IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE

    Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  sul ricorso n. 906/2004
proposto  dai  signori  Rinaldi Giuseppe, Salerno Francesco Domenico,
Velluto  Domenico,  Campanella  Calogero, Mazzotta Pasquale Fernando,
Mereu   Luciano,   Uselli   Salvo,  Rossetti  Giancarlo,  Moscariello
Francesco,  Borreca  Stefano,  Aloi  Felice,  rappresentati  e difesi
dall'avv. Roberto  Mandolesi  ed  elettivamente domiciliati presso lo
studio del difensore, situato in Roma, via Paolo Emilio n. 34;
    Contro  la  presidenza del Consiglio dei ministri, in persona del
Presidente  del  Consiglio  p.t.;  il  ministro  della  giustizia, in
persona    del    ministro    p.t.;    il   capo   del   dipartimento
dell'amministrazione    penitenziaria;    rappresentati    e   difesi
dall'Avvocatura,   generale   dello   Stato   e  presso  la  medesima
domiciliati   ex   lege  in  Roma,  via  dei  Portoghesi  n. 12;  per
l'accertamento  del diritto dei ricorrenti al passaggio di qualifiche
nel  ruolo  direttivo speciale del Corpo della Polizia penitenziaria,
sulla base degli stessi criteri e con decorrenza dei medesimi termini
previsti  per il passaggio di qualifiche nel ruolo direttivo speciale
della  Polizia  di  Stato;  e,  conseguentemente, del loro diritto ad
essere  ammessi  alla  selezione  per  la  nomina  a  vice commissari
pentenziari in prova e, nel contempo, a poter frequentare il corso di
formazione per conseguire la nomina alla qualifica iniziale dei ruolo
direttivo  speciale  (vice  commissario);  e  per  l'annullamento e/o
disapplicazione  in  parte  qua  degli  atti  a  cio'  ostativi e, in
particolare,  delle  leggi,  dei  decreti  ministeriali  e  dei  vari
provvedimenti  amministrativi  di indizione e disciplina dei relativi
concorsi ed, altresi', di nomina ed esclusione dei ricorrenti nonche'
degli  atti  presupposti,  antecedenti,  consequenziali, successivi e
connessi con quelli impugnati, comunque lesivi dei loro diritti;
    Visto il ricorso con i relativi allegati;
    Visto  l'atto  di  costituzione in giudizio delle amministrazioni
intimate;
    Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive
difese;
    Visti gli atti tutti della causa;
    Relatore,   alla   pubblica   udienza   del  3  maggio  2004,  il
Referendario  Antonella  Mangia; uditi, altresi', i procuratori delle
parti come da verbale;
    Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue

                           Fatto e diritto

    1.  -  I  ricorrenti  rivendicano  il  diritto  al  passaggio  di
qualifiche   nel  ruolo  direttivo  speciale  del  Corpo  di  Polizia
penitenziaria  sulla  base  degli  stessi  criteri  e  con i medesimi
termini  previsti  per il passaggio di qualifiche nel ruolo direttivo
speciale  della  Polizia  di Stato e, conseguentemente, il diritto ad
essere  ammessi  alla  selezione  per  la  nomina  a  vice commissari
penitenziari  in  prova e, nel contempo, a poter frequentare il corso
di  forma-zione  per conseguire la nomina alla qualifica iniziale del
ruolo  direttivo  speciale  (vice  commissario), previo annullamento,
occorrendo,  degli  atti  a  cio'  ostativi  e, in particolare, delle
leggi,   dei   decreti   ministeriali   e   dei   vari  provvedimenti
amministrativi  di  indizione  e disciplina dei relativi concorsi ed,
altresi', di nomina ed esclusione dei ricorrenti.
    Quanto   sopra   sulla   base   di   censure   non  singolarmente
formalizzate,   ma  sostanzialmente  riferibili  in  modo  univoco  a
violazione  dell'art.  12 della legge 28 luglio 1999, n. 266, recante
delega  al  Governo  per  il  riordino  delle  carriere diplomatica e
prefettizia,  nonche'  disposizioni  per  il  restante  personale del
Ministero   degli  affari  esteri,  per  il  personale  militare  del
Ministero   della   difesa,  per  il  personale  dell'Amministrazione
penitenziaria e del Consiglio superiore della magistratura.
