Letti gli atti e sciogliendo la riserva che precede,

                            O s s e r v a


                          Rilevato in fatto

    Con  verbale  di  data  10  settembre  2002 la Commissione medica
ospedaliera  di Verona negava a M.M. il diritto all'indennizzo di cui
alla  legge  n. 210  del  1992,  facendo  presente  da un lato che la
domanda  era  stata  presentata  nel  1996  e quindi oltre il termine
triennale  previsto dall'art. 3, comma 1 della legge, dall'altro lato
escludendo  l'esistenza di un nesso causale tra l'infezione da HCV ed
il contagio dal marito S.P.
    Nel  presente  giudizio  M.M.  chiede  che le sia riconosciuto il
diritto di percepire l'indennizzo di cui alla legge n. 210 del 1992 e
successive  modificazioni e integrazioni con conseguente condanna del
Ministero della salute al pagamento delle somme dovute.
    In  particolare  la  ricorrente  fa presente di essere affetta da
epatite   cronica  C  da  HCV  correlata  manifestatasi  nel  1991  e
confermata a seguito di biopsia epatica nel 1993.
    Sostiene  che detta patologia e' ascrivibile al contagio da parte
del  marito  S.P.  anch'egli  portatore  di  epatopatia  cronica  HCV
correlata  a  seguito di trasfusioni e trattamento con emoderivati in
conseguenza  di  sinistro  stradale  avvenuto  nel  1978, al quale la
patologia cronica era stata diagnosticata nel 1992.
    La  ricorrente  afferma  che  l'infezion  da  HCV e' stata quindi
trasmessa  per  via  parentale  inapparente  dal marito con il quale,
all'epoca  del  contagio, conviveva more uxorio e con il quale si era
poi  sposata  in  data 3 settembre 1994. La ricorrente esclude invece
che  il  virus  sia  stato trasmesso dal padre, anche se quest'ultimo
risultato  portatore del medesimo genotipo del virus; ove il contagio
fosse  avvenuto per via intrafamiliare, afferma la ricorrente, non si
capirebbe infatti come mai il virus non era stato trasmesso dal padre
anche  agli  altri appartenenti all'originario nucleo familiare della
ricorrente (madre e fratelli).
    Il   Ministero   della   salute,   costituitosi  per  il  tramite
dell'Avvocatura  dello  Stato,  ribadisce  le  ragioni  ostative gia'
enunciate dalla C.M.O. di Verona; evidenzia l'esistenza di un fattore
di  rischio  intrafamiliare  cui  dovrebbe  essere attribuito rilievo
causale  preminente  (il  padre  della  ricorrente, M.A. era pure lui
affetto  da  epatite  C di genotipo 2a/2c); sottolinea inoltre che il
convivente  more  uxorio non e' ricompreso tra i soggetti beneficiari
delle  provvidenze  contemplate dalla legge n. 210 del 1992 sia pur a
seguito  dell'allargamento  del  campo  di  applicazione  della legge
n. 210   del   1992   ad   opera   di  alcune  sentenze  della  Corte
costituzionale (C. cost. n. 27 del 1998 e Corte cost. n. 423 del 2000
e  Corte  cost. n. 476 del 2002); fa presente che tra M.M. e S.P. non
vi  era  stata  vera  e  propria  convivenza more uxorio, ma soltanto
coabitazione.
    La   ricorrente   ha  chiesto  che  sia  sollevata  questione  di
legittimita'  costituzionale dell'art. 1 e dell'art. 2, comma 6 della
legge  n. 210  del  1992  per  contrasto  con  gli  artt. 2 e 3 della
Costituzione.
    Non  e'  in contestazione tra le parti che, a seguito di autonomo
ricorso,  S.P. e' stato riconosciuto portatore di epatite cronica HCV
correlata in conseguenza del trattamento con trasfusioni di sangue ed
emoderivati cui fu sottoposto nel 1978.

                       Considerato in diritto

    1.  - M.M. lamenta che non le sono riconosciuti i benefici di cui
alla legge n. 210 del 1992.
    2.  -  Non  rileva  innanzitutto  il  fatto che la domanda in via
amministrativa e' stata presentata nel 1996 e quindi oltre il termine
dei 3 anni previsto dall'art. 3, comma 1 della legge n. 210 del 1992.
