LA COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE

    Ha emesso la seguente ordinanza sul ricorso n. 7497/01 depositato
il  4  maggio  2001,  avverso Avviso di liquidazione n. vol.99-N.4114
successione  contro  Agenzia  entrate, ufficio Milano 1, proposto dal
ricorrente: Branca Niccolo' erede di Carlo Ranieri, via Molamezza, 10
-  50026  San  Casciano  in  Val  di Pesa (FI) difeso da: avv. Gianni
Marongiu, avv. Remo Dominici, via Bacigalupo, 4/15 - 16122 Genova.
    Con   il  ricorso,  Niccolo'  Branca  ha  impugnato  l'avviso  di
liquidazione  dell'imposta  principale  di  successione  dal de cuius
Carlo Ranieri Branca per l'importo complessivo di L. 57.514.708 oltre
sanzioni  per  tardiva  denuncia,  notificatogli  dall'Agenzia  delle
Entrate-Ufficio del Registro Successioni di Milano.
    A  sostegno  del  ricorso, deduceva il contribuente la violazione
dell'art. 9,  comma 2, del d.lgs. n. 346/1990 per errata applicazione
da  parte  dell'ufficio  della  presunzione  di appartenenza all'asse
ereditario  di beni mobili nella misura del 10% dell'asse stesso, pur
essendo  stati redatti nella specie due verbali di inventario di tali
beni,  al  valore  indicato nei quali doveva pertanto farsi specifico
riferimento.
    Il  ricorrente  deduceva  inoltre  l'illegittimita'  dell'art. 7,
comma  2,  del  d.lgs.  citato - che prevedeva il cumulo dell'imposta
sull'asse  globale  con  l'imposta  dovuta  sulle  singole  quote per
l'erede che non fosse legato da rapporto di coniugio ne' di parentela
in  linea retta con il defunto - in relazione agli artt. 3 e 53 della
Costituzione,  sollevando  in  proposito  eccezione di illegittimita'
costituzionale,  di  cui sosteneva la non manifesta infondatezza e la
rilevanza ai fini della decisione.
    Con successive memorie il Branca illustrava l'eccezione sollevata
-  che  comportava  di  fatto  una  duplicazione della tassazione del
medesimo  cespite,  prevedendone  un  prelievo  calcolato  sul valore
globale  dell'asse  ed uno calcolato sulla singola quota ereditaria -
sottolineando    che    proprio   gli   aspetti   di   illegittimita'
costituzionale   di   un'imposta   siffatta   ne  avevano  suffragato
l'abolizione   nel   2000,   mentre   non  ostavano  all'accoglimento
dell'eccezione  dedotta  le  pronuncie della Corte costituzionale che
avevano  preso  in  esame  la normativa in questione, in quanto ormai
superate  dalla  evoluzione  della  disciplina apportata alla materia
dalle novelle del 1972 e del 1990.
    Nel  giudizio  cosi'  instaurato  si costituiva l'Amministrazione
finanziaria ribadendo la legittimita' del proprio operato.
    All'esito  dell'odierna discussione orale, ritiene la commissione
la   non  manifesta  infondatezza  dell'eccezione  di  illegittimita'
costituzionale sollevata, peraltro rilevante ai fini del decidere.
    Un'attenta  ricostruzione  dell'evoluzione  storica  dell'imposta
sull'asse  ereditario  globale  a far tempo dalla sua istituzione nel
1942  e  del  contrasto dottrinario sin dal primo momento delineatosi
sulla   sua   compatibilita'   con   il   principio  della  capacita'
contributiva  dettato dall'art. 53 Cost. evidenzia invero gli aspetti
di   contrasto   fra   il   cumulo   di  tale  imposizione  e  quella
dell'imposizione sulle quote ereditarie - cumulo che sostanzia, nella
distinzione  apparente fra una tassazione sull'accrescimento derivato
dalla  chiamata  all'eredita'  ed una tassazione del trasferimento di
ricchezza conseguito agli eredi dalla successione, il raddoppio di un
medesimo  tributo,  che  finisce  con  l'avere oltre che due distinte
discipline, due diverse scale di aliquote, suggellate dalla reciproca
indeducibilita' - e la proporzionalita' dell'imposizione all'introito
effettivo.