    La  predetta  norma  prevede  in  particolare  -  al primo comma,
lettera b) - l'istituzione di un «ruolo direttivo ordinario del Corpo
di Polizia penitenziaria, con carriera analoga a quella del personale
di  pari  qualifica  del corrispondente ruolo della Polizia di Stato»
con  delega  al Governo sia per la regolamentazione di tale carriera,
sia  -  in  base  alla disposizione, contenuta al secondo comma della
medesima  norma  per  l'istituzione  di  un ruolo direttivo speciale,
riservato  al  personale  appartenente  al  ruolo  degli  ispettori e
soggetto,  per  quanto  non  specificamente  previsto,  alla medesima
disciplina.
    La  prevista  analoga  regolamentazione del ruolo direttivo della
Polizia penitenziaria, rispetto al corrispondente ruolo della Polizia
di  Stato, - tuttavia, risulterebbe non sussistente in base al d.lgs.
21  maggio  2000,  n. 146,  che  attraverso una serie di disposizioni
(artt. 20,  21,  22, commi 1, 2 e 3, 24, 25 e 26) prevede un percorso
di  almeno quindici anni di effettivo servizio per il passaggio dalla
qualifica   iniziale   (vice   commissario)  a  quella  piu'  elevata
(commissario  coordinatore)  del  nuovo ruolo direttivo della Polizia
penitenziaria.
    La  legge delega, inoltre, con l'art. 28, ha previsto che in sede
di   prima  sua  attuazione  «alle  qualifiche  di  vice  commissario
penitenziario  e  di  commissario  penitenziario  del ruolo direttivo
speciale  si  accede  mediante  a)  concorso  per  titoli  ed esame e
mediante b) selezione consistente nella valutazione di titoli e di un
successivo colloquio».
    In  particolare,  per  la  copertura  di un determinato numero di
posti   sono  previste  selezioni  alle  quali  puo'  partecipare  il
personale   appartenente  al  ruolo  degli  ispettori,  qualifica  di
ispettore  superiore, con una determinata anzianita' di servizio, che
varia a seconda del grado di istruzione posseduto.
    Tale  disciplina  e'  stata  attuata  con il decreto ministeriale
n. 236/2001  -  Regolamento  recante  norme  per  l'accesso  al ruolo
direttivo, ordinario e speciale, del Corpo di Polizia penitenziaria -
adottato   in  data  6  aprile  2001  e,  successivamente,  con  n. 3
provvedimenti  assunti  dal  Capo  del  dipartimento in data 17-18-19
luglio 2001.
    Per  la  Polizia  di  Stato  - in base alla legge delega 31 marzo
2000,  n. 78  ed  al 5 ottobre 2000, n. 334 - lo sviluppo complessivo
della  carriera  direttiva  risulterebbe  piu' favorevole, venendo ad
articolarsi  dal  grado  iniziale  (vice commissario) al piu' elevato
(vice  questore  aggiunto)  in  11  anni  e  6  mesi,  mentre  i vice
commissari,  al termine di un corso di formazione di nove mesi presso
l'Istituto superiore di Polizia, accedono direttamente alla qualifica
di   commissari;   ugualmente   piu'   favorevoli  risulterebbero  le
disposizioni  transitorie  per  l'accesso al ruolo direttivo speciale
della  Polizia di Stato, dettate dall'art. 25 del d.lgs. n. 334/2000,
specie dal punto di vista dei requisiti prescritti.
    In tale contesto i ricorrenti - tutti inquadrati con la qualifica
di  ispettore  superiore  -  lamentano la violazione del principio di
perequazione   fra  il  personale  appartenente  ai  ruoli  direttivi
speciali  delle  due  forze di polizia, asserendo che quest'ultimo e'
stato, tra l'altro, imposto dal Parlamento con la legge delega n. 266
del  1999. In altri termini, denunciano una disparita' di trattamento
rispetto  ai  colleghi  della  Polizia  di  Stato,  in  contrasto con
l'equiordinazione  prevista  dal  ricordato  art. 12  della  legge in
argomento.
