ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale dell'art. 42, secondo
comma,  della  legge  25 maggio  1970,  n. 352  (Norme sui referendum
previsti  dalla  Costituzione  e  sulla  iniziativa  legislativa  del
popolo),  promosso  con  ordinanza  del  23 gennaio 2004 dall'Ufficio
centrale  per  il  referendum  presso  la  Corte  di cassazione sulla
richiesta  di  referendum  presentata  dal  Comune  di San Michele al
Tagliamento,  iscritta  al  n. 234  del  registro  ordinanze  2004  e
pubblicata  nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 14, 1ª serie
speciale, dell'anno 2004.
    Udito  nella camera di consiglio del 29 settembre 2004 il giudice
relatore Franco Bile.

                          Ritenuto in fatto

    A  seguito della presentazione da parte del Comune di San Michele
al  Tagliamento  della  richiesta  di  referendum per il distacco del
medesimo  Comune  dalla Regione Veneto e per la sua aggregazione alla
Regione  Friuli-Venezia  Giulia, l'Ufficio centrale per il referendum
presso    la    Corte    di    cassazione    ha    sollevato   -   in
riferimentoall'art. 132,  secondo  comma,  della  Costituzione  (come
modificato  dall'art. 9  della  legge costituzionale 18 ottobre 2001,
n. 3)   -  questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 42,
secondo   comma,  della  legge  25 maggio  1970,  n. 352  (Norme  sui
referendum previsti dalla Costituzione e sulla iniziativa legislativa
del  popolo),  nella  parte  in  cui  prescrive  che  le richieste di
referendum  per  il distacco da una Regione e l'aggregazione ad altra
Regione  di una o piu' Province o di uno o piu' Comuni debbano essere
corredate  delle  deliberazioni,  identiche  nell'oggetto,  di  tanti
consigli  di  Province  o di Comuni che rappresentino almeno un terzo
delle  restanti  popolazioni  delle  Regioni  investite  dall'avviato
procedimento di distacco-aggregazione.
    L'Ufficio rimettente ritiene la questione rilevante ai fini della
pronuncia  da  adottare  sulla  citata richiesta, che dovrebbe essere
dichiarata   illegittima,   perche'   non   corredata   di  tutte  le
deliberazioni  dei  consigli  comunali  cui  la  norma  impugnata  fa
riferimento,  mentre  sarebbe  pacificamente  legittima  in  caso  di
pronunciata incostituzionalita'.
    E  nel  merito  -  premesso  di  avere,  nel  corso  del medesimo
procedimento, dichiarato manifestamente infondata identica questione,
che  il  Comune  di  San  Michele  al  Tagliamento  aveva  chiesto di
sollevare  -  rileva che quella soluzione deve essere rimeditata alla
luce della motivazione dell'ordinanza n. 343 del 2003, con cui questa
Corte  ha  dichiarato  manifestamente  inammissibile  il conflitto di
attribuzione  tra  poteri  dello  Stato,  proposto  dal  delegato del
medesimo  Comune, per censurare il mancato adeguamento degli artt. 42
e  segg.  della  legge  n. 352  del 1970 al nuovo testo dell'art. 132
Cost;  l'ordinanza  aveva infatti definito «significativa» la portata
della  «riforma  dell'art. 132,  secondo  comma,  della  Costituzione
introdotta dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3».
