IL TRIBUNALE

    Letti  gli  atti  di  causa,  premesso  in  fatto  che:  G.C.  e'
affidatario,  unitamente alla moglie T.M. del minore C., di circa due
anni,  come da provvedimento di affidamento preadottivo del Tribunale
di  Milano  in  data  30 agosto 2002; egli, libero professionista, ha
chiesto  all'Ente di previdenza dei periti industriali (EPPI), cui e'
iscritto,  di  poter  beneficiare dell'indennita' di maternita' per i
tre   mesi   successivi   all'entrata  del  minore  in  famiglia,  in
alternativa  della  madre,  anch'ella libero professionista, iscritta
alla   Cassa   nazionale  di  previdenza  e  assistenza  dei  dottori
commercialisti;  l'Ente  ha  respinto  la domanda in quanto l'art. 70
d.lgs. n. 151/2001 limita il diritto a beneficiare di tale indennita'
solo alle iscritte di sesso femminile;

                            O s s e r v a

    La   Corte   costituzionale   e'  stata  piu'  volte  chiamata  a
pronunciarsi    sulla   legittimita'   costituzionale   delle   norme
disciplinanti  gli  istituti  a  protezione  della  maternita'  e dei
minori,  in  particolare  sotto  il  profilo della loro mancata o non
totale  estensione  al  padre  oppure ai genitori legali (adottanti o
affidatari).
    Per  effetto  di una serie di decisioni il diritto all'astensione
obbligatoria  ed  ai  riposi  giornalieri  e'  stato  esteso al padre
lavoratore  (sent.  n. 1/1987), il diritto all'astensione facoltativa
e'  stato  riconosciuto  alla  madre affidataria provvisoria e quello
all'astensione  obbligatoria  alla  madre  affidataria in preadozione
(sent.  n. 332/1988),  il  diritto  all'astensione nei primi tre mesi
dall'ingresso del bambino nella famiglia e' stato attribuito al padre
lavoratore  affidatario  di  minore  per  i primi tre mesi successivi
all'ingresso  del  bambino  nella  famiglia in alternativa alla madre
(sent.  n. 341/1991),  il  diritto  ai  riposi  giornalieri  e' stato
esteso,  in  via  generale ed in ogni ipotesi, al padre lavoratore in
alternativa  alla  madre consenziente, per l'assistenza al figlio nel
suo  primo  anno  di  vita  (sent. n. 179/1993), o meglio, in caso di
adozione  o  di affidamento, nel primo anno di ingresso del minore in
famiglia (sent. n. 104/2003).
    Il legislatore nel tempo ha recepito l'evoluzione degli istituti,
sottolineata  della  giurisprudenza  della  Corte,  ed  e' giunto nel
d.lgs.  n. 151/2001  ad  un riordino della materia della tutela e del
sostegno  della  maternita'  e  paternita'  in cui ha tendenzialmente
equiparato  le  posizioni  dei  genitori  fra  di  loro  e quelle dei
genitori legali con quelli naturali.
    L'art. 31,   per  quello  che  qui  interessa,  ha  espressamente
previsto  infatti  che  «il congedo di cui agli artt. 26 comma 1 e 27
comma  1,  che  non sia stato chiesto dalla lavoratrice, spetta, alle
medesime  condizioni,  al  lavoratore  (comma  1);  il congedo di cui
all'art. 27  comma  2 spetta, alle medesime condizioni, al lavoratore
(comma 2); al lavoratore, alle medesime condizioni previste dai commi
1 e 2, e' riconosciuto il diritto di cui all'art. 28 (comma 3).».
    Tale articolo peraltro si applica solo ai lavoratori dipendenti.
    Per  quanto  riguarda  i  liberi  professionisti l'art. 70 invece
prevede:  «alle  libere  professioniste,  iscritte  ad  un  ente  che
gestisce  forme  obbligatorie  di  previdenza  di  cui alla tabella D
allegata  al  presente  testo  unico, e' corrisposta un'indennita' di
maternita'  per i due mesi antecedenti la data del parto e i tre mesi
successivi  alla  stessa  (comma  1)»; l'art. 72 a sua volta prevede:
«l'indennita'  di  cui all'art. 70 spetta altresi' per l'ingresso del
bambino  adottato  o  affidato, a condizione che non abbia superato i
sei anni di eta' (comma 1).».
    Il  tenore  letterale  del combinato disposto degli articoli 70 -
che   espressamente  fa  riferimento  alle  sole  iscritte  di  sesso
femminile  -  e  72  d.lgs.  n. 151/2001,  da  una parte non consente
un'interpretazione   estensiva   finalizzata  a  ricomprendere  nella
previsione  anche  gli iscritti di sesso maschile, come richiesto dal
ricorrente,   e   dall'altra   porre   dei   dubbi   di  legittimita'
costituzionale,  pure prospettati dal ricorrente, che appaiono, oltre
che rilevanti, non manifestamente infondati.
    Rilevanti  perche', ove la norma fosse illegittima, sussisterebbe
il  diritto  del  ricorrente  dall'indennita'  richiesta e il ricorso
dovrebbe  essere accolto (posto che e' risultato provato che la madre
non ha usufruito del beneficio).
    Non  manifestamente  infondati perche', per quanto le prestazioni
previdenziali  adeguate  alle  esigenze dei lavoratori possano essere
differenziate   tra   le  diverse  categorie,  come  riconosciuto  in