    Da  cio'  traggono la conclusione che il d.lgs. n. 146/2000 e' da
ritenersi  incostituzionale, come anche i criteri e la decorrenza dei
termini  di  progressione  in  carriera esplicitati nel dettaglio dal
decreto  ministeriale  n. 236/2001  e  dai provvedimenti del Capo del
Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria.
    Per   quanto   attiene,  in  particolare,  alla  loro  posizione,
evidenziano  che  il  legittimo inquadramento dei loro colleghi, gia'
vice   commissari,   nella   superiore   qualifica   di   commissario
penitenziario   libererebbe   n. 35   posti   di   «vice  commissario
penitenziario» che verrebbero da loro ricoperti, precisando di essere
stati  esclusi  dalla prima selezione per la copertura di n. 45 posti
di «vice commissario» unicamente perche' non collocatisi utilmente in
graduatoria.
    Le    amministrazioni   intimate,   costituitesi   in   giudizio,
sottolineano  come  il  d.lgs.  n. 146/2000 sia stato emanato tenendo
conto  della  legge  n. 395/1990, del d.lgs. n. 443/1992, nonche' del
d.P.R.  n. 82/1999,  ed  in genere delle norme sulla Polizia di Stato
all'epoca vigenti.
    Irrituale  pertanto  -  secondo  le amministrazioni in giudizio -
sarebbe  la pretesa dei ricorrenti di vedersi applicata una normativa
riguardante  altro  comparto  di personale ed emanata successivamente
rispetto a quella concernente il settore di appartenenza dei medesimi
(fattore,   quest'ultimo,   che   escluderebbe  anche  l'obbligo  del
legislatore delegato di dettare una disciplina analoga).
    Non  sussisterebbe,  inoltre, alcuna discriminazione in peius dei
ricorrenti  stessi,  in  quanto  l'accesso alla qualifica iniziale di
vice-commissario penitenziario sarebbe «di gran lunga piu' favorevole
rispetto all'accesso in prima attuazione nel ruolo direttivo speciale
della  Polizia  di  Stato»  (nel caso di specie, la qualifica di vice
commissario   risulta   acquisita   previa  selezione  per  titoli  e
colloquio,  con  successiva frequenza di un corso di formazione di 12
mesi  senza  esami  finali;  per il personale della Polizia di Stato,
invece,  il  previsto  inquadramento  come  commissari al termine del
corso  e'  riservato  agli  appartenenti  al  ruolo  degli  ispettori
superiori,   in  possesso  del  titolo  di  studio  di  scuola  media
superiore, previo superamento di un concorso, che si basa non solo su
titoli e colloquio, ma anche su una prova scritta).
    Da  ultimo,  le  amministrazioni eccepiscono che i ricorrenti non
sono  portatori di un interesse giuridicamente tutelato da far valere
attese  le  motivazioni  ed  il  petitum  della  causa, in quanto non
appartengono al ruolo direttivo del Corpo.
    2.  -  Premesso  quanto  sopra,  appare  evidente  che il ricorso
postula,  sostanzialmente,  una  questione  di costituzionalita', non
potendo  applicarsi  alla  Polizia penitenziaria disposizioni dettate
per  la  Polizia  di  Stato  -  e  non  sussistendo,  quindi,  alcuna
possibilita'  di  riconoscere  la qualifica di commissario al termine
del  corso di formazione, finalizzato ex lege all'attribuzione di una
qualifica  inferiore  -  a  meno  che  non si ravvisi nella segnalata
disparita'  di trattamento una violazione di precetti costituzionali,
atti a giustificare un intervento anche additivo della suprema Corte.
    Non  si puo' concordare con l'amministrazione resistente, d'altra
parte,  circa  la  carenza  in  capo  ai  ricorrenti  di un interesse
giuridicamente  tutelato,  atteso  che  e'  evidente il vantaggio che
quest'ultimi   riceverebbero   qualora   venisse  meno  la  lamentata
sperequazione dal punto di vista dell'avanzamento in carriera, specie
ivi  si  consideri  che l'inquadramento dei loro colleghi nei termini
indicati  nel  ricorso  renderebbe  disponibili  nuovi  posti che gli
stessi si troverebbero nella condizione di poter ricoprire.
