IL TRIBUNALE

    Ha  pronunciato  la  seguente ordinanza nel procedimento iscritto
come  in  epigrafe,  vertente  tra: Ceccotti Eugenio, rappresentato e
difeso  dagli  avv.  A.  Andreoni,  L.  Torchia, V. Angiolini e T. Di
Nitto;   e,  ISFOL  -  Istituto  per  lo  Sviluppo  della  Formazione
Professionale  dei  Lavoratori,  rappresentato  e difeso dall'avv. V.
Bencivenga;   nonche',  Francioni  Antonio,  rappresentato  e  difeso
dall'avv. V. Bencivenga;
    Ritenuto che:
        con  ricorso depositato il 19 maggio 2003 Ceccotti Eugenio ha
convenuto  in  giudizio  l'ISFOL e Francioni Antonio, ed esposto (per
quanto  qui rileva): di esserne stato nominato direttore generale con
delibera  del  21 dicembre  2000,  e susseguente stipula di contratto
individuale  di  lavoro  dirigenziale del 5 gennaio 2001, con effetto
dall'8 gennaio 2001 e per la durata di cinque anni; che nel corso del
rapposto  di  lavoro  era  intervenuta la legge n. 145/2002, in forza
dell'art. 3,  comma  7 della quale il suo incarico era stato ritenuto
cessato  ex  lege  allo  spirare  del  sessantesimo giorno successivo
all'entrata  in vigore della legge, tanto che in data 4 ottobre 2002,
in  applicazione  della  medesima legge, il commissario straordinario
dell'ISFOL  lo  aveva  invitato  a  non  svolgere  piu'  le  relative
funzioni;  e  che in data 24 ottobre 2002 gli era stata comunicata la
cessazione dello stipendio; che in pari data era stato nominato nuovo
direttore  generale (in persona del Francioni); chiedeva, tra l'altro
(per   quanto  qui  rileva),  previa  sollevazione  di  questione  di
legittimita'  costituzionale  dell'art. 3,  comma 7, secondo periodo,
legge  n. 145/2002,  e  quale conseguenza dello sperato annullamento,
ordinarsi  all'ISFOL  di  ripristinarlo  nelle  funzioni di direttore
generale.  Avanzava  altresi' domanda di pagamento delle retribuzioni
maturate dalla cessazione ex lege al naturale termine dell'incarico e
domanda  al  risarcimento  di  vari  danni che assumeva causati dalla
vicenda;
        l'ISFOL  si  e'  costituito  in giudizio eccependo in rito il
difetto   di   giurisdizione  del  giudice  adito,  o,  in  subordine
sospendersi  il  giudizio  per  la  pendenza  dinanzi  alla  S.C.  di
Cassazione  di  regolamento  di giurisdizione sollevato d'ufficio dal
Tribunale  amministrativo  regionale  del  Lazio  su  analogo ricorso
proposto   contro   essa  dallo  stesso  Ceccotti  dinanzi  a  quella
giurisdizione;  nonche'  contestando  nel  merito la fondatezza delle
domande proposte;
        il  Francioni  si  e'  costituito  in  giudizio  chiedendo il
rigetto del ricorso;
        la  questione  di  giurisdizione (che questo giudice affronta
qui in via meramente incidentale e non decisoria, bensi' al mero fine
di  giustificare  la  rilevanza  della  questione  sollevanda  ed  il
ritenuto  potere di sollevarla, stante il suo carattere pregiudiziale
ed  assorbente)  appare allo stato infondata, giacche' la causa verte
su revoca di incarico dirigenziale avvenuta ex lege dopo il 30 giugno
1998,  e  cosi'  appare ricadere nella previsione di cui all' art. 63
del d.lgs n. 165/2001;
        il  presente  giudizio  non  puo'  essere sospeso ex art. 367
c.p.c.  perche'  il  regolamento  non  e' stato proposto nel presente
giudizio  (e  neppure, in realta', nell'analogo procedimento proposto
dal  Ceccotti  dinanzi  al  Tribunale  amministrativo  regionale  che
risulta  colpito  da sospensione c.d. impropria disposta per ritenuta
opportunita'   dal   giudice   amministrativo   per  la  pendenza  di
regolamento di giurisdizione in giudizi analoghi);
        il  primo  motivo di sospettata illegittimita' costituzionale
appare  manifestamente  infondato,  perche'  l'«azzeramento»  ex lege
degli   incarichi  dirigenziali  generali  pendenti  puo'  rispondere
astrattamente   ad   una  ritenuta  esigenza  di  non  consentire  la
sopravvivenza alla novella rapporti dirigenziali generali «di vecchio
regime»,   e   come   tale   non  puo'  apparire  affetto  da  quella
irragionevolezza   assoluta  che  consiste  nella  contraddittorieta'
rispetto ai fini o nella imperscrutabilita' degli stessi, che sola la
distingue  da  quella  irragionevolezza  di  merito  che attiene alla
discrezionalita' dell'azione legislativa;
        il  secondo motivo appare anch'esso manifestamente infondato,
perche' la stabilita' dei rapporti di lavoro non ha in se' fondamento
costituzionale,   come  fatto  palese  dalla  ritenuta  leggittimita'
costituzionale  della  risolubilita'  ad nutum dei rapporti di lavoro
dirigenziali   tra   privati,   che   trova  ragionevole  ragione  di
distinzione,  anche  ex  Cost. 3,  ed anche nel pubblico impiego, nel
carattere  fiduciario  di detti rapporti (Cort. cost. n. 302/1992). I
precedenti  invocati  dalla  difesa del ricorrente riguardano casi di
estensione  del  regime  di  stabilita'  a  rapporti non dirigenziali
fondata  sul principio di uguaglianza (Cort. cost. 96/1987, 41/1991).