particolare   per   i   liberi   professionisti  dalla  stessa  Corte
Costituzionale con la sentenza n. 181/1993, il caso di specie involge
interessi,  legati  alla tutela del minore e della famiglia, non solo
di  rango  costituzionale,  ma certamente superiori rispetto a quelli
che   possono  giustificare  la  differenziazione  delle  prestazioni
(sostanzialmente  legati  alla  differenza  del sistema contributivo,
come  evidenziato  dall'Ente  che  nella  sua memoria ha segnalato la
modesta entita' dei contributi versati, nella prospettiva del ridotto
numero di iscritte di sesso femminile oggetto della tutela).
    Il  combinato disposto degli articoli 70 e 72 d.lgs. n. 151/2001,
nella  parte  in  cui  non  consente  al  padre libero professionista
affidatario   del   minore   insieme   alla   madre,  di  beneficiare
dell'indennita'  durante i primi tre mesi successivi all'ingresso del
bambino in famiglia, in alternativa alla madre stessa, appare violare
gli articoli 3, 29 comma 2, 30 comma 1 e 31 Cost.
    L'aver riservato alla sola madre tale diritto, senza prevedere la
facolta' dei coniugi di accordarsi affinche' sia il marito a fruirne,
non  puo'  essere  giustificato  da  esigenze  di ordine retributivo,
previdenziale  o  di  organizzazione  del  lavoro  (che indubbiamente
differenzia  la libera professione dal lavoro subordinato, conferendo
molti  piu' margini di autonomia', alla madre come al padre, nel caso
di  libera  professione),  e si pone in contrasto con il principio di
uguaglianza  morale  e  giuridica  dei  coniugi,  in quanto attua una
ingiustificata  disparita'  di  trattamento  del marito rispetto alla
moglie  in  rapporto  al suo diritto ed interesse alla partecipazione
alla  prima  e  piu'  delicata  fase  di inserimento del minore nella
famiglia.
    Cio'  in  particolare  nel  caso  di specie in cui da una parte i
servizi  sociali avevano consigliato una maggiore presenza del padre,
in  considerazione  della  storia  personale del minore, e dall'altra
l'organizzazione  familiare  consigliava  una  maggiore  presenza del
padre rispetto alla madre (v. dich. teste Trutalli).
    La Corte nella sentenza n. 341/1991 ha d'altra parte riconosciuto
che  «non  vi  e' dubbio che la funzione materna dell'affidataria sia
particolarmente   importante  nella  fase  dell'ingresso  del  minore
abbandonato  nel  nuovo  nucleo  familiare. Ma cio' non significa che
tale   funzione  non  possa  e  non  debba  essere  svolta  in  piena
integrazione  con una altrettanto incisiva presenza dell'affidatario,
il  quale  anzi  potrebbe  a volte essere in grado, in relazione alle
variabili peculiarita' delle situazioni concrete, di meglio seguire e
assistere  il  minore  in questa particolare fase del suo sviluppo: e
cio'  nel  quadro  di  una  organizzazione  della vita familiare e di
lavoro  valutata  concordemente  dai  coniugi  come  idonea  a meglio
rispondere  alle esigenze di cura e di assistenza del minore da parte
di  entrambe  le figure genitoriali. In questo senso e' ben possibile
che,  in relazione alle diverse situazioni che in concreto si possono
manifestare,  ad  alla durata e al modo di svolgimento dei rispettivi
impegni  di  lavoro,  appaia  razionale e necessario che l'astensione
obbligatoria dal lavoro sia usufruita dall'affidatario in alternativa
alla  moglie, sulla base di valutazioni effettuate congiuntamente tra
i  coniugi  e  finalizzate esclusivamente al preminente interesse del
bambino ...».
    Lo stesso discorso, una volta riconosciuto il diritto della madre
libera  professionista  a  percepire  l'indennita'  di  maternita', a
sostegno  economico  della necessita' e della scelta di occuparsi del
bambino nei primi tre mesi di ingresso in famiglia, vale per il padre
libero  professionista,  pena  il  contrasto  con  i  principi di cui
all'art. 29  comma  2  Cost.  (uguaglianza  tra  i  coniugi  anche in
relazione  anche  ai  compiti  di  cui  all'art. 30,  comma  1 di cui
all'art. 31   (tutela  della  famiglia  e  del  minore  come  compito
fondamentale  dell'ordinamento)  e  di  cui  all'art. 3  Cost. sia in
quanto  «indirettamente  imponendo  solo alla donna di sacrificare le
esigenze  e  gli  interessi  inerenti  al  suo lavoro per accudire il
minore  affidato,  colloca  lo  svolgimento  della personalita' della
donna nella dimensione del lavoro in posizione sott'ordinata rispetto
alla  considerazione  che viene attribuita al lavoro dell'uomo.». (v.
sent.  n. 341/1991  gia'  citata),  sia  in  quanto  da' luogo ad una
disparita'  di  trattamento  fra  liberi  professionisti e lavoratori
dipendenti,  priva  di  giustificazione sulla base delle differenze -
pure sussistenti - fra le due categorie.