LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

    Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza sul ricorso proposto dal
Comune di Sassuolo, in persona del sindaco pro tempore, autorizzato a
stare  in  giudizio  con  delibera di giunta municipale n. 253 del 22
dicembre  2003,  rappresentato  e  difeso,  giusta delega in calce al
ricorso,  dall'avv. Cesare Glendi, elettivamente domiciliato in Roma,
via   Confalonieri,  5,  presso  lo  studio  dell'avv.  Luigi  Manzi,
ricorrente;
    Contro   Immobiliare  Sportiva  Sassolese  S.p.A.,  con  sede  in
Sassuolo,   in   persona   del  legale  rappresentante  pro  tempore,
rappresentata  e  difesa,  giusta  procura in calce al controricorso,
dagli  avv.ti Francesco D'Ayala Valva e Massimo Turchi, elettivamente
domiciliata  in  Roma,  via  Boccioni, 4, presso lo studio del primo,
controricorrente,  avverso  la sentenza n. 78/06/03 della Commissione
tributaria  regionale  di  Bologna  -  Sez. n. 06, in data 1° ottobre
2003, depositata il 5 novembre 2003;
    Udita la relazione della causa svolta all'udienza dell'8 febbraio
2005 dal relatore cons. Antonino Di Biasi;
    Uditi,  altresi', gli avv.ti C. Glendi, per il comune ricorrente,
e M. Turchi per la societa' intimata;
    Sentito  il  p.m.,  in persona del sostituto procuratore generale
dott.   Vincenzo  Gambardella,  che  ha  chiesto  l'accoglimento  del
ricorso;   in   subordine,   sollevarsi   questione  di  legittimita'
costituzionale della normativa di riferimento.

                      Svolgimento del processo

    La  Immobiliare  Sportiva Sassolese S.p.A., con sede in Sassuolo,
impugnava  in  sede giurisdizionale l'avviso, notificatole in data 21
dicembre  2001,  con  il  quale  il Comune di Sassuolo rettificava la
denuncia   I.C.I.,  relativa  all'anno  1997,  afferente  due  unita'
immobiliari  site  in  Sassuolo,  via Vandelli n. 25, classificate in
categoria  D6 e che, invece, erano state esposte a valore contabile e
dichiarate  esenti  da  imposizione ex art. 7, comma 1, lett. i), del
d.lgs. n. 504/1992.
    Deduceva  di  avere  titolo alla chiesta esenzione, sussistendo i
requisiti  per  accedere al beneficio, trattandosi di immobili locati
ad un ente non commerciale e dallo stesso utilizzati.
    L'adita   Commissione   tributaria  provinciale  di  Modena,  con
sentenza  n. 268/03/2002 rigettava il ricorso affermando che, poiche'
soggetto  passivo  d'imposta  non  poteva  che essere il proprietario
dell'immobile  che  nel  caso,  pacificamente, espletava attivita' di
natura  commerciale,  il  chiesto beneficio fiscale non poteva essere
riconosciuto.
    L'impugnazione  della  contribuente, che riproponeva le doglianze
formulate  con  il  ricorso  di prime cure, ribadendo che l'esenzione
competeva  malgrado il proprietario avesse locato a terzi l'immobile,
alla  semplice  condizione  che  i requisiti per godere del beneficio
fossero   presenti   in  capo  al  locatario,  veniva  accolto  dalla
Commissione   tributaria   regionale  con  la  sentenza  in  epigrafe
indicata.
    Opinavano,  in  particolare,  i  giudici  di  appello  che solo a
partire  dal  1998, art. 59 del d.lgs. n. 446/1997 ha attribuito agli
enti  locali  il  potere  di limitare l'esenzione da imposizione agli
immobili  che  oltre  che utilizzati fossero pure posseduti dall'ente
non commerciale, sicche' per il periodo pregresso, e quindi anche per
l'anno 1997 di che trattasi, il beneficio doveva essere riconosciuto,
pur  non  essendovi identita' tra il soggetto proprietario del bene e
quello utilizzatore.
    Con  ricorso  notificato  il  16  gennaio  2004 ed affidato a due
mezzi, il Comune di Sassuolo ha chiesto la cassazione della decisione
di appello.
    Con  controricorso notificato il 10 febbraio 2004, la societa' ha
chiesto il rigetto dell'impugnazione.

                       Motivi della decisione

    Con  il  primo mezzo, il comune censura l'impugnata decisione per
violazione  dell'art.  36,  comma 1, n. 4 del d.lgs. n. 546/1992, per
violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1, 3 e 7, comma l, lett
i),  del  d.lgs  30  dicembre  1992, n. 504, e dell'art. 59, comma 1,
lett.  c),  del d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, nonche' per omessa o
insufficiente motivazione su punto decisivo della controversia.
