IL TRIBUNALE

    Nel  procedimento  penale  n. 485/2003  r.g.  a carico di Cardone
Dario ha pronunciato la seguente ordinanza.
    Nel  corso del procedimento a carico di Cardone Dario il pubblico
ministero dott. A. Natalini ha sollevato l'eccezione di leggittimita'
costituzionale dell'articolo 707 c.p. in riferimento agli articoli 3,
13, 24, comma 2, 25, comma 2, 27, commi 1, 2 e 3, della Costituzione.
    La  questione di costituzionalita' sollevata assume rilevanza nel
procedimento  penale  in  corso  in  quanto  l'eventuale accoglimento
produrrebbe  l'effetto di non punibilita' dell'imputato per abrogatio
criminis.
    Sostiene in particolare il p.m.:
        «La non manifesta infodatezza. L'articolo 707 c.p. appartiene
alla  generale  categoria  dei reati c.d. "senza offesa" entro cui si
sogliono   classificare   numerosi  gruppi  di  illeciti,  variamente
definiti  e  tutti  accomunati  -  secondo  autorevole  dottrina - da
"un'ombra  di  incostituzionalita',  oltre che di impopolarita'", per
contrastro   con   il   principio   di   offensivita',   in   ragione
dell'eccessivo   grado   di   anticipazione  della  tutela  del  bene
giuridico-penale (Mantovani, Diritto penale, Milano, 2001, p. 228).
    Ed  entro  questo  ampio  gruppo di illeciti, l'articolo 707 c.p.
rientra,  piu'  in  particolare, tra i c.dd. "reati di sospetto'' (di
piu'  gravi reati commessi o da commettere), costituiti - come noto -
da  quelle  fattispecie  incriminatrici riguardanti comportamenti, in
se'  ne'  levisi  ne'  pericolosi di alcun interesse, ma che lasciano
presumere  l'avvenuta commissione di reati. Cosi', nell'articolo 707,
appunto,  l'essere  colto  in  possesso di chiavi false o grimaldelli
analogamente  all'essere colto in possesso non giustificato di valori
(articolo  708  c.p. dichiarato incostituzionale dalla Corte, come si
dira)  o  di documenti concernenti la sicurezza dello Stato (articolo
260,  n. 3,  c.p.),  sono  tutte  forme di anticipazione della tutela
penale  dei  beni  giuridici ad uno stadio addirittura anteriore alle
messa  in  pericolo,  giacche'  incriminano  comportamenti  che  solo
"indirettamente" espongono a pericolo l'integrita' del bene: essi, in
realta',  finiscono con sanzionare una condotta che crea non tanto un
pericolo  per  la  lesione  del  bene, ma soltanto un pericolo di una
situazione pericolosa per il bene.
    Percio',  in  definitiva,  i  reati di sospetto rappresentano una
plurianomalia,  perche'  investono i principi costituzionali non solo
di  materialita'  e  di  offensivita', ma anche della responsabilita'
penale  personale,  della presunzione di non colpevolezza e di difesa
(sotto  forma  del  diritto  al  silenzio,  alla non collaborazione),
dovendo  provare  non  i1  p.m.  la  illiceita',  ma il sospettato la
liceita' del fatto (titolo possessorio o destinazione della cosa). In
mancanza  di  una  probativo liberatoria plena, per ragioni anche non
dipendenti dall'imputato, egli viene punito in ogni caso.
    Peraltro, l'articolo 707 c.p. a ben vedere, e' annoverabile anche
nella  sottospecie  -  altrettanto  problematica  -  dei c.dd. "reati
ostativi",  cioe'  di  quelle incriminazioni, lontanamente arretrate,
che  non  colpiscono comportamenti offensivi di un bene, ma tendono a
prevenire   il   realizzarsi   di   azioni  effettivamente  lesive  o
pericolose, mediante la punizione di atti che sono la premessa idonea
per  la  commissione  di  altri reati. Essi coprono una sfera di atti
anteriori  allo  stesso  tentativo  punibile,  poiche'  sono  in  se'
equivoci, potendo sfociare in vari delitti ma anche in arti del tutto
irrilevanti.  E,  a differenza dei reati sospetto, sono puniti di per
se'  stessi  e  non  come  supposte intenzioni di commettere reati. I
reati ostacolo rientrano, insomma, nel campo della mera prevenzione e
quali ipotesi piu' significative del genus dei c.dd. reati scopo.
    Cio'   premesso   in   punto  di  inquadramento  dogmatico  della
fattispecie de qua, va ricordato come i reati di sospetto (ampiamente
intesi) sono stati oggetto di numerose censure di incostituzionalita'
(alcune   delle   quali  accolte  dalla  Consulta)  che  vanno  tutte
riproposte in questa sede.