    Se   il   tributo  successorio  si  giustifica,  del  resto,  con
l'arricchimento  ricevuto dall'erede (peraltro senza sforzo alcuno da
parte sua), sia esso legato o meno da rapporto di coniugio o in linea
retta  con  il  de  cuius  -  stante  il  privilegio economico che ne
consegue  -  altrettanto  non puo' dirsi per l'imposta di successione
globale che si atteggia come un vero e proprio tributo sul patrimonio
del de cuius piu' che su quello del beneficiario dell'eredita'.
    La perequazione dal punto di vista impositivo fra l'incremento di
ricchezza  che  l'erede riceve iure hereditatis e quello frutto della
propria  forza  economica - che giustificava, prima della riforma del
2000,  la  tassa  di  successione  come quella sui redditi - non puo'
invero  estendersi fino a legittimare una imposta come quella globale
sul  valore  dell'asse  ereditario, che tassa una ricchezza fittizia,
avulsa cioe' dall'effettivo arricchimento provocato in capo all'erede
dalla successione dal de cuius.
    Ne  consegue,  che  anche  a  voler  tenere  presente  -  secondo
l'insegnamento  della sentenza n. 147/1975 della Corte costituzionale
-  che  nelle  imposte  a  carattere  reale come quella di specie, la
capacita'  contributiva e' data dal valore del bene tassato e non dal
patrimonio del soggetto cui il bene appartiene, la compresenza di due
tasse  successorie  per  la  medesima  persona  del  beneficiario non
coniuge  ne'  parente  in  linea  retta  con il defunto, concreta una
sperequazione   priva   di   alcuna   giustificazione   giuridica   o
sostanziale, che si traduce in una palese violazione del principio di
uguaglianza di cui all'art. 3 Cost.
    Ma  il tributo in questione contrasta anche - e conclusivamente -
con  il  principio  della capacita' contributiva dettato dall'art. 53
Cost.
    L'imposta  globale  sul  valore  della successione - che pure non
appare direttamente collegata al patrimonio ereditario - trova invero
il  suo presupposto impositivo nell'arricchimento (sia pure fittizio)
che  si determina a vantaggio del beneficiario dell'eredita' e per il
solo  fatto  di rivestire questa posizione, con la conseguenza che il
medesimo  arricchimento,  quando  diviene effettivo accrescimento del
patrimonio  del chiamato a seguito dell'accettazione dell'eredita' da
parte  sua  finisce  con il costituire ragione impositiva della tassa
sulle quote ereditarie, con la conseguenza che un medesimo cespite e'
alla  base  di  due  tassazioni  distinte  nei confronti dello stesso
soggetto.
    Ne discende che - anche a prescindere dall'indubbia influenza che
profili  di  incostituzionalita'  quali quelli sin qui sinteticamente
evidenziati  dell'imposta  in  questione  hanno  avuto  nella riforma
appartata  alla  materia  dalla legge n. 342 del 21 novembre 2000, la
quale  ne ha decretato l'abolizione - deve rilevarsi la non manifesta
infondatezza   della   questione   di   legittimita'   costituzionale
dell'art. 7,  comma  2, del d.lgs. n. 346/1990, che prevede il cumulo
dell'imposta  sull'asse  globale  con  l'imposta dovuta sulle singole
quote per l'erede che non fosse legato da rapporto di coniugio ne' di
parentela  in linea retta con il defunto, in relazione agli artt. 3 e
53 della Costituzione.
    La  rilevanza  di  tale  questione  per la decisione del presente
procedimento e' poi palese quando si consideri che se la disposizione
dell'art. 7   citato   fosse  caducata  per  incostituzionalita',  il
ricorrente  Branca  si  vedrebbe esonerato dal pagamento di una somma
complessiva  di  oltre  50  milioni  delle  vecchie lire, pretesa con
l'avviso  di  liquidazione impugnato proprio a fronte dell'imposta di
successione  del defunto Carlo Ranieri Branca dallo stesso ricorrente
dovuta.
    Deve  pertanto disporsi la sospensione del presente giudizio, con
trasmissione  degli  atti  alla Corte costituzionale, in attesa della
sua pronuncia.