    Con   il   secondo   motivo  si  denuncia  violazione  e/o  falsa
applicazione  dell'art.  11  del d.lgs. n. 504/1992 e degli artt. 18,
19,  23,  36,  comma 1, 53, 56 del d.lgs. n. 546/1992 e dell'art. 112
c.p.c.,  nonche' omessa o insufficiente motivazione su punto decisivo
della controversia.
    Il  procuratore generale, in sede di discussione della causa, ha,
fra l'altro, rilevato l'incoerenza costituzionale dell'art. 59, comma
1, lett. c), del d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, in riferimento agli
artt.  3  e 53 della Costituzione, nella parte in cui stabilisce «che
l'esenzione  di  cui  all'art.  7,  comma  1,  lett.  i), del decreto
legislativo  30  dicembre  1992,  n. 504,  concernente  gli  immobili
utilizzati da enti non commerciali, si applica soltanto ai fabbricati
ed  a  condizione  che  gli stessi, oltre che utilizzati, siano anche
posseduti dall'ente non commerciale utilizzatore».
    Osserva in proposito il collegio:
        1) che, ai sensi dell'art. 3, comma 1, del d.lgs. 30 dicembre
1992,  n. 504,  nel  testo  vigente  ed applicabile ratione temporis,
«Soggetti  passivi  dell'imposta  sono il proprietario di immobili di
cui  al  comma  2,  dell'art.  1,  ovvero  il titolare del diritto di
usufrutto,  uso o abitazione sugli stessi, anche se non residenti nel
territorio  dello  Stato  o  se  non  hanno  ivi  la  sede  legale  o
amministrativa o non vi esercitano l'attivita»;
        2) che il richiamato art. 1 del d.lgs. n. 504/1992 al comma 2
dispone  che  «Presupposto dell'imposta e' il possesso di fabbricati,
di aree fabbricabili e di terreni agricoli, siti nel territorio dello
Stato,  a  qualsiasi uso destinati, ivi compresi quelli strumentali o
alla cui produzione o scambio e' diretta l'attivita' dell'impresa»;
        3) che con l'art. 7, comma 1, del medesimo d.lgs. 30 dicembre
1992,  n. 504,  il  legislatore  ha  individuato  i casi di esenzione
dall'I.C.I.,  prevedendo,  fra  l'altro, alla lett. i), che la stessa
compete per «gli immobili utilizzati dai soggetti di cui all'art. 87,
comma  1,  lett.  c),  del  testo  unico  delle  imposte sui redditi,
approvato  con  decreto  del  Presidente della Repubblica 22 dicembre
1986,  n. 917,  e  successive modificazioni, destinati esclusivamente
allo   svolgimento   di   attivita'   assistenziali,   previdenziali,
sanitarie,  didattiche,  ricettive, culturali, ricreative e sportive,
nonche'  delle  attivita' di cui all'art. 16, lettera a), della legge
20 maggio 1985, n. 222»;
        4)  che,  a  sua volta, l'art. 87 del TUIR, al comma 1, lett.
c),  individua  tali soggetti, negli «enti pubblici e privati diversi
dalle  societa',  residenti nel territorio dello Stato, che non hanno
per   oggetto   esclusivo   o  principale  l'esercizio  di  attivita'
commerciali»,  ed  al  comma  2,  chiarisce che «tra gli enti diversi
dalle  societa',  di  cui  alle  lettere  b)  e  c)  del  comma 1, si
comprendono,  oltre  alle  persone  giuridiche,  le  associazioni non
riconosciute,  i  consorzi e le altre organizzazioni non appartenenti
ad  altri  soggetti  passivi nei confronti delle quali il presupposto
dell'imposta si verifica in modo unitario e autonomo»;
        5)   che   alla   stregua  della  richiamata  normativa,  del
collegamento     sistematico     delle    disposizioni    citate    e
dell'orientamento giurisprudenziale in termini (Cass. V, n. 18549 del
4  dicembre  2003;  Cass.  V,  n. 4645  dell'8  marzo 2004), posta la
previsione  di  generale imponibilita', desumibile dagli artt. 1 e 3,
l'esenzione d'imposta, oggetto della specifica disposizione contenuta
nell'art.  7,  era  dunque, prevista solo per alcuni immobili e per i
soggetti indicati nella citata disposizione dell'art. 87 del TUIR, ed
esigeva   la  duplice  condizione  dell'utilizzazione  diretta  degli
immobili   da   parte  dell'ente  possessore  e  dell'esclusiva  loro
destinazione   ad   attivita'  peculiari,  rilevanti  socialmente  ed
improduttive di reddito.