Cort.  cost.  197/1993  non  ha  censurato  un  caso  di destituzione
automatica  ex  lege  in  quanto  tale,  ma  in quanto fondato su una
fattispecie  legale  tipica  di  recesso per motivo disciplinare (per
effetto di condanna penale per certi reati in quanto tale), come tale
obliterativa  della  ritenuta necessita' costituzionale ex Cost. 3 di
adeguatezza/proporzionalita'  del fatto in concreto a giustificare la
risoluzione  del  rapporto  (per  l'ipotesi  esso  sia  garantito  da
stabilita),  in  assenza  della  quale  fatti  di  gravita' del tutto
difforme  erano  resi passibili di determinare la stessa conseguenza,
con  conseguente  violazione  del principio di uguaglianza sub specie
della  necessita'  di  trattamento  diverso  per  casi diversi. Nella
specie  la  decadenza ha colpito tutti i direttori generali in quanto
in  carica e per mero effetto di una decisione politica, e dunque non
appare esservi alcuna violazione, sotto tal profilo, del principio di
uguaglianza.  La  giurisprudenza costituzionale, e' vero, ha altresi'
piu'  volte rimarcato come la posizione costituzionale dei dirigenti,
riguardo  alla  stabilita',  non  sia comunque del tutto precaria, in
quanto  passibile  di  connettersi  con altri beni costituzionalmente
protetti,  quale  quello  della  dignita'  umana  e professionale del
lavoratore,  alle  quali  presiedono  in  via legislativa le norme di
garanzia in tema di revoca amministrativa degli incarichi, oltre alle
norme   generali   in  tema  di  invalidita'  di  recessi  per  causa
discriminatoria  o illecita. La fattispecie in esame, pero', riguarda
un  caso  di  decadenza  generale di tutti gli incarichi pendenti per
diretta decisione legislativa di opportunita': una decisione che, per
il suo carattere generale, impersonalizzato e puramente discrezionale
quanto  puo'  esserlo  una  decisione politica, non assume di per se'
significato   obiettivo   ne'   soggettivo   lesivo   della  dignita'
professionale  di  alcuno.  Neppure,  infine,  appare ravvisabile una
violazione  di  Cost. 10  in  relazione  agli  impegni internazionali
assunti  dallo  Stato Italiano nella Carta Sociale Europea e recepiti
con legge n. 30/1999 (impegno delle parti contraenti a riconoscere il
diritto  del lavoratore a non essere licenziato senza valido motivo),
posto  che  la  cessazione ex lege di incarichi dirigenziali pendenti
non  configura  licenziamento  sia perche' questo e' atto unilaterale
negoziale   del   datore   di   lavoro,  sia  perche'  la  cessazione
dell'incarico non configura propriamente una risoluzione del rapporto
di  impiego, che rimane in vita, seppure sotto altre forme. La stessa
Cort.  cost.  n. 313/1996  ha  ribadito  che, non esiste una garanzia
costituzionale  di  inamovibilita/stabilita'  assoluta  dei dirigenti
pubblici;
        il  terzo  motivo  appare anch'esso manifestamente infondato,
non    potendosi    ravvisare,    nell'ordinamento,   un   fondamento
costituzionale  al  divieto  di  demansionare  previsto, nei rapporti
interprivati,  dall'art. 2103 c.c. che, al contrario in quanto esiste
e  vige,  si  riconnette  al  diritto  alla libera esplicazione delle
potenzialita'  del  lavoratore  nel  posto  di  lavoro,  della  quale
cosituisce  facoltativa  attuazione.  Il motivo non appare, peraltro,
nella specie rilevante, perche' la cessazione ex lege degli incarichi
