IL TRIBUNALE DI SORVEGLIANZA Sentiti il procuratore generale e la difesa, che hanno concluso come da verbale, ha pronunciato la seguente ordinanza. Nel procedimento sul reclamo proposto da Ghin Lisa, nata a Conegliano (TV) il 18 luglio 1969, elettivamente domiciliata presso lo studio del difensore avv. Florindo Ceccato, via Dei Dori n. 11, Mirano (VE), avverso l'ordinanza n. 1061/2003 emessa dal Magistrato di Sorveglianza di Venezia in data 31 ottobre 2003, con la quale e' stata dichiarata inammissibile l'istanza di sospensione condizionata dell'esecuzione della pena, in relazione alla pena determinata con il provvedimento di cumulo emesso in data 17 dicembre 2002 dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Treviso, successivamente assorbito dal provvedimento di cumulo emesso in data 22 luglio 2003 dalla Procura generale della Repubblica presso la Corte d'appello di Venezia. Motivazione Con ordinanza n. 1061/2003 emessa in data 21 ottobre 2003, il Magistrato di Sorveglianza di Venezia ha dichiarato inammissibile l'istanza di sospensione condizionata della pena, introdotta dalla legge 1° agosto 2003, n. 207, presentata da Ghin Lisa, stante l'ammissione della condannata in data 17 dicembre 2003 alla misura alternativa della detenzione domiciliare, ancora in corso alla data della decisione. Avverso il provvedimento ha proposto reclamo il difensore, lamentando l'erronea interpretazione della norma di cui all'art. 1, punto 3, lett. d) della legge n. 207/2003, nella parte cui il magistrato di sorveglianza ha ritenuto di includere la detenzione domiciliare nelle «misure alternative» preclusive dell'ammissione alla sospensione condizionata dell'esecuzione della pena. Sostiene la difesa che la detenzione domiciliare e' equiparata a tutti gli effetti alla detenzione in carcere, e pertanto non puo' essere ad essa riferito il divieto di concessione della sospensione condizionata ai condannati ammessi alle misure alternative alla detenzione, non essendo, a tal fine, sufficiente la mera inclusione dell'art. 47-ter o.p., nel capo VI della legge n. 354/1975 intitolato «misure alternative alla detenzione», posto che, in assenza di eplicita esclusione, la norma dovrebbe essere interpretata in senso favorevole al condannato. Ha chiesto, pertanto, il difensore la concessione a Ghin Lisa del beneficio della sospensione condizionata dell'esecuzione della pena, deducendo la sussistenza di tutti i requisiti di legittimita' previsti dall'art. 1 della legge n. 207/2003. Ritiene il collegio che il gravame sia infondato, in quanto corretta risulta l'interpretazione data dal Magistrato di Sorveglianza di Venezia alla disposizione di cui all'art. 1, punto 3, lett. d) della legge n. 207/2003, nella parte in cui non consente la concessione del cosiddetto «indultino» ai condannati ammessi alle misure alternative alla detenzione, in quanto tra tali misure e' da considerarsi compresa anche la detenzione domiciliare, che e' si' per alcuni aspetti misura detentiva, ma e' comunque alternativa al carcere. Anche la dottrina, che pure non e' concorde nell'inquadramento teorico della detenzione domiciliare tra le misure alternative alla detenzione, ritendendola alcuni autori una «modalita' alternativa di esecuzione della pena», altri «un caso limite tra la condizione carceraria e la misura alternativa», ritiene innegabile il suo carattere di «alternativita» alla restrizione in carcere. Depone in tal senso, in primo luogo, la collocazione sistematica della disciplina della detenzione domiciliare nel titolo I capo VI dell'ordinamento penitenziario, che e' appunto intitolato misure alternative alla detenzione; e' pur vero che l'argomento sistematico non e' decisivo, posto che nel medesimo capo e' inserita anche la disciplina della liberazione anticipata che, pur essendo un beneficio premiale, e' privo del carattere di misura alternativa, tuttavia va considerato che la detenzione domiciliare, oltre alla collocazione sistematica, ha in comune con le altre misure alternative la finalita' della rieducazione e del reinserimento sociale del condannato (cfr. in motivazione Corte cost. sent. n. 173/1997), nonche' aspetti salienti di disciplina, quali il procedimento di