In  proposito  occorre osservare che il termine di decadenza previsto
dall'art. 3  della  legge  n. 210  del 1992 per la proposizione della
domanda  di  indennizzo  per  le  menomazioni  da vaccinazioni non si
applica   analogicamente   al  caso  di  epatiti  post-trasfusionali;
infatti,  le  norme sulla decadenza hanno carattere eccezionale e non
sono applicabili oltre i casi espressamente previsti (Cass. 27 aprile
2001,  n. 6130);  con  la  conseguenza che, per il caso delle epatiti
post-trasfusionali  verificatesi  prima  delle  modifiche  introdotte
dalla legge n. 238 del 1997, la domanda e' proponibile nell'ordinario
termine  di  prescrizione  decennale,  a decorrere dal momento in cui
l'avente diritto ha avuto conoscenza del danno (Cass. 23 aprile 2003,
n. 6500).
    3.  -  I  benefici  di  cui alla legge n. 210 del 1992 sono stati
negati  a  M.M.  sia  in  quanto  l'infezione  da HCV risale ad epoca
antecedente  rispetto  al  matrimonio  sia in quanto sussisterebbe un
fattore  di  rischio  intrafamiliare  dato  che  il  padre,  M.A., e'
risultato portatore di virus HCV dello stesso genotipo della figlia.
    4.  -  Nel  presente  giudizio  e'  stato dato corso a CTU medico
legale.
    Il  CTU  ha affermato che M.M. risulta affetta da epatite cronica
conseguente  ad  infezione da virus di tipo C; ha anche sostenuto che
la fonte del contagio deve individuarsi con ogni ragionevole certezza
nell'attuale coniuge.
    Ad  avviso  del  CTU  non  paiono  esservi  infatti ragionevoli e
comprovabili  dubbi  sul  fatto  che M.M. ha contratto l'infezione da
virus  dell'epatite  di  tipo  C,  per via inapparente ovvero per via
sessuale, dall'attuale marito S.P.
    Risentito  a  chiarimenti,  all'udienza  di data 26 marzo 2004 il
CTU,  pur facendo presente che la trasmissione per via inapparente si
puo'  verificare  anche  in ambito familiare, ha tuttavia evidenziato
che  nel  1992 il padre della M. non manifestava evidenze cliniche di
positivita'  all'HCV,  evidenze  che si sono manifestate soltanto nel
1998  quando  gia' da 7 anni la ricorrente era stata trovata positiva
all'HCV.
    Le  conclusioni  del  CTU  sono  quindi  nel  senso  di  ritenere
ragionevolmente  che M.M. abbia contatto il virus HVC per contagio da
parte dell'allora convivente S.P.
    5.  -  Il Mistero della salute dubita del fatto che M. convivesse
more  uxorio  con  l'attuale marito prima di contrarre matrimonio nel
1994;   dubita   anche  del  fatto  che  il  rapporto  di  convivenza
sussistesse  gia'  nel  maggio  1991,  ossia  all'epoca  in cui si e'
manifestata clinicamente la patologia.
    Dalle  deposizioni  testimoniali raccolte all'udienza del 9 marzo
2004,  emerge  che  M.M. e S.P. hanno iniziato ad avere una relazione
stabile e duratura gia' nel 1989, quando andarono a convivere assieme
in via P. a T.
    Il   fatto  che  la  relazione  tra  i  due  abbia  assunto  tali
connotazioni e' desumibile dal fatto che, come riferito dal teste C.,
M.   e  S.,  continuarono  ad  abitare  assieme  anche  dopo  essersi
trasferiti  da  T. ad A. fino all'epoca in cui contrassero matrimonio
il 3 settembre 1994.
    Gli  atti  di  causa  inducono  a  ritenere  quindi che, in epoca
antecedente  al  matrimonio  ed  in  particolare  all'epoca in cui M.
contrasse il virus HCV, tra M.M. e S.P., vi era un rapporto di vera e
propria  convivenza  more  uxorio  caratterizzata dai connotati della
stabilita',  continuita'  e  regolarita',  ossia  una  vera e propria
«famiglia di fatto».
    Se  all'epoca  tra  i  due  vi  fosse  stato un semplice rapporto
occasionale  e  non gia' una famiglia di fatto, non si comprenderebbe
infatti  come  mai il rapporto abbia avuto un carattere di stabilita'
tale da protrarsi nel tempo fino al matrimonio.
    6.  -  La  piu'  probabile  ricostruzione  dell'iter  trasmissivo
dell'infezione  e'  quindi quella per cui il virus e' stato trasmesso
da S.P. a M.M. all'epoca in cui i due convivevano more uxorio.
