ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel  giudizio  di legittimita' costituzionale dell'art. 83 del codice
di  procedura penale, promosso con ordinanza del 12 febbraio 2001 dal
Tribunale  di  Padova  nel  procedimento  penale  a  carico  di C.F.,
iscritta  al  n. 388  del  registro ordinanze 2003 e pubblicata nella
Gazzetta   Ufficiale  della  Repubblica  n. 26,  1ª  serie  speciale,
dell'anno 2003.
    Visti l'atto di costituzione di C.F. nonche' l'atto di intervento
del Presidente del Consiglio dei ministri;
    Udito nell'udienza pubblica del 6 luglio 2004 il giudice relatore
Giovanni Maria Flick;
    Uditi  l'avvocato  Piero  Longo per C.F. e l'avvocato dello Stato
Giovanni Lancia per il Presidente del Consiglio dei ministri.
    Ritenuto  che  il  Tribunale  di  Padova, con ordinanza emessa il
12 febbraio   2001,  pervenuta  alla  Corte  il  14 maggio  2003,  ha
sollevato,  in  riferimento agli artt. 3, 24 e 97 della Costituzione,
questione  di  legittimita' costituzionale dell'art. 83 del codice di
procedura penale, nella parte in cui non prevede che l'imputato possa
proporre  istanza  di  citazione  del  responsabile  civile quando si
tratti  di  «responsabili civili ex lege derivanti dalla normativa in
tema  di  infortuni  sul  lavoro  ed  in tema di previdenza sociale»,
nonche' «da quanto previsto dall'art. 28 della Costituzione»;
        che  il  rimettente premette di essere investito del processo
penale nei confronti di persona imputata del reato di lesioni colpose
aggravate  (artt. 590  e  583  cod.  pen.),  commesse  con violazione
dell'art. 2087 cod. civ. e degli artt. 375 e 377 del d.P.R. 27 aprile
1955,  n. 547  (Norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro),
per  aver  consentito,  quale  responsabile del settore tecnico di un
ospedale  civile,  che  un  lavoratore  operasse per diciassette anni
nella   centrale  termica  e  curasse  la  manutenzione  di  tubature
coibentate con amianto, senza avvertirlo dei rischi della lavorazione
e  senza  predisporre misure di protezione, causandogli, in tal modo,
una  malattia  professionale  consistente  in una placca pleurica con
rilevante riduzione della capacita' respiratoria;
        che  -  essendovi  stata  costituzione  di  parte civile - il
difensore dell'imputato aveva chiesto la citazione, come responsabili
civili,  della  «gestione liquidatoria» della soppressa Unita' locale
socio-sanitaria  n. 21  di  Padova,  quale  pubblica  amministrazione
responsabile  per  il  fatto illecito del proprio dipendente, a norma
dell'art. 28 Cost; della societa' assicuratrice della predetta Unita'
locale   socio-sanitaria;   nonche'  dell'INAIL  e  dell'INPS,  quali
responsabili  ex  lege  -  secondo  la  difesa  -  per  l'esposizione
ultradecennale ad amianto in forza dell'art. 13, comma 8, della legge
23 marzo  1992,  n. 257  (Norme relative alla cessazione dell'impiego
dell'amianto);
        che,  ad  avviso  del  giudice  a  quo,  l'istanza  in parola
dovrebbe   essere   ritenuta  allo  stato  inammissibile,  in  quanto
l'art. 83  cod.  proc.  pen.  non  include  l'imputato tra i soggetti
legittimati  a  chiedere la citazione del responsabile civile: e cio'
anche  dopo  la  sentenza  n. 112  del  1998  di questa Corte, che ha
dichiarato  l'illegittimita'  costituzionale del citato art. 83 nella
parte  in  cui  non prevedeva che, nel caso di responsabilita' civile
derivante   dall'assicurazione   obbligatoria   di   cui  alla  legge
24 dicembre    1969,   n. 990   (Assicurazione   obbligatoria   della
responsabilita'  civile  derivante  dalla  circolazione dei veicoli a
motore  e  dei  natanti),  l'assicuratore  possa  essere  citato  nel
processo penale a richiesta dell'imputato;
        che  tale decisione, infatti, per il suo preciso dispositivo,
non  sarebbe  suscettibile  di  estensione  in  via  interpretativa a
fattispecie diverse da quella indicata;
        che  secondo  il  rimettente,  tuttavia, l'art. 83 cod. proc.
