IL TRIBUNALE

    Sulla  richiesta  del  p.m.  di convalida dell'arresto di Popescu
Alexandra,  nata  a Bucarest (Romania) il 17 ottobre 1976 arrestata a
Bologna  il  19 aprile 2004 ai sensi dell'art. 14, comma 5-quinquies,
d.lgs.  286/1998  -  come modificato dalla legge n. 189/2002 - per la
contravvenzione  prevista  e  punita dall'art. 14, comma 5-ter stessa
legge;
    Premesso  che  l'arrestata e' stata espulsa con provvedimento del
Prefetto  di Bologna in data 28 marzo 2003 e in pari data il Questore
di Bologna gli ha ordinato di allontanarsi dal territorio dello Stato
entro   5   giorni   ai   sensi  dell'art. 14,  comma  5-bis,  d.lgs.
n. 286/1998, come modificato dalla legge n. 189/2002;
    Dato   atto   che   l'arrestata   e'   priva   di   documenti  di
identificazione   validi   ed   e'   stata   sottoposta   a   rilievi
dattiloscopici per la sua identificazione;
    Osservato che:
        il  decreto legislativo 286/1998 come recentemente modificato
dalla  legge n. 189/2002 prevede l'espulsione dello straniero che sia
entrato  nel  territorio  dello  stato  sottraendosi  ai controlli di
frontiera  o  vi si sia trattenuto senza permesso di soggiorno valido
(art. 13, comma 2, lett. a) b);
        l'espulsione  e'  disposta dal prefetto ed e' sempre eseguita
dal  questore  con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza
pubblica  (art. 13, comma 4), salvo nei casi concernenti lo straniero
il cui permesso di soggiorno sia scaduto da piu' di sessanta giorni e
non  ne  sia  stato  chiesto  il  rinnovo,  per il quale l'espulsione
eseguita  mediante  accompagnamento  alla  frontiera viene sostituita
dall'intimazione a lasciare il territorio dello Stato entro 15 giorni
(art. 13, comma 5);
        la  regola  fissata  dal  comma  4  dell'art. 13  puo' essere
derogata   quando   non   e'   possibile  eseguire  con  immediatezza
l'espulsione   mediante  accompagnamento  alla  frontiera  ovvero  il
respingimento, perche' occorre procedere al soccorso dello straniero,
accertamenti   supplementari   in   ordine   alla   sua  identita'  o
nazionalita',  ovvero  all' acquisizione di documenti per il viaggio,
ovvero  per  l'indisponibilita' di vettore o altro mezzo di trasporto
idoneo (art. 14, comma 1);
        in  tal  caso  il  questore  dispone  che  lo  straniero  sia
trattenuto  per  il tempo strettamente necessario presso il centro di
permanenza temporanea e assistenza piu' vicino;
        come  rimedio  ulteriore  ed  estremo,  qualora non sia stato
possibile   trattenere   lo   straniero  nel  centro,  o  trattenerlo
ulteriormente  (essendo decorso il termine massimo di giorni 30+30 di
cui  al  comma  5 dell'art. 14), il questore ordina allo straniero di
lasciare  il  territorio  dello  Stato entro 5 giorni (art. 14, comma
5-bis);
        orbene,  implicitamente  confermando che la clandestinita' in
se'  non  e' reato ma solo l'inottemperanza al relativo provvedimento
di   espulsione,   il  legislatore  ha  contemplato  diverse  ipotesi
sanzionatorie per l'inosservanza dei diversi tipi di espulsione;
        la  disobbedienza  che  si  realizzi  per  la prima volta, di
regola,  e'  un illecito contravvenzionale (l'eccezione e' costituita
dalla  trasgressione  all'espulsione disposta dal giudice a titolo di
sanzione  sostitativa o alternativa alla detenzione; art. 16, commi 1
e  5);  le  condotte  sanzionate sono il rientro nel territorio dello
stato   senza  speciale  autorizzazione  del  ministero  dell'interno
(art. 13,  comma 13) e il trattenimento ingiustificato nel territorio
dello Stato in violazione dell'ordine impartito dal questore ai sensi
dell'art. 14,  comma  5-bis;  per entrambe le contravvenzioni la pena
prevista  e'  l'arresto  da sei mesi ad un anno ed e' previsto che si
proceda   a  nuova  espulsione  con  accompagnamento  alla  frontiera
(art. 13, comma 13, in fine e art. 14, comma 5-ter, in fine);
        la  reiterazione  della  condotta disobbediente (ovverosia il
rientro   dello  straniero  gia'  denunciato  per  il  reato  di  cui
all'art. 13,  comma  13  o il rinvenimento nel territorio dello Stato
dello  straniero espulso ai sensi dell'art. 14, comma 5-ter) realizza
un  delitto,  punito  con la reclusione da 1 a 4 anni (art. 13, comma
13-bis in fine e art. 14, comma 5-quater);
        quanto  agli aspetti processuali, gli artt. 13 e 14 prevedono
per i reati in ciascuno di essi contemplati rispettivamente l'arresto
facoltativo  in  flagranza  (art. 13, comma 13-ter; per le violazione
dell'art. 13-bis  e'  consentito  anche  il  fermo  fuori dei casi di
flagranza)  e  l'arresto  obbligatorio (art. 14, comma 5-quinquies) e
sempre il rito direttissimo.