pendenti  e' ricollegata, nella legge, ad una valutazione ex novo dei
soggetti   piu'  idonei  (diciamo  cosi),  contemplante  altresi'  la
possibilita'  della  riconferma  del  direttore  cessato, ed anche la
possibilita'  dell'attribuzione  di  un incarico equivalente. Non e',
pertanto, la norma sulla decadenza ex lege, oggetto della denuncia di
incostituzionalita',  che  ha  leso il presunto diritto di fondamento
costituzionale  del  Ceccotti  a  non  essere demansionato, ma la sua
mancata   riconferma   e  la  mancata  attribuzione  di  un  incarico
equivalente,  che dipendono dagli atti amministrativi conseguenti che
lo hanno riguardato;
        il  quinto motivo appare, per quanto di ragione, ed in quanto
riferito all'art. 3, comma 7, manifestamente infondato e irrilevante.
La  decadenza  ex  lege  ed  una  tantum degli incarichi dirigenziali
generali  pendenti  appare  non  lesiva  dei  beni  costituzionali di
imparzialita'  e buon andamento dell'amministrazione, perche' ad essa
deve  seguire  per  legge  l'apertura di un nuovo procedimento per la
copertura  del posto, al quale ha ben diritto di partecipare anche il
dirigente  «cessato»,  e  che  e' pur sempre volto all'individuazione
della figura piu' idonea, con tutte le garanzie della fattispecie. Ed
anzi,  in  un  certo  senso,  l'azzeramento  di  tutte le nomine e la
susseguente  riconsiderazione  nell'ambito  concorsuale  della figura
piu'   idonea   (ove  correttamente  svolto)  favorisce  di  per  se'
l'interessedell'amministrazione  al  proprio  miglior  funzionamento,
sgombrandolo dall'onere di dover giustificare la revoca dell'incarico
gia'  attribuito,  che,  seppure non immeritevolmente svolto, avrebbe
eventualmente potuto, a suo giudizio, essere pur sempre meglio svolto
da  un  terzo.  Nel contempo la decadenza legale, per il suo avvenire
statim   e  una  tantum,  non  interferisce  punto  di  per  se'  con
l'autonomia del dirigente nel corso delle sue funzioni;
        neppure   appare   plausibilmente  fondata  la  questione  di
legittimita'  costituzionale  inerente  il  combinato  disposto degli
artt. 1,  comma  3,  lettera b) e 3, comma 7, prima parte della legge
n. 145, nella parte in cui, nel caso di caducazione della norma sulla
decadenza  ex lege, determinerebbero comunque - secondo una tesi - la
caducazione  degli  incarichi  rimasti  in  essere  allo  spirare del
triennio  (nuova durata massima degli incarichi quale stabilita', con
previsione  espressa  di  immediata  applicazione, dalla novella), e,
quindi,  l'avvenuto  spirare  dell'incarico del ricorrente al gennaio
2004,  posto  che  l'abbreviamento  del termine massimo non osta alla
possibilita'   di   una  seria  esplicazione  della  valutazione  dei
risultati   degli   incarichi   attribuiti,  ai  fini  dell'eventuale
riconferma;  ne',  stante il correlato obbligo di motivazione, appare
rilevante  che  in  siffatto  modo  la  verifica  sia  plausibilmente
destinata   ad  essere  svolta  dall'Autorita'  politica  di  Governo
espressa  dalla  stessa  maggioranza  che  ha  dato  l'incarico,  non
potendosi  che  additare  a  criterio  di  pregiudizio l'idea che dal
cambio   del   Governo   (peraltro   meramente   eventuale)   dipenda
imprescindibilmente  qualunque  possibilita'  di  una valutazione del
dirigente  che non sia ispirata da meri criteri di fedelta' politica.