    In  altri  termini,  l'interesse  dei  ricorrenti  sussiste ed e'
diretto  perche'  il  venire meno delle disparita' sussistenti con la
Polizia  di  Stato  e,  quindi,  la  realizzazione dell'equiparazione
richiesta  determinerebbero  un'immediato  miglioramento  della  loro
posizione   giuridica,   nella   quale   vanno  ricondotte  anche  le
possibilita' di avanzamento in carriera.
    3. - Cio' premesso, va preso atto che la modalita' prevista dall'
art. 1028 del decreto legislativo n. 146/2000 per l'accesso - in sede
di   prima   attuazione   -   alla   qualifica  di  vice  commissario
penitenziario  non e', in effetti, prevista per l'accesso - sempre in
fase  di  prima  attuazione  della  nuova disciplina di cui al d.lgs.
n. 334/2000  - alla qualifica di vice commissario del ruolo direttivo
speciale della Polizia di Stato, richiedendosi per quest'ultimo anche
il superamento di una prova scritta.
    La parziale semplificazione della corrispondente prova, richiesta
al  personale  di Polizia penitenziaria, tuttavia, risulta compensata
dalla  maggiore  professionalita'  necessaria per essere ammessi alla
selezione.  Si richiede, infatti, a tale fine l'appartenenza al ruolo
degli  ispettori,  con qualifica non inferiore ad ispettore superiore
ed  anzianita'  nel  ruolo  di  almeno  dieci  anni,  con l'ulteriore
requisito  di  avere  svolto senza demerito per almeno cinque anni le
funzioni  di  comandante  di reparto (sempre che dette funzioni siano
state  svolte  presso  istituti  penitenziari  ai  quali, nel periodo
considerato,  sia  stato  assegnato  un  contingente  medio  annuo di
polizia  penitenziaria  non  inferiore  alle  cento  unita).  Per gli
ispettori  superiori,  in  possesso  del diploma di scuola media, si'
richiede  per  la  medesima  tipologia  di  accesso una anzianita' di
servizio  effettivo  di  trenta  anni, alla data di entrata in vigore
della normativa di cui trattasi.
    Per  la Polizia di Stato, al concorso di cui al piu' volte citato
art. 25  del  d.lgs. n. 334/2000 sono ammessi gli ispettori con dieci
anni di effettivo servizio nel ruolo, ovvero con tre anni di servizio
maturato nella qualifica di ispettore superiore.
    Debbono   dunque  riconoscersi  sia  l'assenza  di  un  effettivo
coordinamento fra le normative di cui discute, sia una diversa e piu'
sfavorevole  progressione  in carriera per coloro, che siano comunque
stati  ritenuti  idonei  alla  nomina  a  vice  commissari di polizia
penitenziaria,  rispetto al corrispondente personale della Polizia di
Stato: quest'ultimo infatti non deve attendere due anni per l'accesso
alla   qualifica  superiore  (cui  accede  direttamente,  dopo  avere
superato  con  profitto  un  corso di formazione della durata di nove
mesi)  e  puo' completare il proprio intero percorso professionale in
11 anni e sei mesi. Coloro che abbiano superato la selezione per vice
commissari  di  Polizia  penitenziaria,  invece, sono pure chiamati a
frequentare un corso di formazione tecnico-professionale della durata
di  un anno, ma debbono comunque attendere di avere compiuto due anni
di  effettivo  servizio  nella qualifica per essere scrutinabili come
commissari  (cfr.  artt. 24 e 28, commi 2 e 4 del d.lgs. n. 146/2000,
in  rapporto  all'art. 25,  commi  3 e 4 del d.lgs. n. 334/2000), con
deteriori   aspettative  di  carriera,  non  potendo  raggiungere  la
qualifica  apicale  del  ruolo  di appartenenza, se non in un periodo
piu'  lungo di tre anni e sei mesi rispetto ai colleghi della Polizia
di  Stato (cfr. artt. 24, 25 e 26 del d.lgs. n. 146 cit., in rapporto
agli artt. 19 e 20 del d.lgs. n. 334 cit.).