    Ritenuto che:
        la  questione  di  legittimita'  costituzionale dell'art. 14,
comma  5-quinquies,  nella  parte  in  cui  prevede come obbligatorio
l'arresto   per   il   reato   di  cui  al  comma  5-ter  appare  non
manifestamente  infondata e rilevante e va sollevata d'ufficio per le
ragioni  che  seguono, con riferimento ai parametri costituzionali di
cui all'art. 3 Cost.;
        i   reati  contravvenzionali  previsti  dagli  art. 13  e  14
rivestono  quanto  meno pari gravita'; infatti sono sanzionati con la
medesima  pena  edittale,  prevedono  identiche conseguenze sul piano
amministrativo  (nuova espulsione con accompagnamento alla frontiera)
e  penale  (lo  straniero  che,  dopo  essere stato denunciato per la
contravvenzione,  viene  nuovamente  colto nel territorio dello Stato
commette  un  delitto punito con la reclusione da 1 a 4 anni) in caso
di reiterazione della condotta;
        in  realta', a ben vedere, la condotta descritta all'art. 14,
comma  5-ter,  appare  meno grave di quella di cui all'art. 13, comma
13;  in  quest'ultimo  caso  lo  straniero  che,  dopo  essere  stato
accompagnato   coattivamente  alla  frontiera  a  mezzo  della  forza
pubblica  e  fisicamente  espulso  dal  territorio  dello  Stato,  vi
rientra, pone in essere una condotta attiva di trasgressione non solo
ad  un  ordine  legalmente  dato  ma  anche  ad  attivita'  che hanno
impegnato  lo  Stato  con  risorse  umane  e  materiali,  e ha quindi
mostrato un atteggiamento volitivo particolarmente forte; la condotta
di  cui  all'art. 14,  comma  5-ter e' invece meramente omissiva, nel
senso  che lo straniero «intimato» si limita a non adempiere l'ordine
e   a   non   presentarsi   alla   frontiera  nel  termine  indicato,
atteggiamento che e' compatibile anche con la semplice colpa;
        se  e' dunque corretto ritenere che la contravvenzione di cui
all'art. 14,  comma  5-ter,  e' di gravita' pari o addirittura minore
rispetto  a  quella  da  cui  all'art. 13, comma 13, non vi e' alcuna
ragione  che giustifichi la previsione di un arresto obbligatorio nel
primo caso e facoltativo nel secondo;
    ma   v'e'   di   piu';  l'art. 13,  comma  13-ter,  prevede  come
facoltativo l'arresto anche in caso di commissione di uno dei delitti
previsti  dal  precedente  comma  13-bis;  e fra essi, oltre a quello
dello straniero che, gia' denunciato per la contravvenzione di cui al
comma   13  e  nuovamente  espulso  con  nuovo  accompagnamento  alla
frontiera,  sia  rientrato  nel  territorio  dello Stato, vi e' anche
quello  di  violazione  dell'espulsione disposta dal giudice; orbene,
tale  espulsione  ai  sensi  dell'art. 16  del  decreto  puo'  essere
disposta  con  la sentenza, come sanzione sostitutiva di condanna per
reato  non colposo ad una pena detentiva entro il limite di due anni,
e  quindi anche in relazione a soggetti che hanno dimostrato gia', in
concreto,  di  essere  pericolosi,  tenuto  conto  dell'entita' della
condanna  loro  inflitta;  non  vi  e' alcun dubbio che tali soggetti
debbano  essere  ritenuti  piu'  pericolosi  e il loro reingresso nel
territorio  dello Stato piu' allarmante del semplice permanere di uno
straniero  la  cui unica «colpa» e' quella di avere trasgredito ad un
ordine  del  questore  che gli intimava di uscire dallo Stato entro 5
giorni;
        sembra  pertanto indiscutibile che nel sistema degli artt. 13
e  14  il  legislatore  abbia trattato in maniera difforme situazioni
