IL TRIBUNALE

    Ha  emesso  la  seguente  ordinanza  su richiesta di convalida di
arresto.
    Letti  gli  atti  del  procedimento penale indicato in epigrafe a
carico  di  Manasievski  Zoran, nato a Mak Kamenica (Macedonia) il 27
giugno  1982,  domiciliato  in Strevi, via Alessandria n. 112; per il
reato di cui all'art. 14, comma 5-ter, d.lgs. n. 286/1998;
    Preso atto delle richieste del pubbico ministero e del difensore;
    Ritenuto  che,  come  puo'  desumersi  dall'esame  del verbale di
arresto  e  degli  altri atti della polizia giudiziaria che l'arresto
del  prevenuto  e' avvenuto nelle condizioni di legge nella flagranza
del reato di cui all'art. 14, comma 5-ter, d.lgs. n. 286/1998
    Considerato  che  sono  stati  osservati i termini previsti dagli
artt. 386, 390, 558 c.p.p.;
        che  per  il  reato  di  cui  sopra l'arresto in flagranza e'
obbligatorio   ai  sensi  dell'art.  14,  comma  5-quinquies,  d.lgs.
n. 286/1998;
tanto  premesso,  si  osserva  come  si  siano  nel  caso  di  specie
verificati   i   presupposti  richiesti  dalla  legge  per  procedere
all'arresto in flagranza obbligatorio; risulta dal verbale di arresto
e  dagli altri atti che militari del nucleo operativo della Compagnia
dei  Carabinieri  di  Acqui  Terme  in data 6 giugno 2004 alle ore 20
circa   operavano  in  Strevi  un  controllo  su  Manasievski  Zoran,
nell'ambito  di  un  altro  controllo  operato su un connazionale del
Manasievski,  che risultava non avere documenti sulla propria persona
e  che  veniva  accompagnato  dagli  operanti  presso  il  domicilio,
indicato  nel  medesimo  alloggio sito in via Alessandria, 112, piano
IV,  di Strevi dove veniva reperito il Mansievski, anch'egli privo di
documenti.  Dalla  verifica  sul  nominativo del Manasievski condotta
sulla  banca  dati  forze di polizia risultava che nei suoi confronti
era  stato  emanato in data 10 marzo 2004 dal Prefetto di Alessandria
provvedimento  di  espulsione  a cui era susseguito provvedimento del
Questore  di Alessandria ex art. 14, comma 5-bis, d.lgs. n. 286/1998,
sempre  del  10  marzo 2004, (provvedimenti entrambi notificati il 10
marzo  2004),  con  il  quale  si  intimava  al prevenuto medesimo di
lasciare il territorio dello Stato entro cinque giorni dalla relativa
notifica.  Essendo  stato  il  prevenuto trovato sul territorio dello
Stato  dopo  che  il  termine  in  oggetto  era decorso, gli operanti
procedevano  all'arresto  obbligatorio ex art. 14, comma 5-quinquies,
d.lgs.  n. 286/1998,  in quanto si riteneva la flagranza del reato di
cui all'art. 14, comma 5-ter.
    Considerato  altresi'  che eventuali considerazioni relative alla
legittimita'  dei  provvedimenti amministrativi difficilmente possono
essere svolte dalla p.g. nella fase dell'arresto obbligatorio;
        che  la  p.g.  ha  operato  l'arresto  in  base a ragionevole
valutazione  sull'esistenza dei presupposti richiesti dalla legge per
l'arresto  obbligatorio,  come  richiesto  ai  fini del vaglio che il
giudice  deve operare per la convalida, anche perche' non sono emersi
ictu  oculi  elementi  relativi  alla  sussistenza di un giustificato
motivo  per  la mancata ottemperanza all'ordine del Questore, per cui
l'arresto  potesse  essere  non  consentito  ai  sensi  dell'art. 385
c.p.p.;
l'arresto  appare quindi di per se stesso, come anticipato, legittimo
e quindi da convalidare secondo la vigente normativa.
    Si  ritiene  pero'  di  sollevare,  sulla richiesta della difesa,
eccezione   di   illegittimita'   costituzionale  dell'art. 14  comma
5-quinquies  nella  parte  in  cui  prevede  per  il  reato di specie
l'arresto  obbligatorio,  in  quanto  contrastante con l'art. 3 della
Costituzione ma altresi' con gli artt. 13 e 97.
    Deve   essere,   innanzi   tutto,  ritenuta  la  rilevanza  della
questione,  proprio  perche' sono stati integrati tutti i presupposti
richiesti  dalla  legge  da  un  punto  di  vista sia sostanziale che
processuale  per  la  convalida  dell'arresto, ponendosi la eventuale
illegittimita'  costituzionale  dell'art.  14, comma 5-quinquies come
unico possibile ostacolo alla convalida; il giudizio di convalida non
puo' dunque essere definito indipendentemente dalla risoluzione della
questione di legittiniita' sollevata.
    Si  ritiene altresi' la non manifesta infondatezza dell'eccezione
di ilegittimita' costituzionale de qua rispetto agli artt. 3 e 13, 97
della Carta costituzionale.
    Deve  premettersi che l'istituto dell'arresto, in quanto mezzo di
coazione  della  liberta'  personale,  di  un  bene  quindi  tutelato
dall'art. 13  della  Costituzione  che  ne prevede la comprimibilita'
soltanto  in  presenza  di atti motivati dell'a.g., con l'adozione di
provvedimenti  provvisori da parte della pg. solo in casi eccezionali
di  necessita'  ed  urgenza,  con  necessita'  di  convalida da parte
dell'autorita' giudiziaria entro 48 ore dalla comunicazione, che deve
avvenire  a  sua  volta da parte dell'autorita' di pubblica sicurezza
entro  48  ore dall'adozione del provvedimento, e' disciplinato dagli
artt. 380  e  381  c.p.p.;  le  ipotesi previste da tali norme devono
considerarsi tassative e non suscettibii di estensione analogica.
    Va   altresi'   rilevato   che   la  misura  dell'arresto  appare
strettamente  correlata, per l'insieme sistematico della normativa di
riferimento,  all'applicazione  di misure coercitive, e prova di tale
assunto  si rinviene nell'art. 391, comma 5 c.p.p., che prevede quale
sviluppo    funzionale    della   misura   dell'arresto   l'eventuale
applicazione  di  misure  coercitive;  la norma, nella parte seconda,
ribadisce  ancor di piu' la correlazione fra la misura dell'arresto e
quelle  coercitive  prevedendo  che,  allorquando l'arresto sia stato
eseguito  per  uno dei delitti previsti dall'art. 381, comma 2 c.p.p.
ovvero  per  uno  dei  delitti  per i quali e' consentito fuori dalla
flagranza,  l'applicazione  della misura coercitiva e' disposta anche
al  di  fuori  dei  limiti  di pena previsti dagli artt. 274 comma 1,
lett. c) e 280 c.p.p. Ancora ne costituisce evidente coriferma l'art.
121,  comma 1 disp. att. c.p.p., che prevede l'emissione da parte del
p.m.  di  un  decreto di liberazione immediata dell'arrestato, quando
non  ritenga di dover richiedere l'applicazione di misure coercitive.
Tale   complesso   normativo,   coerente  con  se  stesso  e  con  le
disposizioni   costituzionali,   viene   invece   contraddetto  dalle
previsioni  dell'art. 14,  comma  5-quinquies,  che ha introdotto nel
sistema  una  forma  di  arresto  che  concreta una restrizione della
liberta'  fine  a  se  stessa, e quindi irragionevole, con violazione
anche  dell'art. 3  della  Costituzione, dato che il reato per cui si
procede, sia per le previsioni edittali (essendo punito con l'arresto
da   sei   mesi  ad  un  anno)  sia  per  tipologia  (trattandosi  di
contravvenzione  e  non  di  delitto),  non  rientra nelle ipotesi di
applicabilita'  delle  misure  coercitive.  Vero  e'  che,  in virtu'
dell'art. 121  disp. att. c.p.p., puo' essere disposta la liberazione
immediata  dell'arrestato, ma cio' comporta il ricorso al giudice per
le  indagini  preliminari per la convalida dell'arresto, oltre che al
giudice  del  dibattimento  per  la  celebrazione  del  giudizio  per
direttissima,  rito  obbligatoriamente  adottabile  per  il  giudizio
sempre  per  l'art.  14, comma 5-quinquies; il tutto si traduce in un
impiego  di mezzi ed energie che appare non sorretto da una finalita'
processuale apprezzabile e comunque e' sempre possibile il sacrificio
seppur  limitato  nel tempo della liberta' personale rappresentato da
un arresto.
    Del  resto  la  norma  in  oggetto  sembra conferire alla polizia
giudiziaria   un   potere  autonomo  di  coercizione  della  liberta'
personale, superiore a quello di cui dispone l'autorita' giudiziaria,
che   non   potrebbe   appunto  applicare  misure  cautelari  per  la
fattispecie  di  cui  all'art.  14,  comma 5-ter, d.lgs. n. 286/1998,
laddove   dal   sistema,   a   partire  dallo  stesso  art. 13  della
Costituzione,  emerge  che  l'operato  della polizia giudiziaria puo'
considerarsi    solo    una    mera    anticipazione   dell'attivita'
dell'autorita'   giudiziaria,   chiamata   in  tempi  molto  brevi  a
effettuare  le  proprie  valutazioni  in  merito alla legittimita del
suddetto  operato. Si richiamano a proposito, oltre all'art. 13 della
Costituzione,  le  norme processuali ordinarie di cui agli artt. 386,
389,  121 disp. att. c.p.p. L'art. 386 c.p.p. impone infatti al comma
1  che  la  polizia  giudiziaria  dia  immediata  notizia al pubblico
ministero  dell'arresto,  al  comma  3  che  l'arrestato  sia posto a
disposizione  del  pubblico  ministero  al piu' presto e comunque non
oltre  24  ore  dall'arresto,  a  pena  di  inefficacia  dell'arresto
medesimo  (art. 386  c.p.p. ultimo comma); il pubblico ministero puo'
inoltre sindacare da subito l'operato della polizia giudiziaria sotto
il  profilo  della  legittimita'  disponendo  l'immediata liberazione
della  persona  che  sia  stata  arrestata  fuori dei casi consentiti
(art. 389   c.p.p.)  e  sotto  il  profilo  dell'insussistenza  delle
esigenze    cautelari    puo'    disporre   l'immediata   liberazione
dell'arrestato  (art. 121  disp.  att. .c.p.p.). Ne emerge appunto un
sistema   di   norme  che  tende  a  riservare  alla  sola  autorita'
giudiziaria  in  via  ordinaria  il  potere  di  limitare la liberta'
personale,  eccettuati  i  provvedimenti  provvisori adottabili dalla
polizia  giudiziaria  in casi eccezionali di necessita' e di urgenza,
mentre  nell'ipotesi  dell'arresto  obbligatorio  di cui all'art. 14,
comma  5-quinques  la  sola  polizia  giudiziaria  puo' limitare tale
liberta'  anche se sempre con un provvedimento provvisorio, senza che
l'autorita'   giudiziaria   possa   fare   altro  che  intervenire  a
convalidare  l'operato  della  polizia  giudiziaria, con limiti molto
ristretti data l'obbligatorieta' dell'arresto.
    E'  da  sottolineare  poi  che  l'arresto  non appare ragionevole
neppure  in  funzione  dell'immediata  espulsione dello straniero; la
mancata  sottoposizione  alla custodia cautelare in carcere comporta,
ai  sensi  dell'art.  13,  comma 3, d.lgs. n. 286/1998, che, salvo il
ricorrere    delle   inderogabili   esigenze   processuali   previste
tipicamente   dalla   norma,  venga  rilasciato  da  parte  dell'a.g.
procedente  il  nullaosta  al  provvedimento  di espulsione, e quindi
viene  comunque  attivata  l'esecuzione  dell'espulsione ad opera del
questore.  Infatti  l'art. 14,  comma  5-ter  prevede  che  si  abbia
accompagnamento  alla frontiera a mezzo della forza pubblica nel caso
che  sia integrato il reato previsto dalla stessa norma, e l'art. 14,
comma  5-quinquies  stabilisce invece che per assicurare l'esecuzione
dell'espulsione  il questore possa disporre i provvedimenti di cui al
comma  1  dello stesso articolo e quindi la collocazione in un centro
di  permanenza  temporanea  e  assistenza.  Il  legislatore ha quindi
affidato    ad    istituti    diversi   dall'arresto   l'effettivita'
dell'espulsione  dello  straniero,  dovendosi  quindi, come premesso,
ravvisare  l'inutilita'  dell'arresto obbligatorio anche sotto questo
profilo.
    La  norma  oggetto  della  questione  sollevata  dalla difesa non
sembra  quindi  sottrarsi, neppure sotto questo aspetto, a profili di
irragionevolezza  nonche'  di  non  conformita'  al principio di buon
andamento  della  pubblica amministrazione dettati dagli artt. 3 e 97
della   Carta  costituzionale.  Del  resto,  sotto  il  profio  della
ragionevolezza, non appare giustificabile neanche il fatto che l'art.
13,  comma  13-ter  del  d.lgs.  n. 286/1998  non  preveda  l'arresto
obbligatorio   per  le  piu'  gravi  fattispecie  di  reingresso  nel
territorio   dello   Stato   italiano   a   seguito   di   espulsione
amministrativa  senza  autorizzazione del Ministro dell'interno (art.
13,  comma  13),  a  seguito  di espulsione disposta dal giudice e di
reingresso  dello  straniero  gia'  denunciato per il reato di cui al
comma 13 (art. 13, comma 13-bis).
    Non    si    ritengono    invece   sussistenti   presupposti   di
incostituzionalita' sotto i profili relativi agli artt. 24 e 25 della
Costituzione  a  cui  la difesa ha fatto riferimento senza articolare
ulteriormente  la  questione,  in  quanto non appaiono in particolare
lesi  i  diritti  di  difesa  e  al  giudice  naturale  di cui ai due
articoli;  neanche  appare violato il principio di non retroattivita'
delle norme penali e di legalita delle misure di sicurezza.
    L'incidente  di  costituzionalita'  deve  quindi essere sollevato
gia'  in questa fase con la sospensione del giudizio di convalida. Ne
consegue  che  non  puo' farsi luogo al giudizio direttissimo, la cui
celebrazione  presuppone  l'avvenuta  convalida  dell'arresto, che in
questo  caso manca in forza della sospensione. Ulteriore conseguenza,
ad  avviso  di  questo giudice, e' la restituzione degli atti al p.m.
affinche'  proceda con rito ordinario, non potendosi sospendere anche
il giudizio direttissimo, non ancora instaurato.