    7.  -  L'art. 1,  comma  6  della  legge  25  luglio 1997, n. 238
stabilisce  che  «i  benefici  di  cui  alla  presente legge spettano
altresi' al coniuge che risulti contagiato da uno dei soggetti di cui
all'art. 1  della  legge  25 febbraio 1992, n. 210, nonche' al figlio
contagiato durante la gestazione».
    Per  quanto  interessa  il  presente  giudizio,  la  disposizione
contenuta  nell'art. 1,  comma  6  della legge 25 luglio 1997, n. 238
estende pertanto i benefici al coniuge e non anche al convivente more
uxorio che risulti contagiato da uno dei soggetti di cui all'articolo
1 della legge n. 210 del 1992.
    8.  -  Della  disposizione di legge in esame non puo' essere data
un'interpretazione analogica e neppure estensiva.
    Come  ha  giustamente  evidenziato  il  Ministero  della  salute,
l'ambito  di applicazione del sistema di cui a legge n. 210 del 1992,
e'   stato   «allargato»   in   alcuni   casi  non  gia'  in  via  di
interpretazione  bensi' in seguito ad alcune espresse declaratorie di
illegittimita'  costituzionale  (C. cost. n. 27 del 1998, Corte cost.
n. 423 del 2000 e Corte cost. n. 476 del 2002).
    Inoltre se nel novero dei beneficiari potessero essere ricomprese
non  soltanto  le  persone  in  rapporto  di  causalita'  diretta  ed
immediata con i vari fattori di rischio, ma anche altri soggetti, non
si   capirebbe   come   mai  il  legislatore  ha  dovuto  «allargare»
espressamente  il  campo di operativita' nel momento in cui ha voluto
prendere  in  considerazione  anche  soggetti  in rapporto mediato ed
indiretto  come  il  coniuge  ed  il  figlio che sia stato contagiato
durante la gestazione.
    9. - In base all'attuale quadro normativo, i benefici di cui alla
legge  n. 210  del 1992 non possono essere quindi riconosciuti a M.M.
in  quanto,  all'epoca  del contagio, convivente more uxorio con S.P.
«veicolo» dell'infezione.
    Sotto  queto  aspetto la questione di legittimita' costituzionale
dell'art. 1, comma 6 della legge 25 luglio 1997, n. 238 appare quindi
rilevante.
    10.   -   La   questione  di  legittimita'  costituzionale  della
disposizione  di legge anzidetta che viene qui sollevata appare anche
non manifestamente infondata sotto un duplice aspetto.
    11.-  La  convivenza  more  uxorio  ancorche'  non  compiutamente
regolata  dalla legge, e' tuttavia presa in considerazione ad esempio
nell'art. 317-bis  c.c.  in  materia  di  attribuzione delle potesta'
genitoriali.
    D'altro  canto, sia pur in particolari casi e a determinati fini,
la  Corte  costituzionale  ha  riconosciuto  rilevanza giuridica alla
convivenza  more uxorio: nella sentenza n. 404 del 1988 ha dichiarato
l'illegittimita'  costituzionale  dell'art. 6,  comma  1  della legge
n. 392  del  1978 nella parte in cui non prevedeva tra i successibili
nella  titolarita'  del  contratto di locazione, in caso di morte del
conduttore,  il convivente more uxorio nella sentenza n. 559 del 1989
ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 18, commi 1 e
2  della  legge  della  Regione Piemonte n. 64 del 1984 in materia di
successione  nel  rapporto  di assegnazione e godimento di alloggi di
edilizia residenziale pubblica.
    Non  ignora questo Tribunale che, secondo la giurisprudenza della
Corte costituzionale, la trasformazione della coscienza e dei costumi
sociali  non  autorizza a ritenere che la convivenza di fatto rivesta
oggettivamente  connotazioni  identiche a quelle che scaturiscono dal
rapporto  matrimoniale.  Una  unificazione  delle  due  figure non e'
quindi ammissibile.
    In  diverse decisioni la Corte costituzionale ha infatti posto in
luce   la  netta  diversita'  della  convivenza  di  fatto,  «fondata
sull'affectio  quotidiana, liberamente ed in ogni istante revocabile,
di   ciascuna   delle   parti»   rispetto   al   rapporto  coniugale,
caratterizzato  da  «stabilita»,  certezza  e  dalla  reciprocita'  e
corrispettivita'  di  diritti e doveri (...) che nascono soltanto dal
matrimonio».