quanto   meno   uguali  (prevedendo  l'arresto  obbligatorio  per  la
contravvenzione  di  cui all'art. 14 comma 5-ter e quello facoltativo
per  la  contravvenzione di cui all'art. 13, comma 13) e maniera piu'
grave   reati   di   minore   gravita'  (la  contravvenzione  di  cui
all'art. 14,  comma  5-ter  rispetto  ai  delitti di cui all'art. 13,
comma 13-bis);
        peraltro   l'arresto   obbligatorio  e'  istituto  riservato,
nell'attuale  ordinamento,  solo  ai  delitti  e  fra  essi  a quelli
particolarmente   gravi   indicati   nell'art.  380  c.p.p.;  nessuna
contravvenzione  prevede  l'arresto  obbligatorio e solo una (art. 6,
d.l.  n. 122/1993,  convertito in legge n. 205/1993) lo consente come
facolta';  anche  in  tale  ultima  ipotesi, inoltre, la condotta che
viene  sanzionata  in  via  preprocessuale con l'arresto in flagranza
appare  di  notevole  pericolosita'  sociale  (porto  nelle pubbliche
riunioni  di  armi  o  strumenti  atti ad offendere e porto di armi o
strumenti  atti  ad  offendere  per  ragioni di odio razziale, etnico
ecc.)  in confronto alla condotta di chi contravviene all'obbligo del
questore di lasciare il territorio dello Stato entro 5 giorni;
        ne'  la  disparita'  di  trattamento  sembra  trovare  alcuna
giustificazione di natura processuale o di politica criminale;
        infatti  da  un  lato,  poiche'  nel  nostro  ordinamento  e'
consentito  procedere  nella  contumacia  dell'imputato,  non  appare
necessario  garantirne  fisicamente la presenza di fronte al giudice,
ne'  l'obbligatorieta'  dell'arresto  e' necessariamente collegata al
rito  processuale  adottabile (rito direttissimo), giacche' lo stesso
d.lgs.  n. 286/1998  prevede  il rito direttissimo obbligatorio per i
reati  di  cui all'art. 13, commi 13-bis e 13-ter, per i quali - come
detto - l'arresto e' facoltativo, in tal modo introducendo una deroga
al generale principio secondo cui l'adozione del rito direttissimo e'
generalmente   collegata   all'arresto  (peraltro  gia'  il  comma  5
dell'art. 449 c.p.p prevede una ipotesi diversa di rito direttissimo,
collegato  alla confessione dell'imputato e non all'avvenuto arresto;
analogamente  l'art. 12-bis,  d.l.  8 giugno 1992, n. 302, stabilisce
che  per  i  reati  concernenti  le  armi e gli esplosivi il pubblico
ministero  procede  al  giudizio  direttissimo  anche  fuori dei casi
previsti dagli artt. 449 e 558 c.p.p.);
        d'altro   lato,  va  rammentato  che  la  ratio  della  norma
incriminatrice  e'  quella  di  sanzionare  un  soggetto  che  si  e'
sottratto  all'esecuzione  volontaria  di  un  ordine dell'autorita',
ordine  che  e'  stato  emanato  perche'  egli si trova bensi' in una
condizione soggettiva particolare (senza documenti di identificazione
e  dunque  non  passibile  di  espulsione coatta verso un determinato
Stato) ma in se' non illecita, non integrando alcuna ipotesi di reato
l'essere clandestino e non identificato; inoltre, scegliendo il reato
di   natura  contravvenzionale  (del  resto  conformemente  ad  altre
fattispecie  analoghe; v. art. 650 c.p. e art. 2, legge n. 1423/1956)
lo stesso legislatore ha qualificato la condotta in termini di minore
gravita',  rendendo  anche impossibile l'adozione di qualunque misura
cautelare;  e'  ben  vero  che  nella  sfera  della  discrezionalita'
legislativa  rientrano  le  scelte  sulla  qualita' e quantita' delle
sanzioni e sui presupposti di applicabilita' delle misure cautelari e