    Secondo  l'Ufficio  -  poiche'  il testo novellato dell'art. 132,
secondo  comma,  Cost. dispone che «si puo', con l'approvazione della
maggioranza  delle  popolazioni  della  Provincia  o  delle  Province
interessate  e  del Comune o dei Comuni interessati espressa mediante
referendum   e   con  legge  della  Repubblica,  sentiti  i  Consigli
regionali,   consentire  che  Province  e  Comuni,  che  ne  facciano
richiesta,  siano staccati da una Regione ed aggregati ad un'altra» -
se  ne  ricava  che il legislatore costituzionale ha inteso riservare
unicamente agli enti territoriali, richiedenti il proprio distacco da
una   Regione   e  l'aggregazione  ad  un'altra,  l'iniziativa  della
promozione  del  referendum  prodromico  alla variazione dell'assetto
territoriale    regionale,    ed    escludere,    quindi,   qualsiasi
partecipazione  a  tale  iniziativa  di altri enti rappresentativi di
popolazioni  solo  indirettamente  interessate  a tale variazione. La
conclusione  e' avvalorata dal rilievo che l'eventuale esito positivo
del  referendum  non  ha efficacia automatica in ordine alla modifica
dell'assetto  territoriale, ma integra solo il presupposto necessario
ma  non  vincolante  di un successivo procedimento legislativo con il
quale  il  Parlamento,  sentito  il  parere obbligatorio dei consigli
regionali,  valuta  discrezionalmente  la praticabilita' del proposto
mutamento;  onde  l'interesse indiretto delle parti delle Regioni non
coinvolte  in  esso trova adeguata tutela e considerazione proprio in
questa ulteriore fase legislativa.
    A   giudizio   del  rimettente,  dunque,  si  configurerebbe  una
sopravvenuta  incompatibilita'  con  l'evocato  parametro della norma
impugnata, nella parte in cui riserva anche ad enti diversi da quelli
richiedenti il distacco-aggregazione un'indispensabile partecipazione
alla promozione delle iniziative referendarie.

                       Considerato in diritto

    1.  -  Chiamato  a  pronunciarsi  sulla  richiesta  di referendum
proposta  dal  Comune  di  San Michele al Tagliamento per il distacco
dalla   Regione  Veneto  e  per  la  sua  aggregazione  alla  Regione
Friuli-Venezia Giulia, l'Ufficio centrale per il referendum presso la
Corte   di   cassazione   ha   sollevato  questione  di  legittimita'
costituzionale  dell'art. 42,  secondo  comma,  della legge 25 maggio
1970,  n. 352  (Norme  sui  referendum  previsti dalla Costituzione e
sulla   iniziativa  legislativa  del  popolo),  nella  parte  in  cui
prescrive  che  le  richieste  di  referendum  per il distacco da una
Regione e l'aggregazione ad altra Regione di una o piu' Province o di
uno  o  piu'  Comuni  debbano  essere  corredate delle deliberazioni,
identiche nell'oggetto, di tanti consigli di Province o di Comuni che
rappresentino  almeno  un  terzo  delle  restanti  popolazioni  delle
Regioni investite dall'avviato procedimento di distacco-aggregazione.
    Preso  atto  che la portata della «riforma dell'art. 132, secondo
comma,  della  Costituzione  introdotta  dalla  legge  costituzionale
18 ottobre  2001,  n. 3», e' stata definita «significativa» da questa
Corte nell'ordinanza n. 343 del 2003 - che per il resto ha dichiarato
la  manifesta  inammissibilita'  del  conflitto  di  attribuzione tra
poteri  dello  Stato proposto dal delegato del medesimo Comune contro
il  Parlamento,  per  il  mancato  adeguamento degli artt. 42 e segg.
della  legge  n. 352  del  1970  al nuovo testo dell'art. 132 Cost. -
l'Ufficio   rimettente  (che  pure,  in  precedenza,  aveva  ritenuto
manifestamente   infondata   identica   questione   di   legittimita'
costituzionale)  ha  ravvisato nella norma impugnata una sopravvenuta
incompatibilita'  con  tale  parametro,  nella  parte  in cui riserva
un'indispensabile  partecipazione  alla  promozione  delle iniziative
referendarie   anche   ad  enti  diversi  da  quelli  richiedenti  il
distacco-aggregazione.
    2. - La questione e' fondata.
