IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE

    ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  sul ricorso n. 884/2004
proposto  da Cioca Geani Ion, rappresentato e difeso dall'avv. Andrea
Arman  con  elezione  di domicilio presso la segreteria del Tribunale
amministrativo regionale, ex art. 35 r.d. n. 1054/1924;
    Contro  Ministero  dell'interno,  in  persona  del  Ministro  pro
tempore,  la  Prefettura  di  Treviso,  in  persona  del prefetto pro
tempore, la Questura di Treviso, in persona del questore pro tempore,
tutti    rappresentati   e   difesi   dall'Avvocatura   dello   Stato
domiciliataria  ex lege e notiziandone al sig. Adelchi Finotello, non
costituito  in  giudizio  per  l'annullamento  del  provvedimento del
Prefetto  di  Treviso di reiezione della domanda di regolarizzazione,
nonche'  del diniego di nulla osta di cui al decreto 26 novembre 2003
del Questore di Treviso:
    Visto  il  ricorso, ritualmente notificato e depositato presso la
segreteria con i relativi allegati;
    Visti gli atti della causa;
    Udito  alla  camera  di consiglio dell'8 aprile 2004 (relatore il
consigliere  Riccardo Savoia) l'avvocato dello Stato Gasparini per la
pubblica amministrazione;
    Richiamato  quanto  esposto  dalle  parti  nel ricorso e nei loro
scritti difensivi;