concessione, l'apprezzamento discrezionale da parte del tribunale di sorveglianza in merito all'idoneita' preventiva e rieducativa, l'assoggettamento a prescrizioni e a obblighi, la procedura di sospensione e revoca, di estensione a titoli sopravvenuti e di cessazione per il venir meno dei requisiti di legittimita' previsti dalla legge. L' interpretazione qui sostenuta, inoltre, e' coerente con la ratio di deflazione carceraria, diretta ad attenuare il problema del sovraffollamento carcerario, ispiratrice della legge n. 207/2003, posto che la detenzione domiciliare si pone comunque in alternativa al carcere, e il detenuto domiciliare «non e' sottoposto al regime penitenziario» (da intendere come regime interno agli istituti di pena) e per lui «nessun onere grava sull'amministrazione penitenziaria per il mantenimento, la cura e l'assistenza medica», come espressamente dispone l'art. 47-ter, comma 5, o.p. Ulteriore argomento e', poi, costituito dall'interpretazione letterale dell'art. 1, punto 3, lett. d) della legge n. 207/2003, che prevede tra le cause ostative l'ammissione «alle misure alternative alla detenzione», dovendosi ritenere che l'uso del plurale implichi il riferimento a piu' misure alternative; qualora dovesse accogliersi la tesi sostenuta dalla difesa, infatti, a fortiori neppure la semiliberta', che e' misura detentiva carceraria, sia pure parzialmente, dovrebbe essere considerata ostativa all'ammissione all'indultino, e pertanto residuerebbe, quale condizione preclusiva, solo l'ammissione all'affidamento in prova. Se la norma avesse voluto riferirsi al solo affidamento in prova al servizio sociale, non si vede perche' avrebbe dovuto usare un'espressione cosi' equivoca. Va, infine, considerato che espressamente l'art. 656, comma 5 c.p.p., introdotto dalla legge n. 165/1998, comprende la detenzione domiciliare tra «le misure alternative alla detenzione» da intendere, nonostante l'impropria definizione legislativa, come misure alternative all'ordinaria detenzione in carcere: in tal senso depone la lettera della norma citata nella parte in cui disciplina la richiesta di concessione di «una delle misure alternative alla detenzione di cui agli articoli 47, 47-ter e 50, comma 1 della legge n. 354/1975, e di cui all'art. 94, d.P.R. n. 309/1990, elencando a parte, con la separazione dell'avverbio «ovvero», il solo beneficio previsto dall'art. 90, d.P.R. n. 309/1990, al quale e' comunque esteso il procedimento di accesso ai benefici introdotto dalla legge n. 165/1998. Deve, pertanto, ritenersi che l'ammissione alla detenzione domiciliare, attuale al momento della decisione del magistrato di sorveglianza, precluda la concessione della sospensione condizionata dell'esecuzione della pena. Una diversa interpretazione, costituzionalmente orientata, non appare ragionevolmente sostenibile, per le esposte ragioni. Ritiene tuttavia, il collegio, che la disposizione, cosi' formulata e intesa, attribuisca al sistema una connotazione estremamente criticabile sotto il profilo della razionalita' e costituzionalita', e che pertanto debba essere sollevata d'ufficio la questione di legittimita' costituzionale della norma, per contrasto con gli artt. 3, 27 Cost., ravvisandosene la rilevanza e la non manifesta infondatezza. Rilevante e' la questione ai fini della pronuncia sul proposto reclamo, essendo ineliminabile l'applicazione della norma nell'iter logico-giuridico che questo Tribunale deve percorrere per la decisione, trovandosi la condannata nelle condizioni previste dall'art. 1 della legge n. 207/2003 per l'ammissione all'indultino, e a cio' ostando solo la perdurante ammissione alla detenzione domiciliare. Non si ritiene, invece, di ostacolo la disposizione di cui all'art. 7 della legge n. 207/2003 nella parte in cui prevede l'applicabilita' del beneficio ai condannati in stato di detenzione o in attesa di esecuzione della pena alla data di entrata in vigore della legge: a parte l'ambiguita' del termine «detenzione», che spesso, come innanzi evidenziato, e' adoperato in modo improprio, la norma di cui all'art. 7 cit. appare, infatti, come norma di chiusura, destinata a individuare il criterio temporale per l'applicazione del beneficio di nuova