseguente  violazione degli artt. 117, comma 3, e 118, commi 1 e 2,
Cost.
    4 - Illegittimita' dell'art. 7.
    L'art.  7 indica i vari compiti del personale ispettivo. Come per
altre disposizioni del decreto, la sua illegittimita' e' strettamente
collegata a quella dell'art. 6, comma 1, e si puo' dunque rinviare al
punto  1.  L'llegittimita'  e'  confermata anche dal fatto che, se si
giustificasse  una  funzione  statale  in  materia regionale, sarebbe
necessaria  un'intesa  con  la  regione,  ma  questo  schema  non  e'
praticabile per la minuta e frequente attivita' ispettiva.
    Se  poi  l'art.  7  venisse  riferito  a ispettori non statali (a
seguito   della   eventuale   declaratoria  di  illegittimita'  delle
disposizioni  sulla  competenza statale), esso sarebbe illegittimo in
quanto recante norme di dettaglio.
    5 - Illegittimita' dell'art. 8.
    L'art. 8 stabilisce che «le direzioni regionali e provinciali del
lavoro   organizzano,   mediamite  il  proprio  personale  ispettivo,
eventualmente  anche  in  concorso  con  i  CLES o con le commissioni
regionali  e  provinciali  per  la emersione del lavoro non regolare,
attivita'  di  prevenzione  e  promozione,  su  questioni  di  ordine
generale,  presso  i  datori di lavoro, finalizzata al rispetto della
normativa  in  materia  lavoristica  e previdenziale, con particolare
riferimcnto alle questioni di maggior rilevanza sociale, nonche' alle
novita'  legislative e interpretative» (comma 1); il comma 2 completa
la disciplina.
    Il  comma  3,  poi,  dispone  che  «la  direzione  generale  e le
direzioni  regionali e provinciali del lavoro, anche d'intesa con gli
enti   previdenziali,   propongono   a   enti,  datori  di  lavoro  e
associazioni,   attivita'   di   informazione  ed  aggiornamento,  da
svolgersi,  a  cura e spese di tali ultimi soggetti, mediante stipula
di  apposita  convenzione», aggiungendo che «lo schema di convenzione
e'  definito  con  decreto  del Ministro del lavoro e delle politiche
sociali  da  adottarsi entro sessanta giorni dalla data di entrata in
vigore del presente decreto».
    I  primi  due  commi  disciplinano  attivita' che rientrano nella
materia  «tutela del lavoro» e, assegnando funzioni amministrative ad
organi  statali  periferici,  violano  gli artt. 117, comma 3, e 119,
commi  1  e  2, Cost. Il comma 3 sembra attenere piu' alla formazione
che  alla  tutela  del  lavoro  e,  dunque,  ricade in una materia di
potesta'  regionale  piena,  con  conseguente  violazione - oltre che
dell'art.  118  - dell'art. 117, comma 4 (in subordine, del comma 3).
Se, in denegata ipotesi, la prima parte del comma 3 fosse considerata
legittima,  la  seconda  parte  sarebbe  pur  sempre  illegittima per
violazione  del principio di leale collaborazione, mancando qualsiasi
coinvolgimento   regionale   per   la  definizione  dello  schema  di
convenzione.
    Il  comma  4  prevede  che  «la direzione provinciale del lavoro,
sentiti  gli organismi preposti, sulla base di direttive del Ministro
del  lavoro  e  delle  politiche  sociali, fornisce i criteri volti a
uniformare  l'azione  dei vari soggetti abilitati alla certificazione
dei  rapporti  di  lavoro  ai sensi degli articoli 75 e seguenti, del
decreto  legislativo  10  settembre  2003,  n. 276». Anche tale norma
rientra  nella materia tutela del lavoro (alla quale e' funzionale la
certificazione  dei rapporti) e, attribuendo funzioni ammistrative ad
organi  statali  periferici,  viola  gli  artt.  117, comma 3, e 118,
comuni  1  e  2;  ne'  pare  giustificato  il  potere ministeriale di
direttiva,  non  essendo  piu'  ammessa  la  funzione  di indirizzo e
coordinamento  (su  cio'  v.  supra),  e  in  ogni caso non essendone
neppure  prima  della  riforma ammesso l'esercizio con atto meramente
ministeriale.
    Se,  in  denegata  ipotesi,  codesta Corte ritenesse legittima la
previsione  delle  direttive  ministeriali  (da  rivolgere, pero', ad
organi  non statali), il comma 4 sarebbe pur sempre lesivo perche' le
direttive ministeriali sono elaborate senza coinvolgimento regionale,
in violazione del principio di leale collaborazione.