    La  convivenza  di  fatto  non puo' essere pertanto assimilata al
rapporto  di coniugio per essere ricondotta, cosi' come quest'ultimo,
sotto  «l'ala»  protettiva  dell'art. 29  della  Cost.  Rimane quindi
estranea al contenuto delle garanzie offerte dall'art. 29 della Cost.
una relazione come quella tra conviventi more uxorio, pur socialmente
apprezzabile,  divergente  tuttavia  dal  modello  che  si radica nel
rapporto coniugale.
    12.  - La posizione del convivente di fatto merita in determinati
casi riconoscimento, anche se i vincoli affettivi e solidaristici che
ne  scaturiscono  troveranno tutela non gia' nell'art. 29 della Cost.
ma nell'ambito della protezione, offerta dall'art. 2 della Cost., dei
diritti inviolabili dell'uomo nelle formazioni sociali.
    Il  parametro  con  riguardo  al  quale  si  chiede  il vaglio di
costituzionalita' dell'art. 1, comma 6 della legge 25 settembre 1997,
n. 238 e' quindi in primo luogo quello rinvenibile nell'art. 2 Cost.,
ove  si  afferma  che la Costituzione tutela l'individuo in qualunque
contesto  esplichi  la  propria  personalita'  e, quindi, anche nella
famiglia  c.d.  di  fatto (cosi' come la Corte costituzionale ha gia'
ritenuto  nella  sentenza  n. 237  del  1986  purche'  il rapporto di
corivivenza   risulti   caratterizzato   da  un  grado  accertato  di
stabilita).
    D'altra  parte,  ove  anche al convivente more uxorio non fossero
estesi  i benefici di cui alla legge n. 210 del 1992, verrebbe in tal
modo  pregiudicato il suo diritto alla salute, ossia il diritto a non
subire  menomazioni  della  propria sfera psicofisica per effetto, in
via  sia  pur mediata ed indiretta, di trasfusioni o somministrazioni
di emoderivati.
    Un   diritto   di  tal  fatta  rientra  nel  novero  dei  diritti
inviolabili  dell'uomo,  cui  offre  presidio  per l'appunto l'art. 2
della Cost.
    13.  -  In  secondo  luogo  il  parametro di costituzionalita' e'
quello   delineato   dall'art. 3   della   Cost.   sotto  il  profilo
dell'irragionevolezza.
    Il  fatto  che, come si e' ricordato sopra, la Costituzione tenga
distinti  la  convivenza  more  uxorio ed il rapporto coniugale, piu'
volte   affermato   dalla   Corte   costituzionale,  non  esclude  la
comparabilita'   delle  discipline  riguardanti  aspetti  particolari
dell'una  e  dell'altro  che possano presentare analogie, ai fini del
controllo della ragionevolezza sotto il profilo dell'art. 3 Cost. (in
questo senso Corte cost. n. 8 del 1996).
    L'art. 1,  comma  6 della legge 25 luglio 1997, n. 238 e' diretto
ad  apprestare  una  tutela  in  favore  delle  persone  legate da un
rapporto  di  stabile  convivenza  con  il  soggetto portatore di una
patologia  irreversibile da infezione da HIV, persone che, attraverso
il  contatto  familiare  ed  in  particolare  attraverso  il contatto
sessuale,  sono  esposte  al  rischio  di  contrarre  a loro volta la
medesima patologia.
    Sotto  questo  aspetto il rapporto di coniugio non si differenzia
in  alcun  modo dal rapporto di convivenza more uxorio. Se i benefici
di  cui  alla legge n. 210 del 1992 sono riconosciuti al coniuge, non
vi   e'  ragione  perche'  li  stessi  benefici  non  debbano  essere
riconosciuti  anche  al  convivente  more  uxorio  che,  per quel che
riguarda la ratio sottesa all'allargamento degli indennizzi di legge,
appare  in  tutto  e  per  tutto  parificabile alla persona legata da
vincolo matrimoniale.
    i  dubita  quindi che la limitazione dei benefici in questione al
solo coniuge violi l'art. 3 della Cost. Per riprendere un passo della
sentenza della Corte costituzionale n. 404 del 1988 l'art. 3 Cost. e'
qui  invocato non per la sua portata eguagliatrice, restando comunque
diversificata la condizione del coniuge da quella del convivente more
uxorio,  ma  per  la  contraddittorieta'  logica  dell'esclusione del
convivente  dalla  previsione  di  una  norma  che  intende  tutelare
l'abituale  convivenza  e  la  dimestichezza dei rapporti tra persone
legate da stretti vincoli affettivi.