    Il  collegio  e'  ora  chiamato a valutare se la situazione sopra
sintetizzata  sia,  o meno, tale da configuare per il Personale della
polizia,  penitenziaria  una «carriera analoga a quella del personale
di  pari  qualifica del corrispondente ruolo della Polizia di Stato»,
secondo  le  indicazioni  fornite  al  Governo  in sede di delega, ex
art. 12, comma 1, lettera b) della legge n. 266/1999.
    Ad   avviso  del  collegio  stesso,  detta  analogia  appare  non
sussistente,  in  base  all'unica  possibile ratio della disposizione
sopra  citata,  che intende evidentemente riconoscere un parallelismo
fra  i  ruoli  in  questione, entrambi implicanti funzioni di Polizia
benche' in diversi settori operativi.
    Tale  parallelismo avrebbe implicato che fossero desumibili dalle
disposizioni,  emanate  dal  legislatore  delegato,  i  criteri delle
scelte   operate,   la'  dove  risultassero  introdotte,  come  nella
fattispecie,  sensibili  differenze  nello  sviluppo  di carriera nei
ruoli  direttivi  in  questione:  la  delega  non  implicava infatti,
necessariamente,   identita'   di   disciplina,  ma  non  autorizzava
differenze arbitrarie, scollegate da una oggettiva non corrispondenza
di  funzioni  (cfr.,  per  il  principio, Corte cost. 12 giugno 1991,
n. 277).
    Nella  situazione  in  esame, tale logica non sembra ravvisabile,
ne'  sostenuta dalla stessa amministrazione resistente, che riconduce
la  diversita'  delle  disposizioni,  applicabili  ai due comparti di
personale,  alla  discrasia temporale fra le medesime, dovendosi fare
riferimento  -  al fine di dettare omologo trattamento per la Polizia
penitenziaria  -  alla disciplina della Polizia di Stato vigente alla
data   di   emanazione  della  legge  delega  (e  quindi  alla  legge
n. 395/1990, al d.lgs. n. 443/1992 e al d.P.R. n. 82/1999).
    Il collegio non condivide tale prospettazione, tenuto conto della
particolare scansione temporale della disciplina, dettata nel caso di
specie.
    Deve   essere  ricordato,  infatti,  che  il  Governo  era  stato
investito  in  rapida successione di due deleghe: con legge 28 luglio
1999,  n. 266,  per  il  riordino  di  diverse carriere nell'apparato
pubblico, ivi compresa quella della Polizia penitenziaria e con legge
31  marzo 2000, n. 78, per il riordino dell'Arma dei Carabinieri, del
Corpo  Forestale  dello  Stato,  del Corpo della Guardia di Finanza e
della Polizia di Stato.
    Nel  momento  in  cui  -  con  d.lgs. n. 146 del 21 maggio 2000 -
veniva  data  attuazione alla prima delega, la seconda risultava gia'
conferita,  in  un  contesto  di riordino di ampie fasce di personale
dello  Stato,  fra  cui per quanto qui interessa i due Corpi militari
per   i  quali  il  piu'  volte  citato  art. 12,  legge  n. 266/1999
richiedeva omogeneita' di disciplina.
    L'avere  completato  l'iter approvativo del predetto d.lgs. senza
alcun  problema di coordinamento fra le diverse discipline da emanare
ha  fatto si' che la Polizia penitenziaria abbia vista disattesa gia'
il 5 ottobre 2000 (data di emanazione del d.lgs. n. 334 sulla Polizia
di  Stato)  l'omogeneita'  di  regolamentazione  prevista dalla legge
delega  n. 266  del  28  luglio 1999, cui si era data attuazione solo
cinque  mesi  prima (21 maggio 2000, data di emanazione del ricordato
d.lgs. n. 146).