    Il  comma  5  affida le attivita' previste dai primi 3 commi agli
enti  prevideuziali: per esso valgono le censure esposte in relazione
ai  primi  3  commi, essendo indubbio che in materia de qua e' sempre
tutela  del  lavoro  e  formazione, e non previdenza sociale. In ogni
caso,  poi,  come  gia'  esposto, il principio di sussidiarieta' vale
anche per le materie statali.
    6 - Illegittimita' dell'art 10, commmi 1, ultima frase, 3 e 4.
    L'art.  10,  comma  1, dispone che «al fine di razionalizzare gli
interventi ispettivi di tutti gli organi di vigilanza sul territorio,
e'  istituita,  ...  nell'ambito  delle  strutture  del Ministero del
lavoro  e  dalle  politiche  sociali ed avvalendosi delle risorse del
Ministero   stesso,  una  banca  dati  telematica  che  raccoglie  le
informazioni  concernenti  i  datori  di  lavoro ispezionati, nonche'
informazioni o approfondimenti sulle dinamiche del mercato del lavoro
e  su  tutte  le  materie  oggetto  di  aggiornamento e di formazione
permanente del personale ispettivo»; si precisa che «alla banca dati,
che  costituisce una sezione riservata dalla borsa continua nazionale
del  lavoro  di  cui all'art. 15 del decreto legislativo 10 settembre
2003,  n. 276,  hanno  accesso  esclusivamente le amministrazioni che
effettuano  vigilanza  ai  sensi del presente decreto», e si aggiunge
che «con successivo decreto del Ministro del lavoro e delle politiche
sociali,  ...  sentito il Ministro per l'innovazione e le tecnologie,
previo  parere  del Centro nazionale per l'informatica nella pubblica
amministrazione,  vengono  definite  le  modalita' di attuazione e di
funzionamento della predetta banca dati».
    La  ricorrente regione non contesta l'esistenza di una banca dati
centrale;   naturalmente,  qualora  risultasse,  come  la  ricorrente
regione   ritiene,   fondata  la  competenza  regionale  in  tema  di
vigilanza,  la  banca  dati  dovrebbe  essere considerata accessibile
anche  alle  regioni.  Sia  consentito  osservare,  anzi, che sarebbe
paradossale  che  l'ente  cosituzionalmente  competente in materia di
tutela del lavoro non possa accedere alla banca dati centrale.
    E'  pero' illegittimo l'ultimo periodo del comma 1, in quanto non
prevede  un'intesa dalla Conferenza Stato-regioni sul d.m. che regola
la  banca  dati,  pur  incidendo  questa su una materia di competenza
regionale ne risulta violato il principio di leale collaborazione.
    Sono  poi  illegittimi  i  commi  3  e  4. Il comma 3 attribuisce
funzioni  amministrative  particolari  alle  direzioni  regionali del
lavoro,  con  conseguente  violazione  degli artt. 3, comma 3, e 118,
commi 1 e 2, Cost.
    Il comma 4 stabilisce che, «con decreto del Ministro del lavoro e
delle   politiche   sociali,   ...   di   concerto  con  il  Ministro
dell'economia e delle finanze, sentiti i direttori generali di INPS e
INAIL,  e'  adottato  un  modello unificato di verbale di rilevazione
degli  illeciti ad uso degli organi dl vigilanza in materia di lavoro
e  di  previdenza  e  assistenza  obbligatoria  nei  cui confronti la
direzione  generale,  ai  sensi dall'art. 2, esercita un'attivita' di
direzione e coordinamento».
    La  illegittimita'  di  questa  norma e' collegata a quella delle
norme  attributive  delle funzioni di vigilanza. Qualora, in denegata
ipotesi,  risultasse  legittima  la  previsione del modello unificato
anche  nella  prospettiva di una competenza regionale alla vigilanza,
il  comma  4  sarebbe illegittimo per la mancanza di un'intesa con la
Conferenza Stato-regioni, cioe' per violazione del principio di leale
collaborazione.
    7 - Illegittimita' dell'art. 11, commi 1, 4, secondo periodo, 5 e
6.