Per  converso,  appare al giudicante non manifestamente infondata, in
relazione  agli  artt. 97  e  98  Cost., la questione di legittimita'
costituzionale  delle  disposizioni  in questione, nella parte in cui
non  stabiliscono  un  termine  minimo di durata dei nuovi incarichi,
apparendo  evidente  che l'aperta possibilita' di conferire incarichi
di durata minima ed anche infrannuale da un lato pone il dirigente in
una  condizione  di  precarieta'  assoluta  (stante  anche  la  larga
discrezionalita'  del  potere di non riconferma, suscettibile di mero
controllo  «estrinseco»)  che  non  puo'  non consigliargli di subire
supinamente  i «desiderata» dalle classe politica che lo ha espresso,
a scapito di quel minimo di autonomia e stabilita' che sono necessari
per  garantirgli  un  esercizio  delle  funzioni ispirato ai principi
costituzionali di imparzialita' e buon andamento, e volto al servizio
esclusivo   della   Nazione;   dall'altro,   consentendo   cessazioni
infrannuali, non garantisce neppure che l'operato del dirigente debba
poi  essere  realmente  sottoposto  alla verifica di rendimento, che,
secondo  la  stessa  Corte  costituzionale  (Cort. cost. n. 193/2002)
appare  erigersi  a  necessario  limite del potere del legislatore di
ridurre la stabilita' e l'autonomia del dirigente.
    Tuttavia,  sotto  tal  profilo, la questione non appare rilevante
nel  presente  giudizio, perche' il ricorrente non e' coinvolto in un
incarico di nuovo regime, ne' appare titolare di un diritto soggetivo
al  riguardo,  se non tramite l'annullamento della decadenza ex lege,
che   pero'   comporterebbe  la  reviviscenza  del  vecchio  incarico
quinquennale  fino alla scadenza, oppure l'assoggettamento al termine
triennale, che appare lecito;
        le  questioni  di legittimita' costituzionale sollevate dalla
difesa  del ricorrente appaiono, invece, non manifestamente infondate
e rilevanti nei termini che seguono:
          a)  violazione del principio costituzionale, radicantesi in
Cost.  3,  della  sicurezza  delle  situazioni giuridiche; violazione
irragionevole  ex  Cost.  3 dell'autonomia negoziale quale momento di
espressione  di  diritti inviolabili dell'individuo (Cost. 2) e della
liberta' di iniziativa economica (Cost. 41).
    La  denunciata  decadenza  ex  lege di rapporti di lavoro a tempo
determinato,  e,  quindi,  a  durata  minima  garantita  incide sulla
liberta'  negoziale  sub specie del libero svolgersi dei suoi effetti
quali  stabiliti  dalla  leggi  vigenti  all'epoca della sua stipula,
tradendo  il  legittimo  affidamento  riposto  dal  cittadino su tale
libero  esplicarsi.  E'  appena il caso di rilevare che il ricorrente
allega  (peraltro  incontestatamente)  che  per  poter essere assunto
dall'ISFOL  come  direttore generale, dovette dimettersi dall'azienda
alle cui dipendenze lavorava fino alla nomina. In tale determinazione
ha    evidentemente   inciso   la   garantita   durata   quinquennale
dell'incarico,  travolta  in virtu' diretta di legge dopo meno di due
anni.  Per  quanto  i  precedenti  citati da parte ricorrente possano
apparire  non  in  termini (si tratta di casi di leggi retroattive in
materia pensionistica; qui non v'e' retroattivita' veruna) ritiene il
giudicante  revocabile  in  dubbio  che  lo «Stato Legislatore» possa
recidere  gli  effetti  di  negozi  giuridici  assunti  dallo  «Stato
Amministrazione»  (qui  si tratta di altro ente pubblico, ma la norma
riguarda  anche le amministrazioni dello Stato) o tra altri soggetti,
senza   una  seria  necessita'  riconducibile  a  beni  di  rilevanza
costituzionale. I dirigenti in carica, in quanto ritualmente nominati
e   non  sanzionati,  dovevano  presumersi  idonei  all'incarico  che
svolgevano,  e  la stessa possibilita' di sostituirli ante tempus con
dirigenti  ancora piu' idonei, che il giudicante considera a costo di
risultare   ingenuo,   che'   e'  evidente  che  la  novella  trasuda
l'aspirazione  di  rinnovare  in  blocco  la  dirigenza  pubblica per
assicurarsene  la  fedelta', non appare integrare una ragione di buon
andamento   dell'Amministrazione   idonea   a   travolgere   non   le
aspettative, ma i diritti acquisiti dai «vecchi» dirigenti;
          Eccesso  di  potere  legislativo: violazione degli artt. 3,
70, 97, 113 della Costituzione.