                           Fatto e diritto

    Osserva  il  collegio  che  la  presente controversia riguarda la
legittimita'  o meno, previa delibazione della domanda incidentale di
sospensiva,  del decreto del Prefetto di Treviso prot. n. 3767/03 del
19   dicembre   2003,  con  cui  e'  stata  respinta  la  domanda  di
regolarizzazione  presentata,  ai  sensi  dell'art. 1  della  legge 9
ottobre   2002   n. 222,   dal   datore   di  lavoro  del  lavoratore
extracomunitario   ricorrente,  e  degli  altri  atti  amministrativi
connessi indicati in epigrafe.
    L'impugnato  decreto  prefettizio  costituisce,  in realta', mera
applicazione   della   rigorosa   disposizione   normativa  contenuta
nell'art. 1  comma 8  lettera  a)  della  citata legge 9 ottobre 2002
n. 222   (di   conversione,   con  modificazioni,  del  decreto-legge
9 settembre   2002  n. 195),  che  esclude  dalla  «regolarizzazione»
(introdotta  dalla  medesima  legge) i lavoratori extracomunitari nei
confronti   dei  quali  non  possa  essere  disposta  la  revoca  del
provvedimento  di  espulsione  gia'  emesso  in loro danno, in quanto
statuito con la modalita' dell'accompagnamento alla frontiera a mezzo
della forza pubblica, ovvero abbia lasciato il territorio nazionale e
si  trovi  nelle  condizioni  di  cui all'art. 13, comma 13 del testo
unico  di  cui  al  decreto legislativo n. 286 del 1998, e successive
modificazioni.
    Con  l'ordinanza  cautelare n. 373/2004 pronunciata in esito alla
camera  di  consiglio  dell'8  aprile  2004,  la  sezione  ha accolto
interinalmente,  vale  a  dire  sino alla restituzione degli atti del
giudizio   da  parte  della  Corte  costituzionale  in  seguito  alla
decisione  della  questione  di legittimita' costituzionale sollevata
con  separata  ordinanza,  l'istanza di sospensiva presentata, in via
incidentale, dal ricorrente.
    Con  ordinanza  n. 219  del  2004 la sezione aveva gia' sollevato
analoga questione: rilevava il tribunale che la soprarichiamata norma
dell'art. 1  comma 8  lettera  a)  della  legge 9 ottobre 2002 n. 222
(«Disposizioni  urgenti  in  materia  di  legalizzazione  del  lavoro
irregolare  di extracomunitari») - statuente che «le disposizioni del
presente  articolo non si applicano ai rapporti di lavoro riguardanti
lavoratori  extracomunitari  nei confronti dei quali sia stato emesso
un provvedimento di espulsione per motivi diversi dal mancato rinnovo
del  permesso di soggiorno, salvo che sussistano le condizioni per la
revoca   del  provvedimento  in  presenza  di  circostanze  obiettive
riguardanti  l'inserimento  sociale;  la revoca... non puo' essere in
ogni caso disposta nell'ipotesi in cui il lavoratore extracomunitario
sia  o  sia  stato  sottoposto  a procedimento penale per delitto non
colposo...   ovvero  risulti  destinatario  di  un  provvedimento  di
espulsione  mediante  accompagnamento  alla  frontiera  a mezzo della
forza  pubblica  ...»  - susc ita seri dubbi circa la sua conformita'
all'art. 3 primo comma della Carta costituzionale.
    Il  collegio osservava, infatti, il contrasto con il principio di
eguaglianza   sancito   dall'art. 3   della   Costituzione   -   che,
notoriamente,  vieta  anche al legislatore di trattare in modo eguale
situazioni  soggettive  profondamente  diverse  - nella misura in cui
sbrigativamente  equipara, ai fini dell'aprioristica esclusione dalla
«regolarizzazione» (precludendo la possibilita' di attribuire rilievo
all'esistenza   di   circostanze   obiettive   attestanti  l'avvenuto
inserimento  sociale  dello  straniero),  la ben differente posizione
dell'extracomunitario  che sia stato destinatario di un provvedimento
di  espulsione  mediante accompagnamento alla frontiera a mezzo della
forza  pubblica  per  motivi  di ordine pubblico o di sicurezza dello
Stato  o  perche'  ritenuto  socialmente  pericoloso,  con quella del
lavoratore  extracomunitario  che  (come  di consueto avviene) si sia
semplicemente trattenuto nel territorio dello Stato italiano oltre il
termine  di  quindici  giorni  fissato  nell'intimazione  scritta  di
espulsione o sia entrato clandest inamente nel territorio dello Stato
privo  di  un  valido documento di identita', non commettendo reati e
senza   rendersi  in  alcun  modo  concretamente  pericoloso  per  la
sicurezza pubblica.
    In  tal  modo,  la  norma appare porsi anche in .contrasto con il
generale   precetto,   desumibile   dallo  stesso  articolo  3  della
Costituzione, che impone la ragionevolezza delle scelte legislative.
    Ma le dette osservazioni paiono a fortiori applicabili al caso in
esame,  posto  che la causa ostativa contenuta nel diniego e' fondata
sul  disposto  del  medesimo  articolo  1  della  legge  n. 222/2002,
nell'ultima  parte,  laddove,  dopo  aver  considerato  la  ricordata
ipotesi  di accompagnamento alla frontiera a mezzo di forza pubblica,
individua  quale  causa  di irrevocabilita' della disposta espulsione
chi  «abbia  lasciato  il  territorio  nazionale  e  si  trovi  nelle
condizioni  di  cui  all'art. 13,  comma 13 del testo unico di cui al
decreto legislativo n. 286/1998», il quale prevede come «Lo straniero
espulso  non  puo'  rientrare  nel  territorio  dello Stato senza una
speciale   autorizzazione  del  Ministro  dell'interno.  In  caso  di
trasgressione  lo straniero e' punito con l'arresto da sei mesi ad un
anno  ed  e'  nuovamente  espulso  con accompagnamento immediato alla
frontiera.».
    Si  puo' verificare allora l'aberrante situazione che il soggetto
colpito  da  provvedimento  espulsivo resti sul territorio nazionale,
non ottemperando all'ordine dell'amministrazione o del giudice, inizi
attivita'   lavorativa   ante  10  giugno  2002  e  ottenga,  essendo
incensurato,  la  regolarizzazione,  mentre  non  puo'  ottenerla chi
spontaneamente abbia ottemperato all'ordine di espulsione, ma sia poi
rientrato  senza  richiedere'  l'autorizzazione  ministeriale: orbene
entrambi i comportamenti risultano violare norme cogenti, ma altro e'
patentemente sottrarsi al controllo dello Stato, altro e' ottemperare
e successivamente rientrare stante la evidente facilita' a farlo.
    La  sollevata  questione  di  legittimita'  costituzionale appare
rilevante  -  gia'  nella  fase  cautelare del presente giudizio - in
quanto,  da  un  lato, in base alla delibazione sommaria tipica della
trattazione dell'incidente di sospensione, le censure prospettate nel
ricorso  appaiono  prive  di  pregio  giuridico in quanto l'impugnato
decreto  del  Prefetto  di  Treviso  costituisce  - come detto - mera
applicazione   della   soprariportata   disposizione   normativa   e,
dall'altro,  l'esecuzione  degli  atti amministrativi gravati sarebbe
suscettibile  di  provocare  l'irreversibile e gravissimo pregiudizio
delle posizioni giuridiche soggettive del ricorrente.
    In  definitiva  la presente fase cautelare della controversia, ad
avviso del collegio, non puo' essere definita indipendentemente dalla
risoluzione  della sollevata questione di legittimita' costituzionale
(che,   per   le   ragioni   sinteticamente   indicate,   appare  non
manifestamente  infondata),  dal momento che l'istanza di sospensione
dell'efficacia    dei    provvedimenti    impugnati   dovra'   essere
definitivamente   accolta   oppure   respinta,   a   seconda  che  la
disposizione   normativa   denunciata   sara'   o   meno   dichiarata
incostituzionale in parte qua nella sede competente.