pen. si porrebbe in contrasto con l'art. 3 Cost. - nella parte in cui
non  consente  all'imputato di chiedere la citazione del responsabile
civile  -  anche  quando  si tratti di responsabili civili ex lege in
base  alla  normativa  in  materia  di  infortuni  sul  lavoro  e  di
previdenza  sociale,  ovvero  alla  stregua del disposto dell'art. 28
Cost;
        che  la citata sentenza n. 112 del 1998 avrebbe infatti preso
le  mosse  dalla  considerazione  che - alla luce degli artt. 18 e 23
della  legge  n. 990  del  1969  - l'assicurazione obbligatoria della
responsabilita'  civile  derivante  dalla  circolazione dei veicoli a
motore  e  dei  natanti  determina una responsabilita' civile ex lege
dell'assicuratore,  riconducibile  alla  previsione del secondo comma
dell'art. 185  cod.  pen., in forza della quale ogni reato, che abbia
cagionato  un  danno  patrimoniale  o  non  patrimoniale,  obbliga al
risarcimento  il  colpevole  e  le  persone  che, a norma delle leggi
civili, debbono rispondere per il fatto di lui;
        che,  su  tale  premessa,  la  sentenza  in  discorso avrebbe
altresi' rimarcato la sostanziale equiparabilita' della posizione del
convenuto   nel   giudizio   civile   di   danno  rispetto  a  quella
dell'imputato  nei  cui  confronti  la parte civile esercita l'azione
risarcitoria:  simmetria a fronte della quale si e' ritenuta priva di
ragionevole  giustificazione  la  mancata  previsione  della facolta'
dell'imputato   di   chiedere  la  citazione  dell'assicuratore,  con
l'effetto  di privarlo del potere corrispondente a quello di chiamata
in  garanzia dell'assicuratore medesimo, riconosciuto al convenuto in
sede civile;
        che    siffatte    considerazioni   risulterebbero   peraltro
riferibili  - secondo  il  rimettente - alla generalita' dei casi nei
quali  e'  consentito al convenuto nel processo civile di chiamare in
garanzia  un  «responsabile  civile ex lege»: dovendosi anche in tali
ipotesi  riconoscere  all'imputato, di fronte all'azione risarcitoria
intentata nei suoi confronti dalla parte civile, il simmetrico potere
di   chiedere  la  citazione  del  predetto  responsabile,  pena  una
disparita'  di  trattamento analoga a quella gia' censurata da questa
Corte;
        che,  con  riferimento  al  caso  di  specie,  anche  a voler
ritenere che la questione non riguardi l'assicuratore «privato» della
Unita'   locale  socio-sanitaria  -  tenuto  conto  dell'origine  non
«normativa»  della  relativa  responsabilita'  -  e «impregiudicata»,
altresi',  «la  natura  della  eventuale responsabilita» dell'INAIL e
dell'INPS,  la  situazione  sopra indicata ricorrerebbe quantomeno in
rapporto  all'ente pubblico dal quale l'imputato dipendeva, in quanto
chiamato  a  rispondere civilmente ex lege del fatto illecito oggetto
di giudizio in base all'art. 28 Cost;
        che  nel  giudizio  di  costituzionalita'  e'  intervenuto il
Presidente   del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso
dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  il  quale ha chiesto che la
questione sia dichiarata inammissibile o infondata;
        che  si  e'  costituita,  altresi',  la  parte  privata F.C.,
imputato  nel  giudizio  a  quo,  che  - aderendo alle argomentazioni
svolte   dal   rimettente   -   ha  chiesto  che  la  Corte  dichiari
l'illegittimita' costituzionale della norma impugnata.