    Tale  impianto  normativo,  in  buona  sostanza, nel prevedere un
regime  di generale imponibilita' e nello individuare, in deroga, una
serie   di   casi   eccettuati,  consentiva  per  questi  ultimi,  di
individuarne  la ratio nel fatto che l'immobile venisse utilizzato da
una  categoria  di soggetti, aventi specifico titolo sul bene, per lo
svolgimento  di  particolari attivita' di notevole rilevanza sociale,
e,  come  tali,  ritenute  meritevoli di trattamento incentivante. Ne
derivava che il diritto a godere dell'esenzione era riconosciuto solo
ai  soggetti  indicati  dall'art.  87,  comma  1, lett. c), del TUIR,
quindi  con  espressa  esclusione  delle  societa',  e sempre che gli
stessi utilizzassero direttamente l'immobile per lo svolgimento delle
attivita'  indicate  nell'art.  7,  comma  1,  lett.  i)  del  d.lgs.
n. 504/1992.
    Questo  assetto,  ritiene  il collegio che abbia subito modifiche
per  effetto  della  citata disposizione dell'art. 59, comma 1, lett.
c), del d.lgs. n. 446/l997, dalla cui formulazione si deduce che solo
a  partire  dal  l°  gennaio 1998, data di entrata in vigore di detto
decreto  legislativo,  i  comuni  possono  stabilire  che  il diritto
all'esenzione  dal  tributo  competa solo ove i fabbricati «oltre che
utilizzati,   siano   anche   posseduti   dall'ente  non  commerciale
utilizzatore».  Ne  discende  che, in base alla normativa previgente,
applicabile  sino  al  31  dicembre 1997, deve, invece, ritenersi che
l'esenzione  dall'I.C.I.,  spetti  anche a soggetti diversi da quelli
indicati nell'art. 87 citato TUIR, essendo sufficiente che gli stessi
abbiano  dato  in  locazione i beni ad alcuno di tali soggetti, e che
costoro  li  utilizzino  per  l'espletamento  di  una delle attivita'
previste dalla precitata disposizione dell'art. 7.
    Cio'   posto,   la   Corte  ritiene  rilevante  in  causa  e  non
manifestamente  infondata la questione di costituzionalita' dell'art.
59,  comma  1,  lett.  c),  del  d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, per
contrasto  con  gli  artt.  3, 23, 53, 76 e 77 della Costituzione. La
precedente esposizione dell'iter processuale della causa ed il quadro
normativo,   anzitutto,   rendono   evidente   che  la  questione  di
legittimita' delineata, per la sua pregiudizialita', e' rilevante nel
giudizio   di   che   trattasi,  dovendosi,  alla  relativa  stregua,
riconoscere  che  il  beneficio  dell'esenzione  impositiva competa a
soggetti  privi  dei  requisiti  soggettivi  ed  oggettivi  richiesti
dall'originaria previsione legislativa.
    La  sopravvenuta  disposizione  dell'art. 59, infatti, impone una
irragionevole  rilettura  dell'art. 7, comma 1, lett. i), che impinge
nei  principi  di  eguaglianza e di capacita' contributiva desumibili
dagli  artt.  3  e  53  della  Costituzione, in quanto esonera taluni
soggetti   dal  concorso  alla  spesa  pubblica,  prescindendo  dalla
manifestazione  di  ricchezza  e  di capacita' economica espressa dal
bene posseduto ed avendo riguardo a requisiti soggettivi ed oggettivi
posseduti  da  terzi,  ed  in  quanto  vulnera  la  riserva di legge,
desumibile  dall'art.  23,  assegnando  agli enti locali il potere di
stabilire  con  norme  regolamentari presupposti impositivi e casi di
esenzione.
    Infatti,  l'esonero  dal  generale  regime  impositivo  si rivela
manifestamente  irragionevole, in quanto viene accordato senza che la
situazione  di  fatto oggetto di tassazione realizzi la diversita' di
capacita'  contributiva  idonea  a  giustificare  l'attribuzione  del
beneficio, essendo evidente che la percezione del canone da parte del
proprietario, ancora quando alla relativa corresponsione provveda uno
dei soggetti indicati nell'art. 87 citato, che nell'immobile condotto
in  locazione  eserciti  una delle attivita' contemplate dall'art. 7,
costituisce una inequivoca manifestazione di ricchezza e di capacita'
economica   che   giustifica,   in   base   ai   richiamati  principi
costituzionali, un concreto apporto contributivo alla spesa pubblica.
