IL TRIBUNALE

    Ha emesso la seguente ordinanza ex art. 23 legge n. 87/1953.
    Letti  gli  atti  nei  confronti  di  Kurti  Agron  nato  a Lezhe
(Albania)  il  1° gennaio  1977,  elettivamente domiciliato presso lo
studio dell'avv. Anna Chiara Minervini;
    Rilevato   che   il   predetto  e'  imputato  del  reato  di  cui
all'art. 13,  comma  13,  d.lgs.  n. 286/1998,  come modificato dalla
legge  n. 189/2002  per aver fatto rientro nel territorio dello Stato
senza  autorizzazione  pur  essendo  stato  espulso  con  decreto del
questore  di  Bari  del  27 febbraio 1998 e rimpatriato il successivo
4 maggio 1998.
    Rilevato,  sempre  in  via preliminare, che sussistono seri dubbi
circa  la  legittimita'  costituzionale della norma penale contestata
con  riferimento  agli  artt. 2  e  3  Cost. atteso che la norma pare
introdurre  una forma di pena speciale per l'immigrato, atteso che in
base alla semplice condizione formale di «straniero» viene attribuita
una  pena particolarmente elevata (da sei mesi ad un anno di arresto)
per  una ipotesi sostanzialmente riconducibile ad una inosservanza di
provvedimenti dell'autorita' (come l'ordine di lasciare il territorio
dello  Stato rivolto dal questore), normalmente punita se trattasi di
cittadini  residenti  -  ex  art. 650 c.p. - con l'arresto fino a tre
mesi o con l'ammenda fino a lire 400.000 ai sensi dell' art. 650 c.p.
    Ebbene,  configurare  una  pena speciale, piu' grave, rispetto ad
altra,   meno   grave,  sul  solo  presupposto  della  condizione  di
«straniero»  del  destinatario  della  norma appare discriminatorio e
contrastante con le disposizioni costituzionali richiamate secondo le
quali  «La  Repubblica  riconosce  e garantisce i diritti inviolabili
dell'uomo»,   tra   cui   non  puo'  non  rientrare  quello  previsto
dall'art. 13   cpv.   della   Dichiarazione  universale  dei  diritti
dell'uomo,  secondo  cui  «ogni  individuo  ha  diritto  di  lasciare
qualsiasi  paese,  incluso  il  proprio,  e  di ritornare nel proprio
paese»,  e inoltre che «Tutti i cittadini hanno pari dignita' sociale
e  sono  eguali  davanti  alla  legge, senza distinzione di sesso, di
razza,  di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni
personali  e  sociali», norme che verrebbero negate laddove alla mera
condizione  personale di migrante dovesse riconnettersi una pena piu'
grave  per  la semplice inosservanza di un ordine amministrativo come
quello  di  non  rientrare  nello Stato, con la conseguenza di creare
ipso  facto  un  diritto speciale per soggetti che, avvalendosi di un
diritto  fondamentale  di  tipo  naturale,  versano  nello  status di
stranieri  in cerca di condizioni di vita diverse da quelle dei paesi
di origine, caratterizzate da miseria e/o guerre;
    Rilevato che sul punto il Consiglio di Stato in recenti decisioni
1)  ha  richiamato pronunce della Consulta 2), affermando che «Quando
venga  riferito  al  godimento  dei diritti inviolabili dell'uomo, il
principio  costituzionale  di  eguaglianza  non  tollera  in generale
discriminazioni  tra  la  posizione  del  cittadino  e  quella  dello
straniero»  (arg.  Corte Cost. 26 giugno 1997, n. 203; Corte cost. 13
febbraio 1995, n. 34; Corte cost. 20 gennaio 1977 n. 46);
    Rilevato  che per tali motivi appare non manifestamente infondata
la  questione  di  incostituzionalita'  dell'art. 13, comma 13, nella
parte  in  cui predispone per ipotesi riconducibili all'art. 650 c.p.
pene  maggiorate  per la mera condizione di migrante del destinatario
della sanzione rispetto ai cittadini residenti, per contrasto con gli
artt. 2 e 3 Cost.;
    Rilevato  che  la  questione  appare  altresi'  rilevante  per il
procedimento  di  cui  trattasi, atteso che questo ufficio, in virtu'
della  clausola  di  specialita'  di  cui all'art. 650 c.p., non puo'
applicare  la  sanzione di cui alla predetta norma ne' procedere alla
derubricazione;
          1)  Cfr.  Consiglio  di  Stato,  sezione  IV,  decisione 30
          marzo-20   maggio   1999,   n. 870.  (pres.  Pezzana;  rel.
          Lamberti),  in  Guida  al  diritto  numero 27 del 10 luglio
          1999, p. 90, la cui massima recita: «Il previsto termine di
          otto giorni dalla data d'ingresso in Italia, assegnato allo
          straniero  extracomunitario  per avanzare formale richiesta
          di   permesso   di   soggiorno  all'autorita'  di  pubblica
          sicurezza,   non  e'  da  considerare  perentorio,  con  la
          conseguenza che il suo mancato rispetto non puo' comportare
          di  per  se'  l'espulsione dello straniero inadempiente dal
          territorio   dello   Stato,   allorche'  questi  abbia  nel
          frattempo  instaurato  in  Italia una normale condizione di
          vita  e  sia  comunque  in  possesso  degli altri requisiti
          richiesti  dalla  legge  per  il  soggiorno  nel territorio
          nazionale».
          2)  Corte  cost.  10  dicembre  1987  n. 503,  in Riv. dir.
          internaz. 1988, 918.|">