    Considerato  che il Tribunale di Padova dubita della legittimita'
costituzionale  dell'art. 83  del  codice  di procedura penale, nella
parte  in  cui  non riconosce all'imputato la facolta' di chiedere la
citazione del responsabile civile allorche' si tratti di responsabile
civile  ex lege in base alle norme in materia di infortuni sul lavoro
e di previdenza sociale, ovvero in forza dell'art. 28 Cost;
        che,  a parere del rimettente, la norma impugnata violerebbe,
sotto  tale  profilo,  l'art. 3  Cost. - gli artt. 24 e 97 Cost. sono
menzionati  unicamente  nel dispositivo dell'ordinanza di rimessione,
senza  alcuna  argomentazione  di  supporto  nella  parte motiva - in
quanto  determinerebbe una  ingiustificata  disparita' di trattamento
tra  il  convenuto  nel giudizio civile di danno e l'imputato nei cui
confronti  e'  esercitata  l'azione  risarcitoria della parte civile:
disparita'  di  trattamento del tutto analoga a quella gia' censurata
da questa Corte con la sentenza n. 112 del 1998;
        che, al riguardo, va peraltro rilevato come questa Corte, con
pronuncia successiva all'ordinanza di rimessione, abbia avuto modo di
precisare  l'esatta portata dei principi affermati nella sentenza ora
citata,  in  rapporto  a  quesiti  di  costituzionalita' basati, come
quello  odierno,  su  una supposta vis espansiva della relativa ratio
decidendi (cfr. sentenza n. 75 del 2001);
        che,  nell'occasione,  si  e'  preliminarmente  rimarcato  il
«particolare  rigore»  con il quale - nel sistema delineato dal nuovo
codice di rito del 1988 - «devono essere misurate le disposizioni che
regolano  l'ingresso,  in  sede  penale,  di  parti diverse da quelle
necessarie»:    e   cio'   a   fronte   dell'«accentuata   tendenza»,
caratteristica  del  nuovo  impianto,  «a  circoscrivere  nei  limiti
dell'essenzialita'  tutte  le  forme di cumulo processuale, stante la
maturata  consapevolezza che l'incremento delle regiudicande - specie
se,  come quelle civili, estranee alle finalita' tipiche del processo
penale  -  non possa che aggravarne l'iter»; con conseguente «perdita
di  snellezza  e  celerita' nelle cadenze e nei tempi di definizione»
(valori,   questi,   attualmente   oggetto   di   espressa   garanzia
costituzionale ad opera dell'art. 111, secondo comma, Cost.);
        che,  in  tale  prospettiva,  le  enunciazioni  di  principio
racchiuse  nella  sentenza  n. 112 del 1998 si presentano intimamente
saldate  alle  «specifiche  caratteristiche  che  rendono  del  tutto
peculiare  la  posizione  dell'assicuratore chiamato a rispondere, ai
sensi  della  legge  n. 990  del  1969,  dei  danni  derivanti  dalla
circolazione dei veicoli e dei natanti», implicando «una correlazione
tra   le   posizioni   coinvolte   di   spessore   tale   da  rendere
necessariamente omologabile il ... regime ad esse riservato, tanto in
sede civile che nella ipotesi di esercizio della domanda risarcitoria
in sede penale»;
        che da un lato, infatti, gli artt. 18 e 23 della legge n. 990
del   1969   - prevedendo,   rispettivamente,  l'azione  diretta  del
danneggiato  nei  confronti  dell'assicuratore  ed  il litisconsorzio
necessario  fra  responsabile  del danno ed assicuratore nel giudizio
promosso contro quest'ultimo - consentono di collocare la particolare
ipotesi  di responsabilita' civile in discorso fra i casi ai quali si
riferisce  il secondo comma dell'art. 185 cod. pen., tradizionalmente
raccordato  alla assunzione di una posizione di garanzia per il fatto
altrui;
        che,  dall'altro  lato  e al tempo stesso, la possibilita' di
chiamare  in causa l'assicuratore - offerta al danneggiante convenuto
in  sede propria dagli artt. 1917, ultimo comma, cod. civ. e 106 cod.