istituzione, ma non anche ad individuare le condizioni sostanziali, soggettive ed oggettive, per la concessione del beneficio, che sono, invece, disciplinate dall'art. 1 della legge stessa. In punto di non manifesta infondatezza, si osserva che il nuovo istituto introdotto nel sistema dalla legge n. 207/2003, di difficile inquadramento sistematico, e' connotato dalla tendenziale automaticita' della concessione, non essendo demandato al giudice di sorveglianza alcun apprezzamento discrezionale sulla meritevolezza del benefici, ne' sull'idoneita' rieducativa e preventiva, ma esclusivamente l'accertamento della sussistenza dei requisiti di legittimita' previsti dalla legge; da qui le evidenti analogie della sospensione condizionata con la misura clemenziale dell'indulto, con la quale ha anche in comune la disciplina della revoca a causa della commissione di un delitto non colposo entro il termine previsto dalla legge, nonche' l'estinzione della pena nel caso opposto. D'altra parte, pero', il cosiddetto «indultino» ha come contenuto una serie di obblighi e prescrizioni in gran parte mutuati dalla piu' ampia delle misure alternative, ovvero l'affidamento in prova al servizio sociale, misura con la quale il nuovo beneficio condivide altri aspetti di disciplina, quali la sottoscrizione del verbale delle prescrizioni, l'assoggettamento al controllo del CSSA, che deve riferire sul comportamento del condannato al magistrato di sorveglianza, la competenza del magistrato di sorveglianza sulle modifiche delle prescrizioni e in ordine ai provvedimenti di cui agli artt. 51-bis e 51-ter o.p. in caso di violazione delle prescrizioni o di sopravvenienza di ulteriori titoli (v. il richiamo alle disposizioni, in quanto applicabili, di cui all'art. 47, commi 5, 6, 7, 8, 9, 10 della legge n. 354/1975 contenuto nell'art. 4 della legge n. 207/2003). Le prescrizioni tipiche dell'affidamento in prova, non particolarmente afflittive, hanno, generalmente, come contenuto, il divieto di frequentare pregiudicati e tossicodipendenti, nonche' ambienti controindicati, il divieto di allontanarsi dall'abitazione in ore notturne, di uscire dal comune di residenza se non per necessita' sanitarie, di lavoro, e comunque su specifica autorizzazione del giudice. Sicuramente piu' restrittive sono, invece, le prescrizioni tipiche della detenzione domiciliare, nel corso della quale l'allontanamento dal domicilio prescritto non e' consentito, ai sensi dell'art. 284 c.p.p., richiamato dall'art. 47-ter o.p, senza un formale provvedimento autorizzatorio del giudice, che puo' essere emesso sola nei casi previsti dalla legge, e il cui mancato puntuale rispetto puo' integrare, al pari dell'allontanamento ingiustificato, il reato di evasione. Il condannato ammesso alla detenzione domiciliare, pero', pur essendo stato ritenuto «meritevole» di tale misura, non puo' accedere all'indultino, connotato da un regime meno afflittivo della liberta' personale, che, puo', invece, essere concesso ai condannati che non hanno mai ottenuto, pur avendola richiesta, una misura alternativa, in quanto ritenuti dal Tribunale di Sorveglianza non meritevoli per la condotta irregolare o connotata da fatti penalmente rilevanti tenuta in liberta' o nel corso dell'esecuzione, o per il mancato conseguimento del grado di rieducazione adeguato al beneficio richiesto, o perche' ritenuti dotati di una pericolosita' sociale non contenibile con le prescrizioni tipiche di una misura alternativa. Ma vi e' di piu': il nuovo beneficio introdotto dalla legge n. 207/2003 puo' anche, in difetto di esplicita inclusione tra le cause ostative della preclusione disposta dall'art. 58-quater o.p., essere concesso ai condannati che, gia' ammessi a una misura alternativa, abbiano subito la revoca della misura per violazione di norme di legge o delle prescrizioni. L'odierna reclamante, pertanto, oggi esclusa dall'ammissione al piu' ampio beneficio stante l'ammissione alla detenzione domiciliare, non ancora venuta meno, potrebbe, invece, ottenerlo qualora, per fatto colpevole, dovesse subire la revoca della detenzione domiciliare per gli abusi commessi. Da qui il contrasto della norma censurata con l'art. 3 Cost., a causa dell'irragionevole