    Sotto  il  profilo  della  ragionevolezza  e  della  colpevolezza
(articoli 3 e 27, commi 1 e 3, Costituzione).
    Il  comportamento  dedotto  nella fattispecie di cui all'articolo
707  c.p.  rileva sotto l'aspetto penale soltanto per una particolare
categoria  di  soggetti, ed, in specie, per chi sia stato "condannato
per  delitti  determinati  da  motivi di lucro, o per contravvenzioni
concernenti  la  prevenzione  di  delitti  contro il patrimonio", per
chiunque altro, invece, la medesima condotta e' perfettamente lecita.
    Di conseguenza un simile assetto risulta irragionevole e, dunque,
in  contrasto  con  l'articolo 3 della Costituzione, sotto il profilo
del  principio  di  uguaglianza  nella  misura in cui fa dipendere la
punibilita'  del  soggetto non dal fatto in se', bensi' da elementi a
questi  del  tutto  estranei  e,  dunque,  rispetto ai quali non puo'
muoversi   alcun   rimprovero  "colpevole"  all'imputato,  in  palese
violazione,  altresi',  con  il  principio di colpevolezza cosi' come
estrinsecato  dalla  Corte  costituzionale  nelle sentenze 364/1988 e
1085/1988.
    Sotto il profilo della finalita' rieducativa della pena (articolo
27, comma 3, Costituzione).
    Sotto  un  concorrente  profilo,  la  disposizione censurata, nel
trasfondere  irragionevolmente  in  elemento costitutivo del reato di
cui  all'articolo  707 c.p. fatti per i quali e' gia' intervenuta una
condanna   irrevocabile,   vanifica   il  principio  della  finalita'
rieducativa  che  l'articolo  27,  comma 3, Costituzione assegna alla
pena.
    Sotto  il  profilo dei principi di materialita' e di offensivita'
(articolo 25, comma 2, Costituzione).
    L'articolo   707   c.p.  contrasta,  poi,  con  il  principio  di
materialita' dell'illecito penale enucleabile dall'articolo 28, comma
2, Costituzione (laddove parla di "... fatto commesso ...").
    E'  vero che, a rigore, la norma consta di una condotta esteriore
(id  est:  il  posseso  di  certe  cose),  di  per se' sensorialmente
percepibile; nondimeno, tale fatto materiale non e' punito come tale,
bensi'  solo  come  indiziante,  anche in connessione con determinate
condizioni  personali, di reati non ,accertati od ancora da compiere;
piu'  che  sanzionare condotte, dunque, in realta' si puniscono stati
soggettivi,   intesi   come   relazioni  statiche  (il  possesso,  la
detenzione)  tra persone e cose. E cio' in palese trasgressione della
ratio  garantista  sottesa  al  moderno  diritto penale del fatto che
vieta  la  punibilita'  della  nuda  cogitatio o dei semplici modi di
essere della persona.
    E'  noto  che  la Corte costituzionale ha costantemente negato il
contrasto  dell'articolo  707,  con  il principio di materialita' del
reato,  nell'assunto che tale contravvenzione identifica comunque una
condotta  presupposto  di  cui l'attuale possesso non sarebbe che una
conseguenza  (Corte  costituzionale,  sentenza 14/1971). Non v'e' chi
non  veda,  tuttavia,  come  una  simile,  risalente argomentazione -
avversata  non  a caso da tutti i commentatori - appaia assolutamente
apodittica  ed  opinabile:  parlare  di  "possesso"  come conseguenza
materialistica  di  una  condotta-presupposto  e',  infatti, una pura
fictio tendente a valorizzare il sostrato fisico-materialistico di un
fatto  (il  possesso)  che  esiste - e' vero -, ma che e' punito solo
perche'  annesso  vi e' un mero stato personale che farebbe presumere
reati contro il patrimonio da compiere.
    Le   considerazioni   sopra  esposte  valgono,  a  fortiori,  con
riferimento   alla   violazione   del   principio   di   offensivita'
dell'illecito penale, costituzionalizzato dagli articoli 25, ma anche
27  e  13,  Costituzione.  Attraverso  l'articolo 707  c.p., infatti,
secondo  una  obsoleta  visione  formalistica  del reato, costituisce
illecito  penale  anche  la  violazione del dovere di obbedienza alle
norme  statali,  pure  in  mancanza di un pericolo concreto (come per
tutte le figure di reato di pericolo presunto). E', in definitiva, il
semplice  fatto  del  possesso  di  certe cose - in presenza di certe
situazioni   soggettive   del   detentore   (condannato  per  delitti
determinati  da motivi di lucro) - che rende "legittimo" il sospetto,
secondo  il  legislatore,  che tali cose servano per commettere reati
contro il patrimonio.