    I commi 1 e 6 dell'art. 11 attribuiscono competenza in materia di
conciliazione   amministrativa  ad  un  funzionario  della  direzione
provinciale  del  lavoro  (su  istanza  delle  parti - comma 1 - o su
iniziativa  dell'ispettore  stesso:  comma  6).  Il  comma 4, secondo
periodo, dispone che «al fine di verificare l'avvenuto versamento dei
contributi   previdenziali   e   assicurativi»   (a   seguito   della
conciliazione), «le direzioni provinciali del lavoro trasmettono agli
enti  previdenziali interessati la relativa documentazione»; il comma
5  aggiunge  che, «nella ipotesi di mancato accordo ovvero di assenza
di  una  o  di  entrambe  le  parti  convocate, attestata da apposito
verbale,  la  direzione  provinciale  del  lavoro  da'  seguito  agli
accertamenti ispettivi».
    Anche queste norme sono affette da illegittimita' «derivata», nel
senso  che  la  loro  illegittimita'  «segue»  quella delle norme che
mantengono agli organi statali periferici la competenza in materia di
vigilanza.
    Ne'   si   potrebbe   dire   che  la  competenza  a  svolgere  la
conciliazione  amministrativa  dovrebbe comunque spettare allo Stato,
anche  se  la vigilanza spettasse alle regioni: su questo punto ci si
e'  gia'  soffermati  nel punto 2 del ricorso n. 43/2003, riguardante
l'art. 1,  comma  2,  lettera c), legge n.  30/2003, che prevedeva il
«mantenimeto  da  parte  dello  Stato  delle  fuzioni  amministrative
relative  alla conciliazione delle controversie di lavoro individuali
e  plurime».  In  quella sede si e' osservato che «la riserva statale
della   disciplina   e   dell'esercizio  di  funzioni  amministrative
tipicamente  legate  al territorio, come quelle qui in questione, non
potrebbe  giustificarsi  attraverso l'attribuzione che la Cosituzione
fa  al  solo  Stato della materia «giurisdizione e norme processuali»
(art.   117,  secondo  comma,  lettera  l).  Infatti,  si  e'  ancora
osservato,  «e'  la  stessa disposizione impugnata a precisare che si
tratta  qui delle funzioni amministrative relative alla conciliazione
delle controversie di lavoro: siamo dunque palesemente e per espressa
ammissione  al  di  fuori  della materia della giurisdizione affidata
allo   Stato».   Senz'altro   ci   sono  «nessi  e  raccordi  fra  la
conciliazione  in  via  amministrativa e la successiva eventuale fase
giurisdizionale:   come  ad  esempio  quando  la  legge  sancisce  la
obbligatorieta' di una previa fase di conciliazione amministrativa, o
quando  si  regoli il rapporto tra questa e la decorrenza dei termini
proccesuali»:  a  ben  vedere, «si tratta in entrambi i casi di norme
destinate  ad  essere  applicate nel successivo eventuale processo, e
dunque   di   norme   processuali   riservate   allo  Stato».  Questa
interferenza «certamente legittima lo Stato a dettare, quali principi
fondamentali  di  materia,  i  lineamenti di base della conciliazione
quale  fase  necessariamente  previa  a1 successivo eventuale ricorso
giurisdizionale»,  ma  «all'interno  di  quel  quadro  la  disciplina
propria  della conciliazione amministrativa considerata in se stessa,
e  la  sua  concreta  gestione, non partecipano affatto del carattere
giuridizionale,  e  dunque  fanno  a pieno titolo parte della materia
regionale tutela del lavoro».
    Per gli stessi argomenti si puo' ribadire che l'art. 11, comm1 1,
4,  secondo  periodo,  5 e 6, d.lgs. n. 124/2004 viola gli artt. 117,
comma 3, e 118, commi 1 e 2.
    8 - Illegittimita' dell'art. 12, commi 1, 2, primo periodo, 3, in
parte qua, e 4.
    L'art.   12   commi  1  e  2,  primo  periodo,  assegna  funzioni
amministrative  (diffida e tentativo di conciliazione) alle direzioni
provinciali   del  lavoro,  a  tutela  dei  crediti  patrimonali  dei
lavoratori.  Rientrando  le  norme  nella  materia tutela del lavoro,
risultano  violati gli artt. 117, comma 3, e 118, commi 1 e 2, Cost.,
per  le  ragioni  esposte  nel  punto  1.  Per le medesime ragioni e'
illegittimo  il comma 3, la' dove prevede una funzione amministrativa
del direttore della direzione provinciale del lavoro.
    Il  comma  4,  poi,  stabilisce che contro la diffida «e' ammesso
ricorso davanti al Comitato regionale per i rapporti di lavoro di cui
all'art.  17»:  anche  questa  norma  assegna  ad  un  organo statale
periferico  una  funzione  amministrativa  e la regola nel dettaglio,
violando i parametri appena menzionati.