disparita' di trattamento riservata, da una parte, ai soggetti che si sono dimostrati meritevoli di una misura alternativa e ne hanno osservato correttamente le prescrizioni, e, dall'altra, a coloro che non hanno mai meritato una misura alternativa, o se la sono vista colpevolmente revocare . E' pur vero che l'indultino e' esposto al rischio di revoca per la commissione di delitti non colposi nel quinquennio dalla concessione, ma il detenuto domiciliare ben potrebbe preferire correre tale rischio, a fronte di un regime di gran lunga meno afflittivo per la durata della pena, e invece non ha la facolta' di optare per il regime che ritiene piu' adeguato allo stadio rieducativo raggiunto, finche' permane l'ammissione alla misura alternativa. Sotto altro profilo, la norma appare in contrasto con il principio di ragionevolezza e di razionale uniformita' del trattamento normativo sotteso all'art. 3 Cost., e inoltre con l'art. 27, terzo comma, Cost. per la lesione del principio del finalismo rieducativo della pena e del principio della progressivita' trattamentale. Il tendenziale automatismo previsto dalla legge per la concessione dell'indultino, infatti, non lascia spazio ad alcuna valutazione discrezionale del giudice in merito all'idoneita' rieducativa del beneficio e al raggiungimento da parte del condannato di un grado di rieducazione adeguato al beneficio richiesto. Gia' in passato la Corte Costituzionale ha affermato che, purpotendo il legislatore di volta in volta nei limiti della ragionevolezza, far tendenzialmente prevalere l'una o l'altra delle finalita' della pena (afflittiva, retributiva, rieducativa), nessuna delle finalita' assegnate alla pena dalla Costituzione deve, pero', risultare obliterata (cfr. Corte cost., sent. n. 306/1993). In altre sentenze, poi, la Corte ha posto l'accento sul principio della progressivita' trattamentale che «esprime l'esigenza che ciascun istituto si modelli e viva nel concreto come strumento dinamicamente volto ad assecondare la funzione rieducativa della pena, non soltanto nei profili che ne caratterizzano l'essenza, ma anche e per i riflessi che dal singolo istituto scaturiscono sul piu' generale quadro delle varie opportunita' trattamentali che l'ordinamento fornisce. Ogni misura si caratterizza, infatti, per essere parte di un percorso nel quale i diversi interventi si sviluppano secondo un ordito unitariamente e finalisticamente orientato, al fondo del quale sta il necessario plasmarsi in funzione dello specifico comportamento serbato dal condannato. Qualsiasi regresso giustifica, pertanto, un riadeguamento del percorso rieducativo, cosi' come il maturarsi di positive esperienze non potra' non generare un ulteriore passaggio nella scala degli istituti di risocializzazione.» ( v. sul punto, in particolare, Corte Cost. sent. n. 445/1997). Nell'attuale sistema penitenziario, invece, dopo l'introduzione del nuovo beneficio, e' ben possibile che un condannato per la sua adesione al trattamento ottenga la concessione della liberazione anticipata, l'ammissione ai permessi premio, e in seguito alla detenzione domiciliare o alla semiliberta', ma non possa poi ottenere l'ammissione al cosiddetto indultino per la preclusione disposta dall'art. 1, punto 3, lett. d) della legge n. 207/2003, se non dando causa alla revoca della misura in corso, mentre puo' essere anunesso al beneficio, ed essere automaticamente scarcerato, il condannato che non abbia mai neppure ottenuto la liberazione anticipata per la condotta irregolare, ne' l'ammissione ai permessi premio per il ritenuto pericolo di fuga o la mancanza di regolarita' della condotta, o per la preclusione disposta dall'art. 58-quater o.p, e men che meno l'ammissione alla detenzione domiciliare o alla semiliberta', con evidente lesione dei principi di ragionevolezza, di finalita' rieducativa della pena e di progressivita' trattamentale. Si impone, pertanto, la sospensione del procedimento e la rimessione degli atti alla Corte costituzionale, risultando rilevante e non manifestamente infondata la questione di costituzionalita' dell'art. 1, punto 3, lett. d) della legge n. 207/2003 per contrasto con gli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost.