IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso n. 906/2004 proposto dai signori Rinaldi Giuseppe, Salerno Francesco Domenico, Velluto Domenico, Campanella Calogero, Mazzotta Pasquale Fernando, Mereu Luciano, Uselli Salvo, Rossetti Giancarlo, Moscariello Francesco, Borreca Stefano, Aloi Felice, rappresentati e difesi dall'avv. Roberto Mandolesi ed elettivamente domiciliati presso lo studio del difensore, situato in Roma, via Paolo Emilio n. 34; Contro la presidenza del Consiglio dei ministri, in persona del Presidente del Consiglio p.t.; il ministro della giustizia, in persona del ministro p.t.; il capo del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria; rappresentati e difesi dall'Avvocatura, generale dello Stato e presso la medesima domiciliati ex lege in Roma, via dei Portoghesi n. 12; per l'accertamento del diritto dei ricorrenti al passaggio di qualifiche nel ruolo direttivo speciale del Corpo della Polizia penitenziaria, sulla base degli stessi criteri e con decorrenza dei medesimi termini previsti per il passaggio di qualifiche nel ruolo direttivo speciale della Polizia di Stato; e, conseguentemente, del loro diritto ad essere ammessi alla selezione per la nomina a vice commissari pentenziari in prova e, nel contempo, a poter frequentare il corso di formazione per conseguire la nomina alla qualifica iniziale dei ruolo direttivo speciale (vice commissario); e per l'annullamento e/o disapplicazione in parte qua degli atti a cio' ostativi e, in particolare, delle leggi, dei decreti ministeriali e dei vari provvedimenti amministrativi di indizione e disciplina dei relativi concorsi ed, altresi', di nomina ed esclusione dei ricorrenti nonche' degli atti presupposti, antecedenti, consequenziali, successivi e connessi con quelli impugnati, comunque lesivi dei loro diritti; Visto il ricorso con i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio delle amministrazioni intimate; Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese; Visti gli atti tutti della causa; Relatore, alla pubblica udienza del 3 maggio 2004, il Referendario Antonella Mangia; uditi, altresi', i procuratori delle parti come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue Fatto e diritto 1. - I ricorrenti rivendicano il diritto al passaggio di qualifiche nel ruolo direttivo speciale del Corpo di Polizia penitenziaria sulla base degli stessi criteri e con i medesimi termini previsti per il passaggio di qualifiche nel ruolo direttivo speciale della Polizia di Stato e, conseguentemente, il diritto ad essere ammessi alla selezione per la nomina a vice commissari penitenziari in prova e, nel contempo, a poter frequentare il corso di forma-zione per conseguire la nomina alla qualifica iniziale del ruolo direttivo speciale (vice commissario), previo annullamento, occorrendo, degli atti a cio' ostativi e, in particolare, delle leggi, dei decreti ministeriali e dei vari provvedimenti amministrativi di indizione e disciplina dei relativi concorsi ed, altresi', di nomina ed esclusione dei ricorrenti. Quanto sopra sulla base di censure non singolarmente formalizzate, ma sostanzialmente riferibili in modo univoco a violazione dell'art. 12 della legge 28 luglio 1999, n. 266, recante delega al Governo per il riordino delle carriere diplomatica e prefettizia, nonche' disposizioni per il restante personale del Ministero degli affari esteri, per il personale militare del Ministero della difesa, per il personale dell'Amministrazione penitenziaria e del Consiglio superiore della magistratura. La predetta norma prevede in particolare - al primo comma, lettera b) - l'istituzione di un «ruolo direttivo ordinario del Corpo di Polizia penitenziaria, con carriera analoga a quella del personale di pari qualifica del corrispondente ruolo della Polizia di Stato» con delega al Governo sia per la regolamentazione di tale carriera, sia - in base alla disposizione, contenuta al secondo comma della medesima norma per l'istituzione di un ruolo direttivo speciale, riservato al personale appartenente al ruolo degli ispettori e soggetto, per quanto non specificamente previsto, alla medesima disciplina. La prevista analoga regolamentazione del ruolo direttivo della Polizia penitenziaria, rispetto al corrispondente ruolo della Polizia di Stato, - tuttavia, risulterebbe non sussistente in base al d.lgs. 21 maggio 2000, n. 146, che attraverso una serie di disposizioni (artt. 20, 21, 22, commi 1, 2 e 3, 24, 25 e 26) prevede un percorso di almeno quindici anni di effettivo servizio per il passaggio dalla qualifica iniziale (vice commissario) a quella piu' elevata (commissario coordinatore) del nuovo ruolo direttivo della Polizia penitenziaria. La legge delega, inoltre, con l'art. 28, ha previsto che in sede di prima sua attuazione «alle qualifiche di vice commissario penitenziario e di commissario penitenziario del ruolo direttivo speciale si accede mediante a) concorso per titoli ed esame e mediante b) selezione consistente nella valutazione di titoli e di un successivo colloquio». In particolare, per la copertura di un determinato numero di posti sono previste selezioni alle quali puo' partecipare il personale appartenente al ruolo degli ispettori, qualifica di ispettore superiore, con una determinata anzianita' di servizio, che varia a seconda del grado di istruzione posseduto. Tale disciplina e' stata attuata con il decreto ministeriale n. 236/2001 - Regolamento recante norme per l'accesso al ruolo direttivo, ordinario e speciale, del Corpo di Polizia penitenziaria - adottato in data 6 aprile 2001 e, successivamente, con n. 3 provvedimenti assunti dal Capo del dipartimento in data 17-18-19 luglio 2001. Per la Polizia di Stato - in base alla legge delega 31 marzo 2000, n. 78 ed al 5 ottobre 2000, n. 334 - lo sviluppo complessivo della carriera direttiva risulterebbe piu' favorevole, venendo ad articolarsi dal grado iniziale (vice commissario) al piu' elevato (vice questore aggiunto) in 11 anni e 6 mesi, mentre i vice commissari, al termine di un corso di formazione di nove mesi presso l'Istituto superiore di Polizia, accedono direttamente alla qualifica di commissari; ugualmente piu' favorevoli risulterebbero le disposizioni transitorie per l'accesso al ruolo direttivo speciale della Polizia di Stato, dettate dall'art. 25 del d.lgs. n. 334/2000, specie dal punto di vista dei requisiti prescritti. In tale contesto i ricorrenti - tutti inquadrati con la qualifica di ispettore superiore - lamentano la violazione del principio di perequazione fra il personale appartenente ai ruoli direttivi speciali delle due forze di polizia, asserendo che quest'ultimo e' stato, tra l'altro, imposto dal Parlamento con la legge delega n. 266 del 1999. In altri termini, denunciano una disparita' di trattamento rispetto ai colleghi della Polizia di Stato, in contrasto con l'equiordinazione prevista dal ricordato art. 12 della legge in argomento. Da cio' traggono la conclusione che il d.lgs. n. 146/2000 e' da ritenersi incostituzionale, come anche i criteri e la decorrenza dei termini di progressione in carriera esplicitati nel dettaglio dal decreto ministeriale n. 236/2001 e dai provvedimenti del Capo del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria. Per quanto attiene, in particolare, alla loro posizione, evidenziano che il legittimo inquadramento dei loro colleghi, gia' vice commissari, nella superiore qualifica di commissario penitenziario libererebbe n. 35 posti di «vice commissario penitenziario» che verrebbero da loro ricoperti, precisando di essere stati esclusi dalla prima selezione per la copertura di n. 45 posti di «vice commissario» unicamente perche' non collocatisi utilmente in graduatoria. Le amministrazioni intimate, costituitesi in giudizio, sottolineano come il d.lgs. n. 146/2000 sia stato emanato tenendo conto della legge n. 395/1990, del d.lgs. n. 443/1992, nonche' del d.P.R. n. 82/1999, ed in genere delle norme sulla Polizia di Stato all'epoca vigenti. Irrituale pertanto - secondo le amministrazioni in giudizio - sarebbe la pretesa dei ricorrenti di vedersi applicata una normativa riguardante altro comparto di personale ed emanata successivamente rispetto a quella concernente il settore di appartenenza dei medesimi (fattore, quest'ultimo, che escluderebbe anche l'obbligo del legislatore delegato di dettare una disciplina analoga). Non sussisterebbe, inoltre, alcuna discriminazione in peius dei ricorrenti stessi, in quanto l'accesso alla qualifica iniziale di vice-commissario penitenziario sarebbe «di gran lunga piu' favorevole rispetto all'accesso in prima attuazione nel ruolo direttivo speciale della Polizia di Stato» (nel caso di specie, la qualifica di vice commissario risulta acquisita previa selezione per titoli e colloquio, con successiva frequenza di un corso di formazione di 12 mesi senza esami finali; per il personale della Polizia di Stato, invece, il previsto inquadramento come commissari al termine del corso e' riservato agli appartenenti al ruolo degli ispettori superiori, in possesso del titolo di studio di scuola media superiore, previo superamento di un concorso, che si basa non solo su titoli e colloquio, ma anche su una prova scritta). Da ultimo, le amministrazioni eccepiscono che i ricorrenti non sono portatori di un interesse giuridicamente tutelato da far valere attese le motivazioni ed il petitum della causa, in quanto non appartengono al ruolo direttivo del Corpo. 2. - Premesso quanto sopra, appare evidente che il ricorso postula, sostanzialmente, una questione di costituzionalita', non potendo applicarsi alla Polizia penitenziaria disposizioni dettate per la Polizia di Stato - e non sussistendo, quindi, alcuna possibilita' di riconoscere la qualifica di commissario al termine del corso di formazione, finalizzato ex lege all'attribuzione di una qualifica inferiore - a meno che non si ravvisi nella segnalata disparita' di trattamento una violazione di precetti costituzionali, atti a giustificare un intervento anche additivo della suprema Corte. Non si puo' concordare con l'amministrazione resistente, d'altra parte, circa la carenza in capo ai ricorrenti di un interesse giuridicamente tutelato, atteso che e' evidente il vantaggio che quest'ultimi riceverebbero qualora venisse meno la lamentata sperequazione dal punto di vista dell'avanzamento in carriera, specie ivi si consideri che l'inquadramento dei loro colleghi nei termini indicati nel ricorso renderebbe disponibili nuovi posti che gli stessi si troverebbero nella condizione di poter ricoprire. In altri termini, l'interesse dei ricorrenti sussiste ed e' diretto perche' il venire meno delle disparita' sussistenti con la Polizia di Stato e, quindi, la realizzazione dell'equiparazione richiesta determinerebbero un'immediato miglioramento della loro posizione giuridica, nella quale vanno ricondotte anche le possibilita' di avanzamento in carriera. 3. - Cio' premesso, va preso atto che la modalita' prevista dall' art. 1028 del decreto legislativo n. 146/2000 per l'accesso - in sede di prima attuazione - alla qualifica di vice commissario penitenziario non e', in effetti, prevista per l'accesso - sempre in fase di prima attuazione della nuova disciplina di cui al d.lgs. n. 334/2000 - alla qualifica di vice commissario del ruolo direttivo speciale della Polizia di Stato, richiedendosi per quest'ultimo anche il superamento di una prova scritta. La parziale semplificazione della corrispondente prova, richiesta al personale di Polizia penitenziaria, tuttavia, risulta compensata dalla maggiore professionalita' necessaria per essere ammessi alla selezione. Si richiede, infatti, a tale fine l'appartenenza al ruolo degli ispettori, con qualifica non inferiore ad ispettore superiore ed anzianita' nel ruolo di almeno dieci anni, con l'ulteriore requisito di avere svolto senza demerito per almeno cinque anni le funzioni di comandante di reparto (sempre che dette funzioni siano state svolte presso istituti penitenziari ai quali, nel periodo considerato, sia stato assegnato un contingente medio annuo di polizia penitenziaria non inferiore alle cento unita). Per gli ispettori superiori, in possesso del diploma di scuola media, si' richiede per la medesima tipologia di accesso una anzianita' di servizio effettivo di trenta anni, alla data di entrata in vigore della normativa di cui trattasi. Per la Polizia di Stato, al concorso di cui al piu' volte citato art. 25 del d.lgs. n. 334/2000 sono ammessi gli ispettori con dieci anni di effettivo servizio nel ruolo, ovvero con tre anni di servizio maturato nella qualifica di ispettore superiore. Debbono dunque riconoscersi sia l'assenza di un effettivo coordinamento fra le normative di cui discute, sia una diversa e piu' sfavorevole progressione in carriera per coloro, che siano comunque stati ritenuti idonei alla nomina a vice commissari di polizia penitenziaria, rispetto al corrispondente personale della Polizia di Stato: quest'ultimo infatti non deve attendere due anni per l'accesso alla qualifica superiore (cui accede direttamente, dopo avere superato con profitto un corso di formazione della durata di nove mesi) e puo' completare il proprio intero percorso professionale in 11 anni e sei mesi. Coloro che abbiano superato la selezione per vice commissari di Polizia penitenziaria, invece, sono pure chiamati a frequentare un corso di formazione tecnico-professionale della durata di un anno, ma debbono comunque attendere di avere compiuto due anni di effettivo servizio nella qualifica per essere scrutinabili come commissari (cfr. artt. 24 e 28, commi 2 e 4 del d.lgs. n. 146/2000, in rapporto all'art. 25, commi 3 e 4 del d.lgs. n. 334/2000), con deteriori aspettative di carriera, non potendo raggiungere la qualifica apicale del ruolo di appartenenza, se non in un periodo piu' lungo di tre anni e sei mesi rispetto ai colleghi della Polizia di Stato (cfr. artt. 24, 25 e 26 del d.lgs. n. 146 cit., in rapporto agli artt. 19 e 20 del d.lgs. n. 334 cit.). Il collegio e' ora chiamato a valutare se la situazione sopra sintetizzata sia, o meno, tale da configuare per il Personale della polizia, penitenziaria una «carriera analoga a quella del personale di pari qualifica del corrispondente ruolo della Polizia di Stato», secondo le indicazioni fornite al Governo in sede di delega, ex art. 12, comma 1, lettera b) della legge n. 266/1999. Ad avviso del collegio stesso, detta analogia appare non sussistente, in base all'unica possibile ratio della disposizione sopra citata, che intende evidentemente riconoscere un parallelismo fra i ruoli in questione, entrambi implicanti funzioni di Polizia benche' in diversi settori operativi. Tale parallelismo avrebbe implicato che fossero desumibili dalle disposizioni, emanate dal legislatore delegato, i criteri delle scelte operate, la' dove risultassero introdotte, come nella fattispecie, sensibili differenze nello sviluppo di carriera nei ruoli direttivi in questione: la delega non implicava infatti, necessariamente, identita' di disciplina, ma non autorizzava differenze arbitrarie, scollegate da una oggettiva non corrispondenza di funzioni (cfr., per il principio, Corte cost. 12 giugno 1991, n. 277). Nella situazione in esame, tale logica non sembra ravvisabile, ne' sostenuta dalla stessa amministrazione resistente, che riconduce la diversita' delle disposizioni, applicabili ai due comparti di personale, alla discrasia temporale fra le medesime, dovendosi fare riferimento - al fine di dettare omologo trattamento per la Polizia penitenziaria - alla disciplina della Polizia di Stato vigente alla data di emanazione della legge delega (e quindi alla legge n. 395/1990, al d.lgs. n. 443/1992 e al d.P.R. n. 82/1999). Il collegio non condivide tale prospettazione, tenuto conto della particolare scansione temporale della disciplina, dettata nel caso di specie. Deve essere ricordato, infatti, che il Governo era stato investito in rapida successione di due deleghe: con legge 28 luglio 1999, n. 266, per il riordino di diverse carriere nell'apparato pubblico, ivi compresa quella della Polizia penitenziaria e con legge 31 marzo 2000, n. 78, per il riordino dell'Arma dei Carabinieri, del Corpo Forestale dello Stato, del Corpo della Guardia di Finanza e della Polizia di Stato. Nel momento in cui - con d.lgs. n. 146 del 21 maggio 2000 - veniva data attuazione alla prima delega, la seconda risultava gia' conferita, in un contesto di riordino di ampie fasce di personale dello Stato, fra cui per quanto qui interessa i due Corpi militari per i quali il piu' volte citato art. 12, legge n. 266/1999 richiedeva omogeneita' di disciplina. L'avere completato l'iter approvativo del predetto d.lgs. senza alcun problema di coordinamento fra le diverse discipline da emanare ha fatto si' che la Polizia penitenziaria abbia vista disattesa gia' il 5 ottobre 2000 (data di emanazione del d.lgs. n. 334 sulla Polizia di Stato) l'omogeneita' di regolamentazione prevista dalla legge delega n. 266 del 28 luglio 1999, cui si era data attuazione solo cinque mesi prima (21 maggio 2000, data di emanazione del ricordato d.lgs. n. 146). La questione che si pone al collegio e' dunque, sostanzialmente, una questione di corretta e razionale attuazione della delega, in conformita' alle intenzioni del legislatore nonche' alle esigenze del settore, sottoposto a regolamentazione: una questione di costituzionalita' che, come gia' in precedenza sottolineato, appare rilevante - con particolare riguardo alla disciplina transitoria, dettata dall'art. 28 del d.lgs. n. 146/2000, in correlazione al precedente art. 24 - e che il Collegio stesso ritiene non manifestamente infondata, in rapporto agli articoli 3, 76 e 97 della Costituzione. Quanto sopra tenuto conto del recente indirizzo, che individua maggiori spazi di sindacabiita' della norma sul piano della conformita' ai precetti costituzionali, con riferimento non solo a vere e proprie forme di contraddittorieta' logica, ma anche alla discrasia fra mezzi e fini perseguiti. Detta sindacabilita', dunque, si evolve dalla individuazione di fattispecie di incostituzionalita', tradizionalmente ravvisate nella violazione del principio di razionalita' desunto dall'art. 3, primo comma, della Costituzione, verso il riconoscimento di un piu' penetrante riscontro della suprema Corte in rapporto al principio ragionevolezza: un principio, quello appena indicato, che e' riconducibile agli articoli 3 e 97 della Costituzione stessa, dovendo coniugarsi in base al combinato disposto di tali articoli imparzialita' e non arbitrarieta' della disciplina adottata (Corte cost., sentenza 12 giugno 1991, n. 277 cit.). La ratio legis assunta come parametro di riscontro della norma, apre indubbiamente nuove prospettive di verifica della regolarita' della produzione normativa, su una linea che induce a configurare un vero e proprio vizio di eccesso di potere legislativo, rapportato a quei parametri di corretto esercizio del potere che - pur trovando piu' ampia applicazione nell'ambito dell'attivita' amministrativa - risultano in qualche misura estensibili alla produzione normativa di rango primario (la' dove, appunto, sia possibile individuare uno sviamento dal fine perseguito, inteso come limite costituzionale della discrezionalita' del legislatore sotto il profilo funzionale). I parametri di costituzionalita' sopra indicati trovano, indubbiamente, ampi margini di applicazione in rapporto al settore - in continua espansione - della normativa delegata, attraverso cui il Governo e' chiamato a dare concreta applicazione a determinate linee-guida, dettate dal Parlamento, di modo che il rispetto della ratio della legge delega implica un immediato concreto riscontro dell'indicato criterio di ragionevolezza. La ricordata frequenza del sistema delle deleghe, attraverso cui sempre piu' largamente si affida al Governo una disciplina puntuale dei settori da regolamentare, induce a ricercare detta ratio legis non in modo atomistico, ma nello spirito di un rinvio dinamico (cfr. per il principio, in senso lato, Corte cost. 17 febbraio 1994, n. 40), affinche' la nuova regolamentazione sia dettata in modo aggiornato e coerente, in base al quadro normativo esistente alla data della relativa emanazione. Quando pertanto, con il ricordato art. 12 della legge delega n. 266/1999, il legislatore ha demandato al Governo la realizzazione di una corrispondenza di carriere, per i ruoli direttivi della Polizia penitenziaria e della