    La  repressione penale viene cosi' attuata in via accentuatamente
preventiva,  assicurando  una  tutela  particolarmente anticipata non
gia'  di  un bene giuridico di primaria importanza - quale la vita -,
ma  del  patrimonio,  in  totale  disprezzo, dunque, dell'articolo 13
Costituzione   e   facendo   altresi'   leva   piu'   sulla  presunta
pericolosita'  soggettiva  dell'agente  che sull' idoneita' offensiva
della condotta.
    Non puo' non rilevarsi, poi, come in tema di reati di sospetto la
Corte   costituzionale   e'   da   ultima   intervenuta   dichiarando
l'illegittimita'   costituzionale  dell'analoga  fattispecie  di  cui
all'articolo   708  c.p.  "possesso  ingiustificato  di  valori"  per
contrasto   con   gli   articoli   3  e  25  Costituzione,  rilevando
l'irragionevolezza  dell'incriminazione ed il deficit di tassativita'
della  fattispecie  tipica (Corte costituzionale, sentenza 370/1996).
In  quell'occasione  la  Consulta - sulla scia di altre decisioni (ad
es.,  Corte costituzionale, sentenza 519/1995) - doveva spiegare come
mai  il  possesso  di valori mobiliari o la mera detenzione di chiavi
fossero  da  ritenere  condotte lecite - se poste in essere da alcune
persone  -  mentre  integrassero  condotte  punibili,  per se' stesse
considerate,  ove  realizzate  da  altre. Si trattava di un dubbio di
legittimita'   costituzionale,   in   riferimento   all'articolo   25
Costituzione,  che  penetrava  fin  dentro  alla conformazione tipica
della  figura  di  reato;  dubbio che la Corte ha sciolto dichiarando
l'illegittimita'  costituzionale  dell'articolo 708 c.p., reputandolo
ormai  uno  strumento  ottocentesco  di  difesa  sociale,  del  tutto
inadeguato  a contrastare le nuove dimensioni della criminalita', non
piu'   rapportabile,   necessariamente,  ad  uno  "stato"  o  ad  una
"condizione    personale".    Assunto   centrale   della   decisione,
l'irragionevolezza   della   discriminazione  nei  confronti  di  una
categoria  di soggetti composta da pregiudicati per certi reati colti
in  possesso  di  denaro od altri oggetti di valore non confacenti al
loro stato.
    Per  il vero, la stessa sentenza 370/1996 si e' pronunciata anche
in  riferimento  all'articolo  707  c.p.,  che  era  stato oggetto di
analoghe censure di incostituzionalita'. La Corte, nell'occasione, ne
ha  riaffermato la legittimita' costituzionale, ma lo ha fatto usando
laconiche  motivazioni,  assolutamente  apodittiche  e  superficiali.
Infatti nonostante nell'ordinanza di rimessione si osservava - con le
stesse  motivazioni  che  qui si riproducono e si fanno proprie - che
l'articolo  707  c.p.,  in  sostanza,  incrimina un comportamento non
lesivo  e  non pericoloso per gli interessi tutelati (il patrimonio),
singolarmente  la Consulta nell'occasione ha tralasciato del tutto in
sede   motiva   il   profilo   dell'inoffensivita'   della  condotta,
limitandosi  a ribadire la non irragionevolezza dell'incriminazione e
la sufficiente determinatezza della fattispecie.
    E'  giunto,  pertanto, il momento di riproporre analoga questione
alla  Corte costituzionale, onde ottenere, stavolta, una pronuncia di
accoglimento.
    E'  cio',  anche  in  considerazione del fatto che in successivi,
recentissimi,  interventi,  la  Consulta  stessa  ha ribadito come lo
status   personale   di  condannato  per  taluni  delitti  non  possa
legittimare la sanzione penale.
    Basti   considerare  la  sentenza  354/2002,  che  ha  dichiarato
incostituzionale  l'articolo  688,  comma  2, c.p. (ove si puniva con
l'arresto  da  tre  a  sei  mesi  il  fatto  di ubriachezza manifesta
commesso  da  chi avesse gia' riportato "una condanna per delitto non
colposo   contro   la   vita  o  l'incolumita'  individuale"  le  cui
motivazioni, mutatis mutandis, possono e debbono essere fatte proprie
anche  per l'articolo 707 c.p. Statuisce la Corte; "l'avere riportato
una  precedente  condanna  per  delitto  non colposo contro la vita o
l'incolumita'  individuale,  pur essendo evenienza del tutto estranea
al  fatto-reato,  rende punibile una condotta che, se posta in essere
da  qualsiasi  altro  soggetto,  non assume alcun disvalore sul piano
penale.  Divenuta  elemento  costitutivo del reato di ubriachezza, la
precedente  condanna  assume  le fattezze di un marchio, che nulla il
condannato  potrebbe fare per cancellare e che vale a qualificare una
condotta  che,  ove  posta  in  essere  da  ogni  altra  persona, non
configurerebbe illecito penale. Il fatto poi che il precedente penale
che  viene in rilievo sia privo di una correlazione necessaria con lo
stato di ubriachezza, rende chiaro che la norma incriminatrice, al di
la'  dell'intento  del  legislatore,  finisce  col  punire  non tanto
l'ubriachezza  in se', quanto una qualita' personale del soggetto che
dovesse  incorrere nella contravvenzione di cui all'articolo 688 c.p.