precautelari, ma e' altrettanto vero che l'uso della discrezionalita'
legislativa puo' essere censurato sotto il profilo della legittimita'
costituzionale  nei  casi  in  cui non sia stato rispettato il limite
della  ragionevolezza  (cfr.  sentenze Corte cost. 26/1979, 103/1982,
409/1989,  341/1994;  secondo  Corte  cost.  53/1958 «non si compiono
valutazioni  di  natura  politica  e  nemmeno  si controlla l'uso del
potere  discrezionale del legislatore se si dichiara che il principio
dell'uguaglianza  e'  violato quando il legislatore assoggetta ad una
indiscriminata  disciplina  situazioni  che  esso  stesso considera e
dichiara diverse»);
        ne'   puo'   dubitarsi   che  il  principio  di  uguaglianza,
nonostante il riferimento letterale dell'art. 3 Cost. ai «cittadini»,
debba  ritenersi  esteso  anche  agli  stranieri, allorche' si tratti
della   tutela   dei   diritti  inviolabili  dell'uomo  (Corte  cost.
104/1969);
        nella  fattispecie  concreta la questione e' anche rilevante;
infatti  l'arrestato  e'  stato  privato  della  liberta' personale e
obbligatoriamente    arrestato,    senza    alcuna   valutazione   di
pericolosita', per la violazione dell'art. 14, comma 5-ter e condotto
avanti  al  giudice  per  la  convalida  dell'arresto  e  il giudizio
direttissimo ai sensi dell'art. 558 c.p.p.;
        la  circostanza  che  la  mancata  convalida dell'arresto del
prevenuto  nel  termine  previsto  dagli artt. 558 e 391 u.co. c.p.p.
determinera'  la  caducazione  della  misura, non puo' influire sulla
rilevanza   della   questione   di  legittimita',  come  puntualmente
osservato dalla Corte cost. con sentenza 54/1993 nella quale si legge
«il  provvedimento  di  liberazione  dell'arrestato era imposto dalla
disposizione dell'art. 391, settimo comma, ultima parte del codice di
rito  ... poiche' tale disposizione ricollega la perdita di efficacia
dell'arresto alla carenza, per qualsiasi ragione, di un provvedimento
positivo   di   convalida   nello   stesso   termine,  e'  ovvio  che
l'impossibilita'  di  rispettarlo  conseguente  all'elevazione  della
questione  comportava  (o  avrebbe  di  li'  a  poco  ineludibilmente
comportato)  l'intervento di tale autonoma causa di carenza di valido
titolo di detenzione, a prescindere dall'esaurimento del procedimento
di  convalida,  che  ...  era  stato  contestualmente  sospeso.  Tale
procedimento  non  puo'  percio'  ritenersi  esaurito,  ne' di esso i
giudici  si  sono  spogliati:  e  la  sua  persistenza  nonostante la
liberazione  trova  ragione  nell'interesse generale ad una pronuncia
sulla  legittimita'  dell'arresto,  che ha pur sempre determinato una
privazione  della  liberta'.  La  rilevanza  della questione, dunque,
permane,  trattandosi  di  stabilire se la liberazione dell'arrestata
debba   considerarsi   conseguente  all'applicazione  dell'art.  391,
settimo  comma,  ovvero,  piu'  radicalmente,  alla  caducazione  con
effetto retroattivo della disposizione in base alla quale gli arresti
furono eseguiti».
    Sulla  base  delle  considerazioni fin qui svolte la questione di
legittimita'  costituzionale  dell'art. 14, comma 5-quinquies, d.lgs.
n. 286/1998  come  modificato dalla legge n. 189/2002, nella parte in
cui  prevede  come  obbligatorio  l'arresto per il reato previsto dal
comma  5-ter,  in  relazione all'art. 3 della Costituzione appare non
manifestamente infondata e rilevante.