    Confligge,   in  vero,  con  il  principio  di  ragionevolezza  e
coerenza,   in   relazione  al  presupposto  dell'imposizione,  quale
desumibile  dall'impianto  costituzionale e dal quadro normativo, una
disposizione  che,  ammettendo la possibilita' di estendere l'esonero
dall'I.C.I.  a  chi,  pur  realizzando un reddito dalla locazione del
bene,  pur  non essendo incluso tra i soggetti espressamente indicati
dall'art.  87  del  TUIR citato e pur non espletando direttamente una
delle   attivita'   ritenute   meritorie,   possa  egualmente  fruire
dell'esonero mediante l'escamotage della concessione del relativo uso
ad  altri soggetti che siano in possesso sia del requisito soggettivo
(ente  pubblico  e  privato  non  commerciale)  sia  pure,  di quello
oggettivo  (espletamento di una delle attivita' indicate nell'art. 7,
comma 1, lett. c), del d.lgs. n. 504/1992).
    Ritiene,  in  buona  sostanza,  il  collegio  che detti requisiti
debbano  essere  posseduti  esclusivamente  dal soggetto destinatario
della   disposizione  premiale  e  che  sia,  quindi,  manifestamente
irragionevole e contraria ai richiamati principi, una disposizione di
legge  che  viene  a  riconoscere il beneficio fiscale dell'esenzione
impositiva  al  proprietario del bene, sulla base di requisiti che lo
stesso non possiede e che concernano altro soggetto giuridico.
    Peraltro, il collegio ritiene che la disposizione in questione si
ponga,  pure,  in contrasto con il principio desumibile dall'art. 23,
atteso  che il potere che la norma attribuisce ai comuni, consentendo
loro  di  restringere  o  di  ampliare  la  portata  delle  esenzioni
dall'imposta,  incidendo sugli stessi presupposti impositivi, finisce
per violare la riserva di legge ivi prevista.
    La Corte ritiene, altresi', che la questione di costituzionalita'
si  ponga  anche in relazione ai principi desumibili dagli artt. 76 e
77 della Costituzione, per eccesso di delega.
    Ed,  in  vero,  con  l'art. 3, comma 143, della legge 23 dicembre
1996,  n. 662,  il  Governo  era stato delegato ad emanare uno o piu'
decreti  legislativi  al  fine  di  semplificare e razionalizzare gli
adempimenti    dei    contribuenti,   nel   rispetto   dei   principi
costituzionali  del  concorso  alle spese pubbliche, in ragione della
capacita'  contributiva e dell'autonomia politica e finanziaria degli
enti territoriali.
    Il   medesimo  articolo  al  comma  149  fissava,  con  specifico
riferimento  alla  finanza locale, i principi ed i criteri direttivi,
cui doveva essere informata la revisione della disciplina dei tributi
locali,  prevedendo  espressamente  l'abolizione  dei  tributi locali
indicati sotto la lettera e) del precitato comma 143, riconoscendo ai
comuni,  giusto  il disposto della lettera g) del medesimo comma 149,
il potere di escludere l'applicazione dell'imposta sulla pubblicita',
ma nulla statuendo con riferimento all'I.C.I.
    In  particolare,  il  Governo,  per  quanto  in  questa sede puo'
rilevare,  veniva  delegato ad emanare una disciplina che attribuisse
ai  comuni ed alle province il potere di regolamentare tutte le fonti
delle  entrate  locali «nel rispetto dell'art. 23 della Costituzione,
per quanto attiene alle fattispecie imponibili, ai soggetti passivi e
all'aliquota  massima, nonche' alle esigenze di semplificazione degli
adempimenti dei contribuenti».
    Nel  caso,  il  Governo  non si e' attenuto ai limiti posti dalla
delega, con la prescritta riserva di legge, nell'individuazione delle
materie  imponibili  e  dei  soggetti  passivi,  avendo  esonerato da
imposizione  soggetti  (societa)  che  la  legge  aveva espressamente
escluso dal beneficio e beni, agli stessi appartenenti, di inequivoca
rilevanza fiscale sulla base della vigente normativa.
    Conclusivamente  la  Corte  ritiene  che l'esaminata questione di
illegittimita'  costituzionale  sia  rilevante  e  non manifestamente
infondata,  e  che, pertanto, debba disporsi l'immediata trasmissione
degli atti alla Corte costituzionale e la sospensione del giudizio.