Una contravvenzione che assumerebbe, quindi, i tratti di una sorta di
reato  d'autore,  in  aperta violazione del principio di offensivita'
del  reato,  che  nella  sua accezione astratta costituisce un limite
alla  discrezionalita' legislativa in materia penale posto a presidio
di   questa  Corte  (sentenza  263/2000  e  360/1995).  Tale  limite,
desumibile  dall'articolo  25,  comma  2 Costituzione, nel suo legame
sistematico  con  l'insieme  dei valori connessi alla dignita' umana,
opera  in  questo  caso  nel  senso  di  impedire che la qualita' del
condannato  per  determinati delitti possa trasformare in reato fatti
che  per  la  generalita'  dei  soggetti  non  costituiscono illecito
penale".
    Analoghe    considerazioni    possono   farsi   con   riferimento
all'articolo  707  c.p.,  laddove  l'avere  riportato  una precedente
condanna   per   delitti  determinati  da  motivi  di  lucro,  o  per
contravvenzioni  concernenti  la  prevenzione  di  delitti  contro il
patrimonio,  pur essendo evenienza del tutto estranea al fatto-reato,
rende  punibile  una  condotta  che,  se posta in essere da qualsiasi
altro  soggetto,  non  assume  alcun  disvalore  sul piano penale. In
quanto  elemento  costitutivo del reato di possesso in ingiustificato
di  chiavi alterate o grimaldelli, le precedenti condanne assumono le
fattezze  di  un  marchio,  che nulla il condannato potrebbe fare per
cancellare e che valgono a qualificare una condotta che, ove posta in
essere  da ogni altra persona, non configurerebbe illecito penale. Il
fatto  che  poi  che  i  precedenti  penali che vengono rilievo siano
presuntivamente  correlabili con l'essere colto in possesso di arnesi
atti allo scasso, rende chiaro che la norma incriminatrice, al di la'
dell'intento  del  legislatore,  finisce  col  punire  non  tanto  il
possesso  in  se',  quanto  una  qualita'  personale del soggetto che
dovesse  incorrere nella contravvenzione di cui all'articolo 707 c.p.
Una  contravvenzione ce assumerebbe, quindi, i tratti di una sorta di
reato  d'autore,  in  aperta violazione del principio di offensivita'
del  reato,  che  nella  sua accezione astratta costituisce un limite
alla  discrezionalita' legislativa in materia penale posto a presidio
dalla  Corte  (sentenza 263/2000 e 360/1995). Tale limite, desumibile
dall'articolo  25,  comma 2, Costituzione, nel suo legame sistematico
con  l'insieme  dei  valori  connessi  alla  dignita' umana, opera in
questo  caso nel senso di impedire che la qualita' del condannato per
determinati  delitti  possa  trasformare  in  reato  fatti che per la
generalita' dei soggetti non costituiscono illecito penale".
    Sotto  il  profilo del diritto alla difesa e della presunzione di
non colpevolezza (articoli 24 e 27, comma 2 della Costituzione).
    Si  deve  soggiungere,  poi,  che  in  quanto  reato di sospetto,
l'articolo  707  c.p.  fa  carico  al  soggetto  imputato  di  dovere
"giustificare"  il  possesso di certe cose: l'onere della prova della
destinazione   lecita   della   cosa   e'  invertito  incombendo  sul
sospettato.  Ma  cosi'  facendo,  si  introduce  un'anomala regola di
giudizio   che   impone   al   giudice,   nel  dubbio,  di  presumere
l'illegittima  destinazione  e,  dunque  di  pronunciare  sentenza di
condanna, cio' in barba al principio costituzionale della presunzione
di  non  colpevolezza  (articolo  27,  comma  2,  Costituzione) e del
diritto  alla difesa (articolo 24 Costituzione), sotto il profilo del
diritto al silenzio ed alla non collaborazione».
    La   questione  di  costituzionalita'  sollevata  dal  p.m.,  con
accoglimento  dei  motivi  che  si  fanno propri per relationem nella
presente   ordinanza,   vanno   accolti,   ritenendo  questo  giudice
sussistenti i dedotti profili di incostituzionalita'.