    La   disposizione   sulla   decadenza  ex  lege  degli  incarichi
dirigenziali  pendenti,  per  non aver ad oggetto una regola astratta
(quante   volte   x  si  verifichi,  y  e'  la  conseguenza)  ma  una
disposizione  generale  (tutto  quelli  che  oggi  si  trovano  nella
condizione  x,  subiscono la conseguenza y) ha il contenuto obiettivo
di  un atto amministrativo generale, e come tale appare invadere cio'
che  pertiene  al  potere  esecutivo.  L'uso non normativo del potere
legislativo  appare  espressione  di  una  inammissibile elusione del
diritto  alla  tutela giurisdizionale (il ricorrente, leso nei propri
diritti ad un atto sostanzialmente amministrativo, e solo formalmente
legislativo,  si  vede  cosi'  privato  della  tutela) e fonte di una
irragionevole  disparita'  di  trattamento  rispetto  ai soggetti che
subiscono  gli  effetti di formali atti amministrativi generali, come
tali sindacabili in sede giurisdizionale.
          Violazione  di Cost. 3 assumendo come tertium comparationis
la fattispecie di cui all'art. 6 della legge n. 145/2002.
    Tale  ultima  disposizione assicura la pretesa della nuova classe
politica  di  Governo  di  riselezionare immediatamente gli organi di
vertice ed i componenti degli organi di amministrazione degli enti in
carica   conferendo  ad  essa  il  potere  di  confermare,  revocare,
modificare  o  rinnovare  gli  incarichi  entro sei mesi. Trattasi di
disposizione di identica ratio, riguardante cariche ancor piu' (se si
vuole)  «fiduciarie» rispetto a quelle dei dirigenti generali; eppure
in  tal  caso  il  Legislatore,  facendo  tra l'altro un uso stavolta
proprio  della funzione legislativa, non ha direttamente travolto per
legge  le  cariche in corso, rimettendo invece ad atti amministrativi
giustiziabili  la possibilita' della revoca degli incarichi in corso.
La  disparita'  di  trattamento  appare priva di qualunque plausibile
giustificazione;
          Violazione di Cost. 33.
    L'art. 33,   ultimo  comma  della  Costituzione  garantisce  alle
«Istituzioni  di alta cultura, universita' ed accademie» autonomia di
ordinamento nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato. L'ISFOL, ai
sensi  dell'art. 10 del d.lgs n. 419/1999, ed in relazione alla legge
n. 168/1989,  e' ente di ricerca dotato di autonomia organizzativa ed
indipendenza  di  giudizio.  Coerentemente a cio', esso e' soggetto a
sola  vigilanza  statale,  e  non  ad ingerenza organizzativa. Cio' a
presidio  dell'indipendenza  di  giudizio,  che  ispira  la  garanzia
costituzionale di autonomia organizzativa degli enti in questione. La
Carta  consente  alla legge di stabilire i limiti di detta autonomia,
stabilendo  le  regole  astratte  nell'ambito  delle  quali essa puo'
essere   esplicata,   e   non   pure   di   interferire  direttamente
nell'organizzazione  degli  enti in questione con leggi-provvedimento
amministrativo di contenuto concreto ancorche' generale.
    L'art. 3,  comma  7,  della legge n. 145/2002 appare aver violato
tale  principio, azzerando, anche per l'ISFOL ed in genere negli enti
di   ricerca,  gli  effetti  di  atti  amministrativi  e  susseguenti
contratti  espressi dall'autonomia organizzativa di tali enti, con un
atto  solo  formalmente legislativo ma sostanzialmente amministrativo
(per  riferimenti,  v.  Cort.  cost. numeri 51/1966 e 101/1988) cosi'
compiendo un atto provvedimento riservato all'autonomia organizzativa
dell'ente,   al  piu'  passibile  di  disciplina  e  regolamentazione
astratta;
    Ritenuto  che  le  questioni  cosi'  sollevate sono rilevanti nel
giudizio,   perche'  all'annullamento  della  norma  sulla  decadenza
automatica   dei   dirigenti  generali  in  carica  conseguirebbe  la
reviviscenza dell'incarico del ricorrente quanto meno fino al gennaio
2004,   cosa   comunque  rilevante  stante  la  domanda  risarcitoria
accessoria  proposta dal ricorrente, che ha altresi' proposto domanda
conseguenziale  al  pagamento  delle  retribuzioni pattuite anche per
l'epoca comunque successiva alla cessazione ex lege;