    9 - Illegittimita' dell'art. 14, comma 2, prima frase.
    L'art. 14 stabilisce che «le disposizioni impartite dal personale
ispettivo in materia di lavoro e di legislazione sociale, nell'ambito
dell'applicazione  delle  norme  per cui sia attribuito dalle singole
disposizioni di legge un apprezzamento discrezionale, sono esecutive»
(comma 1), e che «contro le disposizioni dl cui al comma 1 e' ammesso
ricorso,   entro   quindici  giorni,  al  direttore  della  direzione
provinciale del lavoro» (comma 2).
    L'illegittimita' di quest'ultima norma «segue» quella delle norme
che  mantengono  la  competenza sulla vigilanza al personale statale.
Qualora il «personale ispettivo» non sia statale, l'art. 14, comma 2,
prima  frase  sarebbe  illegittimo  in  quanto  assegna  ad un organo
statale  periferico la competenza a decidere i ricorsi amministrativi
in  materia regionale, in violazione degli artt. 117, comma 3, e 118,
commi 1 o 2, per le ragioni esposte nel punto 1.
    10 - Illegittimita' dell'art 15, comma 1, primo periodo.
    L'art. 15, comma 1, statuisce che, «con riferimento alle leggi in
materia  di  lavoro  e  legislazione  sociale  la cui applicazione e'
affidata  alla  vigilanza  della  direzione  provinciale  del lavoro,
qualora il personale ispettivo rilevi violazioni di carattere penale,
punite con la pena alternativa dell'arresto o dell'ammenda ovvero con
la   sola   ammenda,   impartisce   al  contravventore  una  apposita
prescrizione obbligatoria al sensi degli articoli 20 e 21 del decreto
legislativo  19  dicembre  1994,  n. 758»: il primo periodo di quista
disposizione   e'   illegittimo  perche'  presuppone  e  conferma  la
competenza degli organi statali periferici sulla vigilanza in materia
di lavoro, per le ragioni esposte nel punto 1.
    11 - Illegittimita' dell'art. 16, commi 1 e 2.
    L'art.  16,  comma  1,  prevede  la  possibilita'  di  un ricorso
amministrativo  avanti alle direzioni regionali del lavoro, contro le
ordinanze   delle   direzioni  provinciali;  il  comma  2  regola  la
procedura.  Anche  in  questo  caso, l'illegittimita' dei commi 1 e 2
«segue»  quella  delle  norme attributive delle funzioni di vigilanza
alle direzioni provinciali: si puo' dunque rinviare al punto 1.
     12 - Illegittimita' dell'art. 17, commi 1 e 2.
    L'art. 17, comma 1, stabilisce che «presso la direzione regionale
del  lavoro  e'  costituito  il  Comitato regionale per i rapporti di
lavoro,  composto dal direttore della direzione regionale del lavoro,
che  la  presiede,  dal direttore regionale dell'INPS e dal direttore
regionale  dell'INAIL»;  il  comma  2  dispone  che  «tutti i ricorsi
avverso  gli  atti  di  accertamento e le ordinanze-ingiunzioni delle
direzioni  provinciali del lavoro e avverso i verbali di accertamento
degli istituti previdenziali e assicurativi che abbiano ad oggetto la
sussistenza  o  la  qualificazione  dei  rapporti  di  lavoro,  vanno
inoltrati  alla  direzione  regionale  del  lavoro e sono decisi, con
provvedimento  motivato,  dal  Comitato di cui al comma 1», regolando
poi la relativa procedura.
    La  materia  in  questione  e'  sempre la vigilanza sul lavoro e,
quindi, la «tutela del lavoro», per le ragioni esposte nella parte in
Fatto.  Dunque,  i commi 1 e 2 sono illegittimi, perche' mantengono e
assegnano  sanzioni  amministrative  ad  organi statali periferici in
materia  regionale, violando gli artt. 117, comma 3, e 118, commi 1 e
2, per i motivi illustrati nel punto 1.
    13 - Illegittimita' dell'art. 18.
    L'art. 18  si  occupa  della  formazione del personale ispettivo,
statale   e  parastatale.  La  norma  e'  affetta  da  illegittimita'
«derivata»   dall'illegittimita'   delle   norme  che  mantengono  la
competenza degli organi periferici statali.
    La  prima  parte  della  norma  potrebbe  anche essere riferita a
personale ispettivo regionale, ma essa sarebbe pur sempre illegittima
perche'   interviene   in   materia  di  competenza  regionale  piena
(formazione professionale), in violazione dell'art. 117, comma 4.