proc. civ. - risulta correlata «al diritto dell'assicurato di vedersi
manlevato  dalle  pretese  risarcitorie,  con  correlativo  potere di
regresso, al contrario escluso per l'assicuratore»;
        che  a  tale «funzione plurima» del rapporto di garanzia - in
quanto destinato a salvaguardare direttamente tanto la vittima che il
danneggiante    -   questa   Corte   ha   ritenuto   dovesse   quindi
necessariamente  corrispondere  l'allineamento, anche in sede penale,
dei  poteri  processuali  di  «chiamata» riconosciuti in sede civile,
onde   evitare  che  l'effettivita'  della  predetta  funzione  venga
pregiudicata dalle scelte operate dall'attore-parte civile;
        che, peraltro - contrariamente a quanto mostra di ritenere il
giudice a quo - le peculiarita' dianzi evidenziate non si riscontrano
affatto  nella generalita' delle ipotesi di responsabilita' civile ex
lege per fatto altrui;
        che  con  la  citata  sentenza  n. 75  del  2001  la Corte ha
escluso,  cosi', che alla posizione dell'assicuratore ex legge n. 990
del    1969   potesse   essere   assimilata   quella   dell'esercente
l'aeromobile,  tenuto a risarcire i danni provocati da un sinistro in
base  all'art. 878  del  codice della navigazione: e cio' sul rilievo
che,  in tal caso, all'azione diretta del danneggiato non corrisponde
un rapporto interno di «garanzia» tra imputato e responsabile civile,
nei  termini  delineati  dal richiamato art. 1917 cod. civ., ne' puo'
intravedersi  il  correlativo  ed automatico diritto di regresso, che
caratterizza la posizione del danneggiante «garantito»;
        che considerazioni similari valgono anche in rapporto ai casi
oggetto dell'odierno scrutinio di costituzionalita';
        che  la  responsabilita'  civile  dello  Stato  e  degli enti
pubblici  per  i  fatti  dei dipendenti, prevista dall'art. 28 Cost.,
assolve,  difatti,  ad  un  funzione di tutela nei confronti del solo
danneggiato,  e  non anche del danneggiante: non e' il dipendente che
risarcisce il danno provocato da suoi «atti compiuti in violazione di
diritti»    ad    aver    diritto    di    rivalsa    nei   confronti
dell'amministrazione   pubblica   di   appartenenza,   ma  semmai  il
contrario;   onde  l'invocata  facolta'  di  citazione  dell'ente  di
appartenenza,    quale    responsabile    civile,    da   parte   del
dipendente-imputato   non  potrebbe  trovare  giustificazione  in  un
rapporto interno di «garanzia» tra i due soggetti;
        che  quanto,  poi,  ai «responsabili civili ex lege derivanti
dalla  normativa  in  tema  di  infortuni  sul  lavoro  ed in tema di
previdenza  sociale»,  lo  stesso  rimettente  si  esprime in termini
dubitativi  e perplessi - allorche' lascia «impregiudicata» la natura
della  responsabilita'  in  questione  -  circa  la  possibilita'  di
qualificare  gli enti previdenziali come responsabili civili ai sensi
dell'art. 185,   secondo   comma,   cod.  pen.:  qualificazione  che,
peraltro,   non   puo'   certamente  farsi  discendere  dal  disposto
dell'art. 13,   comma 8,   del   d.lgs.   n. 257  del  1992,  evocato
nell'ordinanza di rimessione, che si limita ad accordare uno speciale
beneficio   (maggiorazione  del  periodo  lavorativo)  ai  lavoratori
esposti  all'amianto  ai  fini  di un piu' rapido conseguimento delle
prestazioni pensionistiche;
        che,  d'altra parte - anche qualora si volesse prescindere da
tale   profilo   -   dalla   disciplina  generale  dell'assicurazione
obbligatoria   contro   gli   infortuni  sul  lavoro  e  le  malattie
professionali  non  si  desume  comunque  l'esistenza  di un rapporto
interno   di  «garanzia»  tra  l'imputato-danneggiante  e  l'istituto
assicuratore,  omologo a quello valorizzato dalla sentenza n. 112 del
1998:  giacche',  anzi,  gli artt. 10 e 11 del d.P.R. 30 giugno 1965,
n. 1124   (Testo   unico   delle   disposizioni  per  l'assicurazione
obbligatoria   contro   gli   infortuni  sul  lavoro  e  le  malattie
professionali),  riconoscono piuttosto all'istituto assicuratore, che
abbia  corrisposto le indennita' previste dalla legge (e non, dunque,
il  risarcimento del danno), il diritto di regresso contro le persone
civilmente  responsabili,  ivi compreso il datore di lavoro quando il
fatto integri un reato perseguibile d'ufficio;
        che  la  questione  va  dichiarata,  pertanto, manifestamente
infondata.