    2.1.  - Il secondo comma dell'art. 42 della legge n. 352 del 1970
prescrive  che  le  richieste,  da  parte  di  Province  o Comuni, di
referendum  per  il  distacco  da  una  Regione  e  l'aggregazione ad
un'altra  devono essere corredate - oltre che delle deliberazioni dei
consigli  degli  enti  interessati alla modifica territoriale - anche
delle   deliberazioni,  identiche  nell'oggetto,  di  tanti  consigli
Provinciali  o  comunali  che  rappresentino  almeno  un  terzo della
restante  popolazione  della  Regione  dalla  quale  e'  proposto  il
distacco  (primo periodo); e di tanti consigli Provinciali o comunali
che  rappresentino  almeno  un  terzo della popolazione della Regione
alla quale si propone che gli enti siano aggregati (secondo periodo).
    La  norma  impugnata  - inserita nel contesto piu' generale della
legge  n. 352  del  1970,  finalizzata a dare attuazione alle diverse
previsioni  costituzionali  riguardanti  i  referendum e l'iniziativa
legislativa   popolare  -  e'  diretta,  per  la  stessa  definizione
contenuta  nella  rubrica  del  titolo  III  della  legge medesima, a
consentire  lo svolgimento dei procedimenti di fusione o di creazione
di  nuove  Regioni  previsti  dal  primo  comma  dell'art. 132  della
Costituzione,  nonche'  di distacco-aggregazione di Province o Comuni
disposto dal secondo comma del medesimo art. 132.
    Tuttavia  -  per cio' che piu' interessa specificamente l'oggetto
dell'odierna  questione di costituzionalita' - la norma pone a carico
dei richiedenti un onere di difficile e gravoso assolvimento.
    L'elencazione    di    tali    imprescindibili   presupposti   di
proponibilita'   della   richiesta  referendaria  gia'  appariva  non
conforme  all'originaria  formulazione  del  capoverso  dell'art. 132
Cost.  (secondo  cui  «Si  puo',  con  referendum  e  con legge della
Repubblica,  sentiti  i Consigli regionali, consentire che Province e
Comuni,  che  ne facciano richiesta, siano staccati da una Regione ed
aggregati   ad   un'altra»),   in   quanto  accordava  (e  vincolava)
l'iniziativa   referendaria   ad   organi   non  previsti  nel  testo
costituzionale  e  condizionava  l'iniziativa  dei titolari a quella,
necessariamente congiunta, di tali soggetti.
    Queste   caratteristiche  sono,  peraltro,  divenute  ancor  piu'
evidenti  e razionalmente ingiustificabili dopo la modifica (ad opera
dell'art. 9  della legge cost. n. 3 del 2001) dell'art. 132 Cost., il
cui  secondo  comma  si  limita  oggi  a  prevedere che «Si puo', con
l'approvazione  della maggioranza delle popolazioni della Provincia o
delle  Province  interessate  e  del  Comune o dei Comuni interessati
espressa  mediante referendum e con legge della Repubblica, sentiti i
Consigli regionali, consentire che Province e Comuni, che ne facciano
richiesta, siano staccati da una Regione ed aggregati ad un'altra».
    L'onerosita'  del  procedimento  strutturato dalla norma di legge
attuativa  si  palesa  eccessiva (in quanto non necessitata) rispetto
alla determinazione ricavabile dalla nuova previsione costituzionale,
e  si  risolve  nella  frustrazione del diritto di autodeterminazione
dell'autonomia  locale, la cui affermazione e garanzia risulta invece
tendenzialmente accentuata dalla riforma del 2001.
    Poiche'  il referendum previsto dalla disposizione costituzionale
attualmente  vigente  mira  a  verificare  se  la  maggioranza  delle
popolazioni  dell'ente  o degli enti interessati approvi l'istanza di
distacco-aggregazione,   deve   coerentemente   discenderne   che  la
legittimazione  a  promuovere  la  consultazione  referendaria spetta
soltanto   ad  essi  e  non  anche  ad  altri  enti  esponenziali  di
popolazioni  diverse.  Infatti,  la  riforma del parametro evocato ha
inteso  evitare  che  maggioranze  non  direttamente o immediatamente
coinvolte  nel  cambiamento possano contrastare ed annullare finanche
le  determinazioni iniziali (neppure giunte al di la' dello stadio di
semplici  richieste) di collettivita' che intendano rendersi autonome
o modificare la propria appartenenza regionale.