    La  questione che si pone al collegio e' dunque, sostanzialmente,
una  questione  di  corretta  e razionale attuazione della delega, in
conformita' alle intenzioni del legislatore nonche' alle esigenze del
settore,    sottoposto   a   regolamentazione:   una   questione   di
costituzionalita'  che,  come gia' in precedenza sottolineato, appare
rilevante  -  con  particolare  riguardo alla disciplina transitoria,
dettata  dall'art. 28  del  d.lgs.  n. 146/2000,  in  correlazione al
precedente   art. 24   -   e  che  il  Collegio  stesso  ritiene  non
manifestamente  infondata, in rapporto agli articoli 3, 76 e 97 della
Costituzione.
    Quanto  sopra  tenuto  conto del recente indirizzo, che individua
maggiori   spazi   di  sindacabiita'  della  norma  sul  piano  della
conformita'  ai  precetti  costituzionali, con riferimento non solo a
vere  e  proprie  forme  di  contraddittorieta' logica, ma anche alla
discrasia fra mezzi e fini perseguiti.
    Detta  sindacabilita',  dunque, si evolve dalla individuazione di
fattispecie  di incostituzionalita', tradizionalmente ravvisate nella
violazione  del  principio di razionalita' desunto dall'art. 3, primo
comma,  della  Costituzione,  verso  il  riconoscimento  di  un  piu'
penetrante  riscontro  della  suprema  Corte in rapporto al principio
ragionevolezza:   un   principio,  quello  appena  indicato,  che  e'
riconducibile agli articoli 3 e 97 della Costituzione stessa, dovendo
coniugarsi   in   base   al   combinato  disposto  di  tali  articoli
imparzialita'  e  non  arbitrarieta' della disciplina adottata (Corte
cost., sentenza 12 giugno 1991, n. 277 cit.).
    La  ratio  legis assunta come parametro di riscontro della norma,
apre  indubbiamente  nuove  prospettive di verifica della regolarita'
della  produzione normativa, su una linea che induce a configurare un
vero  e  proprio vizio di eccesso di potere legislativo, rapportato a
quei  parametri  di  corretto esercizio del potere che - pur trovando
piu'  ampia  applicazione nell'ambito dell'attivita' amministrativa -
risultano  in qualche misura estensibili alla produzione normativa di
rango  primario  (la'  dove,  appunto,  sia possibile individuare uno
sviamento  dal  fine  perseguito,  inteso  come limite costituzionale
della discrezionalita' del legislatore sotto il profilo funzionale).
    I   parametri   di   costituzionalita'  sopra  indicati  trovano,
indubbiamente,  ampi margini di applicazione in rapporto al settore -
in  continua espansione - della normativa delegata, attraverso cui il
Governo  e'  chiamato  a  dare  concreta  applicazione  a determinate
linee-guida,  dettate  dal  Parlamento, di modo che il rispetto della
ratio  della  legge  delega  implica  un immediato concreto riscontro
dell'indicato criterio di ragionevolezza.
    La  ricordata frequenza del sistema delle deleghe, attraverso cui
sempre  piu'  largamente si affida al Governo una disciplina puntuale
dei  settori  da  regolamentare, induce a ricercare detta ratio legis
non  in modo atomistico, ma nello spirito di un rinvio dinamico (cfr.
per  il  principio,  in  senso  lato,  Corte  cost. 17 febbraio 1994,
n. 40),  affinche'  la  nuova  regolamentazione  sia  dettata in modo
aggiornato  e  coerente,  in  base al quadro normativo esistente alla
data della relativa emanazione.
    Quando  pertanto,  con  il  ricordato  art. 12 della legge delega
n. 266/1999,  il legislatore ha demandato al Governo la realizzazione
di  una  corrispondenza  di  carriere,  per  i  ruoli direttivi della
Polizia   penitenziaria  e  della  Polizia  di  Stato,  lo  scopo  da
perseguire non poteva che essere quello di operare in modo coordinato
la  disciplina  di  entrambi  i  settori,  posto che di entrambi tali
settori  con  la  stessa  legge  n. 266/1999  e con la immediatamente
successiva legge n. 78/2000 - prevedeva il riordino, mentre risultava
ancora in itinere la normativa delegata: sembra ragionevole ritenere,
infatti,   che   la  delega  recepisse  un  criterio  di  equivalenza
funzionale  nella accezione dinamica di cui sopra e non costituisse -
come  vorrebbe  l'amministrazione  -  mero  richiamo  alla disciplina
previgente  per  uno  dei due settori interessati (nel caso di specie
quello della Polizia di Stato).