Polizia di Stato, lo scopo da perseguire non poteva che essere quello di operare in modo coordinato la disciplina di entrambi i settori, posto che di entrambi tali settori con la stessa legge n. 266/1999 e con la immediatamente successiva legge n. 78/2000 - prevedeva il riordino, mentre risultava ancora in itinere la normativa delegata: sembra ragionevole ritenere, infatti, che la delega recepisse un criterio di equivalenza funzionale nella accezione dinamica di cui sopra e non costituisse - come vorrebbe l'amministrazione - mero richiamo alla disciplina previgente per uno dei due settori interessati (nel caso di specie quello della Polizia di Stato). Tenuto conto delle argomentazioni esposte, appare difficile negare che la normativa, attualmente sottoposta all'esame del collegio, sia satisfattiva delle finalita' indicate nella legge delega n. 266/1999 con specifico riferimento all'art. 12, comma 1, lettera b), la' dove si richiede che il nuovo ruolo direttivo ordinario (alla cui disciplina e' totalmente conformato il ruolo direttivo speciale) assicuri «una carriera analoga a quella del personale di pari qualifica del corrispondente ruolo della Polizia di Stato». Detta corrispondenza, nei punti gia' analiticamente esposti - ovvero, per quanto riguarda sia le modalita' di inquadramento dei vice commissari nella superiore qualifica di commissari, sia i successivi tempi di accesso alla qualifica apicale - non risulta in concreto assicurata, mentre era nelle facolta' del Governo, delegato ad effettuare il riordino dei ruoli sia della Polizia penitenziaria che della Polizia di Stato, operare il necessario coordinamento a livello di normazione delegata, affinche' non si realizzasse nel medesimo periodo una ingiustificata disparita' di trattamento fra categorie di personale, che il legislatore intendeva regolamentare in modo analogo, ovvero in termini tali da non giustificare inferiori aspettative di carriera in presenza di pari qualifiche nei due settori interessati, fatta salva - come gia' in precedenza accennato la possibilita' di introdurre meditate differenze di disciplina in presenza di valide e documentate ragioni (in senso sostanzialmente conforme, per quanto riguarda l'attualita' del parallelismo da assicurare a seguito delle leggi-delega nn. 266/1999 e 78/2000, benche' per una diversa problematica, cfr. della Liguria, ordinanza n. 408 del 21 gennaio 2004). 4. - Per le ragioni esposte, la regolamentazione del ruolo direttivo speciale della Polizia penitenziaria, in quanto conformata a quella del ruolo direttivo ordinario della medesima, a sua volta sperequato rispetto a quello della Polizia di Stato, appare non conforme ai seguenti, gia' ricordati articoli della Costituzione: articolo 3, sotto il profilo della ragionevolezza di norme, da cui scaturisce una oggettiva e non motivata disparita' di trattamento tra categorie di personale di pari qualifica, per le quali il legislatore prevedeva analoghe prospettive di carriera; articolo 76, in considerazione della sostanziale ratio legis della delega conferita al Governo, nei termini dinamici in precedenza chiariti; articolo 97, in quanto concorrente con l'articolo 3, per l'individuazione della ricordata accezione finalistica del principio di ragionevolezza, nonche' in considerazione del tradizionale indirizzo, secondo cui il «buon andamento» non riguarda esclusivamente l'organizzazione interna dei pubblici uffici, ma si estende alla disciplina del pubblico impiego, essendo innegabile che la disciplina del lavoro e' sempre strumentale, mediatamente o immediatamente, rispetto alle finalita' istituzionali assegnate agli uffici, in cui si articola la pubblica amministrazione» Corte cost., sentenze nn. 124/1968 e 68/1980). Sotto i profili indicati il collegio stesso ritiene di dover attendere - per la soluzione della controversia in esame il giudizio della suprema Corte, cui vengono rimesse le descritte questioni di costituzionalita', in ordine agli articoli 24, 25, 26 e 28 del d.lgs. 21 maggio 2000, n. 146, con riferimento ai citati articoli 3, 76 e 97 della Costituzione.