    Ad ogni modo, le valutazioni di tali altre popolazioni - anche di
segno contrario alla variazione territoriale - trovano congrua tutela
nelle  fasi  successive  a  quella  della  mera  presentazione  della
richiesta   di  referendum.  Siccome  infatti  l'esito  positivo  del
referendum,  avente  carattere  meramente consultivo, sicuramente non
vincola  il  legislatore statale alla cui discrezionalita' compete di
determinare   l'effetto   di  distacco-aggregazione;  e  siccome  nel
procedimento  di  approvazione  della legge della Repubblica la norma
costituzionale  citata  inserisce la fase dell'audizione dei consigli
delle  Regioni  coinvolte, proprio questa fase consente l'emersione e
la  valutazione  degli  interessi  locali  contrapposti  (o anche non
integralmente concordanti con quelli espressi attraverso la soluzione
della rigida alternativa propria dell'istituto referendario). Sicche'
l'acquisizione  e  l'esame  dei pareri dei consigli regionali avranno
sicura  incidenza  ai fini dell'eventuale approvazione della legge di
modifica territoriale.
    2.2.  --  La specificita' dell'ipotesi di variazione territoriale
disciplinata  dall'art. 132 Cost. non consente, viceversa, di mutuare
l'accezione  e l'estensione del concetto di «popolazioni interessate»
individuato  da  questa  Corte relativamente al procedimento, affatto
diverso,  di  cui  al successivo art. 133, secondo comma, che prevede
l'istituzione di nuovi Comuni e la modifica delle loro circoscrizioni
e  denominazioni  (cfr.  sentenze  n. 47  del 2003 e n. 94 del 2000).
L'espressione  «popolazioni  interessate»,  utilizzata da tale ultima
norma  costituzionale  evoca  un  dato che puo' anche prescindere dal
diretto  coinvolgimento  nella  variazione  territoriale; ed e' stata
intesa   dalle  sentenze  citate  come  comprensiva  sia  dei  gruppi
direttamente  coinvolti  nella variazione territoriale, sia di quelli
interessati in via mediata e indiretta.
    Invece   l'espressione   «popolazioni  della  Provincia  o  delle
Province   interessate  e  del  Comune  o  dei  Comuni  interessati»,
utilizzata  dal  nuovo  art. 132,  secondo  comma, inequivocamente si
riferisce  soltanto  ai  cittadini  degli  enti  locali  direttamente
coinvolti nel distacco-aggregazione.
    2.3.  -  La  norma  impugnata  deve,  pertanto, essere dichiarata
costituzionalmente  illegittima,  nella parte in cui prescrive che la
richiesta  di  referendum  per  il  distacco di una Provincia o di un
Comune  da  una Regione e l'aggregazione ad altra Regione deve essere
corredata  -  oltre  che delle deliberazioni, identiche nell'oggetto,
rispettivamente  dei  consigli  Provinciali  e  dei consigli comunali
delle  Province  e  dei  Comuni di cui si propone il distacco - anche
delle  deliberazioni,  identiche  nell'oggetto,  «di  tanti  consigli
Provinciali  o di tanti consigli comunali che rappresentino almeno un
terzo  della  restante  popolazione  della  Regione  dalla  quale  e'
proposto  il  distacco  delle  province  o dei Comuni predetti» e «di
tanti   consigli   Provinciali  o  di  tanti  consigli  comunali  che
rappresentino  almeno  un  terzo della popolazione della Regione alla
quale si propone che le province o i Comuni siano aggregati».