    Tenuto  conto  delle  argomentazioni  esposte,  appare  difficile
negare   che  la  normativa,  attualmente  sottoposta  all'esame  del
collegio,  sia  satisfattiva  delle  finalita'  indicate  nella legge
delega  n. 266/1999  con  specifico riferimento all'art. 12, comma 1,
lettera  b),  la'  dove  si  richiede  che  il  nuovo ruolo direttivo
ordinario  (alla  cui  disciplina  e'  totalmente conformato il ruolo
direttivo  speciale)  assicuri  «una  carriera  analoga  a quella del
personale di pari qualifica del corrispondente ruolo della Polizia di
Stato».
    Detta  corrispondenza,  nei  punti  gia' analiticamente esposti -
ovvero,  per  quanto  riguarda  sia le modalita' di inquadramento dei
vice  commissari  nella  superiore  qualifica  di  commissari,  sia i
successivi  tempi  di accesso alla qualifica apicale - non risulta in
concreto  assicurata, mentre era nelle facolta' del Governo, delegato
ad  effettuare  il riordino dei ruoli sia della Polizia penitenziaria
che  della  Polizia  di  Stato, operare il necessario coordinamento a
livello  di  normazione  delegata,  affinche'  non si realizzasse nel
medesimo  periodo  una  ingiustificata  disparita' di trattamento fra
categorie di personale, che il legislatore intendeva regolamentare in
modo  analogo,  ovvero  in termini tali da non giustificare inferiori
aspettative  di  carriera  in  presenza  di  pari  qualifiche nei due
settori  interessati, fatta salva - come gia' in precedenza accennato
la  possibilita'  di  introdurre meditate differenze di disciplina in
presenza  di  valide  e documentate ragioni (in senso sostanzialmente
conforme,  per  quanto  riguarda  l'attualita'  del  parallelismo  da
assicurare  a  seguito  delle  leggi-delega  nn.  266/1999 e 78/2000,
benche'  per  una diversa problematica, cfr. della Liguria, ordinanza
n. 408 del 21 gennaio 2004).
    4.  -  Per  le  ragioni  esposte,  la  regolamentazione del ruolo
direttivo  speciale della Polizia penitenziaria, in quanto conformata
a  quella  del  ruolo direttivo ordinario della medesima, a sua volta
sperequato  rispetto  a  quello  della  Polizia  di Stato, appare non
conforme ai seguenti, gia' ricordati articoli della Costituzione:
        articolo  3,  sotto il profilo della ragionevolezza di norme,
da  cui  scaturisce  una  oggettiva  e  non  motivata  disparita'  di
trattamento  tra  categorie  di  personale  di pari qualifica, per le
quali il legislatore prevedeva analoghe prospettive di carriera;
        articolo  76, in considerazione della sostanziale ratio legis
della delega conferita al Governo, nei termini dinamici in precedenza
chiariti;
        articolo  97,  in  quanto  concorrente  con l'articolo 3, per
l'individuazione  della ricordata accezione finalistica del principio
di   ragionevolezza,   nonche'  in  considerazione  del  tradizionale
indirizzo,   secondo   cui   il   «buon   andamento»   non   riguarda
esclusivamente  l'organizzazione  interna  dei pubblici uffici, ma si
estende  alla disciplina del pubblico impiego, essendo innegabile che
la  disciplina  del  lavoro  e'  sempre  strumentale,  mediatamente o
immediatamente,  rispetto alle finalita' istituzionali assegnate agli
uffici,  in cui si articola la pubblica amministrazione» Corte cost.,
sentenze nn. 124/1968 e 68/1980).
    Sotto  i  profili  indicati  il  collegio stesso ritiene di dover
attendere  - per la soluzione della controversia in esame il giudizio
della  suprema  Corte,  cui vengono rimesse le descritte questioni di
costituzionalita', in ordine agli articoli 24, 25, 26 e 28 del d.lgs.
21 maggio 2000, n. 146, con riferimento ai citati articoli 3, 76 e 97
della Costituzione.